venerdì 7 dicembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»I Vangeli (130 E.C. — 150 E.C.) (IX): Gesù di Nazaret

I VANGELI
(130 E.C.—150 E.C.)

IX

GESÙ DI NAZARET
(Il vangelo secondo san Luca)

Quel maestro più casto e quel navigante più impavido, l'uomo che diede alla letteratura evangelica il suo impulso iniziale, Marcione, deve aver letto nella sua vita i vangeli che derivarono dal suo e in opposizione ad esso. Li gettò da parte, in particolare quelli di Matteo e di Giovanni, che rivendicavano il patronato degli antichi apostoli. [1] Sappiamo cosa disse di uno di quei rari passi di Matteo che avrebbe potuto approvare, quello in cui Gesù parla di coloro “che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli” (Matteo 19:12). Disapprovava tale modo di riferirsi alla continenza volontaria. Ai suoi occhi i precetti di Gesù erano sempre semplici e chiari, mai enigmatici, né carichi di doppio significato. [2]

Sentiva i suoi diversi avversari unirsi contro di lui. Osservò sollevarsi barriere contro la sua proposta di riforma radicale delle Chiese e contro il suo piano chimerico di separare completamente il cristianesimo dall'ebraismo. I seguaci di Matteo si unirono contro di lui in Siria, e la teologia di Giovanni si oppose a lui in Asia. Quando approdò a Efeso come delegato ufficiale delle chiese del Ponto, con le sue credenziali, fu cacciato via come nemico dallo stesso autore dell'ultimo vangelo, [3] che, nelle sue epistole, si riferisce a Marcione in allusioni criptiche all'Ingannatore e all'Anticristo (2 Giovanni 7; 1 Giovanni 4:2-3). Quando Marcione si insediò a Smirne, chiamò il capo vescovo, il vecchio Policarpo che era un siriano di nascita, e chiese di essere riconosciuto da lui, e la risposta arrivò: “Io ti riconosco come il primogenito di Satana”. [4] Fu a Satana che Paolo consegnò i grandi apostoli e al quale Giovanni mandò Paolo. In una lettera ai Filippesi, Policarpo scomunica Marcione senza nominarlo, elencando tutti i suoi rancori contro di lui: “Infatti, chi non riconosce che Gesù Cristo é venuto nella carne, é un anticristo e chi rigetta la testimonianza della croce [ossia, come una dimostrazione della carne di Gesù] viene dal diavolo. Chi perverte le parole del Signore, adattandole ai suoi malvagi desideri, e nega la resurrezione e il giudizio, costui è il primogenito di Satana” (Policarpo, Filippesi 7).

Le liti delle Chiese provinciali riecheggiarono a Roma; qui, nella capitale imperiale, era naturale che tali controversie venissero sottoposte all'arbitrato. Quando, perciò, Marcione si ritrovò attaccato in Asia, cercò di salvare il culto che aveva originato stabilendo audacemente il suo quartier generale nella stessa Città Eterna; credeva che il suo Dio gli avrebbe dato la forza per ottenere il riconoscimento che cercava. Le sue speranze erano grandiose, perché i suoi seguaci si trovavano a Cartagine, a Lione e a Roma stessa. Inoltre, la Chiesa romana non avrebbe avuto rapporti con gli ebrei, e celebrava la Pasqua in un altro momento rispetto alla Pasqua ebraica, come pure le chiese marcionite, così come coloro che si attenevano al vangelo secondo Matteo. Questo le Chiese asiatiche consideravano scandaloso. Inoltre, a Roma i cristiani digiunavano di domenica, proprio come facevano i marcioniti, come se facessero dispetto agli ebrei. Il vangelo romano secondo san Marco, salvo che nella materia cardinale della divinità, seguiva le orme del suo modello neo-paolino. Marcione poteva pensare che a Roma l'animo dei fedeli fosse stato preparato a ricevere lui e il suo messaggio. Come precursore mandò una delle donne sante del suo ordine (Girolamo, Epist., 133, 4). Conosceva il potere dell'ascetismo su cuori castigati; e la chiesa romana avrebbe dovuto vedere un campione scelto delle prime monache cristiane della Storia. Poi issò le vele sulla propria barca e sfidò i pericoli che il suo maestro Paolo aveva sfidato ottant'anni prima.

Nell'anno 138 venne a Roma negli ultimi mesi del regno di Adriano. [5] Emaciato dal digiuno, bruciato dalla febbre dell'evangelista, ossessionato dalla bontà, Marcione era già un uomo anziano. Nei brulicanti vicoli della grande città cercò un tetto sicuro per mettere al riparo la sua Chiesa, e poi agli Anziani della comunità romana scrisse una lettera in cui esponeva le sue convinzioni in termini tali da farla accettare da loro. [6] Affinché la sua fede e la sua carità potessero essere dimostrate nel miglior modo possibile, Marcione praticava ciò che aveva predicato nel vangelo che insegnava. In esso Gesù dice ad un giovane ricco che cercava la vita eterna: “Vendi ciò che hai e dàllo ai poveri”. E ancora: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza”. E anche: “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Marcione consegnò alla Chiesa una somma cospicua — 200.000 sesterzi — probabilmente tutta la sua fortuna (Tertulliano, De praescr., 30; Adv. Marc., 4:4). Le battaglie decisive sopraggiunsero in seguito.

Il Vangelo di Marcione non fu messo in discussione dalla Chiesa romana, che lo riveriva come fonte di insegnamenti genuini di Gesù. Marcione, tuttavia, insistette nel dimostrare agli Anziani e ai dottori che l'ebraismo era stato ripudiato nel Vangelo. [7] In particolare, sottolineava due passi. “Non buttano vino nuovo in otri vecchi”, disse severamente Gesù, “altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri e il vino va perduto e così gli otri. Ma il vino nuovo lo buttano in otri nuovi e ambedue si conservano”. Questo passo, dichiarò Marcione, poteva solo significare che il vino nuovo del cristianesimo non doveva essere versato negli otri vecchi dell'ebraismo. Quindi tutto ciò che riguardava gli ebrei e le loro vie dev'essere eliminato.

Gesù dice di nuovo: “Non c’è infatti un albero buono che faccia frutti guasti né a sua volta un albero guasto che faccia frutti buoni. Ogni singolo albero infatti viene conosciuto proprio dal suo frutto”. I due alberi, disse Marcione, sono i due Dèi. Il male può venire dal Vero Dio? Il Dio ebraico non può essere il vero albero buono, poiché egli stesso dichiara, per bocca di Geremia e di Isaia, i suoi profeti, che egli genera il male. L'albero buono, il Vero Dio, è il Padre di Gesù, che è la bontà stessa e genera solo il bene. Rendete agli ebrei che vi odiano la loro Bibbia e il loro Dio.

O Anziani di Roma, o voi padri di casa prudenti e devoti, un terribile evangelista convoca voi, che non siete né casuisti sottili né teologi profondi, nel nome del Vangelo per risolvere il problema insolubile, da dove proviene il Male? Inoltre, egli vi costringerebbe con la sua logica temibile ad abiurare come empietà le vostre tradizioni più care, a strappare dalle vostre mani la vostra venerata Bibbia e a bandire l'adorazione del Creatore. Come ci si poteva aspettare che loro facessero qualcosa del genere? Né nella materia né nella morale la Chiesa romana aveva qualcosa in comune con gli ebrei, da cui ricevevano poco più che calci. Sin da questa rivolta recente in Palestina il cristiano romano era stato in sofferenze maggiori di prima nel tenersi distinto dall'Israelita, per mostrare la sua lealtà nelle sue feste e nei suoi costumi. Nessuno avrebbe potuto più confondere un cristiano ed un ebreo. Che cosa più si poteva chiedere da loro ragionevolmente?

Non era ragionevole togliere da loro quella sacra scrittura in cui era predetta persino la cecità di quegli ebrei, che era la loro fonte di testi per il consumo quotidiano, la loro guida alla moralità, il loro strumento di fede, di cui in ogni pagina si poteva rintracciare la storia di Gesù. No; questo equivaleva ad esigere fin troppo.

Se potessimo credere a quel rozzo rispettabile, Giustino, il filosofo della comunità, la cosa che esasperò maggiormente gli Anziani era la pretesa di Marcione di aver portato con sé nella sua nave dal Ponto un nuovo Dio superiore a quello antico che erano abituati ad adorare. “Vi è poi un certo Marcione del Ponto”, scrisse all'Imperatore Antonino, “il quale tuttora insegna ai suoi seguaci a credere che esiste un altro Dio superiore al creatore. Costui, in mezzo ad ogni genere di uomini, con l'aiuto dei demoni, è riuscito a far sì che molti pronuncino bestemmie e neghino che Dio sia creatore dell'universo, e ammettano che un altro, il quale sarebbe superiore a Lui, ha compiuto cose maggiori di lui” (Giustino, Apologia 1, 26).

Non importa come vi si guardi, il cristianesimo è una rivoluzione negli dèi; e l'intransigente Marcione spinse l'opposizione del dio nuovo al dio antico fino al limite estremo. L'istinto delle chiese era per il compromesso e il mistero della Trinità ne era il risultato.

C'era un altro punto in cui questo anziano emaciato era inflessibile. Insistette che Gesù non aveva una vera carne, che lui non poteva invecchiare, che il suo essere non era corruttibile. Da ciò dedusse che non poteva esserci resurrezione del corpo. Questa dottrina, nonostante la sua origine paolina, si scontrò con i pregiudizi più cari e fermamente radicati degli Anziani. Il loro più grande desiderio era di risorgere nella loro carne e nelle loro ossa per la grande Venuta, e sentire il sangue pulsare nelle loro vene nel giorno della loro elezione. Né potevano concepire che Gesù avrebbe potuto davvero soffrire se la sua carne fosse stata diversa dalla loro, quali che fossero i difetti che avrebbe potuto avere.

Marcione era sostenuto dall'esaltazione disciplinata delle sue coorti di martiri, di asceti e di vergini che tutti dicevano addio al mondo e che soddisfacevano un Gesù senza sangue e il sublime dominio del Vangelo. Gli Anziani avevano con sé la stragrande maggioranza dei cristiani, i quali, sebbene potessero essere educati e tenuti entro certi limiti dalla Bibbia, erano ancora legati alla terra e appesantiti dalle loro passioni terrestri, e perciò avevano occhi solo per un Cristo di carne e di sangue al pari di loro. Tra le due parti non avrebbe potuto essere possibile nessun accordo. Alla fine Marcione arrivò al termine della sua pazienza; disperava di sforzi ulteriori e sentiva che i suoi nervi non potevano più sopportare. Fu spinto al grave passo dello scisma. “Io divido”, gridò, “la tua Chiesa e colloco tra le parti un abisso per tutta l'eternità” (Epifanio, Panarion, 42:2). Subito essi lo cacciarono dalla Chiesa e gli restituirono la somma che le aveva dato (Tertulliano, De proescr., 30; Adv. Marc., 4:4). D'ora in poi l'odio e la calunnia furono la sua ricompensa. Un fratello, più di ogni altro, è un nemico quando cessa di essere amato come un fratello. Marcione, da par suo, enfatizzò sempre più fortemente la sua dottrina dei due dèi, e sottolineò con più acuta definizione l'antitesi tra la Legge e il Vangelo in un commentario intitolato Antitesi.

Qualche anno dopo, nel luglio del 144, [8] Marcione morì. Per altri tre secoli la sua Chiesa visse, governandosi, e poi si evolse nel Manicheismo.

La Chiesa romana sopravvisse a questa dura prova e ne uscì fermamente credente nella Bibbia e nel Gesù carnale. Inoltre, era decisa a non subire altre prove di questo tipo, e con quel meraviglioso senso pratico dei romani, quel genio di conquista e di organizzazione, prese dei provvedimenti per proteggere per sempre il suo gregge dalla questione ebraica e dall'eresia marcionita spogliando audacemente in maniera grossolana sia gli ebrei che Marcione.

L'atroce rivolta ebraica fu repressa con altrettanta atrocità; Gerusalemme fu rifondata dalla bacchetta dell'augure, e gli ebrei avevano tutto l'aspetto di essere marchiati per la distruzione. Evidentemente era venuto il momento di cercare un successore dell'ebraismo. Perché la Chiesa romana non dovrebbe dichiararsi l'erede universale degli ebrei? Perché non annettere saldamente l'intera Bibbia? Sarebbe stata allora di proprietà esclusiva dei cristiani, e gli ebrei non vi avrebbero avuto più diritto. La Bibbia (Antico Testamento) era semplicemente l'anticamera del cristianesimo.

Quindi quella questione fastidiosa sarebbe stata risolta una volta per tutte riguardo a cosa e a quanto di questo libro doveva essere preso o lasciato. Matteo voleva prenderlo tutto — in un senso purificato, naturalmente; Marcione non ne voleva prendere alcunché. Tutto doveva essere preso, senza un taglio o una correzione, ma come storia antica. L'epistola agli Ebrei indicava il modo. La Bibbia è un antico disegno di Dio, un libro edificante, ma non più definitivo. Dio ha voluto una legge, e ora ha voluto un'altra. Ha stretto un'Alleanza con un unico popolo, e ora avrebbe stretto un'Alleanza con un altro popolo. Questo era del tutto lo stesso Dio il cui cambiamento di umore era meglio adorare piuttosto che accettare il dio nuovo che Marcione aveva immaginato. Il successo duraturo di questa politica rivelò la sua saggezza.

Inoltre, c'era in questo un vantaggio politico degno di nota. Se i cristiani erano i successori degli ebrei e gli unici detentori autorizzati delle Sacre Scritture, erano allo stesso livello degli ebrei, e tutti i privilegi giuridici degli ebrei dovevano essere trasferiti a loro — in principio il diritto di essere dispensati dal culto imperiale e dal culto degli idoli. Allora la persecuzione avrebbe cessato e la Chiesa sarebbe salita in processione fuori dalle catacombe e si sarebbe mostrata orgogliosamente davanti a tutti. Ed, ecco, un nuovo imperatore stava per assidersi al trono. Al posto del severo e scettico Adriano giunse il gentile, giusto e benevolo Antonino Pio, e alla sua corte brillarono quei due giovani filosofi che a loro volta gli succedettero: Lucio Vero e Marco Aurelio. Quel filosofo della Chiesa, Giustino, rivolse a questi due principi virtuosi una lunga e candida difesa del cristianesimo da cui si aspettava molto.

Per completare il piano di due Patti di Dio, o, come dicevano in latino, due Testamenti, era necessario il secondo. Alla Bibbia, che ora divenne l'Antico Testamento, bisognava aggiungere un Nuovo Testamento — cioè, una seconda raccolta di libri che esprimono la vera volontà di Dio. Era qui che l'eredità lasciata da Marcione era conveniente; poiché Marcione aveva lasciato al cristianesimo due libri sacri — un vangelo e le epistole di san Paolo. Li aveva destinati a sostituire la Bibbia. Invece di ciò dovevano diventare il nucleo del Nuovo Testamento, e intorno a loro dovevano essere costruiti altri libri in cui dovevano essere riconosciute le vere parole del Signore — cioè i vangeli di Matteo, di Marco e di Giovanni — forse, grazie all'appendice, la profezia di Ermas (per alcuni), la Lettera agli Ebrei (per gli altri), l'Apocalisse di Giovanni (questa non senza opposizione). Se ci fosse stato bisogno di correzioni, cancellature o aggiunte, la Chiesa sarebbe stata all'altezza, con l'aiuto dello Spirito Santo.

Di fatto un nuovo vangelo non era necessario per la comunità romana; infatti essa faceva uso del vangelo di Marco, che fu adattato al suo credo e alla sua liturgia. C'era, tuttavia, un altro uso del Vangelo preso da Marcione. La Chiesa aveva un bisogno pressante di un documento storico che poteva brandire di fronte al mondo, portare all'attenzione dei governanti, dei letterati e dei simpatizzanti, come la storia del cristianesimo antico; non una supplica speciale come meditava Giustino, ma una storia facile, sorprendente e commovente. Flavio Giuseppe aveva fatto questo lavoro fin troppo bene per gli ebrei, e quello che mancava alla Chiesa era un Flavio Giuseppe cristiano, il cui primo volume avrebbe dovuto essere la storia di Gesù e il secondo il racconto degli Apostoli, il tutto facendo un forte richiamo ad entrambi credenti e pagani. Il Vangelo che la Chiesa aveva strappato a Marcione sarebbe servito come primo volume, o comunque come base per esso; aggiunte ben scelte sarebbero state sufficienti a dargli la nota giusta; e sarebbe stato preceduto, naturalmente, da una prova circostanziale della nascita di Gesù secondo la carne. In effetti, più ci pensavano su, più si vedeva chiaro che esordire alla maniera dello storico con il pedigree di Gesù sarebbe stata una confutazione sufficiente di Marcione. Trattalo interamente come personaggio storico, ed egli cessava di essere puro Spirito, avendo assunto la carne.

Chi e che cosa fu l'uomo di genio nella Chiesa che immaginò questo schema e lo portò in esecuzione? Può essere solo nella Chiesa romana che deve essere cercato; né sembra probabile che la ricerca sia vana.

Ci sono affinità sorprendenti e peculiari tra le ultime parti del Nuovo Testamento (con queste intendo quelle parti di Luca che non si trovano altrove, né in Marcione, né in Marco, né in Matteo, la seconda edizione degli Atti, [9] le correzioni in Paolo, [10] le Epistole Pastorali, le due Epistole di Pietro, e quella di Giuda) anche se sono attribuiti a diversi autori. In tutto c'è lo stesso modificato paolinismo imbastardito, la stessa idea presbiteriana della Chiesa, la stessa cultura biblica con una tintura di stoicismo, le stesse accuse contro gli stessi eretici, gli stessi temi morali (sottomissione, buone opere e santificazione), un gusto marcato per le citazioni (talvolta di origine curiosa), per il meraviglioso, e anche per la preghiera, lo stesso tipo di emotività contenuta e una sorta di inettitudine teologica. È difficile non pensare che, sotto vari travestimenti e nonostante un vero talento per il trucco, sia lo stesso autore al lavoro in tutti i casi. Inoltre, le stesse caratteristiche si trovano in quella lettera della Chiesa romana ai Corinzi, che viene attribuita con qualche motivo a Clemente di Roma. Potrebbe, quindi, essere considerato non affatto improbabile che gli Anziani della Chiesa romana abbiano incaricato Clemente di completare e pubblicare questa edizione del Nuovo Testamento.

In quei giorni, quando il soffio dello Spirito sulle labbra del profeta Ermas minacciava la stabilità della Chiesa, Clemente era segretario della Chiesa. Era suo dovere inviare alle altre Chiese l'editto di remissione dei peccati che il profeta aveva ricevuto in sogno da un'anziana donna del cielo. [11] Era stato in grado di vedere da sè da vicino gli svantaggi di un profeta e gli inconvenienti del potere assoluto dello Spirito. Quando la dittatura ininterrotta dei profeti lasciò il posto al governo degli Anziani, Clemente mantenne il suo vecchio ufficio e aumentò anche la sua autorità. Era probabilmente uno degli Anziani incontrati da Marcione e dalla cui tenacia lui fu sconfitto. In ogni caso, era un membro importante del Concilio della Chiesa quando scrisse nel nome dell'intera Chiesa alla chiesa di Corinto per dissuaderla dal prendere il potere dagli Anziani, senza dubbio per conferire autorità al solo vescovo, e per strappare quella chiesa dal nemico marcionita. [12]

Doveva il suo ufficio alla sua astuzia come scrittore, alla sua vasta conoscenza della letteratura profana e sacra, e al fatto che era ben istruito sia alla maniera romana che in quella ebraica. Con ogni probabilità era nato pagano, e alla fine il suo cuore era con i gentili. Il suo è il giusto tono romano. Parla dei “nostri principi, i soldati soggetti ai nostri ufficiali”. [13]

La sua ammirazione è per esempi di virtù romana. Sia la musa greca che la latina lo ispirano. La sua lettura include Erodoto, Euripide, Cicerone, Ovidio, Arato e anche il poco noto poema di Epimenide, Minosse. [14] Scrisse buon greco letterario, il suo stile era flessibile e vario, prestandosi a diversi modi. In lui non scorreva nessun moto impetuoso di sangue ebraico, ma era ebreo per conquista. Ciò che conosce profondamente è la letteratura ebraica nella traduzione greca, e soprattutto l'intera Bibbia, incluso il Libro di Enoc. [15] Quindi gli Apocrifi, il Testamento dei Dodici Patriarchi, la storia di Achikar, un libro perduto di Jannè e Iambrè, [16] il quarto libro dei Maccabei, e i libri apocalittici ebraici come L'Assunzione di Mosè (che è accennato in Giuda 9 e forse in Clemente 17:6). Era ben versato negli scrittori ebrei di lingua greca, come Filone, che tesseva storie di Mosè, e Flavio Giuseppe, che era il suo modello e il suo arsenale. Nell'esegesi della Bibbia è il discepolo del grande Didascalus dell'Epistola agli Ebrei. Non si eleva ai vertici del suo maestro nel pensiero, ma possedeva una percezione migliore di ciò che era praticabile, un calore nell'esortazione, il dono della persuasione e l'arte di variare il suo racconto. Soprattutto è il capo della Chiesa, il cui ritratto non si stancava mai di derivare, quell'uomo affabile e moderato dalla mente vasta e dalla mano ferma. La sua biblioteca era sempre al servizio del governo delle anime.

Matteo, a cui rassomigliava nel suo senso profondo della Chiesa, era un rabbino gesuano che esortava l'ebreo ad adottare il Crocifisso; laddove egli è il  gentile gesuano che fa appello ai gentili redenti per prendere possesso dei beni non reclamati dell'ebreo, di cui non perderebbe nulla. In opposizione a un ebreo per razza come il secondo Giovanni, egli restaura le tradizionali speranze degli ebrei, il Giudizio Universale, la Resurrezione del Corpo. Queste profezie lo convertirono, perché i gentili sono in Gesù i loro beneficiari. Dice: “il nostro padre Abramo, il nostro padre Giacobbe” (1 Clemente 31:2, 4:8), perché sa che la parentela è stabilita dalla fede e non dalla razza. Sente di essere il figlio del Dio di Israele — forse il figlio più giovane, ma un figlio preferito al maggiore. Le stesse buone opere che il perfetto israelita adempiva nella Legge, il penitente Gentile le adempiva ancora meglio nella Chiesa; e la santità di cui Israele si vantava era ora un privilegio aperto a tutta l'umanità.

Mai la continuità dell'Antica Legge e della Nuova sono state stabilite in modo più ammirevole, mai l'Antica Legge è stata più completamente mescolata con la Nuova in un tutto indissolubile.

Ma la continuità non è ripetizione. A nessun prezzo Clemente sarebbe stato d'accordo sul fatto che i profeti cristiani fossero i legittimi successori dei profeti di Israele. Aveva visto troppo dell'instabilità e degli scossoni inaspettati e arbitrari che i profeti procuravano alla Chiesa. Quel periodo deve essere chiuso per sempre, perché la Chiesa sarebbe perita se la Libertà dello Spirito fosse stato un impedimento eterno all'ordine e alla certezza. Anche Marcione lo aveva capito, e aveva soppresso i profeti nelle sue chiese, infatti poteva farlo senza difficoltà, poiché aveva respinto l'autorità dei profeti ebrei. Il problema di Clemente era di trovare un modo per ridimensionare quei membri indisciplinati, i profeti del suo tempo, a posizioni subordinate, e tuttavia per venerare e magnificare quelli dei tempi andati.

In questo si trova il suo capolavoro. Dotò la Chiesa di una dottrina dello Spirito Santo che doveva assicurare la sua stabilità e dargli i mezzi per controllare le ultime irruzioni profetiche — quelle di Montano e delle sue profetesse ed energumeni. Lo Spirito Santo è un essere celeste derivato da Dio e da Gesù; a volte appare nella forma di una colomba, in altre nella forma di lingue di fuoco. [17] È ardente e pesante, e cade su colui a cui Dio lo invia; lo afferra. Lo Spirito Santo prese possesso dei profeti dell'Antico Testamento e parlò con le loro bocche. Ma — attenzione! — lo fece solo per predire la venuta di Gesù, le sue sofferenze e la sua gloria. Questa preparazione non era fatta a beneficio dei profeti né dei loro auditori, ma per i cristiani. [18] Dalla nascita di Gesù tutto ciò è cambiato. Lo Spirito Santo fecondò un vergine e consacrò Gesù sulla terra. Quando Gesù ritornò in cielo, fece cadere lo Spirito Santo sugli Apostoli. Al che essi annunciarono la venuta di Gesù, raccontarono delle sue sofferenze e della sua gloria; le stesse cose che i profeti del passato avevano predetto. La profezia è quindi sostituita dal Vangelo, e i due convergono su Gesù. Entrambi oggi sono fissati dalla parola scritta e dovrebbero essere la lettura costante dei fedeli; non c'è più spazio per la profezia. (Tuttavia Gesù diede alcune rivelazioni speciali sugli ultimi giorni a certi dei suoi apostoli). Non più lo Spirito Santo cade solo sui profeti, perché gli apostoli riuscirono a farlo cadere su tutti i cristiani; tale era il potere delle loro preghiere. Dopo di loro il potere passò alla loro successione stabilita, cioè agli Anziani delle chiese. L'azione dello Spirito Santo è la purificazione dei cuori e il conferimento di forza per compiere ogni sorta di opere sante. Per ricevere lo Spirito Santo non è sufficiente essere battezzati; i marcioniti erano battezzati, ma ciò non avrebbe fatto implicare la loro ricezione dello Spirito Santo. In realtà, non era nemmeno necessario essere battezzati. Il requisito era di essere in comunione attraverso gli Anziani con gli Apostoli. In ogni singola chiesa gli Anziani erano i ministri responsabili dello Spirito Santo, e Clemente quando scriveva in accordo con loro si sentiva il portavoce dello Spirito Santo. [19]

Questo Collegio degli Anziani (o degli episcopi), in cui Clemente vede riprodotto per l'eternità l'augusto collegio degli Apostoli, non doveva mantenere a lungo la sovranità. Lungi dal godersi la lunga durata che Clemente aveva previsto per esso, fu solo un breve lasso di tempo prima che il potere cadesse nelle mani dei vescovi come singoli sovrani.

Né accadde molto prima che una richiesta generale scaturì da tutte le Chiese per un'organizzazione meglio equipaggiata per resistere all'eresia. La Chiesa romana si organizzò sotto il controllo di un singolo vescovo, Aniceto, nel 154 circa. Come ci si potrebbe aspettare, si dichiarò più tardi che questa istituzione esisteva fin dall'inizio della Chiesa, ed Egesippo, quando venne dalla Palestina, tentò di stabilire una sequenza di vescovi di Roma come aveva fatto per i vescovi di Gerusalemme fino alla guerra di Bar-Kochba. [20] È l'ironia della storia che l'uomo che difendeva il principio di un episcopato collettivo avrebbe dovuto essere inscritto nell'elenco dei pseudo-papi; tale fu il destino di Clemente Romano. In un certo senso questo potrebbe essere considerato giusto, perché l'amministrazione dello Spirito Santo è passata nelle mani di un nuovo capo, il papa, in gran parte attraverso i suoi sforzi, e il suo sogno più caro è stato realizzato; in due o tre generazioni l'interminabile periodo dei profeti e dei loro brancolamenti giunse ad una fine e la loro confusione fu cancellata dalla storia. In effetti, niente sembrerebbe essersi interposto tra gli Apostoli e lo stesso Clemente.

Era all'incirca nell'anno 142 in cui fu scritta la sua opera indispensabile — indispensabile perché riferiva a beneficio dei letterati cristiani romani in opposizione a Marcione un'epopea divina in cui lo Spirito Santo era il personaggio centrale. Questa data si trova tra lo scisma marcionita del 139 circa e la prima allusione fatta al libro nell'Apologia di Giustino, 1:34 (censimento di Quirinio), prima che Marcione morisse nel 144. È dedicato a Teofilo, una persona sconosciuta — forse il Mecenate che pagò per la prima edizione, o forse un falso nome che nascondeva un lettore nobile ma devoto, un ricercatore in buona fede. Una dedica deve obbligatoriamente contenere il nome dell'autore, ma il nome stesso può essere a discrezione e non rivelare nulla. Più tardi si sarebbe diffuso in giro l'idea che l'autore fosse un Luca, compagno di Paolo, l'unico compagno del suo viaggio, dissero, a Roma. [21]

Come era consuetudine tra gli scrittori profani, la dedica è in raffinata prosa ritmica. L'autore fa riferimento al numero di vangeli e Atti degli Apostoli già esistenti, e lascia intendere ai suoi lettori che ha tratto le sue informazioni da loro e si vanta di essere in grado di dare loro qualcosa di più antica autorità e di migliore continuità. 
“Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.”
Con un salto acrobatico passa dallo stile raffinato di un retore greco a quello della narrazione biblica.
Al tempo di Erode, re della Giudea,
c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa,
e aveva in moglie una discendente di Aronne
chiamata Elisabetta.  
Erano giusti davanti a Dio,
osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore.
Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile
e tutti e due erano avanti negli anni.
A questo vecchio sacerdote, tra l'incenso del Tempio, giunse un angelo di Jahvè, Gabriele, che gli annunciò che avrebbe avuto un figlio, Giovanni, che sarebbe stato grande e santo. Sarà colui che doveva venire “nello spirito e nel potere di Elia” prima del Messia di Israele. In punizione per il suo stupore per questa notizia, Zaccaria è ammutolito. Elisabetta concepisce e si nasconde per cinque mesi.
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio
in una città della Galilea, chiamata Nazaret,
a una vergine, promessa sposa di un uomo
della casa di Davide, chiamato Giuseppe.
La vergine si chiamava Maria.

Entrando da lei, disse: Ti saluto, o piena di grazia,
il Signore è con te».
A queste parole ella rimase turbata
e si domandava che senso avesse un tale saluto.

L'angelo le disse: Non temere, Maria,
perché hai trovato grazia presso Dio.
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce
e lo chiamerai Gesù.

Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo;
il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre
e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe
e il suo regno non avrà fine.

Allora Maria disse all'angelo: Come è possibile?
Non conosco uomo.
 Le rispose l'angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te,
su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo.
Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.

Vedi: anche Elisabetta, tua parente,
nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio
e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:
nulla è impossibile a Dio.
[22]

Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore,
avvenga di me quello che hai detto.
E l'angelo partì da lei.
Maria, così misteriosamente incinta, si affretta a visitare la sua parente; il bambino Giovanni balza nel grembo di Elisabetta alla sua vista, ed Elisabetta è ricolma di Spirito Santo e benedice Maria e il frutto del suo grembo. Maria poi ringrazia Dio in un salmo. [23] Tre mesi dopo Giovanni è nato e Zaccaria recupera la sua voce, è ricolmo a sua volta dello Spirito Santo, benedice il Messia il Figlio di Davide, perché il bambino sarà un profeta di Jahvè, il precursore di Gesù, e rivelerà al popolo la sua salvezza attraverso la remissione dei peccati.

Questo bell'inizio è un passo avanti rispetto a Marco e a Matteo. Giovanni è il precursore pre-ordinato  di Gesù prima della loro nascita. È l'erede del sacerdozio ebraico e deve essere un profeta dell'Altissimo; vale a dire, nel modo di dire biblico, che la legge e i profeti sono il precursore del cristianesimo. Gesù, parente secondo la carne di Giovanni il Battezzatore, è, attraverso sua madre, nella linea di Aronne il Sommo Sacerdote, e sarà “il sommo sacerdote delle nostre offerte” (1 Clemente 36:1; 61:5; 64). Egli è in questa maniera allo stesso tempo quel Messia il Figlio di Davide predetto dai profeti, quel Messia il Figlio di Levi predetto da altri, e quel Messia il Figlio di Giuseppe atteso da certe sette; inoltre la sua nascita da una vergine lo rese fisicamente il Figlio di Dio. La concezione verginale non è raccontata dal punto di vista di Giuseppe, come in Matteo, ma da quello di Maria, che è molto più delicato e toccante.

Marco e Matteo diedero a Gesù Nazaret per suo luogo natale, poiché fraintesero un titolo antico, Gesù il Nazareno. Il nuovo vangelo colloca i suoi genitori a Nazaret, mentre Matteo li collocò a Betlemme. Dovevano essere portati a Betlemme affinché Gesù potesse nascere là  in accordo con l'inesorabile profezia di Michea. Il nostro autore ha avuto un vero colpo di genio nella gestione di questo. Offrì prove materiali della nascita di Gesù facendo riferimento al Censimento romano. Ciò che Flavio Giuseppe [24] raccontò come un fatto per il primo censimento fatto in Palestina dal governatore siriano Quirinio circa dieci anni dopo la morte di Erode, egli lo narra a proposito di un sorprendente censimento preso per tutta la lunghezza e l'ampiezza dell'Impero, durante cui ogni individuo doveva tornare al luogo natale dei suoi antenati; Giuseppe doveva quindi recarsi a Betlemme in quanto discendente di Davide.
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò
che si facesse il censimento di tutta la terra.
Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città.

Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide,
dalla città di Nazaret e dalla Galilea
salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme,
per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta.

Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.
Diede alla luce il suo figlio primogenito,
lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia,
perché non c'era posto per loro nell'albergo.
In queste misere condizioni nacque il Figlio dell'Uomo, venuto a condividere la miseria più profonda dell'umanità, che non avrebbe dovuto avere per sé una pietra dove posare il capo. Dopo questo ora chi poteva avere dubbi sulla sua nascita secondo la carne? Per di più, nacque da suddito di Roma e ufficialmente iscritto come tale. Giustamente Giustino implorò l'imperatore Antonino di far ispezionare i registri di Quirinio in modo che si potesse convincere di una prova così trascendente (1 Apologia 34).

Quanto a ciò che segue, il narratore non è soddisfatto di ciò che lesse in Matteo a proposito dell'adorazione dei Magi e della strage degli Innocenti di Erode. Qualunque cosa odorasse del Mago e della Magia era dubbia ai suoi occhi, e fece bruciare a Paolo un mucchio di libri di magia. [25] Il suo stile si appoggia più all'idillio e alla grazia; così sostituisce i pomposi Magi con semplici pastori. In accordo con Isaia 61:1 fa annunciare la buona notizia dai poveri.
C'erano in quella regione alcuni pastori
che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.
Un angelo del Signore si presentò davanti a loro
e la gloria del Signore li avvolse di luce.

Essi furono presi da grande spavento,
ma l'angelo disse loro: Non temete,
ecco vi annunzio una grande gioia,
che sarà di tutto il popolo:
 oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore,
che è il Cristo Signore.
Questo per voi il segno:
troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia.

E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste
che lodava Dio e diceva:
Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama.
[26]

Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo,
 i pastori dicevano fra loro:
Andiamo fino a Betlemme,
vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere.

Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe
e il bambino, che giaceva nella mangiatoia.
E dopo averlo visto, riferirono ciò
che del bambino era stato detto loro.
Alla nascita di Gesù il vangelo è stato quindi annunciato dagli angeli, come i profeti lo avevano annunciato prima e come Gesù e gli Apostoli dovevano predicare più tardi. In questo modo non c'è la minima interruzione alla continuità tra l'Antico e il Nuovo Testamento.

Ancora un altro legame è la circoncisione che pone il sigillo dell'Antica Legge sulla carne del fondatore della Nuova. Ancora un altro è il riconoscimento da parte di un santo di Israele, ispirato dallo Spirito Santo, di Gesù come il Messia di Israele e il Salvatore dei gentili.
 Ora a Gerusalemme c'era un uomo
di nome Simeone,
uomo giusto e timorato di Dio,
che aspettava il conforto d'Israele;

lo Spirito Santo che era sopra di lui,
gli aveva preannunziato
che non avrebbe visto la morte
senza prima aver veduto il Messia del Signore.

Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio;
e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù
per adempiere la Legge,
lo prese tra le braccia e benedisse Dio:

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada
in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele.
Questo vecchio Simeone è il clone del vecchio apostolo Giovanni, del quale si diceva, secondo una credenza diffusa e pericolosa, che non sarebbe morto finché Gesù non fosse venuto. In questo modo una credenza imbarazzante viene debitamente compromessa; viene dissipata come una confusione, che è un artificio più sottile rispetto all'equivoco supposto nell'appendice a Giovanni.

Flavio Giuseppe forniva il materiale per un aneddoto della giovinezza di Gesù. Vorrebbe farci credere che all'età di quattordici anni Gesù avesse una tale reputazione per la sua conoscenza che i sommi sacerdoti e i magistrati di Gerusalemme conferirono con lui così da poter apprendere da lui certe interpretazioni di punti difficili della Legge. [27] All'età di dodici anni, dice Luca, Gesù fuggì dalle cure dei suoi genitori in pellegrinaggio a Gerusalemme, ed fu ritrovato da loro seduto in mezzo a un gruppo di dottori, ascoltando le loro parole e facendo loro delle domande “e tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte” (Luca 2:47). Il motivo di questa storia è dimostrare che Gesù era un dottore della Antica Legge prima di istituire la Nuova Legge. Inoltre, introduce perfettamente il verso 49: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Questo istruisce il lettore che quando Gesù parla di suo Padre, intende il Dio adorato nel Tempio di Gerusalemme, Jahvè il Dio d'Israele.

Questa è la straordinaria apertura al vangelo di Luca (indipendentemente dal nome dell'autore, chiamiamolo di Luca). Non è uniforme al resto della narrazione, e questa variazione è intenzionale, poiché permette alle parole di Gesù di essere interpretate in una luce speciale, attenua il loro significato a volte, dà loro un significato conservativo, o comunque prende da loro la loro flessibilità. Permetteva a Gesù di dire a proposito di Giovanni il Battezzatore: “Il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui” (Luca 7:28) senza suggerire una rottura con gli adoratori di Giovanni; oppure a proposito di Maria: “Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Luca 8:21) senza disconoscere formalmente la sua relazione con Maria secondo la carne. Può persino dichiarare, “Come mai dicono che il Cristo è figlio di Davide?” (Luca 20:41); e il lettore, avvertito in anticipo che Gesù è un Figlio di Davide, non percepirà che questa è una dichiarazione che nega che egli sia il Messia israelita. L'impronta data in modo così forte a questo vangelo nei suoi capitoli iniziali è sostenuta dall'intera narrazione.

Luca allora viene al famoso inizio di Marcione: “Nell’anno quindicesimo del governo di Tiberio Cesare Gesù il Figlio di Dio discese dal cielo e apparve a Cafarnao, città della Galilea”. Questa data preziosa  la trattiene e la decora con reminiscenze di Flavio Giuseppe:
Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare,
mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea,
Erode tetrarca della Galilea,
e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide,
e Lisània tetrarca dell'Abilène,
sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa.
[28]
Luca scarta le parole “Gesù discese dal cielo”, o almeno egli le usa in 4:31, “e scese a Cafarnao, una città della Galilea”. Nello spazio così prodotto inserisce la predizione di Giovanni il Battezzatore, “...la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”. Questo testo è tratto da Matteo 3:1 et seq. [29] Ad esso aggiunge un frammento di dialogo per dimostrare che Giovanni, come Gesù, predicò alla folla, ai pubblicani e ai soldati — cioè ai gentili.

Il battesimo di Gesù e la conseguente discesa dello Spirito Santo, la prova suprema che Gesù è stato chiamato suo Figlio da Dio, è completato da una genealogia che, sebbene differisca da quella data da Matteo, è comunque la prova che Gesù è il figlio di Davide, e tuttavia di Dio per il legame indiretto della generazione umana. Luca diminuisce l'età di Gesù da 46 a “circa trent'anni” (Luca 3:23), probabilmente per risparmiare alla carne divina ogni sospetto di diminuzione dei poteri. Se avesse prestato seria attenzione alla stessa data del censimento di Quirino, lui avrebbe scritto circa vent'anni di età. Da Matteo prende anche il racconto della tentazione di Gesù nel deserto — un'ulteriore dimostrazione della sua natura umana.

Da questo punto in poi Luca fa libero uso del Vangelo di Marcione. Impiega ancora tutto il materiale di Matteo, ma gli conferisce un significato diverso o una diversa importanza. Quando Matteo adottava il materiale di Marco e lo  arricchiva con materiale di Marcione, Luca segue Marcione e aggiunge frammenti presi da Marco, [30] altri da Matteo, e alcuni dettagli personali e tocchi occasionali di Giovanni. [31] Matteo pubblicò effettivamente un'edizione ingrandita di Marco; Luca diede un'edizione ortodossa e completa di Marcione.

Tuttavia, prima che Luca accettasse la storia di Marcione, traspose i primi due episodi. In Marcione Gesù si manifestò per la prima volta a Cafarnao, poi si recò a Nazaret. Luca lo fa iniziare a Nazaret, perché desidera che predichi il suo vangelo prima ai suoi compatrioti, e solo per darlo ad altri quando i suoi compatrioti l'avranno rifiutato. Il vangelo, come inteso da Luca, non è il Regno di Dio, ma l'adempimento delle profezie dell'Antico Testamento in Gesù. Dove Marcione immaginava solo l'insulto degli ebrei a Gesù il Guaritore — “Medico, guarisci te stesso” — Luca evoca un impressionante confronto del Libro di Isaia con Gesù, della profezia scritta e dell'oggetto della profezia (Luca 4:16 et seq.):  
Si recò a Nazaret, dove era stato allevato;
ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga
e si alzò a leggere.
Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia;

apertolo trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
 e predicare un anno di grazia del Signore.

Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette.
Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui.
Allora cominciò a dire:
Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi.

Tutti gli rendevano testimonianza
ed erano meravigliati delle parole di grazia
che uscivano dalla sua bocca
e dicevano: Non è il figlio di Giuseppe?

Ma egli rispose: Di certo voi mi citerete il proverbio:
Medico, cura te stesso.
 Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao,
fàllo anche qui, nella tua patria!
Per una strana goffaggine da parte dell'editore, l'insulto degli ebrei è puramente ipotetico e piuttosto inefficace. Inoltre, non è nel racconto di Luca che sono state fatte guarigioni a Cafarnao, ma nel Vangelo di Marcione. Gesù continua dicendo che un profeta non è accettato nella sua patria. Le cure sarebbero d'ora in poi fatte tra i pagani, allora. Quando gli ebrei minacciano  di morte Gesù, egli passa “in mezzo a loro” e va per la sua strada.

Dopo questo la mano editoriale appare raramente, se non per mescolare i tre vangeli molto diversi in un tutto sufficientemente omogeneo. Collega tra loro, fornisce una cornice o due, raffina, e occasionalmente commenta. In piccole correzioni e aggiunte tendenziose la sua azione potrebbe essere riconosciuta, anche se nel complesso altera i suoi testi relativamente poco. [32] Sempre alla ricerca di qualsiasi cosa che possa svalutare l'Antico Testamento, non è in grado di resistere associando alla famosa parabola del vino nuovo in otri vecchi il commento impertinente: “Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono” (5:39). Il vangelo è buono per lui, solo perché non era vino nuovo. Nelle parole “Il discepolo non è da più del suo maestro” fiuta una riflessione sui didascaloi, poiché significava evidentemente che Gesù era l'unico dottore. Perciò non esita ad aggiungere con coraggio: “Ma ogni discepolo ben preparato sarà come il suo maestro” (6:40). Per lui i personaggi dell'Antico Testamento sono preoccupati solo della passione di Cristo. Cosa avevano a che fare Mosè ed Elia con la Trasfigurazione? Essi “parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (9:31). Se Gesù annuncia la resurrezione dei morti, non si deve permettere al lettore di dimenticare che l'Antico Testamento aveva insegnato molto tempo prima: “Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. L'argomento potrebbe apparire sottile. [33]

Gli eventi dell'anno 135 non passarono senza lasciare le loro tracce in questo vangelo. Luca non attende più la venuta imminente di Gesù. Colui che è altrimenti così assorto nel compimento della profezia dell'Antico Testamento trascura abbastanza l'abominio della desolazione e la realizzazione della profezia di Daniele. Lungi da ciò; secondo Luca, Gesù proibisce espressamente ai suoi fedeli di seguire quelli che dicono nel suo nome: “Il tempo si avvicina”. Egli riferisce una parabola a coloro che credono che “il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro” (Luca 19:2) — una parabola in cui un principe si allontana in un paese lontano per diventare re. I suoi cittadini lo odiano e mandano dietro di lui una delegazione per dichiarare che non lo vogliono per un re. Il rapporto di Flavio Giuseppe dell'avventura di Archelao, che si recò Roma per essere costituito re da Augusto, e la delegazione degli ebrei inviati a Roma per protestare contro la sua designazione a re, fornì a Luca questa storia. Nella parabola la delegazione significa il rifiuto degli ebrei ad accettare il Regno di Dio. Il principe, quando ritorna come re, ricompensa e castiga i suoi servi secondo il loro merito.
E quei miei nemici
che non volevano che diventassi loro re,
conduceteli qui
e uccideteli davanti a me!
[34]
Ciò significa, a quanto pare, che lo sterminio degli ebrei è il piano di Dio, e farà parte dell'ultimo atto della commedia umana. Ebrei e non gentili, cari lettori dell'Apocalisse. Ecco un Dio che può odiare i suoi nemici! Ecco, un Dio che non è marcionita! Un atto del genere rivolta animi teneri? L'innocente perirà con il colpevole? Gesù non ha esitazioni nella sua risposta (13:1-5):
 In quello stesso tempo si presentarono
alcuni a riferirgli circa quei Galilei,
il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.
Prendendo la parola, Gesù rispose:

Credete che quei Galilei
fossero più peccatori di tutti i Galilei,
per aver subito tale sorte?
No, vi dico, ma se non vi convertite,
perirete tutti allo stesso modo.

O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise,
credete che fossero più colpevoli
di tutti gli abitanti di Gerusalemme?
No, vi dico, ma se non vi convertite,
perirete tutti allo stesso modo.
Il Gesù di Luca è tanto rigoroso quanto suo padre. Israele è un albero di fico sterile che copre la terra, a cui è stato dato uno spazio di tempo in cui dare frutto, e ora l'ora è giunta quando deve essere abbattuto (13:6-9).

Tuttavia, Gesù può versare una lacrima sulla distruzione necessaria degli ebrei. Ahimè, perché non lo riconobbero in tempo? L'evangelista plagia le celebri pagine di Flavio Giuseppe in cui Tito lamenta la prossima distruzione di Gerusalemme (Luca 19:41-44):
Quando fu vicino, alla vista della città,
pianse su di essa, dicendo:
Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace.
[35]

Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi.

Giorni verranno per te
in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee,
ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte;
abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te
e non lasceranno in te pietra su pietra,
perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata.
Qui c'è un lamento che richiama, e allo stesso tempo smentisce, il lamento di Giovanni nel libro dell'Apocalisse sulla distruzione di Roma. In quelle brevi righe pulsa tutto l'orrore dell'ultimo rantolo di un popolo condannato. Mentre si avvicina alla sua morte, Gesù si volge verso le donne che lo piangono (23:28-31):
Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me,
ma piangete su voi stesse e sui vostri figli.
Ecco, verranno giorni nei quali si dirà:
Beate le sterili e i grembi che non hanno generato
e le mammelle che non hanno allattato.
Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi!
e ai colli: Copriteci!
Perché se trattano così il legno verde,
che avverrà del legno secco?
Questo è un proverbio il cui significato è: io sono innocente e sono crocifisso; cosa allora accadrà a te, il colpevole? Il cliché apocalittico delle montagne e delle colline mostra che agli occhi dell'evangelista il destino degli ebrei è un atto nell'ultima tragedia dell'umanità. In passato era stato affermato che negli ultimi giorni una parte degli ebrei sarebbe stata convertita e che i pagani sarebbero stati annientati, ma la volontà insondabile di Dio ha deciso diversamente.

Il miglior contributo di Luca alla storia di Gesù consiste in due squisite parabole, che danno una risposta delicatamente velata a quel doloroso problema sul perché Dio avrebbe dovuto preferire il gentile all'ebreo in quei giorni. La risposta qui data è che i gentili sono meglio capaci di opere buone rispetto agli ebrei, e più interamente dediti a quel pentimento filiale che rallegra il cuore del Padre.

Il dottore della Legge che vorrebbe ottenere la vita eterna [36] è riferito all'osservanza della Legge: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, il prossimo tuo come te stesso”. Poi chiede a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. A cui Gesù risponde (10:30-37):
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico
e incappò nei briganti
che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono,
lasciandolo mezzo morto.

Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada
e quando lo vide passò oltre dall'altra parte.
Anche un levita, giunto in quel luogo,
lo vide e passò oltre.

Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto
lo vide e n'ebbe compassione.
Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino;
poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
Il giorno seguente, estrasse due denari
e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui
e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.

 Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo
di colui che è incappato nei briganti?
Quegli rispose: Chi ha avuto compassione di lui.
 Gesù gli disse: Va' e anche tu fa' lo stesso.
Un gentile, un samaritano, è dato agli ebrei come modello di comportamento.

Il Dio di Israele aveva due figli: gli ebrei e l'umanità. Quest'ultima era stato lontana da suo Padre per molto tempo ed era stata trascinato in luoghi squallidi e vili, ma si pentì e Dio gli aprì le braccia, così che l'altro figlio divenisse geloso ingiustamente (15:2-32):
Un uomo aveva due figli.
Il più giovane disse al padre:
Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta.
E il padre divise tra loro le sostanze.
Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose,
partì per un paese lontano
e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.

Quando ebbe speso tutto,
in quel paese venne una grande carestia
ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione,
che lo mandò nei campi a pascolare i porci.
Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci;
ma nessuno gliene dava.

Allora rientrò in se stesso e disse:
Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza
e io qui muoio di fame!
Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te;
non sono più degno di esser chiamato tuo figlio....

Ma il padre disse ai servi:
Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo,
mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi.
Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa,
perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato.

E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi.
Al ritorno, quando fu vicino a casa,
udì la musica e le danze;
chiamò un servo
e gli domandò che cosa fosse tutto ciò.

Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello
e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso,
perché lo ha riavuto sano e salvo.
Egli si arrabbiò, e non voleva entrare.
Il padre allora uscì a pregarlo.
Ma lui rispose a suo padre:

Ecco, io ti servo da tanti anni
e non ho mai trasgredito un tuo comando,
e tu non mi hai dato mai un capretto
per far festa con i miei amici.
 Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato,
per lui hai ammazzato il vitello grasso.

Gli rispose il padre:
Figlio, tu sei sempre con me
e tutto ciò che è mio è tuo;
ma bisognava far festa e rallegrarsi,
perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato.
Questa deliziosa parabola ha un epilogo terrificante, che viene omesso, ma di cui apprendiamo da altri passi. Il figlio geloso si ribella e il Padre lo fa mettere a morte di fronte a lui.

Con ogni probabilità dobbiamo attribuire a Luca una storia affascinante dal  significato analogo. [37] L'umanità pagana è portata davanti a Gesù sotto le spoglie di una donna adultera. La condannerà? Lei è andata a prostituirsi con falsi dèi. È vero, ma gli ebrei hanno fatto altrettanto per il resto della loro storia:
 Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio
 e, postala nel mezzo, gli dicono:
Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.
 Tu che ne dici?

Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.
E siccome insistevano nell'interrogarlo,
alzò il capo e disse loro: Chi di voi è senza peccato,
scagli per primo la pietra contro di lei.
E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.

Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.
Alzatosi allora Gesù le disse: Donna, dove sono?
Nessuno ti ha condannata?
Ed essa rispose: Nessuno, Signore.
E Gesù le disse: Neanch'io ti condanno;
 va' e d'ora in poi non peccare più.
Il racconto della Passione ottiene un episodio o due di importanza. Proprio come Matteo, Luca desiderava riabilitare Pietro, ma lo fece in modo diverso. Poco prima di predire il triplice rinnegamento di Pietro, Gesù fa sapere che Pietro “si ravvederà” e che la sua fede sarà più salda per questo.
Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato
per vagliarvi come il grano;
ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede;
e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli.
Quando si congeda per essere arrestato da una banda armata, Gesù corregge il suo precetto di non portare né borsa né bisaccia né sandali. Ora si devono prendere borsa e bisaccia e comprare una spada vendendo un mantello. Gli apostoli fanno apparire due spade tra i dodici di loro. “Egli rispose: Basta”. In questo modo Luca prepara la strada per il colpo di spada di Pietro. In una strana maniera trova giustificazione nelle parole di Isaia: “E fu annoverato tra i malfattori”. In particolare, Luca era ansioso di attenuare le regole marcionite di rinuncia alla ricchezza e di assoluta non-resistenza. Nei giorni di persecuzione equivale a spingersi troppo oltre il lasciarsi saccheggiare senza resistenza e il rimanere completamente disarmato. Ad ogni modo, questa era l'esperienza di un capo della Chiesa.

Nel dramma sacro ciascuno dei due malfattori crocifissi ai due lati di Gesù recita una parte; quello simboleggia il peccatore ribelle — cioè, l'ebreo — e l'altro il peccatore pentito — cioè il gentile. Tali antitesi erano care al cuore dell'evangelista.
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:
Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!
Ma l'altro lo rimproverava:
Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena?
Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni,
egli invece non ha fatto nulla di male.

 E aggiunse: Gesù, ricordati di me
quando entrerai nel tuo regno.
Gli rispose: In verità ti dico,
oggi sarai con me nel paradiso.
Questo Paradiso è un posto analogo all'Ade; le anime dei cristiani, quella di Cristo prima di loro, aspettano là per due giorni la resurrezione della carne.

Il Gesù risorto ha carne genuina: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho” (Luca 24:39). Eppure san Paolo (1 Corinzi, 14:50) insegnò che “la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio”. L'evangelista ha poca attenzione alla dottrina di Paolo e offrì la vera carne e il vero sangue di Cristo come una sicura garanzia della speranza più concreta del cristiano. Il corpo carnale di Cristo risorto aveva la precedenza nella fede e determinava anche il corpo carnale del Gesù vivente.

In Marcione il Gesù risorto ricorda ai discepoli di Emmaus le sue stesse parole, che il Cristo deve soffrire. Luca aggiunge (24:27): “E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”.

Questa è una replica della scena di Nazaret, con l'aggiunta del fervido entusiasmo dei suoi ascoltatori: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”.

Il Vangelo di Marcione si chiudeva con quelle parole di Gesù che riassumono tutto il Vangelo:
Il Messia deve patire
e risorgere dai morti il terzo giorno
e deve essere proclamata nel suo nome
una conversione per il perdono dei peccati per tutte le nazioni. 
Ma Luca non era soddisfatto di ciò, e le introdusse in tale maniera da collegarle all'Antico Testamento:
Sono queste le parole che vi dicevo
quando ero ancora con voi:
bisogna che si compiano tutte le cose scritte
su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi.
Allora aprì loro la mente
all'intelligenza delle Scritture.
Così l'ultimo insegnamento di Gesù si collega al primo e Marcione è confutato; l'Antico Testamento e il Vangelo non sono opposti, poiché il Vangelo è contenuto nell'Antico Testamento.

Per quanto riguarda gli Apostoli, i testimoni di quelle cose sono loro, a cui Gesù annuncia che invierà potere dall'alto. In questo modo siamo portati ad aspettarci un'ulteriore porzione dell'epopea dello Spirito Santo.

Nel secondo volume dedicato a Teofilo torniamo all'Ascensione di Gesù. Dopo che Giuda ha commesso suicidio, gli Apostoli completano il loro numero rituale di dodici invocando la direzione dello Spirito Santo tirando a sorte. Originariamente 120 persone formavano una chiesa, una comunità cristiana del tipo che Clemente avrebbe voluto vedere nelle chiese del suo tempo. Poi viene la festa di Pentecoste, quando gli ebrei celebrano il dono della Legge come un penetrante torrente di fuoco, così dicevano, che si divideva in settanta lingue per il beneficio delle settanta nazioni. [38] Sostituendo lo Spirito Santo al posto della Legge, la festività diventava una festività cristiana.
 Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire,
si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.
Venne all'improvviso dal cielo un rombo,
come di vento che si abbatte gagliardo,
e riempì tutta la casa dove si trovavano.

Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano
e si posarono su ciascuno di loro;
ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo
e cominciarono a parlare in altre lingue
come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi.
Questa scena è un sequel del battesimo di Gesù nel primo volume. Lo stesso Spirito Santo che discendeva su Gesù ora discende sulla Chiesa Madre e discenderà anche su quelle chiese che gli Apostoli stabiliranno. Per quanto riguarda la glossolalia, quella balbuzie rauca e inarticolata che doveva esplodere nelle chiese paoline, Luca voleva collocare le sue origini nella chiesa di Gerusalemme e dimostrare che non era altro che un meraviglioso e prezioso poliglottismo.

Partendo così da un punto di partenza completamente mitico, Luca intraprende la storia della Chiesa antica. Aveva a disposizione scarsi racconti correnti tra le comunità palestinesi e una vita di san Paolo, che era probabilmente di Marcione. Non esitò ad impiegare il suo materiale e si preoccupò di bilanciare equamente l'importanza relativa di Pietro e di Paolo, da entrambi i quali la Chiesa romana pretendeva di derivare la sua origine, attribuendo ad entrambi la stessa dottrina e gli stessi miracoli. Era il suo scopo e il suo mestiere modellare la difficile transizione dal mito religioso alla storia autentica in una maniera convincente per mezzo di una leggenda agiografica molto libera.

Lo Spirito Santo doveva essere trasportato da Gerusalemme a Roma, come la torcia nella corsa classica. In ogni fase del suo viaggio doveva essere ripetuto lo stesso rituale; il vangelo è offerto agli ebrei, che lo rifiutano, poi offerto ai gentili, che lo accettano. Gli ebrei devono prima rifiutarlo in modo che possa essere chiaramente mostrato come la vera religione di Israele, negata da coloro che avrebbero dovuto nascere suoi adepti, e non come una religione nuova come avrebbe voluto Marcione. Predicare il Vangelo equivaleva a insegnare che i fatti divini della vita di Gesù erano conformi alle predizioni e ai precetti dell'Antico Testamento; accettare il Vangelo equivaleva ad accettare questa conformità. Il grido della fine imminente venne spinto in secondo piano e sostituito da una semplice affermazione della resurrezione fisica. In effetti, Luca presenta come la più antica dottrina cristiana quella che era in realtà l'insegnamento sviluppato contro Marcione nella metà del secondo secolo.

I sermoni agli ebrei che egli pone sulle labbra di Pietro, di Stefano e di Paolo non sono ispirati da un desiderio sincero di convertirli, come nel caso del vangelo di Matteo, ma sono formalità. La causa degli ebrei è persa in anticipo, come doveva essere. La vera obiezione degli ebrei che Giovanni trattò direttamente era la difficoltà di riconoscere qualsiasi altro Dio diverso da Dio, ed è elusa da Luca. Pietro accusa gli ebrei di aver crocifisso e negato “Gesù di Nazaret — uomo accreditato da Dio presso di voi”, che Dio resuscitò e costituì Signore e Cristo. Così che gli ebrei possano avere ancora minor scusa, la divinità di Gesù è ridotta a ciò che divenne nella cristologia degenerata di Ermas, adozione [39] da parte di Dio. Quanto a Stefano, pensò di accusare gli ebrei di essersi sempre ribellati contro il loro stesso Dio (Atti 7:51-52).
O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie,
voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo;
come i vostri padri, così anche voi.
Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato?
Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto,
del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori. 
D'altra parte, i sermoni ai gentili sono persuasivi, diversi per tono e per effetto da quelli agli ebrei. Pietro dice loro che il Dio di Israele “non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (Atti 10:34). Quello stesso Spirito Santo che gli ebrei osteggiarono scende sui pagani. Barnaba e Paolo insegnano ai Licaoniani che il Creatore ha “lasciato che ogni popolo seguisse la propria via” e si è reso manifesto per il bene che ha fatto, “mandandovi dal cielo pioggia e stagioni fruttifere, dandovi cibo in abbondanza, e letizia nei vostri cuori” (Atti 14:16). [40] Non lo avevano scoperto da soli i più raffinati tra i pagani? Luca mette al servizio di Paolo i fiori più raffinati attinti dalla sua conoscenza di oratori ateniesi, di poeti storici, e di filosofi quando gli fa pronunciare dinanzi all'Areopago ateniese:
Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. [41]
Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto,  [42]
ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto.
Quello che voi adorate senza conoscere,
io ve lo annuncio.

Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene,
che è signore del cielo e della terra,
non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo
[43]
 né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa,
essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa.

 Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini,
perché abitassero su tutta la faccia della terra.
Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio,
 perché cercassero Dio,
se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni,

benché non sia lontano da ciascuno di noi.
In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo,
[44]
come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto:
Poiché di lui stirpe noi siamo.
[45]
Qui è davvero una sorpresa: il Dio degli Stoici risulta essere Jahvè stesso. Quello stesso Dio che Israele aveva mancato di conoscere, i pagani lo avevano percepito e adorato.

Quando una chiesa veniva fondata, era governata dai suoi Anziani, a cui era affidata la Parola di Dio, e dai diaconi che guardavano al suo benessere materiale. Luca direbbe che tale era stata la sua organizzazione fin dall'inizio. Perciò fece in modo che gli Apostoli costituissero il Collegio degli Anziani originale; e i primi diaconi erano, volenti o nolenti, i cristiani ellenisti che erano in opposizione agli ebrei. La sua finzione era che Stefano e il suo gruppo fossero niente più che i diaconi del collegio apostolico; questo suo stesso racconto lo smentisce. Per Luca il potere dei primi Apostoli era sempre collettivo. La leggenda di Pietro doveva quindi essere corretta, e a Pietro Luca unì Giovanni. Lo fa anche goffamente come in questo modo: “Pietro, con Giovanni, fissando gli occhi su di lui, disse ...” (Atti 3:4).

Luca descrive una chiesa primitiva in cui non esiste una proprietà privata. I fedeli vendevano i loro beni e consegnavano il ricavato agli Apostoli. Coloro che trattenevano parte del denaro in moneta venivano puniti con la morte tramite la mano stessa di Dio. Questo è il suo modo di interpretare le cospicue collette che erano inviate agli apostoli di Gerusalemme. I fedeli apprendono che l'antico rigore nell'obbligo di dare agli Anziani una parte della loro ricchezza per i bisogni della Chiesa è stata rilassata in una certa misura.

I diaconi potevano battezzare. Ma le preghiere degli Anziani erano richieste prima che lo Spirito Santo scendesse con i suoi doni. Dopo che i samaritani sono stati battezzati dal diacono Filippo, gli apostoli Pietro e Giovanni scesero da Gerusalemme e imposero loro le mani perché ricevessero lo Spirito Santo. Da ciò deduciamo che vi erano cristiani battezzati che tuttavia non avevano ricevuto lo Spirito Santo. Chi possono essere quelli? potresti chiederti. Erano quei cristiani che non appartenevano alla comunione degli Apostoli. Quelli sarebbero i Marcioniti, pensi, e il narratore di Atti introduce lo stesso Marcione sotto le spoglie di Simon Mago. Questo Simone era uno gnostico samaritano riguardo cui Giustino, un nativo di Samaria, avrebbe potuto dare qualche informazione all'autore; [46] qui viene presentato come un potente mago conosciuto come la Grande Potenza di Dio. Segna ciò che segue! Simone è battezzato. Vede Pietro e Giovanni che danno lo Spirito Santo.
Simone, vedendo che lo Spirito veniva conferito
con l'imposizione delle mani degli apostoli,
offrì loro del denaro dicendo: Date anche a me questo potere
perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva
lo Spirito Santo.

 Ma Pietro gli rispose:
Il tuo denaro vada con te in perdizione,
perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio.
 Non v'è parte né sorte alcuna per te in questa cosa,
perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio.
 Sotto la maschera di Simone, chiamato padre di tutte le eresie, si ergeva il recente eretico che aveva pensato di comprare con i soldi la comunione della Chiesa di Roma. Marcione non era ancora morto. La Chiesa sognava che il potere di Dio potesse essere indotto dalla preghiera a riportarlo pentito all'ovile, così che la Chiesa non potesse dividersi? Pietro aggiunge:  
Pentiti dunque di questa tua iniquità
e prega il Signore
che ti sia perdonato questo pensiero.
Ti vedo infatti chiuso in fiele amaro
e in lacci d'iniquità.
Rispose Simone:
Pregate voi per me il Signore,
perché non mi accada nulla di ciò che avete detto. 
La risposta di Simone lasciava qualche speranza.

Il caso di Paolo doveva essere trattato con la massima cura, poiché Paolo era l'apostolo tramite il quale lo Spirito Santo era stato portato a Roma. La maggior parte di questo libro è dedicata alla sua storia e le sue epistole erano destinate a completare i vangeli. Eppure questo terribile compagno aveva sempre insegnato che deteneva il suo titolo di apostolo da Dio stesso. In effetti era stato un profeta, il più indomabile del gruppo, e introdurlo rischiava di turbare l'intero sistema ordinato. Luca doveva perciò metterlo in riga. In quale posto cadde nell'ordine: i Profeti, Gesù, gli Apostoli, gli anziani? La sorte aveva fatto in modo che Paolo, dopo molti anni di libero apostolato, fosse entrato nella comunione degli Apostoli di Gerusalemme, e di nuovo, dopo aver lasciato quella comunità, vi fosse ritornato. Lo scopo del nostro autore era cancellare ogni traccia di indipendenza e di divergenza. Perciò portò Paolo, subito dopo la sua conversione, nella compagnia dei Dodici. Il titolo di Apostolo  gli fu lasciato, come lo fu anche a Barnaba. [47] Il numero di apostoli, autori autorizzati o ispiratori del Nuovo Testamento, fu quindi portato a quattordici. Lo Spirito Santo non gli fu dato da uno dei Dodici, ma da un pio discepolo, al comando di Gesù.

Il narratore trovò nella storia di Paolo, che stava seguendo e che cercava di colmare di miracoli grossolani e di abbellire con episodi meravigliosi ed edificanti, la relazione al re Agrippa della conversione di Paolo proprio come si deve trovare nella lettera ai Galati. Paolo diventò un cristiano solo ascoltando la voce di Gesù, e non ricevette alcuna investitura dalle mani dell'uomo. Il narratore di Atti prende questo episodio nella sua posizione cronologica [48] e aggiunge audacemente un intermediario umano, rubacchiando, sembrerebbe, dal racconto di Flavio Giuseppe circa la conversione di re Izate da parte dell'ebreo Anania.
Saulo si alzò da terra ma,
aperti gli occhi, non vedeva nulla.
Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco,
dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.

10 Ora c'era a Damasco un discepolo di nome Anania [49]
e il Signore in una visione gli disse: Anania!
Rispose: Eccomi, Signore!
 E il Signore a lui: Su,
va' sulla strada chiamata Diritta,
e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso;
ecco sta pregando, e ha visto in visione un uomo, di nome Anania,
venire e imporgli le mani perché ricuperi la vista...  

Allora Anania andò, entrò nella casa,
gli impose le mani e disse:
Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù,
che ti è apparso sulla via per la quale venivi,
perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo.
E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame
e ricuperò la vista; fu subito battezzato,
poi prese cibo e le forze gli ritornarono.
 Immediatamente egli predicò la fede cristiana a Damasco e poi “passati molti giorni”, salì a Gerusalemme, dove Barnaba lo presentò agli Apostoli, ed egli “andava e veniva con loro in Gerusalemme”. Forte di questa conoscenza, il lettore devoto può leggere le epistole paoline senza correre alcun rischio. Sarà in grado di porre la giusta interpretazione su di loro e sarà in grado di correggere ciò che Paolo stesso disse del suo primo apostolato.

Rivestito dello Spirito Santo, Paolo può ora intraprendere i suoi lunghi e fruttuosi viaggi. Ad Efeso gli capita di incontrare discepoli che erano stati battezzati con il battesimo di Giovanni e che non avevano ricevuto lo Spirito Santo. Con lo stesso potere di quello di Pietro e di Giovanni, pone le mani su di loro e fa scendere lo Spirito Santo su di loro (19:1-8). Conferisce ad Anziani l'autorità apostolica. Nel suo ultimo libero viaggio riunisce la chiesa di Efeso e, predicendo il futuro, li avverte della futura eresia che scoppierà in Asia (20:28-30):
 Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge,
in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi
[50]
 a pascere la Chiesa di Dio,
che egli si è acquistata con il suo sangue.
[51]
Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci,
 che non risparmieranno il gregge;
perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse
 per attirare discepoli dietro di sé.
Paolo viene finalmente a Roma come prigioniero e per l'ultima volta predica il vangelo, dapprima aagli ebrei, poi ai gentili. La profezia di Isaia sull'incredulità di Israele è adempiuta completamente. A questo punto il libro si interrompe bruscamente. O la fine del manoscritto originale è stata persa, oppure l'autore si era accontentato di portare il suo apostolo fino a Roma, dove egli introdusse lo Spirito Santo, e non ebbe difficoltà a raccontare la storia della condanna di Paolo da parte degli ufficiali dell'imperatore.

Quando i due volumi dedicati a Teofilo sono stati letti, l'apparente ingenuità dell'autore può essere accettata solo con una certa riserva. Il lettore conserva, tuttavia, una dolce serenità. Le origini del cristianesimo appaiono ora perfettamente semplici e chiare. Una volta indicata la strada, la strada si svolge in perfetto ordine. Solo con uno sforzo di pensiero il lettore può distinguere l'artificio con cui le parti sono state unite, con le quali un miscuglio di miti e di storia confusa si sono mescolati e modellati in quelle forme grandiose, calme e nobili.

Rimaneva il lavoro di perfezionare il Nuovo Testamento. Prima di tutto venne una edizione ortodossa delle epistole paoline. Per fare questo l'editore seguì un metodo molto simile a quello che aveva applicato al Vangelo di Marcione. Sceglieva un'epistola adatta alla posizione iniziale e lavorava su di essa fino a quando avrebbe potuto servire come riferimento per l'intero volume, e quindi fornire un corpo dottrinale e dominare l'intera collezione di lettere. Tutto ciò, quindi, che era necessario nelle altre epistole era una piccola revisione dei dettagli.

L'epistola ai Romani viene presa dal quarto posto che occupava nella selezione di Marcione e inserita al posto della Lettera ai Galati, che Marcione mise per prima. Poi fu ingrandita al doppio delle dimensioni originali. [52] Lo stile convulso di Paolo viene imitato superficialmente. [53] All'inizio, dove Paolo si dichiara solennemente apostolo (“prescelto per annunciare il vangelo di Dio”, “riguardo suo Figlio”, “dichiarato con potenza”), si aggiunge un'eco dei vangeli di Matteo e di Luca (“nato dallo sperma di Davide secondo la carne”). In questo punto prominente quelle parole sono una confutazione di Marcione. Per quanto riguarda la Legge ebraica, l'atteggiamento di Paolo diventa quello di Luca. Cosa della Legge? “Togliamo dunque ogni valore alla legge mediante la fede? Nient'affatto, anzi confermiamo la legge” (3:31). Non è stabilita alla maniera di Matteo in virtù del suo adempimento. È stabilita come una profezia. Ad esempio, Abramo, che aveva fede in Dio, non è altro che il misterioso padre profetico dei cristiani, “nostro padre” (4:12 e 16: confronta “Abramo nostro padre” in 1 Clemente 31:2). Tutta la Bibbia assume un significato segreto che è nascosto agli ebrei. Il mistero di Dio “che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti”, su cui il “Paolo” cattolico è della stessa opinione di Marcione, è ora rivelato ai cristiani “mediante le Scritture profetiche”; in questo Paolo è contrario a Marcione. I pagani, che potevano conoscere Dio nella creazione (si veda il sermone in Atti), si erano resi colpevoli di adorare gli idoli. Dio li punisce rendendoli vittime di lussuria innaturale (1:26-27). Ma concede tutti i privilegi degli ebrei a coloro che si sono pentiti. L'incredulità degli ebrei è, purtroppo, assolutamente incurabile; ricordiamo le lacrime di Gesù su Gerusalemme. Dio ha voluto che la caduta degli ebrei dovesse essere la salvezza dei gentili, così che l'ebreo potesse essere geloso del pagano (11:2; il tema del figliol prodigo). Paolo ordina alla Chiesa romana di offrire una sottomissione assoluta all'autorità imperiale e pagare fino all'ultimo centesimo le tasse imperiali (13:1-7). Prevede il destino di Gerusalemme e intende completare il suo messaggio ai gentili predicando a Roma e in Spagna. [54] Tuttavia, il redattore aggiunse all'originale un frammento  paolino, una raccomandazione di Febe, una diaconessa di un porto corinzio, che era stata probabilmente indirizzata alla Chiesa di Efeso, o ad alcuni fedeli di Efeso, che enumera. [55]

Nella ritoccata Epistola ai Galati [56] l'orgoglioso rapporto che Paolo fa delle sue comunicazioni con gli apostoli di Gerusalemme viene espanso. Per dare un'aria di accuratezza, a Paolo si fa visitare Gerusalemme tre anni dopo la sua conversione, invece del ritardo breve e vago menzionato negli Atti. La sua opposizione agli Apostoli è oscurata e, d'altra parte, viene sottolineata la scena della loro riconciliazione. [57] Inoltre, viene inserito un riferimento discreto ai primi capitoli di san Luca. Quindi nella frase “Dio mandò il suo Figlio per riscattare coloro che erano sotto la legge” (Galati 4:4) l'editore scivola in “nato da donna, nato sotto la legge”. Marcione difficilmente oserebbe riferirsi ora a questa epistola in cui la Legge era definita così ingegnosamente “un pedagogo che ci ha condotto a Cristo” (Galati 3:24). Abramo appare ancora una volta con i cristiani come il suo unico seme legittimo, gli ebrei del tempo meritavano la loro schiavitù; dovevano essere cacciati, infatti “caccia via la schiava e suo figlio; perché il figlio della schiava non sarà erede con il figlio della donna libera”. Nulla di così grave sugli ebrei era stato scritto da un cristiano che fingeva di essere un discepolo della Bibbia.

Di una cosa non c'era traccia in Paolo, e per una buonissima ragione, e quella era una traccia dell'istituzione degli Anziani. Alla testa delle chiese di Paolo c'erano i profeti. Questo grave difetto doveva essere risolto, così il nostro editore ha prodotto tre nuove epistole. Per questo ha fatto uso di un altro resto — una lettera di semplici notizie indirizzata a Timoteo da Paolo da Nicopoli in Epiro. Di questa piccola cosa ne fece tre: due lettere a Timoteo e una a Tito; e la seconda lettera a Timoteo fu il testamento di Paolo scritto a Roma. [58] La selezione che si apriva con una lettera indirizzata ai Romani terminava con lettere da Roma. In queste non c'è più alcun tentativo di imitare lo stile di Paolo; sono della stessa “omelia” che viene impiegata nella lettera di Clemente ai Corinzi, con le stesse frasi banali — buone opere, buona confessione, buona lotta. Quelle ultime lettere sembrano essere state fatte in fretta. [59]

Questo falso Paolo fondava la successione canonica degli Anziani con un apostolo. Stabiliva le regole per la loro selezione. Un anziano o un episcopos doveva essere sposato — “Se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?” — ma con una sola moglie, obbedito dai suoi figli, essere sobrio, pacifico, ospitale, giusto, santo e padrone di sé stesso. Ai fedeli fu intimato di provvedere liberamente ai loro Anziani, e di dare loro doppio onore. Il compito principale di un Anziano era quello di preservare la tradizione apostolica, come aveva fatto l'editore del Nuovo Testamento, difendendola come un buon soldato contro tutti gli innovatori. Di questi c'erano due tipi: quello di pretesi dottori della legge, cristiani talmudici, che inventavano problemi e “favole da vecchie”, miti ebraici e genealogie interminabili; l'altro tipo, di chi proibiva il matrimonio e l'uso dei cibi dati dal Creatore ai suoi fedeli — quelli erano i marcioniti. La continenza e l'astinenza avevano i loro pericoli; Paolo consiglia a Timoteo di bere un po' di vino e di sconfessare Marcione: “Smetti di bere soltanto acqua”. Tra il nostro editore e Marcione c'era un duello personale. Marcione leggeva il vangelo dedicato a Teofilo e nel suo libro delle Antitesi lo criticò in quanto “interpolato dai protettori del giudaismo per incorporarvi la legge e i profeti”. [60] Questo documento doveva criticare fin troppo bene, e trova la sua risposta già scritta nella lettera di Paolo a Timoteo: “Custodisci il deposito; evita i discorsi vuoti e profani e le antitesi di quella che falsamente si chiama gnosi; alcuni di quelli che la professano si sono allontanati dalla fede” (1 Timoteo 6:20-21).

Persino il vangelo di Giovanni — quell'arma puerile contro il marcionismo — rischiava di essere interpretato erroneamente. “Imenèo e Filèto, i quali hanno deviato dalla verità, sostenendo che la resurrezione è già avvenuta” (2 Timoteo 2:17-18). Questa dottrina della resurrezione che era già passata è chiaramente insegnata da Giovanni e dallo stesso Paolo (Romani 6:4-11). Evidentemente al lettore non deve essere permesso di procedere senza una guida. Tutta la Scrittura è stata divinamente ispirata e tutte le Scritture richiedono un interprete vivente in grado di fare commenti salutari su di essa e persino di correggerla. In ogni chiesa il corpo degli Anziani avrebbe dovuto essere un interprete vivente.

Il perfetto equilibrio del Nuovo Testamento aveva ancora bisogno di un contrappeso. Proprio come il racconto di Pietro controbilanciava quello di Paolo in Atti, così le lettere di Paolo richiedevano come contrappesi lettere dei Dodici. C'era già una lettera di Giacomo e tre di Giovanni. Per arrivare a sette, il nostro editore produsse due lettere di Pietro ed una di Giuda, il fratello di Giovanni.

La prima lettera di Pietro è una garanzia per il vangelo di Marco. Pietro chiama Marco “mio figlio” (5:13), e si suppone che fosse nella sua compagnia a Roma (chiamata biblicamente Babilonia). La conclusione naturale era che Marco scrisse la versione di Pietro della vita e della Passione di Cristo, di cui lui, Pietro, era stato testimone oculare (5:1). Da qui l'accuratezza del nome di Giustino per il vangelo di san Marco, i Ricordi di Pietro. [61] L'epistola stessa è un'omelia rivolta ai pagani battezzati dell'Asia Minore al momento di una persecuzione. Insegna loro che le profezie ebraiche erano destinate esclusivamente ai cristiani (1:10-12) e che le autorità imperiali dovevano essere trattate con il massimo rispetto; Ponzio Pilato è indicato come “colui che giudica giustamente” (1 Pietro 2:23). Inoltre, viene data una risposta a una strana domanda. Se i pagani di quel giorno potevano essere redenti dal Sangue dell'Agnello, quale era il destino dei loro antenati, i poveri peccatori? Erano esclusi dalla redenzione di Gesù? Marcione aveva affermato superbamente che Caino, i Sodomiti, gli egiziani — in effetti, tutti i criminali di ogni nazione — erano stati salvati quando Gesù discese all'inferno e quando là erano venuti da lui. [62] Pietro non doveva essere superato da Marcione, e dichiarò che Cristo andò e predicò agli “spiriti trattenuti in carcere, che una volta furono ribelli, quando la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si preparava l'arca” — ossia, che i morti prima di Cristo giudicati come gli altri uomini avrebbero potuto vivere di nuovo spiritualmente, proprio come gli altri uomini. [63]

La breve epistola di Giuda è un'affermazione secondo la quale la fede cristiana è stata data “una volta per tutte” dagli Apostoli, e una condanna violenta di tutti coloro che “nei loro sogni contaminano la carne nello stesso modo, disprezzano l'autorità e parlano male delle dignità”, e di quelli che classificherebbero le persone in psichici e spirituali e non possiedono essi stessi lo Spirito. Possiamo riconoscere in costoro gli gnostici alessandrini, Basilide, Carpocrate, che cercavano la via della salvezza nella libertà della carne, e Valentino in particolare. Quest'ultimo venne a Roma poco prima di Marcione e tentò di imporsi nell'episcopato romano. Il suo stupefacente Vangelo della Verità e la sua teologia sacrilega e disordinata impressionarono i fedeli.

La seconda lettera di San Pietro era forse la più coerente di quei pezzi di riempimento. Finge di essere, come abbiamo già notato, il testamento di Pietro. La sua parte centrale è poco più di una ripetizione di Giuda. Vi sono, tuttavia, tre obiettivi particolari. In primo luogo, è rivolto a quelle persone disilluse che hanno ironizzato sulla venuta del Signore: “Dov'è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione” (2 Pietro 3:4). [64] Dopo le grandi speranze dell'anno 135 subentrò un dubbio empio. Pietro assicurava loro che il Signore non è lento, ma paziente, e che ai suoi occhi un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno. Così abbiamo i cristiani impazienti rimandati all'anno Mille. In secondo luogo, Pietro approvava l'edizione giusta delle epistole di Paolo e la sua disapprovazione dell'interpretazione marcionita (3:15-16):
La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza,
come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data;
così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose.
In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere
e gli ignoranti e gli instabili le travisano,
al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina.
 Pietro pose anche l'accento su un libro che intendeva scrivere prima di morire in modo che i fedeli “dopo la mia partenza abbiano sempre modo di ricordarsi di queste cose”, poiché era stato con Gesù sul “monte santo” e aveva sentito una voce “dalla magnifica gloria” che diceva: “Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”. Evidentemente aveva in mente un'Apocalisse “più sicura” di ogni altra, inclusa l'Apocalisse di San Giovanni:  
E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti,
alla quale fate bene a volgere l'attenzione,
come a lampada che brilla in un luogo oscuro,
finché non spunti il giorno
e la stella del mattino si levi nei vostri cuori.
[65]
A quale scrittura si riferiva Pietro qui? Probabilmente all'Apocalisse di san Pietro. Quest'opera era intesa dal nostro editore come completamento e perfezione del Nuovo Testamento, raddoppiando la più antica Apocalisse di san Giovanni che era troppo dura per i gentili e non eccessivamente edificante. L'Apocalisse di Pietro fu usata nella Chiesa romana fino alla fine del secondo secolo, [66] ma poi perse terreno rispetto alla sua potente rivale. Ne esistono ancora due frammenti e una parafrasi etiopica. [67]

Questa Apocalisse fu presentata come un episodio omesso dal volume dedicato a Teofilo e fu una delle “molte prove” (Atti 1:3) di Cristo risorto quando si mostrò agli Apostoli durante i quaranta giorni e parlò loro del Regno di Dio. [68] Gesù è con loro sul Monte degli Ulivi, “il monte santo”. Su loro richiesta, dice loro del Grande Giudizio che deve essere preceduto dalla distruzione del fico. Pietro vuole sapere quale albero di fico, e la risposta è il fico della parabola di Luca — gli ebrei e il falso Messia ebreo che perseguitava i cristiani (Bar-Kokhba). Poi ci sarebbero stati falsi profeti che avrebbero insegnato dottrine di distruzione (Marcione e i suoi simili).

Quando hanno pregato con lui, [69] gli Apostoli gli chiedono di mostrare loro il volto di uno degli eletti. Due uomini appaiono a loro; questi uomini sono splendenti di bellezza, bianchi come la neve, rosa come le rose, con un alone di capelli gloriosi come una corona di fiori o come un arcobaleno. Pietro vede una terra vasta e splendida, tappezzata di fiori e dolce di profumo. È abitata da sommi sacerdoti che prendono parte alla vita degli angeli. Nella direzione opposta, Pietro vede un luogo oscuro, viscido, putrido, puzzolente e infuocato in cui vengono torturati quattordici tipi di criminali. In questo lago di fuoco, per esempio, le donne che hanno concepito fuori dal matrimonio e hanno commesso l'aborto sono immerse nel sangue fino alle loro spalle e le loro figlie ancora nascoste siedono accanto a loro piangendo, fiamme che provengono da loro che colpiscono gli occhi delle loro madri. Gli Eletti sono testimoni di quelle torture e hanno il privilegio di ottenere una remissione di punizione per i loro conoscenti tra i dannati. Gesù predice a Pietro che morirà in una grande città dell'Occidente. [70] Quindi con i suoi discepoli Gesù sale sulla cima del monte santo, dove viene riprodotta la scena della Trasfigurazione e la voce del Padre dice “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Una nube avvolge Gesù, e gli apostoli scendono di nuovo sul monte, benedicendo Dio [71] che ha scritto i nomi degli Eletti nel Libro della Vita. Ciò che manca a questa visione letteraria, che è nello spirito più pagana che biblica, è sincerità, potenza, emozione, spontaneità, fascino e la potente visione della nobile visione del veggente di Patmos. L'età dei profeti aveva sicuramente udito scoccare la sua ultima ora.

Questo completò il Nuovo Testamento. Comprendeva ventotto Scritture — quattro gruppi di sette. [72] I primi quattordici venivano dai Dodici Apostoli e dai loro interpreti autorizzati. Nel primo gruppo cadono i quattro vangeli, il libro degli Atti degli Apostoli e le due Rivelazioni. I loro autori sono Matteo, Giovanni e Pietro — Apostoli; Marco — il “figlio” di Pietro — e il dedicatore a Teofilo, che aveva attentamente raccolto le tradizioni degli Apostoli. Il secondo gruppo è quello delle sette epistole “cattoliche”, cioè quelle rivolte ai cristiani in generale. Si pretende che siano state scritte da Giacomo, Pietro, Giuda e Giovanni, tutti Apostoli. Le restanti quattordici Scritture provengono dal secondo gruppo di Apostoli, quello di Paolo e di Barnaba (se accordiamo la Lettera agli Ebrei a Barnaba); ci sono tredici epistole paoline e quella agli Ebrei. Tra questi due gruppi non c'è conflitto; al contrario, regna l'armonia. Pietro approvò le epistole di Paolo, e così i Dodici camminano mano nella mano con Paolo e Barnaba. Il legame tra loro è quello scrittore a Teofilo che fu uno storico così diligente dell'intera brigata degli Apostoli. Non c'erano altri Apostoli oltre a quei quattordici, e non scrissero nulla oltre le ventotto Scritture. La profezia di Ermas non può essere accettata, poiché non è una profezia prima del giorno di Gesù, oppure in alternativa perché non proviene da un Apostolo. [73] Tale era la Bibbia compatta e numerosa, strettamente legata alla Bibbia degli Ebrei, che la grande Chiesa d'ora in poi oppose alle Scritture di Marcione.

Questo edificatore ingegnoso, audace, liberale e prudente ha il diritto di applaudire, perché elaborò da un calderone di scritti un insieme coerente e duraturo, forte per resistere e potente per prevalere. In esso tutti i bisogni spirituali sono soddisfatti. La sua preservazione è affidata ai collegi per la cui autorità è essa stessa il fondamento. Non una fonte di ricchezza è stata trascurata nella sua compilazione. I libri seminati e maturati in climi diversi vi trovano una forza comune in cui tutti sono forti nel sostegno dei loro simili. I quattro vangeli in questa associazione appaiono come quattro testimonianze indipendenti che si corroborano e si completano a vicenda. Lo storico critico potrebbe rimproverare all'architetto di costruire fiancate con nomi falsi, con riparazioni, ristrutturazioni e finte finestre. Tuttavia ammetterà che l'architetto era spinto dalla necessità, e che senza di lui i più antichi documenti cristiani  avrebbero potuto essere stati persi o dispersi.

NOTE


[1] Tertulliano, Adv. Marcionem, 4:3; Marcion... connititiir ad destruendum statum eorum evangeliorum quae propria et sub apostolorum nomine eduntur vel etiam apostolicorum.

[2] Origene, Comm. in Matth., 15:3.

[3] Papia nel prologo latino al vangelo di Giovanni (Wordsworth White, N.T. Latin, Parte 1, pag. 490): Marcion hoereticus cum ab eo (sc. Iohanne) fuisset reprobatus eo quod contraria sentiebat, abiectus est a Iohanne. Is vero scriptum vel epistulas ad eum pertulerat, a fratibus missus qui in Ponto erant fideles in domino nostro. Dove il suo testo parla dell'Apostolo Giovanni si deve intendere l'autore del vangelo.

[4] Ireneo, Haer., 3:3-4.

[5] Clemente di Alessandria, Strom., 7:17: περὶ τοὺς ‘Aδριανου̑ του̑ βαριλεέως [sic] χρόνους ὡς πρεσβύτης. D'altra parte, Tertulliano parla sempre di Marcione come se fosse a Roma sotto Antonino; Adv. Marc., 1:9: Antonianus haereticus est, sub Pio impius, De proescr., 30: Antonini Jere principatu.

[6] Tertulliano pretendeva che Marcione in seguito rinnegasse questa dichiarazione di fede. De carne, 2: excidisti rescindendo quod retro credidisti, sicut et ipse confiteris in quadam epistula. Si veda Adv. Marc., 1:1: primam illius fidem nobiscum fuisse, ipsius litteris testibus; e 4:4. È più probabile che discussioni successive condussero ad una esposizione più chiara delle rispettive posizioni dottrinali degli Anziani e di Marcione.  

[7] Epifanio, Panarion, 42:2; Tertulliano, Adv. Marc., 1:2.

[8] Questa data che si potrebbe dedurre da Tertulliano, Adv. Marc., 1:19 (...anni fere cxv et dimidium anni cum dimidio mensis. Tantumdem temporis ponunt inter Christum et Marcionem) è la data della morte di Marcione e non della sua sconfitta ad opera degli Anziani romani. (E. Barnikol, Die Entstehung der Kirche im zweiten Jahrhundert und die Zeit Marcions; Kiel, 1933.) Da questo segue che la prima Apologia di Giustino dove si riferisce a Marcione come ancora vivo dev'essere anteriore al luglio del 144, e ciò concorda con Eusebio, Chron. (140-141), e col titolo di Filosofo dato a Verissimo (Marco Aurelio).

[9] Questo è stato studiato da P. L. Couchoud ed R. Stahl in Premiers Ecrits du Christianisme; 1930, pag. 163–214.

[10] Premiers Ecrits du Christianisme, pag. 7–3 I.

[11] Hennas, Vis., 2:4: “Clemente lo indirizzerà alle altre città, perché è incaricato di questo dovere.”

[12] Si veda H. Delafosse (J. Turmel), “L'Epitre de Clement Romain aux Corinthiens”—nella Revue de l'Hist. des Religions; Gennaio 1928. Questa epistola è datata dal suo tono anti-marcionita.

[13] 1 Clemente 9:4; 37:2.

[14] Erodoto, storia della fenice (1 Clemente 25). Reminiscenze di Euripide in 1 Clemente 38:2 (Lightfoot), in Atti 21:39 (Come dice Ione, Delfi, città non senza fama, così dice Paolo, Tarso, una città non senza fama; A.V., non significa città). Il Pro Milone di Cicerone è richiamato in 1 Clem. libro 2. Da Ovidio, Metam., 8:621–726 (il viaggio terreno di Giove e di Mercurio) proviene Atti 14:12. In Atti 17:28 c'è una citazione da Arato, e un verso da Epimenide, Minosse, appare in Tito 1:12, mentre un altro verso appare in Atti 17:28 (Rendel Harris, St. Paul and Greek Literature; Cambridge, 1927, pag. 7). Epimenide accusa i cretesi di mentire quando dicevano che Zeus aveva una tomba a Creta, “Anche la tomba tua, o tu il santo e l'alto, hanno architettato i cretesi, bestie malvagie, ventri oziosi [confronta con Tito]. Ma tu non sei morto: tu vivi, e sempre vivrai; infatti in te noi viviamo e ci muoviamo e abbiamo il nostro essere” (si veda Atti).

[15] Citato come Scrittura in Giuda 14.

[16] Citato in 2 Timoteo 3:8. 

[17] La colomba proviene da Marco 1:10, e le lingue di fuoco forse da Enoc 75:5: “nel cielo io vidi là nel mezzo di quella luce un edificio di pietre di cristallo e tra quelle pietre lingue di fuoco vivente”.

[18] 1 Clemente 17:1; 1 Pietro 1:10-12; ci sono parecchi esempi in Luca e negli Atti.

[19] 1 Clemente 63:12: “Ciò che vi abbiamo scritto mediante lo Spirito Santo. . .”

[20] Egesippo in Eusebio, H.E., 4:22, 3; “Giunto a Roma, mi feci una successione (διαδοχὴν ἐποιίησα) fino ad Aniceto”.

[21] Ireneo (185 circa) fu il primo a parlare di Luca come dell'autore dei due volumi dedicati a Teofilo (Haer., 3:1,2). Luca è menzionato in Colossesi 4:14, dove “il caro medico” è stato interpolato nell'originale, e in 2 Timoteo 4:11: “Solo Luca è con me”. È entro i limiti delle possibilità che quest'ultimo passo sia parte di una autentica lettera paolina; ma in quel caso Paolo era a Nicopoli in Epiro, e non a Roma, come descriverebbe l'epistola fittizia in qui questa lettera fu inserita.

[22] Parola, Logos, copiata probabilmente da Giovanni, significa allo stesso tempo Gesù, di cui gli apostoli erano i testimoni oculari, e la Parola di Dio, di cui essi erano gli annunciatori.

[23] Questo salmo, il Magnificat, e il salmo di Zaccaria, il Benedictus, si dovrebbe paragonare accuratamente con la grande preghiera di Clemente in 1 Clemente (59:3-61). In ciascun caso un'emozione intensa è espressa per mezzo di un mosaico di citazioni bibliche.

[24] Si veda R.H. Charles, The Testament of the Twelve Patriarchs; Black, Londra, 1908.

[25] Antichita Giudaiche, 17:13, 5; 18:1, 1.

[26] Atti 19:19; si veda anche ciò che disse di Simon Mago e del mago Bar Gesù in Atti 8:9; 13:6.

[27] Ossia, tra gli uomini scelti da Dio.

[28] Vita, 2.

[29] Il nome di Cefa fu aggiunto probabilmente da un copista. Luca collocava i processi di Gesù e di Pietro e di Giovanni nel tempo del sommo sacerdote Anna (Atti 4:6). Egli sembrava ignaro del fatto che questo sommo sacerdote fosse stato deposto nel 15 E.C. — ossia, 13 anni prima “il quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare” (28-29 E.C.). E neppure egli notò che il censimento di Quirinio (6-7 E.C.) era di dieci anni più tardi dei “giorni di Erode, Re di Giudea” (Luca 1:5), e neppure di nuovo che Giuda di Galilea era ben anteriore a Teuda (Atti 5:36-37). L'Abilene è riferita da Flavio Giuseppe per essere stata, prima di Claudio, la tetrarchia di Lisania (Antichità, 20:7) e questo concorda con un'iscrizione trovata ad Abila.

[30] Non c'è nessun bisogno di presumere una fonte Q comune a Matteo e a Luca. Al posto di Q ci sono (1) copiature di Matteo da Marcione, che sono caratterizzate dall'essere interamente modellate in stile semitico, e (2) copiature di Luca da Matteo (passi che non appaiono in Marcione) che si distinguono dalla loro quasi-letteralità.

[31] B. H. Streeter (The Four Gospels; Londra, 1924) e V. Taylor (Behind the Third Gospel; Oxford, 1926) hanno percepito entrambi che in Luca si localizzano copiature da Marco e in secondo luogo che un'altra fonte è seguita costantemente.

[32] Ad esempio, che certi pensano che Giovanni il Battezzatore sia il Cristo (Luca 3:15; si veda Giovanni 1:20); la triplice affermazione di Pilato dell'innocenza di Cristo (Luca 23:4, 14 e 22; si veda Giovanni 18:38; 19:4 e 6). 

[33] Ciò che dava l'impressione di una interferenza editoriale di gran lunga maggiore era che questo vangelo fu paragonato a quello di Marco come una fonte, laddove segue strettamente il testo di Marcione.

[34] Clemente offre altre dimostrazioni della resurrezione derivata dall'Antico Testamento (1 Clemente 26:2-3). Egli menziona anche il capitolo del roveto — ossia, la parte in cui l'episodio del roveto ardente viene raccontato (1 Clemente 17:5).

[35] Questa piccola parabola del re sterminatore è mischiata con quella dei talenti (imitazione di Matteo) che racconta della ricompensa o punizione accordata secondo l'uso fatto del dono della grazia. Luca corregge Matteo nel fatto che tutti ricevono lo stesso dono; non c'è ineguaglianza agli occhi dello Spirito Santo.

[36] Gioco di parole sulla parola Gerusalemme, che contiene la parola salem — pace (si veda Ebrei 7:2). Pace o salvezza per Gerusalemme significava la sua conversione a Gesù.

[37] Eterna è un'aggiunta del vangelo di Luca. Secondo Marcione, la Legge dava soltanto la vita, l'esistenza terrestre come è promessa in Levitico 18:5 (e citata così da Paolo; Galati 3:12). Per ottenere la vita eterna la rinuncia completa di ogni bene era una condizione essenziale; ma Luca vuole che la vita eterna sia conferita dalla Legge di Jahvè come interpretata dalla Chiesa cristiana.

[38] Nel gruppo dei manoscritti di Ferrara, che offrono un buon testo di Luca, questo racconto è inserito dopo Luca 21:37. Sembrerebbe come se fosse stato rimosso dal vangelo e sostituito da 21:37 perché la sua applicazione letterale poteva essere interpretata troppo indulgente verso le donne adultere. Successivamente fu copiato alla fine dei vangeli — ossia, alla fine del vangelo di san Giovanni come un errore di stampa; ancor più tardi fu incorporato nella maggioranza dei manoscritti dopo Giovanni 7:52.

[39] B. W. Bacon, The Gospel of the Hellenists; 1933, pag. 68, 185.

[40] Questo adozionismo è là per una buona ragione. Non dev'essere preso per la concezione dalla quale emerse il cristianesimo. È un residuo, non un germe.

[41] Confronta quelle espressioni con quelle in cui Clemente parla del Creatore in 1 Clemente 20:4: “La terra, feconda per Sua volontà, produce abbondante nutrimento per gli uomini, per le fiere”.

[42] Si veda Licurgo, Leocr., 15: “Sappiate, o ateniesi, che voi vi distinguete dagli altri uomini, specialmente per la pietà che mostrate nei confronti degli dèi”.

[43] Nota che Luca non crede che il Dio di Israele dimori nel Tempio che Salomone costruì in opposizione alla sua volontà (Atti 7:46-50).

[44] Da Epimenide.

[45] Da Arato.

[46] 1 Apol., 26; 56. Egli si inventò, confondendo Simone col dio Semo Sancus, che i romani avevano eretto una statua a lui sull'isola Tiberina.

[47] Barnaba e Paolo sono definiti Apostoli in Atti 14:14. In qualsiasi altro punto in Atti questo titolo è riservato ai Dodici. Barnaba, un levita di Cipro, faceva da tramite tra il sacerdozio ebraico e gli Apostoli. Egli è raffigurato per aver posto il prezzo della sua proprietà personale ai piedi dei Dodici (Atti 4:36-37). Questo è probabilmente un'allusione alle collette fatte tra i cristiani ellenisti. Alcuni gli attribuirono l'epistola agli Ebrei (Tertulliano, De pudicitia, 20).

[48] Atti 9:3-19. Egli lo ripete con l'aggiunta di Anania di un discorso che Paolo fa al momento del suo arresto (22:5-16).

[49] In 22:12 Anania è chiamato “un devoto osservante della legge”. Ancora una volta osserviamo che l'Antica Legge è saldata sulla Nuova.

[50] L'origine apostolica degli Anziani è esposta in 1 Clemente 44.

[51] Lo Spirito Santo indossò carne e sangue in Gesù.

[52] Aggiunte massicce erano: 1:19-fine e 2:1; 3:21-fine; 6; 9; 10:5-fine; 11:1-32; 15; 16. Quelle parti non apparivano nell'edizione di Marcione.

[53] Le dossologie nel corpo dell'epistola, assieme con l'Amen (1:25; 9:5; 11:36) non sono nello stile di Paolo, ma in quello di Clemente (1 Clemente 20:12; 32:4; 38:4; 43:6; 45:7; 50:7; 64). Sono anche da incontrare in 1 Timoteo 1:17 e in 1 Pietro 4:2.

[54] Questa menzione della Spagna da un editore che sapeva ciò che era veramente accaduto conferma il viaggio di Paolo là, proprio come Clemente disse che egli raggiunse i confini dell'Occidente (1 Clemente 5:7).

[55] Romani 16:1-23. Epeneto è salutato come il primo cristiano asiatico (16:5; confronta 1 Corinzi 16:15; Stefana il primo cristiano di Acaia). L'apostolo Andronico salutato nel verso 7 è riferito negli Atti di Giovanni come uno dei capi della Chiesa di Efeso (B. W. Bacon, Expository Times; 1931, pag. 300–304). In questa lettera Paolo, il Paolo autentico, denuncia i cristiani che non servono nostro Signore Cristo, ma il loro ventre — ossia, che aspettano che la Venuta di Cristo porti abbondanza materiale.

[56] Le aggiunte principali sono: 1:18-24; 2:6-9; 3:6-9, 15-25; 4:27-30; 3:10-14 e i passi 4:21-26 sono stati modificati.

[57] La Premiere Edition de St. Paul (Premiers Ecrits du Christianisme, 1930), pag. 24–25. 

[58] Tito 3:12–14; 2 Timoteo 1:15–18; 4:9–22. Questa è una singola lettera divisa in tre parti. “Fa' il possibile per venire da me a Nicopoli” (Tito 3:12) è ripetuto da “Cerca di venire presto da me” (2 Timoteo 4:9), e da “Affrettati a venire prima dell'inverno” (2 Timoteo 4:21). Paolo ha dimenticato un “mantello” (ϕελόνης) a Troade sulla sua via da Mileto a Nicopoli. Egli è sfuggito ai suoi nemici ad Efeso, e ringrazia i suoi amici tramite Timoteo. Le parole “in Roma” sono state aggiunte a 2 Timoteo 1:17 così che le lettere fittizie possano sembrare essere state scritte a Roma.

[59] Per lo stile di quelle cosiddette epistole pastorali, si veda P. N. Harrison, The Problem of the Pastoral Epistles; Oxford, 1921.

[60] Tertulliano, Adv. Marc., 4:4: “Evangelium quod Lucae refertur apud nos, Marcion per Antitheses suas arguit ut interpolatum a Protectoribus Judaismi ad concorporationem legis et prophetarum.”

[61] Dial. 106.

[62] Ireneo, Haer., 1:27, 3 : Marcion dicit, Cain et eos qui similes sunt et Sodomitas et Aegyptos et similes eis et omnes omnino gentes quae in omni permixtione malignitatis ambulaverunt salvatas esse a domino cum descendisset ad inferos et accurissent ei.

[63] 1 Pietro 3:19–20; 4:6. la prima epistola di san Pietro è collegata con le epistole pastorali tramite una curiosa proibizione alle donne di non dover intrecciare i capelli. Questo intreccio dei capelli era la consuetudine al tempo di Antonino (1 Pietro 3:3; 1 Timoteo 2:9). È relativo anche a Clemente per l'aforisma “La carità copre la moltitudine dei peccati” (1 Pietro 4:8; 1 Clemente 49:5).

[64] Clemente risponde allo stesso dubbio nella sua epistola ai Corinzi in termini simili: “Queste cose udimmo già dai padri nostri, ora siamo diventati vecchi e nulla di questo ci è accaduto” (1 Clemente 23:3).

[65] 2 Pietro 1:15-19. Nota la parola μεγαλοπρεπής applicata a Dio; è un termine favorito da Clemente, apparendo sette volte nell'epistola ai Corinzi.

[66] Secondo il Canone di Muratori. Clemente di Alessandria lo cita come parte del Nuovo Testamento (Eusebio, H.E., 6:14, 1).
 
[67] Frammento di Akhmim, pubblicato prima da Bouriant (Memoires de la miss, arch. francaise du Caire; 1892). Un altro frammento greco fu pubblicato da Giacomo (The Journal of Theological Studies; April 1931); versione etiope pubblicata da S. Grébaut (Revue de l'Orient Chrétien; 1907–1910), tradotta in tedesco da Weinel in Henneke, N.T. Apokryphen; seconda edizione, 1930.

[68] Questo verso di Atti 1:3 sembra come se fosse stato inserito in quanto alludeva all'Apocalisse di Pietro.

[69] Questa pletora di preghiere è caratteristica di Luca. 

[70] Per adattarsi con le due epistole di Pietro che implicano che Pietro morì a Roma.

[71] Come fanno dopo l'Ascensione di Gesù (Luca 24:53). L'Apocalisse di Pietro dà un terzo resoconto dell'Ascensione; gli altri sono alla fine di Luca (24:51) e all'inizio di Atti (1:6-12).

[72] Ridotto a 27 dalla soppressione della Apocalisse di Pietro.

[73] “Non può essere letto alle persone in chiesa, o tra i Profeti, il cui numero è completo, oppure tra gli Apostoli alla fine dei giorni” — Canone di Muratori. 

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