mercoledì 5 dicembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»I Vangeli (130 E.C. — 150 E.C.) (VIII): Dio incarnato

 I VANGELI
(130 E.C.—150 E.C.)

VIII

DIO INCARNATO
(Il vangelo secondo san Giovanni)

Nel profondo e lento Oriente il vangelo di Marco dette origine al vangelo semitico di Matteo, che non è che una sua edizione più tarda, espansa, rivista, e corretta. Ad Efeso, focolaio dell'Asia greca, generò un altro vangelo ma davvero diverso. Se in Marco il lettore sembra respirare l'atmosfera chiusa di una catacomba romana e in Matteo l'aria di una chiesa ancora pregnante dell'incenso di una sinagoga, si alza dal vangelo di Giovanni il profumo inebriante del thiasos di un mystes.  

Erano passate due generazioni da quando gli uomini avevano udito, tremanti di speranza, attesa, e terrore, i toni formidabili del profeta dell'Apocalisse. La Chiesa ad Efeso preservò la tradizione dell'apostolo pilastro che aveva visto il Signore, poiché in questo risiede la sua pretesa alla fama ed alla autorità. Ma la forza iniziale di quella rivelazione si era esaurita appena il tempo d'attesa diventò sempre più prolungato, la speranza della Venuta del Signore differita. Là, anche il profeta rivale, Paolo, aveva ottenuto una vittoria postuma più varia, più profonda. Ignazio di Antiochia si congratulò coi cristiani di Efeso per aver sempre seguito gli apostoli e per esser stati mystai con Paolo. Egli li paragona ad una processione di celebranti come quelli che aveva visto sfilare attorno ai templi di Efeso. “Siete tutti compagni di viaggio”, dice agli efesini, “theophoroi, naophoroi, christophoroi, e hagiophoroi”. [1]

Tutto ciò che trattennero del poema teologico di Paolo, al di là della croce espiatoria, fu l'identificazione mistica con Cristo e un'unione con Dio. Essi avevano sviluppato l'idea mistica lungo nuovi percorsi. Per loro il battesimo aveva cessato di essere ciò che lo riteneva Paolo — un simbolo di morte e una partecipazione nella morte e nella sepoltura del Cristo —, era diventato il principio di una nuova vita, una seconda nascita, tramite cui nascevano dall'alto, al pari di Gesù, figli di Dio. Per loro il battesimo era diventato una realtà; l'acqua era reale Acqua di Vita, quella annunciata nell'Apocalisse, e la vita che forniva una vita veramente eterna, che cominciava subito al battesimo. Per loro l'attesa della fine dell'Età era serena. Lo stravolgimento del mondo e l'arrivo sulle nubi del Figlio dell'Uomo perse così molto del loro interesse e i benefici che doveva recare mancarono di eccitare quando essi si potevano ottenere nel presente. Quale bisogno, allora, di una Gerusalemme celeste? Rinato da Dio, rinato per la vita eterna, il mystes cristiano gustava sulla terra l'esperienza ineffabile che doveva essere la ricompensa degli eletti entro le mura di diaspro della Gerusalemme celeste quando il millennio sarebbe giunto ad una fine. Il peccato non sarebbe stato più possibile. Egli sarebbe vissuto nella sublime intimità di Gesù e del Padre, in un mondo di Luce, nella Vita. Egli avrebbe visto coi suoi stessi occhi, toccato colle sue stesse mani, i miracoli che l'esistenza divina gli avrebbe mostrato. Il più grande di quelli era Conoscenza dell'Amore (“Noi sappiamo ... perché amiamo”; 1 Giovanni 3:14). Il mistico si sentiva ricolmo di comprensione  e di amore che passavano da Dio a Gesù, da Gesù a sè stesso, da sè stesso ai suoi fratelli, un'infinita corrente di amore, una pervasione universale di conoscenza. Questa comunione gentile e pacifica gli recava la pienezza della gioia.

La fratellanza mistica di Efeso si oppose fortemente ai marcioniti, i loro detestati parenti. L'amore in cui loro credevano non era gentilezza amorevole, non era una pietà che muoveva il cuore, non una tenera bontà che dava le sue benedizioni allo straniero e in particolare al nemico; no — il loro amore era mistico, limitato strettamente ai fratelli e agli esseri divini che loro adoravano. Tra di loro non c'era nessun pensiero di mischiare in un'unica assemblea iniziati, catecumeni, e non-iniziati. Marcione sminuiva i profeti, ma non loro. Al contrario, li onoravano. Profeti ispirati, successori indeboliti e sbiaditi di Giovanni, rivelavano una illuminazione divina che era trasmessa loro nelle loro trance mistiche, e il vero credente era attento a testare gli spiriti (“Carissimi, non crediate a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo”; 1 Giovanni 4:1). 

I fratelli efesini sarebbero stati soddisfatti per il loro evangelista assieme a niente meno che il terzo e ultimo dei grandi profeti cristiani. Essi non negarono, come fece Marcione, il Dio di Israele, sebbene avrebbero potuto passare Jahvè attraverso un processo di purificazione, e neppure respinsero le Scritture ebraiche, nonostante trattennero solo alcuni loro elementi salienti abbastanza distanziati. La riforma della Pasqua che Roma accettò non era per loro. Al pari delle altre Chiese di Asia, essi rimasero fedeli al costume apostolico, e celebrarono la morte e il trionfo di Gesù nello stesso giorno del sacrificio dell'Agnello Pasquale, il 14 di Nisan, e terminavano allora il loro digiuno. Infine, e anzitutto, essi rifiutarono la dottrina insegnata da Paolo e da Marcione secondo cui il Cristo sarebbe venuto nell'apparenza di un uomo. In linea con l'epistola agli Ebrei, avrebbero ritenuto che il corpo di Gesù fosse allo stesso tempo sia celeste che umano in carne e ossa. Essi professavano il credo che Gesù era “venuto nella carne”, sebbene non ammisero il dogma di Matteo secondo cui egli era “nato nella carne” nel grembo di una vergine.

D'altra parte, essi respinsero vigorosamente la dottrina di Basilide secondo cui Gesù non era stato crocifisso, e la dottrina di Cerinto, un ebreo di nascita, che egli aveva portato dalle comunità ebionite, secondo cui lo Spirito entrò in Gesù al suo battesimo e lo lasciò alla Passione. Ciascuno di quelli insegnarono che Cristo fosse manifesto nell'acqua e non nel sangue. La Chiesa efesina pose grande importanza al sangue e al suo simbolo il vino, il che suggerisce che essi avevano sostituito il calice d'acqua dell'eucarestia marcionita con un calice di vino. [2]
Questa congregazione di profeti mistici disputò con gli ascetici battaglioni di Marcione in prima linea nella lotta, Roma manteneva il centro, e le piccole Chiese di Matteo la retroguardia, mentre gli ebioniti giudaizzanti della Transgiordania erano sopraggiunti in ritardo. Efeso ha lasciato quattro monumenti letterari della sua attività: tre epistole e un vangelo.

Due epistole brevissime sono lettere rivolte da qualcuno provvisto di autorità che si definisce semplicemente l'Anziano (il Sacerdote), una lettera ad una chiesa sorella, chiamata nel gergo dei msitici la Signora eletta, per metterla in guardia contro “i molti seduttori ...  i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne”, in particolare contro “l'ingannatore e Anti-Cristo” (Marcione) [3], l'altra lettera ad un certo Gaio per raccomandare certi fratelli missionari e lamentarsi del capo di una comunità che non li avrebbe ricevuti. L'autore è in tutta probabilità l'individuo che Papia chiama Giovanni l'Anziano, o semplicemente l'Anziano, e che egli distingue espressamente dall'Apostolo Giovanni. [4] Quelle lettere brevi furono attribuite, seppure non sempre, a Giovanni l'Apostolo. [5]
L'altra epistola è molto più lunga e non ha nessuna soprascritta. Lo stile e il contenuto mostrano che essa è probabilmente dello stesso scrittore delle altre due. Giovanni l'Anziano si rivolge ai suoi figli, da profeta e da uomo più anziano, per comunicare loro un messaggio che ha ricevuto da Gesù. Questo messaggio, alquanto verboso e diluito, è che Dio è Luce, che il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato, e che Dio è amore. Il nuovo precetto è “Amatevi l'un l'altro”. Colui che dimora nell'amore è nella luce, è nato da Dio, ed è in Dio. “Non può peccare” (3:9). Oppure almeno, dal momento che l'Anziano manifesta una certa ansia riguardo le possibili deduzioni ricavabili da quell'assioma, i suoi peccati se egli li confessa vengono rimessi, poiché possiede un Avvocato (Paraclito) al fianco del Padre, Gesù, che è “il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati”. Per rimuovere il peccato, Gesù deve avere carne e sangue. L'anziano scaglia il suo anatema contro la dottrina di Marcione, persino se essa è emessa da profeti in estasi (4:2-3):
Ogni spirito, il quale riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio;
e ogni spirito che non riconosce pubblicamente Gesù, non è da Dio,
ma è lo spirito dell'anticristo.
Voi avete sentito che deve venire;
e ora è già nel mondo.
Quest'Anticristo è Marcione, che un collega dell'Anziano, l'episcopos Policarpo di Smirne, definì pure Anticristo e il primogenito di Satana. [6] Quanto ai dogmi di Basilide secondo cui Gesù si rivelò solo col battesimo e che non vi fu nessuna Passione, la testimonianza verace dei profeti li smentì (5:6):
Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo;
non con acqua soltanto,
ma con l'acqua e con il sangue.
Ed è lo Spirito che rende testimonianza,
perché lo Spirito è la verità.
È quasi come se l'epistola fosse il compendio del vangelo. Contiene le idee principali in uno stato diffuso, come una nebulosa contiene una stella. Si apre con una frase solenne che è simile ad un bozza del Prologo del Vangelo. [7] Essa termina, prima del post-scriptum, con le parole (5:13): “Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio”, che sono molto simili alle ultime parole del vangelo, prima del secondo epilogo (20:31): “Questi sono stati scritti, perché crediate ... e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. C'è poco dubbio sul fatto che l'epistola e il vangelo siano della stessa mano. L'epistola si rivela essere più antica del vangelo, perchè la Parusia (2:28) è ancora insegnata, laddove nel vangelo non è più aspettata, e perchè il Paraclito nell'epistola è lo stesso Gesù, laddove nel vangelo il Paraclito è una sorta di doppio di Gesù, lo Spirito che dev'essere inviato e che, in pratica, prende il posto del Figlio dell'Uomo per la cui venuta si era sperato in precedenza.

E' evidente, allora, che tra la scrittura dell'epistola e quella del vangelo l'attesa urgente dell'Apocalisse era evaporata. L'eccitazione prodotta dal compimento terrificante della profezia di Daniele svanì quando si vide che l'insediamento dell'Abominio nel Tempio, a dispetto dell'antico oracolo, non preannunciò la Venuta del Figlio dell'Uomo. Alla grande ondata di speranza succedette una depressione profonda  di disillusione. I vangeli di Marcione, di Marco e di Matteo rimasero da testimonianza ad un falso allarme. 

Come la fortuna avrebbe voluto, la Gnosi cristiana aveva avuto il tempo di efidicare solidamente il Mistero di Gesù che serviva al posto della storia logora e traballante del Figlio dell'Uomo. Non più l'osservatore avrebbe dovuto esaminare i cieli per il Veniente sulle Nubi; non più le vergini avrebbero dovuto attendere la venuta dello Sposo. Poichè egli era venuto. Propio come la vita eterna era già la ricompensa del vero credente, proprio come la resurrezione dei morti costituiva un fatto per il cristiano autentico, così il Grande Avvento era stato realizzato. Per gli occhi del mistico tutto il futuro è presente. Non ci sono due avventi per Gesù, l'uno umile e l'altro glorioso. La sua vita e la sua morte terrene erano la sua vera glorificazione. Ciò che si doveva fare era cambiare l'intonazione del vangelo, alzare il tono, presentare Gesù come un Dio che calpestava la terra rivelando la sua gloria al chiaroveggente. Egli non sarebbe mai ritornato. Solo il suo Spirito, il suo Paraclito, verrà a soccorrere e a confortare i suoi discepoli nella vera Chiesa. In questa maniera si trovò un rimedio adeguato per la speranza differita, l'amara disillusione, che aveva ricoperto e sfibrato tutti i suoi credenti.

Un altro elemento prominente del vangelo è mancante dall'epistola: il conflitto con gli ebrei. Non c'era stato nessun bisogno ad Efeso di far mostra di osservanza della Legge ebraica ancor più puntigliosamente degli ebrei stessi, come era stato il caso tra le chiese rabbiniche dell'Eufrate. In questa regione non c'era nessun problema della Legge. Ogni fratellanza si governava alla luce del comandamento di amarsi l'un l'altro. Ciò che si doveva sostenere contro gli ebrei era l'adorazione di Gesù. Dopo la disfatta di Bar-Kokhba un numero di rabbini coi loro discepoli presero rifugio ad Efeso e nelle vicinanze. [8] Per loro l'adorazione di Gesù equivaleva ad adorare un dio diverso dal Dio Unico, un'apostasia dal Dio Vivente. I rifugiati recarono con loro tutti i sentimenti duri che il preteso Messia aveva suscitato contro i cristiani. [9] Essi dichiararono approssimativamente: “Voi avete subito creduto a un vuoto sentito dire, avete fabbricato un Cristo per voi stessi”, e chiesero se ci potesse essere qualche altro dio oltre al Creatore di tutte le cose. [10] Perciò gli efesini dovevano dimsotrare che il Cristo Gesù era sempre esistito per tutta l'eternità e che egli fu realmente one with the Padre. [11

Il vangelo secondo San Giovanni fu il prodotto di quelle dispute e di uno studio del vangelo di san Marco. Marco fornì la storia intorno alla quale furono edificate una visione profetica e una meditazione mistica. Un po' di scene furono copiate da Marcione (la fede del centurione, la cattura miracolosa), e anche alcuni frammenti di narrazione che furono fusi nel resoconto di Marco, [12] come pure certe persone — Lazzaro, Mara, e Maria, dei quali fa un'unica famiglia. L'autore di Giovanni non incontrò il vangelo di Matteo fino a tardi, poichè egli non ne fa uso fino al secondo epilogo. [13

Sappiamo da Papia ciò che l'Anziano insegnò del vangelo di Marco, che egli disse che era vero nei dettagli ma difettoso nell'ordine, ed egli immaginò che l'interprete di Pietro avesse disteso alla rinfusa ciò che Pietro gli aveva detto in diversi momenti. Questa opinione condusse alla sua modifica dell'ordine di Marco. Egli colloca al principio della predicazione di Cristo l'espulsione dei mercanti dal Tempio, che Marco colloca alla fine. Egli passa il contenuto di Marco attraverso il filtro della sua opinione personale, lo rimodella, e lo sistema in un modello diverso.

Al fine di lanciare il nuovo vangelo con qualche chance di successo, egli dovette trovargli un'autorità che gli avrebbe dato il valore necessario. In Siria l'apostolo Matteo era stato riesumato, e ad Efeso l'ovvia autorità sarebbe stata l'Apostolo Pilastro Giovanni.

La finzione mediante cui il vangelo del secondo Giovanni fu attribuito al primo era fabbricata davvero sottilmente. Si immaginò che Gesù avesse un discepolo per il quale egli ebbe un affetto particolare, che fosse suo intimo confidente, e perciò il suo testimone più importante. All'Ultima Cena egli si posa sul petto di Gesù, proprio come Gesù stesso si posa sul pettro di suo padre. Da nessuna parte si nomina quest'amico misterioso. Proprio come Giovanni non viene nominato dove egli apparve probabilmente, così il lettore e la sua congregazione sono indotti a supporre che il discepolo amato non sia nient'altri che Giovanni. Nel secondo epilogo si dichiara definitivamente che l'autore del vangelo è il discepolo amato. Evidentemente non si sarebbe potuto trovare nessun autore più prezioso o più interessante. [14]

La data reale del vangelo di Giovanni è indicata da un'allusione a Bar-Kokhba. [15] Gesù disse agli ebrei (5:43): 
Io sono venuto nel nome del Padre mio
 e voi non mi ricevete;
se un altro venisse nel proprio nome,
lo ricevereste.
Noi non siamo ancora lontani dall'anno 135. Proprio come le epistole di Paolo furono l'opera di tre o quattro anni, così  i cinque vangeli (Luca è un pò più tardi di Giovanni) furono pubblicati entro un breve tempo l'uno dall'altro. Le lettere di Paolo apparvero tra il 50 e il 54, e i vangeli tra il 134 e il 145. 

Il secondo Giovanni fu un ebreo di nascita, “probabilmente l'ultimo ad essere il capo spirituale di una grande Chiesa gentile”. [16] Egli scriveva in un greco piuttosto povero e pensava in aramaico. [17] Egli era ben familiare con la Bibbia, possedeva una conoscenza dettagliata dei costumi ebraici, [18], conosceva Gerusalemme come ci si potrebbe aspettare che la conoscesse un pellegrino che non vi era stato per parecchi anni, e poi solo per qualche festività obbligatoria. Egli guarda gli ebrei come se avevano lo stesso padre del Diavolo (8:44), laddove i cristiani nascono da Dio. Egli parla del padre del Diavolo dove Marcione parlava del Creatore.

Sebbene Marcione fosse anatema per lui, egli tuttavia copia da lui una viva percezione della novità del cristianesimo e alcune nozioni maggiori; come quella secondo cui gli ebrei non conoscevano il padre (7:29; 8:19 e 55); [19] che Gesù non discese sulla terra per giudicare il mondo, ma per salvarlo (12:47; 8:15); che colui che ha vita eterna non è soggetto all'Ultimo Giudizio (5:24). Per unificare i due dèi di Marcione egli non incorpora il Padre in Jahvè, come fece Matteo, ma, al contrario, assorbe il Dio ebraico nel Padre. Egli va vicinissimo al marcionismo. [20] Ma nelle produzioni della sua mente egli differì profondamente da Marcione. Lungi dall'avanzare antitesi, come fece Marcione, egli cerca sintesi. Egli fonde in uno ciò che Marcione tentò di separare: il Dio tradizionale e il Padre ignoto, il Gesù delle Nubi e il Gesù di Galilea, il Cristo-Spirito e il Cisto di carne ed ossa. Il suo genio risiede, com'è il caso con tutti i grandi mistici, nel postulare identità irrazionali, nel combinare in una sola equazione, come appelli alle emozioni, termini incomparabili. L'eredità di Paolo si condivise tra questo Giovanni e Marcione: a quest'ultimo passò l'ostilità tra il vangelo e la Legge, e al primo la gnosi mistica.

La leggenda dell'origine di questo vangelo è significativa nella sua rozzezza. “Giovanni, uno dei discepoli, esortato dai suoi condiscepoli e vescovi,  disse: ‘Digiunate con me oggi e in questi tre giorni e qualsiasi cosa sarà rivelata a uno di noi ce la narreremo a vicenda’. In quella stessa notte fu rivelato ad Andrea, uno degli apostoli, che Giovanni doveva scrivere tutto a suo nome e tutti gli altri dovevano verificarne l'esattezza (recogniscentibus cunctis). [21] Questa storia semplice indica che il vangelo fu una specie di sforzo collettivo. Non fu uno studio storico a preparare gli autori al loro magnum opus, ma un digiuno come un atto preparatorio per la trance estatica e l'illuminazione mistica. Il tutto è un esempio di un'ispirazione di gruppo, così che il secondo Giovanni dice sempre “noi”“noi abbiamo visto la sua gloria ... noi abbiamo ricevuto. . . noi rendiamo testimonianza ... noi conosciamo,” ecc. [22] La profonda esperienza mistica che è la base di questo vangelo non è quella dell'evangelista soltanto ma di tutta la sua fratellanza. 

Ancor più che negli altri vangeli, questo di Giovanni è un poema del culto, che egli pare aver composto per una liturgia pasquale. [23] Il primo e più lungo paragrafo (1-12) è una preparazione al battesimo, e presenta Gesù ai catecumeni come un personaggio divino attaccato dagli ebrei al fine di giustificare l'adorazione di Gesù contro quelli attacchi, per promuoverla e per purificarla. Il paragrafo centrale (13-17) è un sermone eucaristico per soli iniziati. L'evangelista attinse da Marco l'idea di un duplice insegnamento, il primo pubblico e il secondo segreto. Qui egli concentra l'istruzione segreta in un'unica scena: quella dell'Ultima Cena. L'ultimo paragrafo dispiega la leggenda della festività, l'haggada della Pasqua cristiana, la sola lettura della morte e della resurrezione di un dio. Lo scopo del testo era istruire, illuminare, e ispirare il vero credente durante i giorni sacri della Primavera. 

Una natura caratteristica di questo vangelo è la ripetizione di frammenti lirici incorniciati nella recitazione. L'opera si apre con un inno davvero magnifico. Anche parecchi discorsi di Gesù, in particolare quelli dell'Ultima Cena, sono inni. Il flusso della narrativa li introduce, li interrompe, li re-introduce, e infine li allontana. Per produrre un effetto di dialogo, essi sono separati da interruzioni, che sono di frequente inutili e a volte stupidi. Se quei trucchi sono ammessi, non è difficile ricostruire le strofe.

Sin dai giorni di San Paolo quelli inni sono stati migliorati oppure cantati in strofe alternate dalle congregazioni a Pasqua.  [24] Quelli del vangelo di Giovanni rassomigliano a quelli preservati sotto il titolo di Odi di Salomone. Sono chiaramente anteriori alla narrazione in cui sono incorporati. Perciò è possibile rimuoverli e leggerli separatamente, prima di considerare la storia nella quale sono stati usati.  

Nei primi tre il catechista canta in nome di tutta la fratellanza. Negli altri Gesù parla come mystagogos.

Il primo è una definizione sublime di Gesù, e imita il primo capitolo della Bibbia ebraica, da cui copia le sue prime parole “Nel principio”.
Nel principio era la Parola
e la Parola era presso Dio,
e la Parola era Dio.
Egli (la Parola) era nel principio con Dio.
Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (la Parola),
e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta.

Ciò che è stato fatto, attraverso di lui era vita [25]
la vita era la luce degli uomini.
E la luce risplende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno compresa.

Egli era la luce vera,
che illumina ogni uomo
che viene nel mondo.

Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
ma il mondo non lo ha conosciuto.
Egli è venuto in casa sua,
e i suoi non lo hanno ricevuto.

Ma a tutti coloro che lo hanno ricevuto,
egli ha dato l'autorità di diventare figli di Dio,
a quelli cioè che credono nel Suo Nome,
i quali non sono nati da sangue né da volontà di carne,
né da volontà di uomo, ma sono nati da Dio.
[26

E la Parola si è fatta carne
ed ha abitato fra di noi,
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
come gloria dell'unigenito proceduto dal Padre,
piena di grazia e di verità.

E noi tutti abbiamo ricevuto dalla sua pienezza
grazia sopra grazia.
Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosé,
ma la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesú Cristo.
Nessuno ha mai visto Dio;
l'unigenito Figlio, che è nel seno del Padre,
è colui che lo ha fatto conoscere.
Questa pagina ben conosciuta fissa lo stato divino di Gesù. Egli non è il Dio Spirito di Marcione. Il Cristo qui è la Sapienza pre-esistente di Dio, la Parola eterna, la Vita, la Luce. Egli non è, com'era il Logos di Filone, semplicemente un intermediario tra Dio e il mondo, un Dio di basso livello che adorerebbero creature imperfette. Egli è vicino a Dio, nel petto di Dio, con un diritto al Nome di Dio, e, assieme con Dio, all'adorazione dell'altissimo. Al pari del Cristo di Marcione, la sua non fu una nascita umana; egli nacque da Dio soltanto [27] per generazione spirituale, come rinascono da Dio coloro che credono in lui. Ma — qui la grande differenza dal Cristo di Marcione — egli divenne Carne. Come? La risposta è un Mistero. Egli è Dio; ed egli diventa Carne mediante un processo mistico. Il Dio di Marcione discese in un mondo a lui sconosciuto. Il Dio di Giovanni discese tra i Suoi, e il mondo è ancor più da incolpare quando lo respinge per quella stessa ragione. Il Padre, a differenza della Divinità di Marcione, è lo stesso Dio che diede la Legge mediante Mosè; attraverso Gesù egli dà solo Grazia e Verità. Nella sua maniera, aggiungengo alla gnosi di Paolo l'assunzione mistica della Carne, Giovanni corregge la seducente dottrina di Marcione. In poche frasi intense e ritmiche il catecumeno è istruito nel mistero di Gesù.

Il secondo inno [28] è un avvertimento contro l'insegnamento che Giovanni il Battezzatore fu la Luce e il Cristo. Le parole di Giovanni il Battezzatore sono un riassunto di Marco; Giovanni non è nulla più che il testimone del Figlio di Dio, il Miglior Uomo dello Sposo, ma — contrariamente alle parole di Marco — Giovanni non battezzò Gesù. Tutto ciò che egli fece fu indicarlo e vedere lo Spirito discendere su di lui, come una colomba dal cielo, e dimorare su di lui. Egli lo dichiarò “l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”, poichè Gesù è l'Agnello Pasquale. Avendo recato la sua testimonianza, Giovanni svanisce e Gesù cresce.

Nel terzo inno [29] la voce del catechista, parlando per tutta la fratellanza, emette parole di una qualità più profonda e più segreta dato che egli spiega al catecumeno il significato mistico del battesimo che si accinge a ricevere. [30] Questa è la seconda nascita, la rinascita attraverso lo Spirito. Invisibilmente e immediatamente, in virtù della Croce a cui Gesù era appeso, il credente entra nella vita eterna. Non ha alcun giudizio futuro da temere; è stato giudicato e salvato.
In verità, in verità ti dico,
se uno non rinasce dall'alto,
non può vedere il regno di Dio.
[31]

In verità, in verità ti dico,
se uno non nasce da acqua e da Spirito,
non può entrare nel regno di Dio.

Quel che è nato dalla carne è carne
e quel che è nato dallo Spirito è Spirito.
Il vento soffia dove vuole

e ne senti la voce,
ma non sai di dove viene e dove va:
così è di chiunque è nato dallo Spirito.

In verità, in verità ti dico,
noi parliamo di quel che sappiamo
e testimoniamo quel che abbiamo veduto;
ma voi non accogliete la nostra testimonianza.

Se vi ho parlato di cose della terra e non credete,
come crederete se vi parlerò di cose del cielo?

Eppure nessuno è mai salito al cielo,
fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.
 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto,
così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,
perché chiunque crede in lui non muoia,
ma abbia la vita eterna.

 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo
per giudicare il mondo,
ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato;
ma chi non crede è già stato condannato,
perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio…
In questo inno la dottrina è davvero quasi marcionismo; Gesù non viene a giudicare, egli è la Divinità personificata. Il catechista distoglie il novizio dai miraggi del Libro dell'Apocalisse. “Nessuno è mai salito al cielo”, dichiara Giovanni il Secondo, e così cancella tutte le apocalissi. Soltanto l'unico essere a discendere dal cielo risale al cielo, e lo stesso Gesù rivela mediante questo vangelo l'amore segreto e divino. In questo vangelo Gesù non ha una parola da dire sull'Avvento Imminente e sul Giudizio. L'Ultimo Giorno, con le sue Trombe, le sue Processioni, e le sue Catastrofi, è passato fuori moda. Il Vero Ultimo Giudizio si realizza quando un uomo accetta o respinge la fede in Cristo.

Un inno ulteriore completa quest'inno. [32] Gesù dice, “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”. Egli è il Mietitore che raccoglie per la vita eterna. Siccome egli è il Giudizio, egli è anche la Resurrezione. Al pari del Padre, il Figlio dà vita. Non è alla fine dell'Età che egli risorgerà i morti. Egli fa risorgere allo stesso momento della morte. 
In verità, in verità vi dico:
è venuto il momento, ed è questo,
in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio,
e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno.
L'inno successivo è la spiegazione mistica dell'eucarestia. [33] Gesù è l'autentico Pane della Vita, il Pane del Cielo, l'Ambrosia che reca immortalità allo stesso momento della morte, la vita eterna, e la resurrezione.

Quelle parole impressionanti ci fanno pensare che il catechista riteneva che nell'eucarestia ci fossero la vera carne e il vero sangue di Gesù. 
In verità, in verità vi dico:
se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo
e non bevete il suo sangue,
non avrete in voi la vita.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
ha la vita eterna
e io lo resusciterò nell'ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo
e il mio sangue vera bevanda. 
In un altro inno [34] Gesù si definisce la Luce del Mondo. Egli condanna gli ebrei deicidi e dichiara loro di non avere nulla in comune con loro, in frasi che manifestano fortemente l'influenza del marcionismo, 
Voi siete di quaggiù,
io sono di lassù;
voi siete di questo mondo,
io non sono di questo mondo...

Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste,
perché da Dio sono uscito e vengo...

Voi avete per padre il diavolo,
e volete compiere i desideri del padre vostro.
Egli è stato omicida fin da principio
[35]

e non ha perseverato nella verità,
perché non vi è verità in lui.
Quando dice il falso, parla del suo,
perché è menzognero e padre della menzogna.
[36]
Gli inni successivi sono concepiti come meditazioni mistiche di Gesù sulla sua stessa Passione.
In uno [37] egli si fa conoscere come il vero Pastore. Tutti prima di lui erano ladri e briganti. Egli è il sublime Pastore che per amore del suo gregge si lascia spogliare temporaneamente della sua vita. Egli è il Divino Pastore che è Uno con Dio.  
 Io sono il buon pastore,
conosco le mie pecore
e le mie pecore conoscono me,
come il Padre conosce me e io conosco il Padre;
e offro la vita per le pecore.

Per questo il Padre mi ama:
perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie,
ma la offro da me stesso,
poiché ho il potere di offrirla
e il potere di riprenderla di nuovo.
Questo comando ho ricevuto dal Padre mio.

Le mie pecore ascoltano la mia voce
e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna
e non andranno mai perdute.

E nessuno le rapirà dalla mia mano.
Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.
Io e il Padre siamo una cosa sola.
In un altro inno [38] Gesù respinge la preghiera pusillanime posta sulle sue labbra da Marco (Marco 14:35), che, se possibile, l'ora fatale gliela si dovrebbe evitare. Quando il Gesù di Giovanni incontra la sua ora, egli dice, “Non berrò io il calice che il Padre mi ha dato?” Il momento della morte di Gesù è il suo momento di gloria. Perchè dovrebbe essere ritardato? Nel nuovo piano esso sostituisce l'evento supremo dell'Apocalisse, il Giudizio del Mondo e la cacciata di Satana. Dalla sua Croce Gesù passa in rassegna i suoi poteri. In lui è glorificato il Padre.
 Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire?
Padre, salvami da quest'ora?
Ma per questo sono giunto a quest'ora!
Padre, glorifica il tuo nome.

Ora è il giudizio di questo mondo;
ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.
Io, quando sarò elevato da terra,
attirerò tutti a me...
Ancora un altro inno canta il vero Vino, [39] che è Gesù e la Chiesa congiunta a lui misticamente. Nessun frutto può recare il vino a meno che non ci sia l'unione mistica del credente e del suo dio (15:5): 
 Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me e io in lui,
fa molto frutto,
perché senza di me non potete far nulla.

Come il Padre ha amato me,
così anch'io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore...

Questo è il mio comandamento:
che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.
Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici.

Voi siete miei amici,
se farete ciò che io vi comando…
Un altro inno esprime i sentimenti provocati dalla scomparsa di Gesù e dalla sua riapparizione immediata; [40] il lamento e la gioia della Pasqua cristiana, la gentile consolazione di Gesù. 
Ancora un poco e non mi vedrete;
un po' ancora e mi vedrete.

In verità, in verità vi dico:
voi piangerete e vi rattristerete,
ma il mondo si rallegrerà.
Voi sarete afflitti,
ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.

 La donna, quando partorisce, è afflitta,
perché è giunta la sua ora;
ma quando ha dato alla luce il bambino,
non si ricorda più dell'afflizione
per la gioia che è venuto al mondo un uomo.

Così anche voi, ora, siete nella tristezza;
ma vi vedrò di nuovo
e il vostro cuore si rallegrerà
e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia...

Ecco, verrà l'ora, anzi è già venuta,
in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio
[41

e mi lascerete solo;
ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
[42]

Vi ho detto queste cose
perché abbiate pace in me.
Voi avrete tribolazione nel mondo,
ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo.

Vi lascio la pace,
vi do la mia pace.
Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto:
Vado e tornerò a voi…
L'ultimo inno (17) è nella forma di una preghiera che Gesù, prossimo a venire, Cristo, il Sommo Sacerdote eterno, pronuncia come una consacrazione di sè, il sacrificio, e facendo così consacra i suoi discepoli di ogni tempo.
Padre, è giunta l'ora... 
glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te.
Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano,
perché egli dia la vita eterna
a tutti coloro che gli hai dato.

 Non chiedo che tu li tolga dal mondo,
[43]

ma che li custodisca dal maligno.
Essi non sono del mondo,
come io non sono del mondo.
Consacrali nella verità.
La tua parola è verità.

Come tu mi hai mandato nel mondo,
anch'io li ho mandati nel mondo;
per loro io consacro me stesso,
perché siano anch'essi consacrati nella verità.

Non prego solo per questi,
ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me;
perché tutti siano una sola cosa!
Come tu, Padre, sei in me e io in te,
siano anch'essi in noi una cosa sola,
perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato
[44]

siano con me dove sono io,
perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato;
poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo.

 Padre giusto,
[45] il mondo non ti ha conosciuto,
ma io ti ho conosciuto;
questi sanno che tu mi hai mandato.
E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere,
perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi
e io in loro.
Questa raffinata collezione di inni, questo salterio grave e gentile del culto di Gesù, una piccola funzione della liturgia pasquale, diede al vangelo il principale dei discorsi di Gesù, che differiscono nel tono, nello stile, e nel contenuto da ogni altro gli si era fatto pronunciare fino ad allora. Essi danno al vangelo di Giovanni quello sfondo di misticismo pastorale che è altrettanto soffice, rasserenante, e diffuso come il chiaroscuro di una cattedrale gotica.

Il racconto in qui sono incorniciati quelli inni è copiato in parte dagli altri vangeli e in parte originale.

È il vangelo di Marco che l'evangelista ha principalmente in mente, ma egli omette la sua parte maggiore, e utilizza il resto solo come gli conviene nel suo piano. Egli non ha esitazione a sopprimere episodi così importanti come il battesimo di Gesù e le sue tentazioni nel deserto, [46] la sua agonia nel Getsemani, e l'istituzione dell'eucarestia. Il Dio Incarnato non può essere battezzato da un semplice uomo e neppure tentato da Satana, e neppure può domandare a suo Padre di allontanargli la prova per la quale era disceso sulla terra. E né è suo dovere battezzare uomini, [47] e nè di celebrare la prima festività eucaristica. Egli è misticamente mediante la sua morte il fondatore di quei riti, come insegnò Paolo. Sulla stessa Croce, dal costato del Crocifisso, scaturirono sangue ed acqua, il calice del sacramento. Giovanni, con maggiore peso rispetto a Marco, vide in Gesù, non il primo dei martiri e il primo dei predicatori cristiani, ma lo stesso Dio Redentore.

Egli racconta di nuovo la storia dei mercanti cacciati dal Tempio. Non la colloca, comunque, all'inizio della Passione, ma la trasferisce al primo pellegrinaggio di Gesù a Gerusalemme. Realizza così una cronologia nuova. Mentre Marco, seguendo Isaia (61:2, citato da Luca 4:19; l'anno di grazia di Jahvè), dà a Gesù una predicazione che perdura un anno, Giovanni racconta di tre pasque prima della Pasqua della Redenzione. [48] La predicazione di Gesù durò, perciò, tre anni e mezzo, la durata concessagli nel Libro dell'Apocalisse. Costituisce la realizzazione del periodo della grande tribolazione, proprio come la morte del Cristo è il compimento del Giorno del Giudizio e dell'Espulsione di Satana, il Principe di questo Mondo. In questa maniera il secondo Giovanni esegue il suo piano di sostituzione del suo vangelo al posto dell'Apocalisse del primo Giovanni.

Quando copia un episodio, non realizza una sua copia riveduta, alla maniera di Matteo; egli lo racconta di nuovo nelle sue proprie parole. Non teme nè di cambiare il racconto in punti espliciti e neppure di alterare il suo significato spirituale. Marco (2) raccontava che la guarigione del paralitico avvenne a Cafarnao. Egli lo espanse col sollievo comico dei quattro portatori, i quali, incapaci di entrare per la porta a causa della folla, fecero un buco sul tetto e attraverso di esso lasciarono calare il paralitico. Questo era un esempio di fede salvifica. È una lezione il più possibile chiara sulla remissione dei peccati da parte del Figlio dell'Uomo. Giovanni (5) colloca l'evento a Gerusalemme, e cambia il quadro. Per trentotto anni il paralitico era stato in attesa sotto i cinque portici della piscina di Betsaida, aspettando che qualcuno lo aiutasse a calarlo nelle acque agitate che avrebbero dovuto guarirlo. [49] Gesù gli domanda bruscamente: “Vuoi guarire?” Qui non c'è un problema di fede salvifica, ma del potere divino. È implicata la remissione dei peccati, ma non menzionata. Gesù aggiunge una lezione ulteriore, poichè egli dice al paralitico, “Non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Secondo l'epistola agli Ebrei, non c'è nessuna remissione ulteriore dei peccati dopo il battesimo. Tuttavia, a dispetto di modifiche profonde in questo episodio, Giovanni preserva le parole, “Prendi il tuo lettuccio e cammina”.

Marco menziona due ciechi che vengono curati, uno a Betsaida (8), sui cui occhi Gesù sputa: [50] l'altro il mendicante cieco di Gerico (10). Giovanni amalgama i due, un mendicante nato cieco che è guarito per mezzo della saliva divina. Di nuovo non c'è nessuna implicazione della remissione dei peccati e neppure di una fede salvifica. Il cieco personifica il mondo pagano, che non ha peccato, poichè la Legge gli era ignota. Il miracolo qui significa che la Parola ha recato nel mondo la Luce (9:1):
Passando vide un uomo cieco dalla nascita
e i suoi discepoli lo interrogarono:
Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori,
perché egli nascesse cieco?

Rispose Gesù:
Né lui ha peccato né i suoi genitori,
ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.

Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato
finché è giorno;
poi viene la notte, quando nessuno può più operare.
Finché sono nel mondo,
sono la luce del mondo.

Detto questo sputò per terra,
fece del fango con la saliva,
spalmò il fango sugli occhi del cieco
e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe [51] (che significa Inviato).

Quegli andò, si lavò
e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima,
poiché era un mendicante,
dicevano: Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina? ...
La congregazione a cui si sarebbe letto il vangelo a voce alta avrebbe compreso davvero bene che la Luce sarebbe stata portata dalle acque dell'Inviato — ossia, mediante il battesimo nel nome di Gesù.

Il vero pensiero dell'evangelista si rivela meglio negli episodi che egli ha totalmente inventato.

In 2:1-11 c'è la prima manifestazione della gloria di Gesù, che è un'anticipazione della gloria della sua morte. Essa è già, in un mistero, una manifestazione “tramite il sangue”. Gesù offre, prima, la coppa eucaristica di vino, al posto dell'acqua di abluzione degli ebrei, proprio come più tardi egli offre il pane eucaristico nel miracolo dei pani e dei pesci che copia da Marco. [52]
Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea [53]

 e c'era la madre di Gesù.
Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Nel frattempo, venuto a mancare il vino,

la madre di Gesù gli disse:
Non hanno più vino.
E Gesù rispose:
Che ho da fare con te, o donna? [54]
Non è ancora giunta la mia ora.

La madre dice ai servi:
Fate quello che vi dirà.
Vi erano là sei giare di pietra
per la purificazione dei Giudei,
contenenti ciascuna due o tre barili.

E Gesù disse loro: Riempite d'acqua le giare;
e le riempirono fino all'orlo.
Disse loro di nuovo: Ora attingete
e portatene al maestro di tavola.
Ed essi gliene portarono.

E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola,
che non sapeva di dove venisse
(ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua),
chiamò lo sposo
e gli disse: Tutti servono da principio il vino buono
e, quando sono un po' brilli, quello meno buono;
tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono.

Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea,
manifestò la sua gloria
e i suoi discepoli credettero in lui.
Dioniso eseguiva questo miracolo di cambiare l'acqua in vino ogni anno il 5 gennaio sull'isola di Andros. [55] Giovanni non ebbe nessuna esitazione nell'attribuire lo stesso miracolo al Cristo. Forse egli ricordò che Melchisedec, il quale in Filone è il simbolo del Logos di Dio, [56] offrì vino al posto di acqua. È più certo che egli desiderasse confutare Marcione e il suo tagliente aforisma che il vino nuovo non si dovrebbe versare in otri vecchi. Sebbene egli potrebbe essere consapevole della novità della dottrina cristiana, tuttavia non desidera respingere del tutto completamente l'ebraismo. Gesù perciò trae miracolosamente il nuovo vino a partire dai vecchi recipienti degli ebrei. [57]

L'episodio della donna samaritana (4) mostra quale approccio i cristiani dovrebbero adottare verso i samaritani. Quei nemici fraterni degli ebrei, dispersi al pari di loro nell'Impero romano, formarono comunità religiose separate dagli ebrei da un odio ancestrale. Essi potevano recare alla Parola di Dio cuori meno ribelli di quelli di Giuda. Ma era importante che i loro credi non dovessero venir incoraggiati. Il monte Gerizim non era di certo l'autentico Monte Santo, a meritare precedenza rispetto al colle di Gerusalemme. E nè i samaritani erano il vero seme di Giacobbe, poichè essi avevano adorato i cinque dèi degli assiri. [58] Jahvè, che pretendevano di adorare, ma che non conoscevano, non scelse mai loro come suo popolo eletto, il suo Sposo, ma gli ebrei. “La salvezza viene dagli ebrei”. Comunque, il Tempio di Gerusalemme era diventato una cosa vana, proprio come il monte Gerizim. Lo Spirito del Padre non sceglie più popoli, egli esige adoratori spirituali, mystai.

Questa lezione è impartita per mezzo di un racconto detto in uno stile elastico e affascinante. Mosè, è detto, stanco per il viaggio, sedette al bordo di un pozzo. [59] In modo simile Giovanni racconta di Gesù che siede appoggiato al muro di un pozzo nel villaggio samaritano di Sicar. Una donna giunge ad attingere acqua, e le chiede di dargli qualche acqua da bere. Lei ritiene una cosa sorprendente che un ebreo dovesse domandare qualcosa ad una samaritana. Egli le dice:
Se tu conoscessi il dono di Dio
e chi è colui che ti dice: Dammi da bere,
tu stessa gliene avresti chiesto
ed egli ti avrebbe dato acqua viva.
Lei fu sorpresa. Dove avrebbe attinto quest'acqua vivificante? “Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo?” Egli replica: 
Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete;
ma chi beve dell'acqua che io gli darò,
non avrà mai più sete,
anzi, l'acqua che io gli darò
diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.
Lei comprende questo, che va inteso simbolicamente, in un senso letterale. Egli le dice: “Va' a chiamare tuo marito”. Lei risponde: “Non ho marito”.
Hai detto bene, non ho marito;
infatti hai avuto cinque mariti
e quello che hai ora non è tuo marito;
in questo hai detto il vero.

Gli replicò la donna:
Signore, vedo che tu sei un profeta.
I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte
e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare.

Gesù le dice:
Credimi, donna,
è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme
adorerete il Padre.

Voi adorate quel che non conoscete,
[60]

noi adoriamo quello che conosciamo,
perché la salvezza viene dai Giudei.
Ma è giunto il momento, ed è questo,
in cui i veri adoratori adoreranno il Padre
in spirito e verità.

Perché il Padre cerca tali adoratori.
Dio è spirito,
e quelli che lo adorano
devono adorarlo in spirito e verità.
Gesù dichiara di essere il Messia che i samaritani aspettano al pari pure degli ebrei. La donna va e porta i suoi connazionali, e Gesù, al loro invito, dimora tra di loro per due giorni. [61] Molti credono in lui. Essi dicono alla donna: “Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”. [62]

Il più significativo, forse anche il più bello, degli episodi peculiari a questo vangelo è quello in cui il Logos-Vita, Gesù, viene raffigurato mentre reca la Resurrezione nella vita reale (11). Da nessun'altra parte il poeta manifesta la sua arte nell'espressione di una verità spirituale con tutta la colorazione luminosa di un fatto storico in una maniera più sottile o più magistrale. E nè egli esibisce da nessun'altra parte una tale libertà di costruzione. Egli copia da Marcione due sorelle simboliche, di due specie di pietà, e il loro villaggio. A loro egli aggiunge il simbolo di povertà, Lazzaro, da cui il Ricco aveva implorato, senza ottenerla, una Resurrezione, e anche l'idea che la Resurrezione di Lazzaro non convertirà gli ebrei. Egli trasforma Lazzaro in un fratello di Maria e di Marta. Poi identifica Maria con la donna di Betania che unse il Cristo con un profumo (Marco 14:3). Aveva già identificato questa donna colla prostituta che, in Marcione, lava i piedi di Gesù con i suoi capelli. [63]
Era allora malato un certo
Lazzaro di Betània,
il villaggio di Maria e di Marta sua sorella.
Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore
e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli;
suo fratello Lazzaro era malato.
Le sorelle mandarono dunque a dirgli:
Signore, ecco, il tuo amico è malato...

 Venne dunque Gesù e trovò
Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro.
Betània distava da Gerusalemme
meno di due miglia
e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria
per consolarle per il loro fratello.

Marta dunque, come seppe che veniva Gesù,
gli andò incontro;
Maria invece stava seduta in casa.
Marta disse a Gesù:
Signore, se tu fossi stato qui,
mio fratello non sarebbe morto.
Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio,
egli te la concederà.

Gesù le disse:
Tuo fratello risusciterà.
Gli rispose Marta: So che resusciterà
nell'ultimo giorno.

Gesù le disse:
Io sono la resurrezione e la vita;
chi crede in me, anche se muore, vivrà;
chiunque vive e crede in me,
non morrà in eterno.
Credi tu questo?

Gli rispose: Sì, o Signore,
io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio
che deve venire nel mondo.

Dopo queste parole se ne andò
a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo:
Il Maestro è qui e ti chiama.

Quella, udito ciò, si alzò in fretta
e andò da lui.
Gesù non era entrato nel villaggio,
ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro.

Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla,
quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire,
la seguirono
pensando: Va al sepolcro per piangere là.

Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù,
vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo:
Signore, se tu fossi stato qui,
mio fratello non sarebbe morto.

Gesù allora quando la vide piangere
e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei,
si commosse profondamente, si turbò
e disse: «Dove l'avete posto?
Gli dissero: Signore, vieni a vedere!
Gesù scoppiò in pianto.

Dissero allora i Giudei: Vedi come lo amava!
Ma alcuni di loro dissero:
Costui che ha aperto gli occhi al cieco
non poteva anche far sì che questi non morisse?

 Intanto Gesù, ancora profondamente commosso,
si recò al sepolcro;
era una grotta e contro vi era posta una pietra.
Disse Gesù: Togliete la pietra!

Gli rispose Marta, la sorella del morto:
Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni.
Le disse Gesù: Non ti ho detto
che, se credi, vedrai la gloria di Dio?

Tolsero dunque la pietra.
Gesù allora alzò gli occhi e disse:
Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato.
Io sapevo che sempre mi dai ascolto,
ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano
che tu mi hai mandato.

E, detto questo, gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori!
Il morto uscì,
con i piedi e le mani avvolti in bende,
e il volto coperto da un sudario.
Gesù disse loro: Scioglietelo e lasciatelo andare.
Un uomo deve essere privo di un sentimento religioso per essere inconsapevole del fatto che un racconto simile simboleggia una dottrina, e non si riferisce ad un fatto storico. Il Signore Gesù è la Resurrezione e la Vita. Egli dona a coloro che credono in lui e vivono in lui la resurrezione al momento della loro morte. Questo credo vivente è germogliato, non in una formula teologica, ma in una storia sacra, allo stesso tempo sia semplice che maestosa, l'espressione di una visione mistica. Questa non è una leggenda, l'espansione di qualche evento reale, è un hieros logos, una parola divina. I dettagli sono di minor importanza. Fossero stati dieci volte tanto, la natura fondamentale del testo sarebbe rimasta la stessa. E attribuire importanza a queste cose come topografia, distanza, persone, sentimenti, equivale a permettere alla verità di sfuggire. Domandarsi se una cosa del genere potesse accadere equivale a equivocare il suo intero significato.

La narrazione rituale della Passione e della Resurrezione del Signore si basa su Marco, con un pò di reminiscenze di Marcione. [64] Giovanni, nondimeno, la ha raccontata totalmente di nuovo, realizzando correzioni e aggiunte.

Essa si adatta all'antica liturgia pasquale a cui le chiese non-marcionite dell'Asia tenevano fedelmente, e in cui coincidevano le pasque ebraiche e cristiane. Gesù muore il 14 di Nisan, il giorno e l'ora quando, secondo la Legge, viene sacrificato l'Agnello Pasquale. Da questo segue che l'Ultima Cena è un pasto comune, e non la Pasqua. L'Agnello di Dio trafitto sulla Croce è sostituito al posto dell'agnello terreno che doveva essere offerto a Gerusalemme.

Il Cristo non fu sacrificato come nell'Apocalisse “prima della fondazione del mondo”, ma allo stesso istante del più solenne sacrificio dell'antica religione. Proprio come il vino di Cana fu attinto da recipienti ebrei, così la festa cristiana della vera Resurrezione capita alla festività della Redenzione ebraica. Per rendere più sicura la relazione, Giovanni aggiunge un dettaglio alla crocifissione — soldati sono inviati a rompere le gambe del crocifisso, siccome Gesù era già morto, essi non gli fecero così; poichè è scritto dell'Agnello Pasquale “Non gli sarà spezzato alcun osso” (19). [65]

Nell'antica liturgia il digiuno cessava il giorno della morte di Gesù, prima del giorno della Resurrezione. [66] Così la morte di Gesù si celebrava come un trionfo, proprio com'era la sua resurrezione; questa era l'idea chiave del vangelo di Giovanni.

È conveniente che Gesù dovesse sembrare di patire la morte, quando quello è il suo atto più potente e il più deliberato? Finchè è giunta la sua ora, egli sfugge misteriosamente ai suoi nemici (8:59; 12:36). Ma quando un'intera coorte romana, condotta da Giuda, che è posseduto al momento dal Principe di questo Mondo, Satana, viene ad arrestarlo, egli deve solo nominare sè stesso perchè l'intera coorte cada indietro al suolo (18:6). Egli rinuncia a sè stesso di sua propria libera volontà, a condizione che ai suoi discepoli sia permesso di andarsene liberi.

Quando Pilato gli domanda se egli sia il re degli ebrei, egli non si rifiuta di rispondere, come riferisce Marco; ma, dice Giovanni, parla del suo regno reale (18:36-37):
 Il mio regno non è di questo mondo;
se il mio regno fosse di questo mondo,
i miei servitori avrebbero combattuto
perché non fossi consegnato ai Giudei;
ma il mio regno non è di quaggiù.

Tu, Tu lo dici, io sono re.
Per questo io sono nato
e per questo sono venuto nel mondo:
per rendere testimonianza alla verità.
Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.
Pilato interroga: “Che cos'è la Verità?”. Questa domanda potrebbe aver introdotto un'altra strofa che è stata perduta. [67]

In modo da rifiutare coloro che affermavano che Simone di Cirene sostituì Gesù sulla croce, Marco arruola Simone a trasportare la croce per un mentre, ma Giovanni disdegna questo espediente, rimosse Simone di Cirene, e dichiara definitivamente che Gesù trasferì lui stesso la sua croce (19:17), e nè egli circonda di oscurità la morte di Cristo, poichè la sua dottrina era che la crocifissione costituiva un trionfo.

Tra i dettagli aggiuntivi carichi di significato  che introduce Giovanni, si dovrebbe notare la dichiarazione di Cristo dalla croce (19:26-27):
Gesù allora, vedendo la madre
e lì accanto a lei il discepolo che egli amava,
disse alla madre: Donna, ecco il tuo figlio.
Poi disse al discepolo: Ecco la tua madre.
Da quell'ora il discepolo la accolse nella sua propria casa. In questo vangelo la madre di Gesù prende il posto della Donna dell'Apocalisse, e Gesù non la chiama mai “Madre”. Lei personificò la Chiesa antica con la sua natura ebraica, e il discepolo amato simboleggia i cristiani veramente iniziati, i mistici. Quei due devono vivere assieme, ma non come lo avrebbe voluto Matteo, poichè la madre deve dimorare nella casa del figlio. In parole velate, questa è una benedizione dei mystai efesini, che mostrano un pio attaccamento ad una tradizione antica, e una condanna dei marcioniti, che ripudiano ogni legame con quelle tradizioni
.
Un dettaglio di importanza capitale per l'autore è la ferita del costato di Cristo dopo la sua morte (19:34-35):
 Uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia
e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza
e la sua testimonianza è vera.
Quell'uomo
[68] sa che dice il vero,
perché anche voi crediate.
Nella stessa ora in cui, secondo i suoi predecessori, si istituì l'eucarestia, Giovanni vede acqua e sangue scaturire dal costato del Crocifisso. Negli occhi del mistico questa visione era più vera dell'altra, poichè fu la morte di Gesù che fornì la loro virtù al sangue dell'eucarestia e all'acqua del battesimo. Per quella ragione egli basa l'episodio su una prova, la cui verità è enfatizzata fortemente, e su un appello al Cristo stesso. Non soddisfatto di ciò, Giovanni introduce un testo da Zaccaria, ovviamente l'ispirazione della visione — “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”.

Il Gesù risorto appare prima a una sola delle donne nominate da Marco e da Marcione, Maria di Magdala. Al pari dei discepoli di Emmaus in Marcione, lei manca di riconoscerlo. Quando la chiama col suo nome ebraico, Mariam, lei lo riconosce immediatamente e tenta di toccarlo. Gesù le dice (20:17):
Non toccarmi,
perché non sono ancora salito al Padre mio;
ma va' dai miei fratelli e di' loro
che io salgo al Padre mio e Padre vostro,
al Dio mio e Dio vostro.
Questa apparizione preliminare non è completa. [69] Il Dio Risorto non dev'essere ancora toccato, poichè la sua glorificazione non è ancora completa. Egli tuttavia deve ascendere al cielo per essere rivestito dello Spirito Santo. Alla sera stessa egli appare ai discepoli e soffia in loro lo Spirito, e con esso il potere di rimettere i peccati. Da qui in avanti il suo corpo è visibile e tangibile, risorto completamente, così che un secondo avvento non è necessario. La sua Ascensione e la sua Discesa, che richiamano, in ordine contrario, la Discesa e l'Ascensione delle Divinità dei Misteri, si celebrano al mattino e alla sera della Domenica di Pasqua, la festività allo stesso tempo della Resurrezione, dell'Ascensione, l'essenza dello Spirito Santo, e della Parusia.

Dal momento che i nemici dei cristiani dissero che egli aveva un fratello gemello Tommaso [70] che fu il suo sosia, e che i discepoli avevano frainteso questo gemello per il Gesù risorto, [71] l'evangelista introduce sulla scena un Tommaso di nome Didimo (Gemello). E questo Tomasso egli rende scettico della resurrezione di Gesù. Alla seconda apparizione ai discepoli Gesù espone il suo corpo al tocco di Tommaso (20:27):  
Metti qua il tuo dito
e guarda le mie mani;
stendi la tua mano, e mettila nel mio costato;
e non essere più incredulo ma credente.
Il Gemello grida, “Mio Signore e mio Dio”. Egli è il primo a dare a Gesù il titolo di Dio, la cui giustificazione è lo scopo di questo vangelo.

In conclusione, Giovanni si riferisce agli altri miracoli del Cristo che si possono trovare negli altri vangeli. Egli non li nega; egli ha fatto la sua scelta di loro nell'intenzione che molti potessero credere (20:30-31):
Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli,
ma non sono stati scritti in questo libro.
Questi sono stati scritti, perché crediate
che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio
e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Giovanni definì una volta per tutte il grande mistero della natura di Gesù. Marcione aveva posto due dilemmi. Gesù non può essere allo stesso tempo Dio e Carne. Il Padre del Cristo non può essere il Dio degli ebrei. Giovanni li risolve, non con una vittoria del ragionamento, ma per illuminazione mistica. Gesù è allo stesso tempo Dio e Carne. Non c'è nulla da spiegare, e nè di tentare di comprendere, ma semplicemente qualcosa da credere, come Tommaso vide e toccò. Nei misteri cristiani vi è presente misticamente un essere inconcepibile, che è Dio, dal momento che egli e il Padre sono uno, che è anche carne e sangue umani, della cui carne il cristiano si nutre, il cui sangue egli beve. Così venne in esistenza teologica il Dio-Uomo.

La religione ebraica è messa da parte quasi plasticamente. Ne rimane solo una festività — la Pasqua del 14 di Nisan — ed un po' di testi profetici. Il Dio ebraico sembra essere abbastanza diverso dal Padre del Cristo, poichè gli ebrei hanno lo stesso padre del Diavolo. Nondimeno il Dio ebraico e il Dio cristiano sono identici, e “la salvezza viene dagli ebrei”. Qui di nuovo il poeta mistico non fa nessun tentativo di ottenere riconciliazioni logiche. Il marcionismo non è confutato: esso viene semplicemente assorbito in una teologia più ampia, il cui principio prevalente è amore.

Il secondo Giovanni, avendo scavato la fossa al primo Giovanni, procedette a seppellire tutte quelle speranze israelite che fino ad allora avevano ispirato e animato i cristiani, con le quali perfino Marcione si era compromesso — la catastrofe cosmica, l'Ultimo Giudizio, la Resurrezione Generale. Egli si spinge più lontano di Marcione, poiché si sbarazza del Secondo Avvento. Sebbene trattiene il titolo tradizionale di “Figlio dell'Uomo”, vi rimuove tutto ciò che ricordava la sua derivazione apocalittica. Il Dio-Uomo è liberato dalla crisalide del Giudizio Finale. Ma l'evangelista è attento a non fare nulla che allarmi le sensibilità cristiane, e immerge le sue audacie in una nebbia di devozione e le mitiga dietro le armonie di incantesimi poetici.

Il vangelo secondo Matteo e il vangelo secondo Giovanni erano destinati alla rivalità. Ciascuno di loro pretende la paternità da parte di uno dei Dodici. Ciascuno si fondava sui vangeli anteriori di Marco e di Marcione. Ma i loro scopi furono opposti. Uno predicava la Nuova Legge, e l'altro un Amore del tutto sufficiente. Uno insegnava che il Cristo fosse il Messia di Israele, e l'altro che egli fosse Dio Eterno. Uno faceva i suoi appelli agli ebrei messianisti e ai cristiani della scuola ebraica, l'altro ai greci iniziati ai misteri e a cristiani entusiasti.

Il vangelo rabbinico di Matteo si fece strada per tutta l'Asia, dove l'autorità dell'Anziano incontrò opposizione. [72] La Chiesa di Smirne lo ricevette nella piena convinzione che “Gesù era veramente della stirpe di Davide secondo la carne, nato realmente dalla vergine, battezzato da Giovanni, perché ogni giustizia fosse compiuta da lui”; [73] tutto di cui la Chiesa di Efeso negò. Comunque Smirne teneva con Efeso il rito pasquale accomunato dal vangelo di Giovanni. [74] Altri cristiani sollevarono una disputa perchè secondo Matteo il Signore non era morto il 14 di Nisan, il giorno in cui essi celebravano la sua morte in Asia. [75

D'altra parte, il vangelo lirico di Giovanni fu appreso e meditato per tutta la Siria. La sua malcelata influenza si deve notare nelle Odi di Salomone e nelle epistole di Ignazio di Antiochia. [76] Ma fino a Teofilo di Antiochia (Ad Autolycum, 2:22; 181 circa) egli non viene citato definitivamente. 

Il nome misterioso, sussurrato, del discepolo che Gesù amava aveva meno potere nel portare le Chiese sotto un'unica disciplina di quanto ne aveva quello del primo degli apostoli, Pietro, a cui Gesù aveva conferito il potere supremo, secondo Matteo. Certamente Pietro deve a Matteo il suo dominio successivo. È vero che Giovanni non avanzò alcuna pretesa nel collocare il discepolo amato al di sopra di Pietro nella gerarchia, limitandosi a mostrarlo semplicemente come il primo che scoprì i segreti di Gesù, ma egli lasciò Pietro sotto l'ombra di un triplice rinnegamento del suo Dio.

Al di fuori di Efeso Giovanni era caduto in un certo discredito, poichè era stato creduto e ripetuto parecchio che, come predetto dallo stesso Gesù, Giovanni non sarebbe morto fino al ritorno del Signore. [77] Egli morì ad un'età avanzata nel regno di Traiano (96-117). [78] L'Avvento promesso così enfaticamente non era capitato allora. 

L'evangelista ritenne necessario impugnare il calamo ancora una volta al fine di correggere questo; ed egli pubblicò una seconda edizione del suo vangelo con un epilogo più lungo. [79] Con la sua solita abilità, egli combinò la storia di Marcione della cattura miracolosa dei pesci e la storia di Matteo dell'investitura di Pietro e dell'Apparizione agli Undici in Galilea in una terza apparizione del Cristo ai suoi discepoli.  

Sette discepoli, che erano ritornati in Galilea, stavano pescando nel Lago di Tiberiade, ma non catturarono un solo pesce. Gesù giunse alla riva, ma loro non lo videro. Egli dice loro cosa fare, e le loro reti si riempiono immediatamente di pesci. I discepoli neppure allora riconobbero il loro Maestro, salvo il discepolo amato. Egli lo comunica a Pietro, il quale si getta nel lago, per nuotare fino al Cristo. Gesù dà loro del cibo e fa loro contare il pesce che essi hanno preso — 153, il numero delle specie di pesci, e per simbolismo delle razze degli uomini. Allora egli domanda a Pietro tre volte se egli lo ama. Tre volte Pietro replica, ogni volta cancellando uno dei suoi rinnegamenti, “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Ogni volta Gesù lo esorta a custodire il gregge, conferendogli così il posto di capo pastore. Poi in termini oscuri come qualsiasi oracolo predice il martirio di Pietro. 

Poi Pietro dice, indicando il discepolo amato: “E di lui che sarà?”
Gesù gli rispose:
Se voglio che egli rimanga finché io venga,
che importa a te?
Tu seguimi.

Si diffuse perciò tra i fratelli la voce
che quel discepolo non sarebbe morto.
Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto,
ma: Se voglio che rimanga finché io venga,
che importa a te?
Avendo fatto il suo punto con sottile maestria, l'evangelista francamente e ingenuamente dichiara che questo discepolo amato fu l'autore di questo vangelo. 
Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti
e li ha scritti;
e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.
Esaltato da una visione di infiniti sviluppi possibili ad una letteratura evangelica, Giovanni termina il suo poema con un'iperbole alquanto piatta:
Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù,
che, se fossero scritte una per una,
penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere
i libri che si dovrebbero scrivere.
NOTE

[1] 11:2; 12:2. Παύλου συμμύσται; 9:2 (trasportatori di dio, portatori del tempio, portatori di Cristo, portatori dello spirito santo). Le profezie epistolari di Ignazio che imitano quelle di Paolo risalgono attorno al 140, e sono contemporanee alla lettera di Policarpo che le cita (13:2) e che altrove attacca Marcione (7:1, si veda Ireneo, Haer., 3:3-4) (Turmel-Delafosse). Un mystes è un iniziato ad un mistero.

[2] La Chiesa romana adottò un compromesso; il calice teneva sia vino che acqua (Giustino, 1 Apol., 65, 67).

[3] Tertulliano percepì chiaramente che Marcione fu attaccato in 2 Giovanni, sebbene egli immaginò che fu così per anticipazione profetica (Tertulliano, Adv. Marci., 3:8; De praescr., 33; Adv. Praxeam, 28). 

[4] In Eusebio, Hist. Eccl., 3:39. Dopo “Aristone e Giovanni l'Anziano” le parole “discepoli del Signore” (che non appaiono nella versione siriaca) sono probabilmente l'errore di un copista al posto discepoli di quest'ultimo” — ossia, di quei discepoli del Signore che erano stati nominati in precedenza; infatti τούτων si legge τούτου sotto l'influenza della riga precedente.

[5] Il decreto di Papa Damaso (382) dà nell'elenco di libri del Nuovo Testamento:  Johannis Apostoli epistula una, alterius Johannis presbyteri epistulae duo.

[6] Epistola ai Filippesi 7:1; e in Ireneo, 3:3-4.

[7] Con la differenza che il Logos non è ancora il Cristo-Logos, ma la Parola di Vita recata da Gesù al mondo (Tobac, nella Rev. de l'hist. des rel.; 1928, pag. 213-218).

[8] Giustino, Dial., 1:3; dove per Trifone si intende forse il famoso rabbi Tarfone, un contemporaneo di Akiba.

[9] Giustino, 1 Apol., 31:6. Un'allusione agli atti violenti di Bar-Kokhba contro i cristiani e alla rovina definitiva del popolo ebraico si aggiunse a 1 Tessalonicesi 2:15-16. Non si era là al giorno di Marcione.

[10] Giustino, Dial., 8:4 e 55:1.

[11] Il primo punto è sviluppato da Giustino nel suo Dialogo con Trifone, e il secondo è il tentativo particolare del vangelo di Giovanni, e lo porta quasi in sintonia con la dottrina di Marcione.

[12] Ad esempio, la scena dell'unzione di Gesù in Giovanni 12:1-8 presa da Marco 14:3-9 con aspetti copiati da Marcione (Luca 7:36-50; piedi unti e lavati con capelli).

[13] Nel secondo epilogo di Giovanni l'investitura di Pietro ha tutta l'apparenza di essere copiata da Matteo 16:17-19. Nella parte principale del vangelo Matteo sembra essere stato piuttosto ignorato (Streeter, The Four Gospels; 1926, ag. 408-416).

[14] In modo simile viene dato il patronato di Giovanni agli Atti di Giovanni, e così alla dottrina di Basilide che Gesù non fu crocifisso, e perciò non venne nella carne, ma soltanto nell'acqua, una dottrina combattuta nel vangelo e nelle epistole di Giovanni (M. R. James, Apocrypha Anecdota, 2; Cambridge, 1897).

[15] Quest'allusione si chiarisce in J. Grill, Untersuchungen über die Entstehung des 4. Ev. ii; Tubinga, 1923, pag. 391; un'altra allusione probabile alla persecuzione da Bar-Kokhba è in 16:2: “Anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio”. Si veda E. Schwartz, Aporien im 4 Ev.; Gottinga, 1908, pag. 147.

[16] Streeter, The Four Gospels, pag. 467.

[17] Questo si chiarisce abbastanza in C. F. Burney, The Aramaic Origin of the Fourth Gospel; Oxford, 1922.

[18] Ad esempio, egli sapeva che la circoncisione si fa l'ottavo giorno, anche se quel giorno è un sabato (7:23). Si veda Strack e Billerbeck, Komm. zu N.T., 2; 1924, pag. 487. D'altra parte, egli non era ben documentato riguardo ai costumi che non erano più in uso — ad esempio, egli pensava che l'ufficio del sommo sacerdote fosse annuale al pari di quello di un sacerdote degli asiarchi (11:49; 18:13).

[19] Paolo aveva già dichiarato che gli ebrei non conobbero Dio (Romani 10:2; edizione di Marcione, θεòν ἀγνοου̑ντϵς).

[20] Turmel-Delafosse (Le Quatrieme Evangile; Parigi, Rieder, 1925) dimostrò il marcionismo di questo vangelo. Ma per spiegare i passi in opposizione a questa dottrina egli dovette immaginare due edizioni che si contraddicono l'un l'altro. Un caso analogo di scritture influenzate da Marcione, e tuttavia anti-marcionite, è l'epistolario di Ignazio di Antiochia. Comunque, non è necessario supporre due edizioni antagoniste.

[21] Canone di Muratori, ed. Preuschen; Analecta,1:9–16. Clemente Alessandrino in Eusebio, Hist. Eccl., 6:14, 7, disse: “Giovanni, consapevole che nel Vangelo gli eventi materiali erano già stati riportati, esortato dai suoi amici e divinamente ispirato dallo Spirito, compose un Vangelo spirituale”. Papia pretese che egli sapeva del vangelo mentre Giovanni era ancora vivo (Wordsworth-White, N. T. Latin., pag. 490).

[22] Giovanni 1:14 e 16; 3:2; 21:24; nell'epistola questo “noi” è la regola.

[23] In origine si recitava nella sua interezza a Pasqua. Si veda A. Greiff, Das älteste Pascharituale der Kirche und des Johannesevangelium; Paderbom, 1929, pag. 191.

[24] 1 Corinzi 14:26; Plinio, Epist., 96 — carmen Christo quasi deo dicere secum invicem.

[25] Quanto alla punteggiatura si veda Mlle. M. d'Asbeck, Congris d'hist du christ.; Parigi e Amsterdam, 1928, pag. 220-228.

[26] Legge ὅς ἐγεννἠθη. La variante οἷ … ἐγγενἠθησαν fu introdotta dai valentiniani (Tertulliano, De Carne Christi, 19).

[27] Monogene, che in Giovanni è una sorta di nome proprio (1:14 e 18; 3:16), significa apparentemente Figlio dell'Unico, sul modello di Diogene, Teagene, ed Ermogene, e inteso a escludere dalla generazione di Cristo ogni intervento femminile (E. Buklen in Theol. St. Kr.; 1929, pag. 55-90). Ci potrebbe essere stato in questo una confutazione deliberata della Donna dell'Apocalisse. La “Madre” di Gesù non era nulla in realtà per lui (2:4).

[28] 1:6–7, 15, 26b, 27, 29b, 31, 32b–34; 3:27b–30. L'inizio è mischiato col primo inno.

[29] 3:3b, 5b-6, 8, 11-21, 31-36. La fine è stata attaccata alla fine del secondo inno.

[30] Nel vangelo dove questo inno è una parte di un discorso di Gesù a Nicodemo, quest'ultimo interrompe con la stupida domanda, “Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”

[31] La stessa parola pneuma si utilizza sia per “vento” che per “anima”.

[32] 4:34-36; 5:19b-29. Nella narrazione che conduce all'inno, si fa dire ai discepoli, “Rabbì, mangia”. 4:37-38 è stato aggiunto per dare la parvenza di una narrazione, ma è solo apparentemente in armonia con ciò che precede.

[33] 6:32–33, 35b–40, 44–51, 53–58. Nella narrazione quest'inno viene convertito in un discorso che Gesù pronuncia di fronte agli ebrei nella sinagoga di Cafarnao, ed interpreta in seguito ai suoi discepoli in privato. (Si veda Marco 4:11-19).

[34] 8:12-58, deducendo le interruzioni.  

[35] Questo si riferisce al Diavolo — “Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sapienza 2:24).

[36] 8:23; 42a, 44. Chi potrebbe essere il padre del Diavolo non viene detto, il Maligno è un figlio di un Malvagio (si veda Acta Thomae 32). Questo testo è tinto fortemente di marcionismo.

[37] 10:1-8, tranne 6-7a, 27-30.

[38] 12:23b–28a, 31–32, 35b–36, 44b–50; 13:31b–32; 14:1–3, 5, 10b–13, 19–21, 23b–24. Comincia con le parole “È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo”.

[39] 15:1-17.

[40] 16:16, 20–28, 32–33; 14:27–31a. La trasposizione della fine dell'inno verso l'epilogo del capitolo 14 col finale “Alzatevi, andiamo via di qui” (Ite, missa est) è dovuta forse all'errore di un antico copista (si veda Streeter, The Four Gospels, pag. 380-381).

[41] Nel racconto i discepoli non sono dispersi. Il riferimento è apparentemente alla dispersione dei discepoli tra la morte e la resurrezione del Cristo.

[42] Questa è una contraddizione deliberata del grido di angoscia che Marco colloca sulle labbra di Gesù, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15:34) (Loisy).

[43] Al pari dei marcioniti che si sarebbero ritirati dal mondo.

[44] , pronome relativo indeclinable al posto di οὕς.

[45] Antitesi al “Padre Buono” dei marcioniti.

[46] Tutto ciò che Giovanni trattiene da Marco 1:13 è che Gesù fu servito dagli angeli (Giovanni 1:51).

[47] Nota che in 4:2 l'evangelista dice: “Quantunque non fosse Gesù che battezzava, ma i suoi discepoli”.

[48] 2:13; 5:1; 6:4. Si veda Ireneo, Hœr., 2:22, 4; Secunda vice ascendit in diem festum paschae in Hierusalem quando paralyticum... curavit.

[49] Questa fontana sfuggì alla distruzione da parte degli eserciti di Tito e di Adriano ed esisteva nei giorni di Origene (Pr. 533). Da allora è stata riscoperta al nord-est del Tempio.

[50] Forse Marco aveva in mente che si credeva comunemente che lo sputo del primogenito dell'uomo potesse guarire la cecità (Strack-Billerbeck, 2:15). L'intenzione di Marco era di dimostrare che Gesù fu il primogenito di Dio.

[51] Questa riserva di acque intermittente fu anche una dei pochi resti della Gerusalemme antica. Fr. Bliss la riscoprì. Siloam non significa Inviato, ma Colui (o esso) che invia, forse in riferimento al canale.

[52] Che questo miracolo si riferisce all'eucarestia è illustrato dalla sovrapposizione dell'inno sul Pane della Vita. Giovanni, si deve sottolineare, sostituì la parola per pesce (ἲχθυες) con una parola (ὀψἀρια), che può significare pesce arrosto, oppure qualsiasi altro cibo arrostito, in particolare farro, come nel miracolo di Eliseo (2 Re 4:42-44). Un altro elemento dal miracolo di Eliseo è la sostituzione di pani d'orzo al posto di pane comune.

[53] Cana significa “proprietà, eredità”. Gesù entra in possesso della sua eredità, quando egli giunse a Cana; la Parola venne dai suoi.

[54] La madre di Gesù sembra sostituire la Donna dell'Apocalisse, e simboleggia la prima chiesa giudeo-cristiana. Gesù dichiara di non aver nessun vero legame con lei (si veda Marco 3:33).

[55] Plinio, Hist. Nat., 2:231: Andro in insula templo Liberi patris fontem nonis Ianuarii semper vini saporem fundere Mucianus ter consul credit. Si veda ibid., 31:16.

[56] Leg. alleg., 3:82, pag. 103; citato da Bauer.

[57] Il significato di questo episodio è reso abbastanza chiaro nel prologo monarchiano al vangelo di Giovanni, ed. P. Corssen, 1896, pag. 6: ut, veteribus inmutatis, nova omnia quae a Christo instituuntur appareant.

[58] Flavio Giuseppe (Antichità Giudaiche 9:14, 3) dice che cinque popoli deportati in Samaria dagli assiri (2 Re 17:30) vi lasciarono i loro dèi.

[59] Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche 5, 1, 16. E' degno di nota che sia in Flavio Giuseppe che in Giovanni capitano le parole ὁδοιπορία e θρέμματα.

[60] Pronome relativo indeclinabile per ὅν.

[61] Due giorni è il periodo che un apostolo dovrebbe rimanere in una comunità. “Ma se si fermasse tre giorni, egli è un falso profeta” (Didachè, 11:5).

[62] La fine dell'episodio è mischiata con l'esordio che conduce all'inno sul Mietitore Eterno.

[63] Marcione-Luca 10:38-42 (Marta e Maria). Luca 16:19-31 (Lazzaro); 7:37-38 (la prostituta). Il nome Lazzaro è preso, come in Marcione, dal martire ebreo Eleazaro la cui resurrezione si celebrò il 25 dicembre durante la festa di Enkainia (4 Maccabei 17:8-24). Giovanni colloca la resurrezione di Lazzaro al tempo dell'Enkainia (10:22) che in seguito si doveva tenere dopo la festività cristiana del Natale. (B. W. Bacon).

[64] Ad esempio, i due angeli nella tomba (Marcione-Luca 24:4), la prima apparizione ai discepoli che avvenne a Gerusalemme (Marcione-Luca 24:36-42).

[65]  Esodo 12:46; Giovanni 19:33 e 36.

[66] Ireneo, lettera a Vittore, in Eusebio, H.E., 5:24, 12.

[67] Esiste ciò che forse è un'eco di questo negli Acta Pilati.

[68] “Quell'uomo” (ἐκείνος) si riferisce a Gesù come in 1 Giovanni 2:6; 3:3, 5, 7, 16. I pitagorici si riferirono a Pitagora dopo la sua morte nella stessa maniera (Giamblico, Vit. Pythag., 255; citato da Delatte e Lagrange).

[69] Non si conterà tra le apparizioni della Resurrezione ai discepoli (21:14).

[70] Tommaso significa “gemello”.

[71] Atti di Tommaso in siriaco, citati da Rendel Harris.

[72] Il vescovo Diotrefe lo respinse (3 Giovanni 9).

[73] Ignazio di Antiochia, Lettera agli Smirnesi, 1.

[74] Ireneo, Lettera a Vittore, in Eusebio, H.E., 5:24, 10: “Aniceto [Vescovo di Roma] non riuscì infatti a persuadere Policarpo [Vescovo di Smirne] a non osservare il quattordicesimo giorno, come aveva sempre fatto con Giovanni, discepolo del Signore nostro... con cui era vissuto”.

[75] Apollinare di Ierapoli (160 circa) in Routh, Reliq. sacr., 1, pag. 167: “Ci sono alcuni che per ignoranza sollevano una disputa... essi dicono che il Signore mangiava carne coi suoi discepoli il 14 (di Nisan), e che egli patì la morte al gran giorno del pane azzimo (il 15 di Nisan). Dichiarano che Matteo supporta la loro opinione. La loro dottrina è contraria alla Legge [Esodo 17:17 et seq.] e introdurrebbe un conflitto apparente tra i Vangeli”.

[76] Ad esempio, Odi di Salomone 41:15: “La luce rifulse dal Verbo, dal principio presente con lui [Dio]”. Ignazio, Lettera ai cristiani di Magnesia, 5:19: “Il Signore nulla fece senza il Padre”. Si veda Giovanni 5:19.

[77] Marco 9:1 aveva tentato di correggere questa convinzione facendo dire a Gesù che alcuni di quelli che erano vivi quando egli parlò non sarebbero morti finchè non avessero visto il Regno di Dio, che potrebbe riferirsi, al giorno di Marco, a qualche centenario noto oppure ignoto.

[78] Ireneo, in Eusebio, H.E., 3:23-24.

[79] Capitolo 21. Questo secondo epilogo fu inteso a sostituire il primo (20:30-31). I copisti, alle prese con due manoscritti, copiarono i due finali, collocando il secondo dopo il primo. La stessa cosa accadde nel Libro dell'Apocalisse di San Giovanni (The Book of Revelation; Londra, Watts, 1932, pag. 22), e in certi manoscritti di Marco. Il nome del sommo sacerdote Caifa fu aggiunto probabilmente nella seconda edizione, a causa dell'influenza di Matteo (11:49; 18:13-14, 24). Nella prima edizione Gesù fu portato di fronte ad Anna (deposto nell'anno 15, molto tempo prima della designazione di Pilato al governo della Giudea.

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