domenica 2 dicembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»I Vangeli (130 E.C. — 150 E.C.) (VII): Il messia d'Israele

I VANGELI
(130 E.C.—150 E.C.)

VII

IL MESSIA DI ISRAELE
(Il vangelo secondo san Matteo)

Da Roma il semplice ed energico vangelo di san Marco fu inviato alle altre Chiese. Nel 140 circa era in circolazione in Asia Minore. Papia, vescovo di Ierapoli in Frigia, [1] menziona le critiche di un capo della Chiesa di Efeso, secondo cui il vangelo era mal organizzato. Il libro di Marco fu pubblicato come un documento antico da un discepolo e interprete di Pietro, uno che aveva accompagnato Pietro a Roma e che Pietro aveva preso l'abitudine di chiamare suo figlio. [2] Ciò gli conferiva un'autorità formidabile. La sua stessa ruvidezza, la sua costruzione un po' imbarazzante, la sua nota popolare, tutto lo rese più efficace del sottile vangelo di Marcione nel convincere i cristiani che il Figlio di Dio che avevano atteso e adorato era stato veramente sulla terra.

Il vangelo di Marco si spinse fin tanto ad est quanto la provincia più orientale della Cristianità, quel territorio ad est di Antiochia che verso l'Eufrate andava anche oltre i confini dell'Impero romano, un paese bilingue dove abbondavano piccole chiese.

Le comunità cristiane remote caddero in due gruppi di importanza. Nella Siria meridionale, principalmente a Kokaba in Basanitide, erano riuniti quelli conosciuti come Ebioniti, relitti della chiesa madre, ostinata progenie dei Poveri di Gerusalemme che osservavano il severo codice di Giacomo e che ripudiavano Paolo, definendolo l'apostata della Legge (Ireneo, Hær., 1:26, 2; 3:11, 7). Questo gruppo più tardi pubblicò un vangelo basato sulla tradizione e sull'autorità di Giacomo.

Nella Siria settentrionale e nella Mesopotamia, dove l'ellenismo formava piccole isole in un oceano di semitismo, la cultura greca poteva produrre il raffinato genio di Luciano, ma la lingua dominante era l'aramaico, e si trovavano stabilite antiche comunità cristiane in cui lo spirito era più generoso. Da Damasco all'Eufrate si estendeva quella “Arabia” dove Paolo operò il suo primo periodo di apostolato. Il vescovo frigio Abercio viaggiò intorno al 190 oltre l'Eufrate, fino a Nisibe. “Con Paolo come guida”, egli attraversò la pianura siriana, e tutte le sue città lo accolsero favorevolmente. A nord, a Osroene, la chiesa di Edessa vantava una fondazione favolosa, risalente ad una corrispondenza tra il toparco Abgar e lo stesso Gesù. [3] Non lontano c'era la città di Ierapoli Bambice, città della Dèa siriana, dove era venerata la tomba di un cristiano di grande fama, Matteo, [4] di cui non abbiamo informazioni certe. Più ad ovest presso Berea Chalybis si trovavano i Nazareni fino al quinto secolo; quelli erano cristiani, che parlavano aramaico, un ramo antico ancora molto vicino all'ebraico originale. Solevano leggere da Isaia il passo (8-9) che preannunciava la loro liberazione dal giogo degli scribi e dei farisei e la visione della luce del vangelo che penetrava fino al mare. Rifiutavano la “seconda legge” (mischna) che gli scribi e i farisei avevano formulato senza l'approvazione del Padre celeste. Non avevano ombra di dubbio che le “due case di Israele” per le quali, così diceva Isaia (8:14), il Redentore doveva essere una “pietra d'inciampo e una pietra d'offesa”, erano “Hillel e Schammai, dai quali derivano gli scribi e i farisei, a cui succedettero Johanan ben Zacchai, poi Eliezer”. [5]

Gli ebrei erano forti numericamente per tutta la nazione aramea, e in molte regioni erano la setta religiosa preponderante. Tra Nisibe ed Edessa Adiabene era governata da una dinastia che si convertì all'ebraismo. Erano gli ebrei di Mesopotamia, di Adiabene, di Partia e dell'Arabia settentrionale, per i quali Flavio Giuseppe scrisse in aramaico la prima edizione della sua Guerra Giudaica. Quando la rivolta messianica di Bar-Kochba giunse alla sua fine sanguinosa, era qui che gli ebrei si radunarono più spesso e da qui venne emesso più tardi il Talmud di Babilonia. La sinagoga di Dura con i suoi stupendi affreschi biblici è espressione della fede vivace e del genio inventivo di un gruppo degli ebrei dell'Eufrate.

I cristiani di questa regione pianeggiante erano per la maggior parte ebrei convertiti. [6] Il loro modo di considerare il Regno dei Cieli li separava dagli ebrei farisaici: sia ebrei che cristiani parlavano del Regno dei Cieli per evitare di menzionare il nome di Dio — il Regno che doveva venire e che esisteva già, e anche il potere sulla Legge che essi consideravano posseduto dal Figlio dell'Uomo. Quei cristiani si vantavano di appartenere ad Israele come non facevano i cristiani di ogni altra regione, e ad un grado sconosciuto altrove odiavano i rabbini farisaici; perché è tra parenti stretti che si genera l'odio più amaro.

Le chiese aramaiche trovarono il vangelo di Marco di loro gusto? Esso si spingeva piuttosto lontano nel suo disprezzo della Legge; vi era molta dottrina paolina. Come letteratura aveva i difetti che Papia il frigio poteva citare come la critica dell'Anziano di Efeso. Non dava tutte le parole del Signore, e quelle che dava erano senza un giusto ordine. Questo non era sorprendente, dal momento che questo Marco, l'interprete di Pietro, non era mai stato un testimone oculare di ciò che descriveva. Naturalmente non disse nulla di sbagliato, ma ometteva le cose, forse perché Pietro non gli aveva detto di loro, e aveva disteso alla rinfusa ciò che si doveva dare nel dovuto ordine.

Uno scriba cristiano si impegnò a completare il vangelo di Marco alla luce di quello di Marcione. Marco aveva trascurato certe pagine di quest'ultimo. Avrebbe anche organizzato le Parole del Signore in cinque parti, ognuna preceduta da una parte narrativa nel modo in cui Mosè aveva disposto i suoi libri in cinque, ciascuno contenente narrazioni e precetti. [7] Il tutto avrebbe dovuto essere attribuito con discrezione ad un testimone oculare accreditato. Quindi egli sostituì il leggendario Matteo, ben noto nella nazione aramea, al posto del pubblicano Levi di Marcione e di Marco e lo mise nell'elenco dei Dodici. [8] Il nuovo vangelo fu pubblicato come l'opera dell'unico solo dei Dodici Apostoli abituato a maneggiare una penna, e venne ad essere considerato, non come la compilazione che era in realtà, ma come la narrazione più antica e più autentica.

Il vangelo secondo san Matteo era scritto in aramaico. Papia, nel 140 circa, annotò: “Matteo mise in ordine le parole in ebraico, e ognuna le traduce come meglio può”. [9] A quanto pare, Papia le tradusse lui stesso. Nel 330 circa Eusebio conosceva il testo aramaico e citava alcuni passi per correggere la versione greca. [10] Questa versione greca era l'unica a circolare tra le Chiese ad ogni misura, e solo essa è arrivata fino a noi.

Nonostante la libertà che mostra, tuttavia porta segni che ne indicano l'origine. Se si confrontano passi paralleli di Marco e di Matteo, notiamo in quest'ultimi piccoli cambiamenti inutili nelle parole e nelle costruzioni che suggeriscono che una versione semitica era sopraggiunta tra i due, agendo come una sorta di mezzo rifrangente, e che quest'ultima è una ri-traduzione. Questo è ancora più evidente tra Marcione e Matteo.

Matteo — manterremo questo nome per convenienza — tratta Marco come la sua fonte principale di informazioni e attinge da lui corposamente. Da Marcione copia una sola storia — quella del centurione — e un gran numero di passi didattici, attraverso i quali sviluppa Marco. Organizza la sua materia secondo un nuovo piano didattico, e da detti dispersi costruisce discorsi che mostrano frequentemente i punti di giunzione. Allo stesso modo collega assieme una serie di dieci miracoli, lasciando a ciascuno un po' più del suo scheletro istruttivo. Dove incontra due versioni dello stesso episodio, si sforza di coprire la variazione con qualche trucco ingenuo. Ad esempio, Marcione racconta a proposito di un indemoniato che i demoni che lo possedevano non dovevano essere gettati nell'Abisso. Marco spinge la legione di demoni in un branco di maiali che si gettano in mare. Matteo dice che c'erano due indemoniati. Allo stesso modo in Marcione il cieco di Gerico era guarito all'ingresso della città, mentre in Marco lo era all'uscita. Quindi Matteo ci dà due ciechi, e ci lascerebbe pensare che ciascuno di loro raccontava la propria guarigione.

Che tipo di uomo era questo candido evangelista che si nascondeva dietro una maschera dalla più magra descrizione? Lui si descrive quando fa dire a Gesù, quando i discepoli hanno appreso il significato delle parabole del Regno (13:52):
Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli
è simile a un padrone di casa
che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.
Questo Matteo è uno di quegli scribi, uno scriba cristiano, un rabbino convertito. La Chiesa che egli conosce comprende, dopo i profeti, i saggi e gli scribi, proprio come una sinagoga. [11] Con fervore attende la venuta del Regno di Gesù il Cristo. Per questo è pronto a sacrificare tutto. Come il mercante della parabola che racconta, venderebbe senza esitazione tutto ciò che ha per comprare “una perla di grande valore” (Matteo 13:46). Forse era uno di quelli che cercavano il celibato volontario, “che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli” (Matteo 12). [12] Sebbene abbia donato sé stesso, corpo e anima, alla nuova fede, egli non ripudia l'antica. Nello stesso forziere conserva sia il vecchio che il nuovo, la Legge saggiamente compresa, e il Vangelo. Sebbene ascetico come Paolo o Marcione, non si spinge tanto lontano quanto Paolo in materia dottrinale, e si oppone a Marcione.

In risposta ai bisogni della sua congregazione, questo Matteo era reazionario, poiché era costituita da catecumeni scelti tra gli ebrei, e fa attenzione a trovare risposte per le domande preoccupate che si ascoltavano tra le fila degli ebrei convertiti e per le insidiose obiezioni avanzate dagli ebrei che rimanevano fuori dalla Chiesa. Questo Gesù, che, disse Marco, fu respinto dagli ebrei e che rifiutò gli ebrei, poteva realmente essere il Messia di Israele? Pensavano che Marco non lo avesse chiarito abbastanza. Se non era il vero Messia, che cos'era lui per muovere i figli di Abramo? Se era il vero Messia, quale tragico orrore è l'incredulità degli ebrei ciechi, e come la fede degli ebrei che potevano vedere chiaramente diventa immancabilmente ancorata!

L'intero vangelo di Matteo è un tentativo di dimostrare che Gesù non era solo il Figlio di Dio — ciò era stato enfatizzato a sufficienza dai vangeli precedenti — ma che era, in diretta opposizione a Marcione, il Messia stesso promesso dai profeti di Israele. Matteo dimostra che costui era il Messia esattamente come predetto. Ogni sillaba della profezia era realizzata e adempiuta in lui; dall'inizio della sua predicazione nelle terre di Zabulon e Neftali, le sue guarigioni, la sua oscurità intenzionale, l'ottusità dei suoi ascoltatori, il suo impiego di parabole, le modalità del suo ingresso a Gerusalemme, il suo tradimento, la sua diserzione, il suo arresto, persino l'uso fatto del prezzo del suo tradimento. [13] Geremia predisse: “E presero i trenta pezzi d'argento, il prezzo di colui che fu valutato ... e li versarono per il campo del vasaio”. È vero che non era Geremia, come diceva Matteo, ma Zaccaria (11:13). Ciononostante, Matteo racconta di come Giuda il traditore ricevette dal Sinedrio trenta pezzi d'argento con cui comprò il campo di un vasaio. La concordanza era perfetta. Gli scribi e i farisei devono essere perversi se non avevano creduto a prove così stupefacenti.

Per completare la sua dimostrazione Matteo fu obbligato ad aggiungere a Marco non solo le citazioni dei profeti, ma anche nuovi elementi, uno dei più importanti dei quali è l'inizio del suo vangelo.

Un ostacolo sembrava insormontabile. Il vero Messia deve essere della stirpe di Abramo e della famiglia di Davide, e nascere a Betlemme. Le profezie erano troppo definite su questi punti per essere eluse. Era possibile che Gesù fosse allo stesso tempo l'Unico Figlio di Dio e anche un figlio di Davide? Marcione e Marco lo consideravano impossibile. Basando la loro argomentazione sul Salmo 110, proclamarono Gesù il Signore di Davide, e non suo figlio. [14] Prima di loro l'autore dell'Apocalisse dichiarò che Gesù era la radice di Davide, e non Davide la radice di Gesù. Ora, se il Figlio di Dio non può essere il figlio di Davide, non avrebbe potuto essere nemmeno il vero Messia.

Il pensiero rabbinico non riconosce la parola “impossibile”. Il nostro degno Matteo non esitò a inventare una rozza soluzione che rivela una mente piena di leggende popolari e acuta con le sottigliezze della scuola rabbinica. Gesù deve essere legalmente figlio di Davide. La legge afferma che il Messia avrà un padre della razza di Davide. Eppure è anche il Figlio di Dio, perché sua madre è una vergine che ha concepito dallo Spirito Santo. Era una credenza corrente tra le masse che un dio potesse impregnare una donna. “Gli egiziani”, disse Plutarco, un contemporaneo di Matteo, “credono che non sia impossibile per lo spirito di Dio avvicinarsi a una donna e produrre un concepimento”. [15] Gesù era contemporaneamente figlio di Davide attraverso il suo padre putativo e Figlio di Dio attraverso la sua vergine madre, il sostituto terreno della Donna del Cielo dell'Apocalisse.
Genealogia di Gesù Cristo
figlio di Davide, figlio di Abramo.

Abramo generò Isacco,
Isacco generò Giacobbe,
....
Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa,
....
Giacobbe generò Giuseppe
, [16] lo sposo di Maria,
dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
[17]

Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo:
sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe,
prima che andassero a vivere insieme
si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto
e non voleva ripudiarla,
decise di licenziarla in segreto.

Mentre però stava pensando a queste cose,
ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse:
Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa,
perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù:
egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati.
[18]

Tutto questo avvenne perché si adempisse
ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio
che sarà chiamato Emmanuele,
[19]

che significa Dio con noi.
 Destatosi dal sonno, Giuseppe
fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore
e prese con sé la sua sposa,

la quale partorì un figlio, [20]
che egli chiamò Gesù.
Quindi abbiamo Gesù provvisto della doppia genealogia, divina e davidica, che era apparsa incompatibile con Marco e Marcione. È nato a Betlemme perché il profeta Michea lo predisse del Messia. È nato sotto il regno di Erode, il primo re che non era ebreo, perché lo scettro non doveva lasciare le mani degli ebrei fino alla nascita del Messia; Giacobbe aveva detto così sul suo letto di morte. Inoltre, la profezia di Balaam sul sorgere della Stella di Giacobbe fu realizzata:
Gesù nacque a Betlemme di Giudea,
al tempo del re Erode.
Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme
e domandavano: Dov'è il re dei Giudei che è nato?
Abbiamo visto sorgere la sua stella,
e siamo venuti per adorarlo.
Quei Magi perspicaci erano parenti di coloro che, nella notte in cui Alessandro Magno nacque da una donna e da un dio, gridarono: “Il flagello dell'Asia è nato questa notte”. [21] Venivano dall'Oriente, la nazione dell'evangelista, per poter essere i primi, perfino prima di Giovanni il Battezzatore, ad adorare e a riconoscere il Messia di Israele.

Ansioso per il suo trono, Erode cercò di uccidere Gesù. Ma Giuseppe, avvertito in sogno da un angelo di Jahvè, fuggì in Egitto, portando con sé il bambino e sua madre. Erode ha massacrato tutti i bambini di Betlemme e la regione circostante. Qui Matteo prende spunto dall'Apocalisse di Giovanni. Erode è il Drago Rosso che guardava la nascita di Gesù per poterlo divorare. Deluso in questa speranza dalla fuga della donna nel deserto, uccide gli “altri bambini”. Questa semplice trasposizione trasforma la visione fantastica dell'apostolo precedente in un racconto con un aspetto storico.

Quando erano tornati dall'Egitto, adempiendo così alla profezia, “dall'Egitto chiamai mio figlio” (Osea 11:1), Gesù venne ad abitare a Nazaret, adempiendo così la profezia, “sarà chiamato il Nazareno”. [22] Da qui in avanti Matteo si tiene sulla traccia battuta dai suoi predecessori. Aveva sottolineato con forza che Gesù era nato da Messia di Israele, ed era stato fin dal momento del suo ad adempiere profezie. In tal modo aveva brandito randelli contro Marcione, per il quale la nascita di un dio era una cosa molto vergognosa.

Lungi dal considerare assoluto il potere del Figlio di Dio, Matteo lo sottomette alla Legge. Sviluppando alcune righe di Marco, ritrae Satana che incita il Figlio di Dio a far vedere dei miracoli, a cambiare le pietre in pani, a gettarsi nell'abisso dell'aria sicuro della protezione degli angeli. Gesù risponde con due testi della Legge. Quando Satana gli offre tutti i regni della terra e la loro gloria se soltanto adorasse lui, Satana, egli risponde: “Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto”. Il Messia di Israele, il Figlio di Dio, è un discepolo della Legge e un adoratore di Jahvè.

Il Messia venne per abolire la Legge di Israele? Lungi da ciò: venne per realizzarla. Il Gesù di Matteo contraddice il Cristo di Marcione parola per parola (5:17):  
Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti;
non son venuto per abolire, ma per dare compimento.
In verità vi dico:
finché non siano passati il cielo e la terra,
non passerà neppure un iota o un segno dalla legge,
senza che tutto sia compiuto.
La Legge e i Profeti sono perciò i fondamenti del cristianesimo.

Proprio come la vita di Gesù è un'adempimento dell'antica profezia, così anche la vita del cristiano è un adempimento della Legge. Nessun uomo dovrebbe insegnare come insegnò Paolo che, a condizione che i comandamenti principali siano mantenuti, i dettagli della Legge possono essere ignorati.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi,
e insegnerà agli uomini a fare altrettanto,
sarà considerato minimo nel regno dei cieli.
Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini,
sarà considerato grande nel regno dei cieli.
[23]
Il Cristo di Matteo non fa del mantenimento dei dettagli della legge un rimprovero agli scribi e ai farisei (essi hanno ragione a fare così), ma il trascurare la parte principale (23:23): 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, [24]
che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno,
e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge:

la giustizia, la misericordia e la fedeltà.
Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle.
E di nuovo (23:2-3):
 Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei.
Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo...
La minima prescrizione ha la sua importanza. La cosa migliore è  osservarle tutte. Lo spirito di Matteo è quello della Didaché (6:2-3), “Se infatti puoi sostenere interamente il giogo del Signore, sarai perfetto; se non puoi fa' almeno quello che puoi”.

Ma adempiere (πληρῶσαι) è allo stesso tempo realizzare e perfezionare. Il cristiano di Matteo non solo osserverebbe tutti i dettagli della Legge, ma li eseguirebbe in una maniera trascendente (5:20-34):
Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà
quella degli scribi e dei farisei,
non entrerete nel regno dei cieli.

Avete inteso che fu detto agli antichi:
Non uccidere;
chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio.
Ma io vi dico:
chiunque si adira con il proprio fratello,
sarà sottoposto a giudizio.
.....
Avete inteso che fu detto:
Non commettere adulterio;
ma io vi dico:
chiunque guarda una donna per desiderarla,
ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
.....
Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie,
le dia l'atto di ripudio;
ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie,
eccetto il caso di concubinato,
[25]

la espone all'adulterio
e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi:
Non spergiurare,
ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti;
ma io vi dico: non giurate affatto…
[26
La libera e piuttosto audace dottrina del compimento della Legge autorizza il cristiano a fingere un'osservanza della Legge mentre sembra che la infranga, e Matteo è in grado di presentare come la perfezione della Legge la stessa cosa che Marcione aveva avanzato come l'antitesi della Legge. Quindi non passerà uno iota della Legge, ma gran parte di essa sarà considerata lettera morta.

Allo stesso modo, il Cristo di Matteo perfeziona con un tocco di moralità stoica le tre opere tradizionali della pietà ebraica — l'elemosina, la preghiera e il digiuno. Egli prescrive che quelle opere saranno fatte in segreto solo per Dio. È come se avesse in mente il frigio Epitteto, che disse: “Qualora chiudiate le porte e facciate buio all'interno ... Dio è all'interno”. [27
Quando dunque fai l'elemosina,
non suonare la tromba davanti a te,
come fanno gli ipocriti
[28] nelle sinagoghe e nelle strade
per essere lodati dagli uomini.
In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

Quando invece tu fai l'elemosina,
non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra,
perché la tua elemosina resti segreta;
e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

Quando pregate,
non siate simili agli ipocriti
che amano pregare stando ritti
nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze,
per essere visti dagli uomini.
In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

Tu invece, quando preghi,
entra nella tua camera e, chiusa la porta,
prega il Padre tuo nel segreto;
e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

E quando digiunate,
non assumete aria malinconica come gli ipocriti,
che si sfigurano la faccia
per far vedere agli uomini che digiunano.
In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

Tu invece, quando digiuni,
profumati la testa
e lavati il volto,
perché la gente non veda che tu digiuni,
ma solo tuo Padre che è nel segreto;
e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Questa, quindi, è la strada che deve essere seguita da coloro che il Cristo ha separato dagli Ipocriti e dalla Sinagoga, non mediante una nuova via, come l'avrebbe avuta san Paolo, ma tramite il perfezionamento della vecchia vita. La Grazia, che Paolo pose in opposizione alla Legge, in Matteo è opposta al merito soltanto.

Matteo è certo che il Messia di Israele era il primo e l'ultimo Messia per Israele, e mette in risalto Marco su questo punto con vigore. Gesù dice, senza lasciare un'ombra di dubbio, alla donna cananea: “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele” (15:24). Infatti, invia i suoi apostoli solo agli israeliti dispersi (10:5-7, 23): 
Non andate fra i pagani
e non entrate nelle città dei Samaritani;
rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele.
E strada facendo, predicate che
il regno dei cieli è vicino.
....
Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra;
in verità vi dico:
non avrete finito di percorrere le città di Israele,
prima che venga il Figlio dell'uomo.
A questo Avvento gli apostoli saranno posti a capo degli israeliti (19:28):
In verità vi dico:
voi che mi avete seguito,
nella nuova creazione,
[29]

quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria,
siederete anche voi su dodici troni
a giudicare le dodici tribù di Israele.
Non è che fino alla fine del vangelo, dopo il crimine degli ebrei, alla Resurrezione, che Gesù dice ai suoi apostoli (28:18-20):
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato.
 
Nondimeno il pensiero dell'evangelista dev'essere capito. Era stato attento a introdurre nella genealogia di Cristo la Raab cananea e la Rut moabita per dimostrare che gli stranieri erano ammessi nella comunità di Israele e persino nel pedigree del Messia. Con un'adeguata correzione del testo di Marco, egli fa capire che Gesù non lasciò mai il suolo di Israele. Fu la donna cananea a venire dai territori di Tiro e Sidone per implorare un posto sotto i Figli. [30] Riferendosi alla fede del centurione, fa dichiarare a Gesù (8:11):
Ora vi dico che
molti verranno dall'oriente e dall'occidente
e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe
nel regno dei cieli.
La mensa è aperta agli stranieri, ma è la mensa di Abramo. Matteo considera il Regno appartenente di diritto agli ebrei, che permetteranno gentilmente ad altri popoli di entrare.

Il Messia di Israele non fu in grado di radunare attorno a sé tutto Israele, perché Israele è sordo e cieco, come disse Isaia, e perché un rimanente deve essere salvato, come hanno detto i profeti. Solo l'Israele spirituale è in grado di ascoltare la voce del Figlio di Dio. Il Padre fa le sue rivelazioni ai Piccoli, in opposizione al Sapiente e all'Intelligente. Matteo intendeva per i Piccoli i cristiani in generale, mentre Marcione intendeva i cristiani paolini in opposizione agli apostoli rigidi e orgogliosi di Gerusalemme. Il Figlio di Dio offre ai Piccoli di togliere loro il peso della sinagoga, quel giogo pesante che i farisei avevano deposto sul loro collo. Li chiama nei suoi toni dolci e teneri (11:28-30): 
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi,
e io vi ristorerò.

Prendete il mio giogo sopra di voi
e imparate da me, che sono mite e umile di cuore,

e troverete ristoro per le vostre anime.
Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero.
Questo giogo, questo fardello — sono i comandamenti modificati che soddisfano l'antica Legge.

Per quanto riguarda gli uomini istruiti tra gli ebrei — gli scribi e i farisei — essi si sono opposti al Figlio di Dio, hanno bestemmiato lo Spirito Santo attraverso il quale guarì i suoi malati; gli hanno richiesto di dare un segno. Non potevano percepire che la chiamata di Gesù al pentimento era più urgente di quella di Giona al popolo di Ninive, e che la sapienza di Gesù era molto più grande di quella di Salomone che portò da una terra remota la Regina di Saba? Fu dato loro il segno di Giona; Gesù rimase sulla terra per tutto il tempo in cui Giona rimase nel ventre della balena. Erano sordi e ciechi, come era stato previsto. Matteo concorda con Marco nell'adottare la bizzarra dottrina secondo cui Gesù usava le parabole in modo che gli ebrei potessero ignorare il suo significato per la loro perdizione. Matteo intendeva i farisei, perché, dove Marco è antisemita, Matteo è anti-fariseo, ancora più aspramente.

La questione più seria riguardava il modo in cui i cristiani che respingevano le tradizioni degli scribi e dei farisei potevano sapere come vivere per realizzare la Legge. Il Cristo di Marco diede un esempio concreto quando i Farisei rimproveravano ai suoi discepoli di non lavarsi le mani prima di un pasto. Quello, disse lui, era solo il precetto dell'uomo — cioè, faceva parte della Seconda Legge, il recinto che gli scribi e i farisei avevano innalzato attorno alla vera Legge, e “ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata” (Matteo 15:13). Il Cristo di Matteo diede una chiara decisione che mangiare senza lavarsi le mani non contamina un uomo. Ma non dichiara che tutti i cibi siano puliti, [31] né incolpa quei cristiani che desiderano mangiare Kosher. Per quanto riguarda l'osservanza del sabato, Matteo concorda con Marco sul fatto che il Figlio dell'uomo ha potere sul sabato. Ma nei due casi che Marco dà dell'infrazione del sabato Matteo non vede nulla che infranga la Legge. [32] Dimostra di essere uno scriba istruito, che Marco e Marcione non erano.

Il vangelo non pretende di rispondere a domande sulla condotta se non come esempi; non è un Talmud. Chi deve fare questo? È qui che Matteo dimostra di essere il più originale e astuto uomo di chiesa. Nelle comunità in cui Matteo sarebbe stato un direttore spirituale, il grande errore e il pericolo sarebbe stato seguire l'autorità di Paolo e ritenere che la Croce avesse cancellato la Legge. Un altro patrono era necessario, e Matteo offre loro Pietro.

Nel vangelo di Matteo, quando Pietro dice a Gesù: “Tu sei il Cristo”, Gesù non lo rimprovera, come in Marcione, né gli impone il silenzio, come in Marco. Lungi da ciò; Gesù si congratula solennemente con lui e lo ricompensa. Paolo aveva predicato che il Cristo nella carne non doveva essere accettato, solo il Cristo Crocifisso, il Figlio di Dio che Dio gli aveva rivelato. Il Cristo carnale era il Messia ebraico con le sue promesse carnali. Matteo ripete che il Messia israelita è lo stesso Figlio di Dio, e che fu rivelato a Pietro, non per mezzo della carne, ma dallo stesso Dio Padre (16:15-19): 
Disse loro:
Voi chi dite che io sia?
 Rispose Simon Pietro:
Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
E Gesù:
Beato te, Simone figlio di Giona,
perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato,
ma il Padre mio che sta nei cieli.
A causa di questo favore celeste e di questa vera dottrina, Pietro è stabilito come la Roccia del nuovo Israele, in quanto Abramo era la Roccia del vecchio. [33] Riceve il potere di “legare e sciogliere”, cioè di dichiarare obbligatoria o meno ogni osservanza particolare:  
E io ti dico:
Tu sei Pietro
e su questa pietra
(πέτρα) [34] edificherò la mia chiesa
e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.
[35]

 A te darò le chiavi del regno dei cieli,
e tutto ciò che legherai sulla terra
sarà legato nei cieli,
e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
Questo nuovo potere disciplinare, l'unico con la legittimazione del Messia di Israele, era rivale a quello delle chiese paoline tanto quanto a quello di coloro che siedono sullo scranno di Mosè, degli scribi e dei Farisei. Quest'autorità fu conferita a Pietro, vale a dire al gruppo di chiese annesso a Pietro e agli antichi Apostoli. Pietro è una sorta di presidente immaginario di una commissione di scribi cristiani. Gesù ripete ai discepoli riuniti assieme ciò che disse a Pietro (18:18):
In verità vi dico:
tutto quello che legherete sopra la terra
sarà legato anche in cielo
e tutto quello che scioglierete sopra la terra
sarà sciolto anche in cielo.
Pietro e i suoi seguaci hanno allora ricevuto l'autorità di interpretare la Legge. 

Pietro, tuttavia, era stato un fallimento, infatti non aveva lui rinnegato il Cristo tre volte? Matteo non osò sopprimere questo episodio, che simboleggiava, in Marco e in Marcione, la defezione di Pietro ad Antiochia, che è stigmatizzata da Paolo nell'epistola ai Galati, ma la bilancia con un'altra storia simbolica. Vero che Pietro incespicò, ma il Cristo lo aveva resuscitato di nuovo, stendendo la sua mano verso di lui. Da nessuna parte possiamo trovare un esempio migliore del metodo dell'evangelista che in questa allegoria di un'idea in una veste narrativa. [36] Figura come l'aggiunta di Matteo alla storia della passeggiata di Gesù sulle onde (14:27-31):
Ma subito Gesù parlò loro:
Coraggio, sono io, non abbiate paura.

 Pietro gli disse:
Signore, se sei tu,
comanda che io venga da te sulle acque.
Ed egli disse: Vieni!
Pietro, scendendo dalla barca,
si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.

Ma per la violenza del vento, s'impaurì
e, cominciando ad affondare, gridò:
Signore, salvami!
E subito Gesù stese la mano, lo afferrò
e gli disse:
Uomo di poca fede, perché hai dubitato?
In un altro supplemento a Marco Pietro agisce come pastore di Gesù in materia di raccolta del didramma, che era richiesto ogni anno. Pagarlo significa riconoscere che si era ebrei, mentre i cristiani sono figli del Dio di Israele, e sono i farisei ad essere gli stranieri. Non pagare affatto equivale a rinunciare ad ogni comunione con Israele. Quindi è meglio pagare. Niente mostra più chiaramente di questo episodio la tenacia con cui i cristiani aramei ci tenevano alla loro origine ebraica. La fantastica assurdità del dettaglio finale è in linea con le storie rabbiniche (17:24-27): 
 Venuti a Cafarnao,
si avvicinarono a Pietro
gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero:
Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?
Rispose: Sì.

Mentre entrava in casa,
Gesù lo prevenne dicendo:
Che cosa ti pare, Simone?
I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi?

 Dai propri figli o dagli altri?
Rispose: Dagli estranei.

E Gesù:
Quindi i figli sono esenti.
Ma perché non si scandalizzino,
va' al mare, getta l'amo
e il primo pesce che viene prendilo,
aprigli la bocca e vi troverai uno statere.
[37]
Prendila e consegnala a loro per me e per te.
Matteo esaltava Pietro, mentre Marcione e Marco lo avevano umiliato. Al posto di un rinnegato perdonato, ne fa il patriarca dei cristiani, il maestro delle decisioni, l'oracolo degli ortodossi, il vicario autorizzato da Gesù a intercedere tra il Cristo e i fedeli, il simbolo dell'autorità nelle chiese e la pietra fondativa di unione.

La Chiesa che era costruita su questa roccia, come l'aveva in mente Matteo, non era né molto grande né eccezionalmente pura. Era costituita da piccole comunità in cui tutti si conoscevano l'un l'altro, in cui il male si mescolava con il bene, [38] e tutti avevano un uguale diritto di colpa; la Chiesa come corpo non interveniva se non nell'ultimo caso (18:15-17):
Se il tuo fratello commette una colpa,
va' e ammoniscilo fra te e lui solo;
se ti ascolterà,
avrai guadagnato il tuo fratello;

se non ti ascolterà,
prendi con te una o due persone,
perché ogni cosa sia risolta
[39]
sulla parola di due o tre testimoni.

Se poi non ascolterà neppure costoro,
dillo alla Chiesa;
e se non ascolterà neanche la Chiesa,
sia per te come un pagano e un pubblicano.
Il pagano e il pubblicano, cari al cuore di Marcione, erano intoccabili per Matteo. Matteo ripete i precetti selvaggi di Marco quanto a strapparsi un occhio, ecc., ma è consapevole dei pericoli delle scomuniche e mostra il suo significato nella parabola della Zizzania (13:24-30). Il nemico semina zizzania nel campo di grano di Dio, e cresce con il grano buono. Se le zizzanie vengono strappate, anche il buon grano viene sradicato. Lasciali fino al Giudizio che è alle porte. Allora le zizzanie saranno legate in fasci e bruciate, mentre il grano buono sarà raccolto nel fienile.

Questo Messia che mantiene il suo sentiero terreno di Maestro umile e mite, quando tornerà sopra le nubi, da sinistro Re venuto per il Giudizio? Matteo colpisce l'antica nota di attesa, la speranza febbrile di un trionfo imminente, che aveva prodotto il cristianesimo. [40] Marco aveva preparato i suoi ascoltatori per il martirio, piuttosto che per il Millennio. Matteo, al contrario, fa rivivere l'antica febbre delle Apocalissi e sottolinea la Venuta del Signore, piuttosto che il Martirio della Grande Tribolazione. Trova nuove parabole per insegnare che la guardia deve essere incessante, e che il cuore fedele deve essere sempre pronto all'imprevisto (25:1-12): 
Il regno dei cieli è simile a dieci vergini
che, prese le loro lampade,
uscirono incontro allo sposo e alla sposa.
[41]
Cinque di esse erano stolte e cinque sagge;

le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio;
le sagge invece,
insieme alle lampade,
presero anche dell'olio in piccoli vasi.

Poiché lo sposo tardava,
si assopirono tutte e dormirono.
A mezzanotte si levò un grido:
Ecco lo sposo, andategli incontro!

Allora tutte quelle vergini si destarono
e prepararono le loro lampade.
E le stolte dissero alle sagge:
Dateci del vostro olio,
perché le nostre lampade si spengono.

Ma le sagge risposero:
No, che non abbia a mancare per noi e per voi;
andate piuttosto dai venditori e compratevene.

Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio,
arrivò lo sposo
e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze,
 e la porta fu chiusa.

Più tardi arrivarono anche le altre vergini
e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici!
Ma egli rispose:
In verità vi dico: non vi conosco.
La fine è alle porte. Il grande segno sta per essere visto. Matteo ripete, ma in termini meno impliciti, l'allusione di Marco alla predetta profanazione del Tempio di Gerusalemme (24:15-16):
Quando dunque vedrete l'Abominio della Desolazione,
di cui parlò il profeta Daniele,
stare nel luogo santo -
chi legge comprenda ...
Il suo vangelo non poteva essere apparso parecchio tempo dopo quello di Marco, né molto tempo dopo l'anno 135. Gli ebrei sono ancora all'ombra della terrificante realizzazione della profezia di Daniele; sul Tempio era stato innalzato l'altare di Abominio. Nella mente di ogni uomo c'era la distruzione di Gerusalemme da parte degli eserciti di Adriano, il massacro dei suoi abitanti e la persecuzione dei cristiani da parte del falso Cristo ebraico. Matteo aggiunge alla parabola degli ospiti che non verranno alla festa una violenta nota forzata; gli ospiti invitati (gli ebrei) afferrano i messaggeri, li insultano e li uccidono (22:6-7):
Allora il re si indignò
e, mandate le sue truppe,
uccise quegli assassini
e diede alle fiamme la loro città.
I fedeli devono essere pazienti. Subito dopo l'ultima piaga, il Figlio dell'Uomo verrà nella sua potenza e nella sua gloria. Manderà degli angeli per riunire gli eletti al richiamo della tromba. I suoi colpi cadranno pesantemente sui nemici più odiati dall'autore. Per Giovanni questi erano i Nicolaiti; per Matteo erano gli scribi e i farisei (23:33): 
Serpenti, razza di vipere,
come potrete scampare dalla condanna della Geenna?
Dopo questo l'evangelista cerca ispirazione in un passo dell'apocalisse di Enoc per raffigurare un quadro emozionante del giudizio finale. Non è un teologo della predestinazione. È un fervente omelista, ossessionato dalla ricompensa per le opere, ed è l'inventore di uno splendido piano: che ogni carità fatta a uno sfortunato cristiano è fatta a Gesù stesso (25:31-40): -
Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria
 con tutti i suoi angeli,
si siederà sul trono della sua gloria.
E saranno riunite davanti a lui tutte le genti,

 ed egli separerà gli uni dagli altri,
come il pastore separa le pecore dai capri,
e porrà le pecore alla sua destra
e i capri alla sinistra.

 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra:
Venite, benedetti del Padre mio,
ricevete in eredità il regno preparato per voi
fin dalla fondazione del mondo.

Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,
ho avuto sete e mi avete dato da bere;
ero forestiero e mi avete ospitato,
nudo e mi avete vestito,
malato e mi avete visitato,
carcerato e siete venuti a trovarmi.

Allora i giusti gli risponderanno:
Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare,
 assetato e ti abbiamo dato da bere?
Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato,
o nudo e ti abbiamo vestito?
E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?

Rispondendo, il re dirà loro:
In verità vi dico:
ogni volta che avete fatto queste cose
a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l'avete fatto a me.
La Passione era il culmine del vangelo di Marco, ma in Matteo è poco più di un epilogo. Matteo segue Marco molto da vicino, sebbene inserisca alcune caratteristiche nuove per enfatizzare l'adempimento della profezia, per indicare una nuova morale, in risposta a un'obiezione, o per dare alla storia un aspetto romantico e meraviglioso. All'arresto, quando un discepolo estrae una spada e colpisce lo schiavo del sommo sacerdote, Gesù gli disse (26:52-54):  
Rimetti la spada nel fodero,
perché tutti quelli che mettono mano alla spada
periranno di spada.

Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio,
che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?
Ma come allora si adempirebbero le Scritture,
secondo le quali così deve avvenire?
Questo Messia che non farà uso del suo potere è meno toccante del tremante ma risoluto martire di Marco.

Quando Gesù arriva davanti al tribunale romano, la moglie di Pilato viene avvertita in un sogno che Gesù è uno dei giusti. Pilato si lava le mani davanti alla folla per dimostrare che è innocente di questo sangue. La morte di Gesù è responsabilità degli ebrei soltanto. Gridano: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli!” Così i fiumi di sangue ebraico versati nella rivolta di Bar-Kochba furono per il nostro evangelista la giusta punizione dei deicidi.

Alla morte di Gesù, quando il velo del Tempio è reciso (27:51-53): 
La terra si scosse,
le rocce si spezzarono,
i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti resuscitarono.
E uscendo dai sepolcri, dopo la sua resurrezione,
entrarono nella città santa e apparvero a molti.
Quei morti risorti erano, secondo Ignazio (Magnesiani 9), i profeti di Israele. Sono risorti per seguire il trionfo del Messia di Israele, il Conquistatore della Morte.

Tutti i tipi di dettagli sono inseriti nella storia della tomba vuota al fine di soddisfare le obiezioni ebraiche che Marco non aveva previsto. Così:

Accusa: i discepoli vennero di notte a portare via il corpo. 
Difesa: impossibile. Una guardia ebraica fu posta alla tomba e la pietra sigillata. 
Accusa: In questo caso i soldati avrebbero visto ciò e avrebbero riferito loro. 
Difesa: Riportarono loro ai sommi sacerdoti, che li corruppero con parecchio denaro per dichiarare che mentre dormivano i discepoli avevano rubato il corpo. “Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi” (27:15). Matteo sapeva, quindi, quale era la polemica ebraica contro i vangeli.

Gesù apparve alle donne di Gerusalemme e poi agli apostoli in Galilea. Li incaricherà di predicare il suo insegnamento a tutti i popoli e termina con quelle parole di incoraggiamento:
Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo.
Il vangelo di Matteo è un autentico Pentateuco cristiano che fu scritto per le chiese aramee che dovevano resistere fino al completamento dell'Età. Doveva aiutarli a guadagnare seguaci tra gli ebrei a scapito delle sinagoghe e a condurli al vero Messia di Israele. Questo era il codice religioso del giudeo-cristianesimo, ma questa specie di cristianesimo non era destinato a durare a lungo. Anche nella Siria eufrasiana e in Osròene l'afflusso dei cristiani gentili cambiò presto l'aspetto esteriore e lo spirito interiore delle chiese. Nel quarto secolo costituiva una vera curiosità trovare presso Berea Chabylis una vera chiesa in stile matteano in cui si parlava l'aramaico, che era allo stesso tempo israelita e anti-farisaica, e che usava regolarmente il testo originale di Matteo.

Nella sua nobile e corretta versione greca questo vangelo era diffuso dalla potente chiesa di Antiochia ed era ampiamente accolto con ammirazione e rispetto come opera di uno dei Dodici Apostoli. In questo modo tendeva a soppiantare e a sopprimere il lavoro di Marco; era più completo, meglio organizzato, più chiaro, più completamente attrezzato e meglio documentato, e per molte chiese il meno paolino dei vangeli divenne il vangelo principale.

In Siria era chiamato “il Vangelo del Signore” nella Didaché che fornisce una sorta di codice amministrativo ad esso complementare, ad esempio: “I vostri digiuni, poi, non siano fatti contemporaneamente a quelli degli ipocriti; essi infatti digiunano il secondo e il quinto giorno della settimana, voi invece digiunate il quarto e il giorno della preparazione. E neppure pregate come gli ipocriti, ma come comandò il Signore nel suo vangelo, così pregate: Padre nostro…”. [42]  Poi segue il Padre Nostro secondo san Matteo.

In Asia i cristiani di Smirne furono elogiati da Ignazio di Antiochia [43] perché erano chiaramente convinti “che nostro Signore è veramente della stirpe di Davide secondo la carne, Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, nato realmente dalla vergine, battezzato da Giovanni, perché ogni giustizia fosse compiuta da lui”, una certa allusione al vangelo di Matteo. In Frigia Papia dedicò un'Esegesi in cinque libri ai Detti del Signore, che erano stati organizzati da Matteo in cinque grandi discorsi.

In nessun luogo il vangelo secondo Matteo incontrò un benvenuto più caloroso che a Roma. La Chiesa romana amava il suo tono grave e maestoso, la sua aria biblica, la sua visione pratica e il suo senso ecclesiastico. Approvò questo vangelo come reazione contro le audacie marcionite mostrando che Gesù era veramente il Messia promesso di Israele, dandogli vera carne e vero sangue, una vera nascita, e tuttavia preservando la sua natura di Figlio stesso di Dio. Una cosa in particolare lo collocò in prima fila. La Chiesa romana sosteneva che Pietro fosse il suo fondatore. Tutto ciò che aumentava l'autorità di Pietro, aumentava l'autorità romana. Il potere disciplinare che Matteo aveva costruito per l'uso della cerchia di piccole chiese in Oriente fu afferrato da Roma per il suo stesso ingrandimento. Inconsciamente l'evangelista del giudeo-cristianesimo aveva fatto un dono di vaste potenzialità a una chiesa della cui esistenza era probabilmente ignara o, in ogni caso, che si trovava oltre l'orizzonte della sua considerazione.

NOTE


[1] Eusebio, Hist. Eccl., 3:39. Si veda B. W. Bacon, Studies in Matthew; Londra, 1930, pag. 439-441—un lavoro di cui ho fatto parecchio uso.

[2] In un'epistola rivolta apparentemente ai cristiani di Asia Minore, Pietro disse  (1 Pietro 5:13): “Vi saluta [la Chiesa] che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia [Roma]; e anche Marco, mio figlio”.


[3] Eusebio, Hist. Eccl., 1:13. Lo strano passo in Matteo (4:24), “la sua fama si sparse per tutta la Siria”, venne inteso forse a sostegno di questa leggenda.


[4] Lipsius, Die apokryphan Apostelgesdrichten; Braunschweig, 1883- 1887.


[5] Girolamo, Comm. in Isaiah; P. L. pag. 24, 122s, 126, 128, 348, 369; citato da B. W. Bacon, Studies in Matthew.


[6] Si veda F. C. Burkitt, The Gospel History and its Transmission; (1911, pag. 172).


[7] I Cinque Libri di Matteo sono preceduti da un Prologo (l'Infanzia di Gesù) e terminati da un Epilogo (la Passione). Ciascun “libro” finisce con le parole “Ed avvenne che quando Gesù ebbe finito...” (7:28-29; 11:1; 13:53; 19:1; e 26:1).


[8] Matteo 9:9; 10:3. Lo stesso Matteo fu usato come un'autorità per il vangelo ebionita.


[9] Eusebio, Hist. Eccl., 3:39; legge συvετάξατο.


[10] Eusebio, Quaest. ad Marinum, P. G. 22. c. 941 (Matteo 28:1; ὀψέ σαββάτωv cattiva glossa greca); In Isaia 77:2, P. G. 23. c. 904 (Matteo 13:35: il greco è una cattiva traduzione del Salmo); Theophania, versione siriaca, Gressmann, Eus. Werke, 3. 2, pag. 183 (Matteo 33: alcune parole omesse in greco); Theophania, secondo Niceta di Eraclea, P. G. 24. c. 685 s. (Matteo 25:14-30, una parabola mal bilanciata in greco, il servo punito del verso 30 nel testo originale aveva dissipato i beni del suo padrone). Si ritiene che le glosse su alcuni manoscritti che portano la nota τὸ Ιουδαικόv (Schmidtke, Judenchristliche Evangelien, Leipzig, 1911) derivino dall'aramaico. Girolamo confuse il problema affermando, con la sua solita impudenza, che egli stesso aveva tradotto dall'originale di Matteo i frammenti che egli citava da Origene, che quest'ultimo aveva preso dal vangelo ebionita (Bacon).


[11] Matteo 23:34: “Io vi mando profeti, sapienti e scribi”.


[12] Eunuco è usato allegoricamente per celibati volontari come lo intendeva Marcione (Origene, Comm. in Matt., 3:133. 


[13] Matteo 4:14; 8:17; 12:17; 13:14; 13:35; 21:4; 26:24; 26:31; 26:54, 56; 27:9.


[14]  Apocalisse 5:5; 22:16. L'espressione “nato dallo sperma di Davide secondo la carne” attribuita a Paolo (Romani 1:3) non appare nella prima edizione delle epistole.


[15] Vita Numae, 4.


[16] Il nome di Giuseppe dato al padre nominale di Gesù è dovuto senza dubbio al credo ebraico in un Messia il figlio di Giuseppe che doveva essere ucciso e impalato (Zaccaria 12:10-14 nel Talmud di Babilonia, Sukkah, Fo. 52a).


[17] Alcuni antichi manoscritti (Ferrara, antiche versioni latine e siriache del Sinai) recitano, “Giuseppe, a cui era promessa la vergine Maria, generò Gesù che chiamò Cristo”. In questo passo, se è originale, “generò” implica semplicemente paternità agli occhi della legge, come è mostrato dalla menzione della vergine fidanzata e dal contesto. 


[18] Spiega il nome di Gesù, che significa Salvatore (si veda 1 Tessalonicesi 9-10) e l'applicazione a Gesù del salmo 130:8 (detto a proposito di Jahvè): “Egli redimerà Israele da tutte le sue iniquità”.


[19] Isaia 8:10. La parola vergine appare solamente nella Septuaginta, e l'idea di una nascita miracolosa è estranea al contesto. Per Matteo Emmanuele è equivalente nel significato a Gesù.


[20] Così in k e nel siriaco del Sinai. Gli altri manoscritti aggiungono, “ma egli non la conobbe, finché ella ebbe partorito il suo figlio”.


[21] Cicerone, De Divin., 1:47.


[22] Profezia sconosciuta. Forse un riassunto aramaico di un passo di Giudici 13:7: “Il bambino sarà un nazireo, consacrato a Dio”. Nazir = santo. Nazoreo sembra essere l'antico titolo cultuale per Gesù.


[23] Matteo 5:19. L'epistola di Giacomo dice ancor più chiaramente (2:10): “Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto”.


[24] Matteo, com'era sua abitudine, pose in un unico discorso due diatribe contro i farisei che in Marcione sono separate.


[25] Matteo qui corregge Paolo, Marcione, e Marco stabilendo il divorzio.


[26] Pur di mostrare le perfezioni della Legge, Matteo fa uso di un passo in Marcione che mostra le antitesi della Legge, e, per la proibizione di fare un giuramento, egli ricorre all'epistola di Giacomo, 5:12.


[27] Arriano, 1:14.


[28] Come si spiega nella Didachè, gli Ipocriti sono gli ebrei ortodossi (8:1).


[29] Un'espressione stoica utilizzata nella traduzione greca di Matteo per indicare il Giudizio.


[30] Matteo 15:22 che corregge Marco 7:24 in cui Gesù si recò a Tiro e a Sidone.


[31] Marco 7:19 καταρίζων si applica a  λέγει. Si veda Origene, In Matt. 1, 11:12. Questa frase è soppressa da Matteo.


[32] Confronta Matteo 12:1-14 (ἔξεστιv) con Marco 2:23-3:6. Si noti anche l'aggiunta di Matteo a Marco: “Pregate perché la vostra fuga non accada d'inverno o di sabato(24:20).


[33] Isaia 51:1. Si veda Schechter, J.Q.R.; Aprile 1900, pag. 4285.


[34] Un gioco di parole aramaico che è tradotto approssimativamente in greco.


[35] Ossia, la Chiesa di Pietro e nessun'altra perdurerà fino alla fine dell'Età; si veda 28:20.


[36] Esiste lo stesso simbolismo in un racconto buddhista. Uno dei discepoli del Buddha stava camminando lungo un fiume allo scopo di venire ad ascoltare il suo Maestro. A metà percorso è colto da paura per le onde impetuose ed è sul punto di annegare, ma è salvato dalla fede nel potere del Buddha (J. E. Carpenter, Buddhism and Christianity, 1923, pag. 173).
 

[37] Uno statere valeva esattamente due didrammi ad Antiochia e a Damasco (Streeter, The Four Gospels; Londra, 1926, pag. 504).

[38] Tra quelli invitati alla festa c'erano “buoni e cattivi” (22:10).


[39] Come in Deuteronomio 19:15.

[40] Matteo interpola una predizione dell'imminenza dell'Avvento in un passo dove Marco non ne menziona (Marco 13:9-13; Matteo 10:23).


[41] Testo di D, fam. I, Siriaco del Sinai, probabilmente l'originale (F. C. Burkitt, in J. Th. St., 1928, 384-386).


[42] Didachè, 8.


[43] Ignazio, Smirne, 1.

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