lunedì 5 novembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»Le Apocalissi (168 A.E.C. — 40 E.C.) (III): Il sogno di Daniele


LE APOCALISSI
(168 A.E.C. — 40 E.C.)

III

IL SOGNO DI DANIELE

Il libro di Daniele derivò dalla stessa esaltazione, ma possiede più senso. Mentre i ribelli stavano combattendo e gli arpisti assediavano Jahvè con i loro appelli ritmici, uno scriba seguiva al riparo dalle sorti del conflitto e meditava. Egli ascoltava l'acuto grido del salmista: “Noi non vediamo più nessun segno; non c'è più profeta, né chi tra noi sappia fino a quando!

La leggenda meravigliosa di Daniele, più angelo che uomo, protettore di uomini saggi e di interpreti di sogni, che dimorò alla corte di Nabucodonosor, era ben conosciuta, e, stupefacente a dirsi, la leggenda era raccontata in tale maniera che gli eventi reali venivano predetti esattamente! Quanto era sorprendente ascoltare che le settanta settimane al termine delle quali Jahvè si sarebbe manifestato e Israele sarebbe stato salvato secondo la profezia di Geremia, erano settanta settimane di anni. Ecco, il momento era giunto! Con quale estasi di ammirazione, con quali ringraziamenti a Dio, il popolo apprese che Daniele aveva predetto tutto, perfino nei dettagli degli atti dei re di Siria ed Egitto, le loro spedizioni, e i loro matrimoni. Qui si annunciava con esattezza impressionante l'insediamento nel Tempio di quell'abominio disgustoso e crudele che infettò e desolò la Terra Santa, e, anche, la purificazione 1290 giorni dopo. Perché avevano appena visto tutto loro stessi!

E d'ora in poi? Ah! Felice sarebbe colui che dovesse contare 1335 giorni in più! Michele, l'angelo guardiano degli ebrei, è al suo posto, pronto a terminare gli annali delle nazioni. Un'ultima tribolazione, la più grande di tutte, sta per piombare su di loro, un tempo di angoscia tale come nessuno l'aveva mai conosciuto.

Che cosa allora? In 1335 giorni quei buoni israeliti i cui nomi sono scritti nel libro del Cielo saranno salvati per sempre. I loro corpi diventeranno incorruttibili come i corpi delle stelle. E neppure soltanto i vivi testimonieranno questo cambiamento. Si vedrà una potente meraviglia. I più grandi eroi e più famigerati rinnegati che moriranno nel conflitto vivranno ad un tratto di nuovo, i primi per la vita eterna e gli ultimi per un'eterna infamia. Le ingiustizie della Morte saranno ripagate.

La data di questo testo memorabile è evidente: la morte di Antioco Epifane (164 A.E.C.) è l'ultimo evento predetto. L'autore che rese chiaroveggente Daniele è, naturalmente, sconosciuto. Mi aspetto che fosse uno di quei saggi di cui egli aveva un'opinione così alta, che dovevano diventare stelle eterne. [1] Egli è ben versato in tutte le strani tradizioni di Babilonia, in particolare nella divinazione tramite sogni. 

Per questo visionario, allora, quello che deve giungere poco dopo la vittoria di Giuda il Maccabeo non è in alcun senso umano la liberazione degli ebrei e un governo nazionale. È una rivoluzione cosmica in cui i viventi si rivestiranno di gloria e i morti risorgeranno di nuovo. Qui abbiamo esposta la grande visione che, mai realizzata, sarà veicolata in avanti da un'età ad un'altra fino alla sua evoluzione nella rivelazione cristiana.

Come demiurgo di questa metamorfosi del mondo vi nasce al fianco di Jahvè una figura pallida che deve diventare Gesù.

In un sogno sorge questa figura, un sogno ritenuto di Daniele, un sogno il cui autore ignoto forse sperimentò lui stesso. È un sogno lungo, in cui il dormiente non è inattivo, ma, sebbene addormentato, è ansioso di vedere e comprendere tutto ciò che gli mostrano “le visioni della sua mente”. È un sogno sublime, in cui, celata in forme fantastiche e impressionanti, si dispiega la storia del mondo, proprio come l'autore immagina che sia.
 Io guardavo, nella mia visione notturna,
ed ecco scatenarsi sul mar Grande
i quattro venti del cielo
(Daniele 7:2).

I quattro venti daranno luogo a quattro bestie. Quelle sono i quattro grandi imperi che si succedettero l'un l'altro. Il primo è un Leone Alato, Babilonia. Il veggente lo segue finché gli sono tolte le ali e sta in piedi sulle sue zampe posteriori come un cucciolo obbediente.

Il secondo è l'Orso di Media e Persia. Nelle sue fauci tra i suoi denti ci sono tre costole che gli gridano: “Àlzati, mangia molta carne!”.

Il sognatore osserva di nuovo, e assiste ad Alessandro il Grande, una Pantera con quattro teste e quattro ali, poiché altrettanti regni provenivano da lui.

Il sognatore cerca inoltre nelle visioni notturne, e discerne l'ultima bestia, la più orrenda, il re di Siria.
Aveva grossi denti di ferro;
divorava, sbranava
e stritolava con le zampe ciò che restava.
Le sue dieci corna sono dieci re successivi. Ecco, e osserva l'undicesimo corno, Antioco Epifane, la Manifestazione di Dio, il grande blasfema.

La misura è colma. Nel sogno giungono troni in preparazione per il gran Giudizio. Un Antico dei Giorni si siede; egli è Dio.
La sua veste era candida come la neve
e i capelli del suo capo erano candidi come la lana;
il suo trono era come vampe di fuoco
con le ruote come fuoco ardente.
Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui,
mille migliaia lo servivano
e diecimila miriadi lo assistevano.
Il Giudizio prende luogo. I testi si aprono. La bestia Antioco aumenta la sua spavalderia e il suo vano orgoglio, ma è uccisa, smembrata, e consegnata alle fiamme. Le altre bestie sono tenute vive; esse disputeranno l'ultima battaglia di cui predisse Ezechiele.

Ora risuona l'ora del trionfo degli ebrei. Israele è intronizzato. Una figura umana giunge al posto delle bestie mostruose. Questa è la celebre visione che dette origine al cristianesimo. 
Io guardavo nelle visioni notturne,
ed ecco sulle nubi del cielo venire
uno simile a un Figlio dell'Uomo;
egli giunse fino all'Antico di Giorni
e fu fatto avvicinare a lui.
A lui fu dato dominio, gloria e regno,
perché tutti i popoli, nazioni e lingue lo servissero;
il suo dominio è un dominio eterno che non passerà,
e il suo regno è un regno che non sarà mai distrutto.
Quanto a me, Daniele, il mio spirito rimase addolorato nell'involucro del corpo
e le visioni della mia mente mi turbarono
(Daniele 7:2-15).
Un Figlio dell'Uomo in aramaico, nella cui lingua si descrive la visione, è un'espressione consueta per un uomo. Il sognatore non vede un uomo reale. Egli vede una figura di sogno simile ad un uomo, proprio come le figure precedenti erano simili a bestie. Il nuovo impero che simboleggia differisce dall'impero travolto come l'uomo differisce dalla bestia. Questo Uomo non scaturisce dal Mare, madre dei nemici di Dio. Questa figura giunge sulle nubi del cielo che sono il carro [2] di Jahvè. Quel che rappresenta non viene vomitato dall'Abisso come gli imperi pagani, ma è il frutto del Cielo.

L'interpretazione è data chiaramente due volte. Questo è l'impero dei santi, ossia, gli ebrei eletti, incarnati nella gloria e rivestiti del dominio universale da Jahvè. Essi si chiamano “i santi dell'Altissimo”. Gli altissimi (al plurale) sono i cieli più elevati dell'astrologia babilonese. I santi sono di origine celeste. Quella è la ragione per cui il loro dominio è quello di Dio.
I santi dell'Altissimo riceveranno il regno
e lo possederanno per sempre,
per l'eternità.
 Poi il regno, il dominio e la grandezza
dei regni sotto tutti i cieli
saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo;
il suo regno è un regno eterno,
e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno.
[3]
Il Figlio dell'Uomo è solo un simbolo, come il Leone e l'Orso e la Pantera. Egli non è un angelo, e neppure un dio, e neppure un uomo. Egli è un segno in un sogno. L'intera cosa significa che gli eroi devono essere trasfigurati, gli ebrei vittoriosi. [4] Il significato è lo stesso come in un altro sogno, causato da un'ossessione per il terribile idolo nel Tempio. I quattro imperi vi sono rappresentati da una statua di quattro materiali diversi e gli ebrei da una pietra che è scagliata e colpisce i piedi di ferro e di creta e li demolisce. Sotto questo colpo, ferro, bronzo, argento, e oro cadono a pezzi. Essi sono dispersi e dispersi come pula sulle aie d'estate. La pietra cresce e cresce finché diventa una montagna che copre la terra intera. L'uomo in un sogno, la pietra in un altro — quelli sono simboli. Sarebbe un'assurdità impressionante immaginare che l'autore di Daniele credesse nell'esistenza di un Uomo Celeste, a fianco di Jahvè, nella sfera Più Alta.

Eppure è stato fatto. L'errore è stato incredibilmente prolifico di ulteriori errori. Se la gravità degli eventi dovesse essere misurata in base alle loro conseguenze, scarsamente si scoprirà un evento più grave di quello del sogno immaginato una notte limpida tra il calore e la fragranza della vittoria, sotto le mura del Tempio riconquistato, da un astrologo ebreo di cui non conosciamo il nome.

NOTE

[1] Daniele 11:33 (“quelli che hanno sapienza”); 12:3 (“quelli che sono saggi…”).

[2] Isaia 19:1 (Jahvè su una nube leggera).

[3] Daniele 7:18, 27.

[4] Daniele 2. 

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