sabato 17 novembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»I Vangeli (130 E.C. — 150 E.C.) (I): Le province cristiane

L'agnello sacrificato

I VANGELI
 (130 E.C.—150 E.C.)

I

LE PROVINCE CRISTIANE

L'antica energia e il rapido sviluppo del cristianesimo si dovevano ai profeti, ma se avessero perdurato assai più a lungo avrebbero causato la sua morte imminente. Nella stessa rapidità in cui le chiese si moltiplicavano, il numero dei profeti cresceva in progressione geometrica; e la profezia non tollera mediocrità. Paolo e Giovanni furono i tedofori della processione, e dopo di loro sopraggiunse una gran moltitudine di profeti minori, che non lasciarono nessuna traccia. Le loro ispirazioni più elevate sarebbero state perse completamente se non fosse stato per la fioritura dei vangeli.

Il dono profetico è un principio di anarchia. Ciascun profeta è ispirato divinamente, perciò dell'autorità più alta. Dove discordavano le loro ispirazioni divine, ci fu una disputa, e non si poteva sviluppare nessun accordo comune. Ciò che avrebbe portato alla fine dei profeti ebrei di sei secoli prima ora portò ad una fine i profeti cristiani. Il Signore tardava ad arrivare; l'ekklesia che aspettava ansiosamente l'Avvento diventò sovraffollata e i loro adepti difficili da controllare. Riorganizzazione o bancarotta divennero la parola d'ordine.

Nel 170, quando Montano e due profetesse disturbarono la calma delle chiese, essi furono abbastanza forti da resistere a quei dissidenti. Essi potevano opporre un'autorità innegabile alla vivente ispirazione dei profeti. Per ciò era necessario un Libro — non le ingenue apocalissi che precedevano il cristianesimo — qualcosa di nuovo ed incomparabilmente efficace, i vangeli della Vita e dell'Insegnamento del Signore Gesù. Essi devono essere stati il frutto di molto processo ed esperimento.

Il mezzo secolo dal 70 al 120 è il periodo più oscuro nella Storia del cristianesimo. A malapena vi esiste un documento di qualche importanza, poiché le lettere di Clemente e di Ignazio, che sono state riferite a quel periodo, appartengono propriamente al 150 circa. [1] I figli della generazione che conobbe Giovanni e Paolo sono immersi nell'oscurità. C'è un lungo intermezzo. Quando la cortina si solleva ancora una volta, siamo nell'anno 111, e la scena è in Bitinia e Ponto, la provincia di Plinio il Giovane, che esprime il suo stupore nel trovare la regione infestata da gente che avrebbe dovuto essere condannata a morte. Ora per parecchi anni è stato a Gerusalemme il centro del cristianesimo. Quella città si sta riprendendo lentamente dalla sua distruzione da parte di Tito. La Chiesa ha quattro province — Roma, Alessandria, Antiochia, ed Efeso.

Il nucleo dei credenti si devono trovare in Asia Minore, con Macedonia e Grecia come appendici. Era qui che nei giorni passati Paolo e Giovanni avevano predicato con successo. A Efeso e nell'Asia proconsolare gli Anziani raccontano di reminiscenze di Giovanni che sfumano nella leggenda. Quella turbolente, intelligente città di Efeso, i cui abitanti sono spinti da fervore religioso, dove i devoti di Cristo competono coi discepoli del Battezzatore, dove l'ebreo disturba il samaritano, deve produrre un successore anonimo per Giovanni, un uomo di sentimento più profondo e di pensiero più profondo, proprio come al primo Isaia succedette un secondo. I viaggi luminosi di San Paolo avevano gettato una luce forte e perdurante sulla terra greca. A partire dal Ponto doveva scaturire un successore per Paolo altrettanto audace, altrettanto ispirato, e perfino più aggressivo del suo maestro.

Antiochia, una città di cultura greca, era ai confini della regione aramea che risiede attorno a Berea (Aleppo), Ierapoli, Nisibe, Edessa, e le frontiere contese tra romani e parti. Fu particolarmente in questa parte aramea della Siria bilingue, popolata ampiamente da ebrei da una data antica, piuttosto che nella parte greca, che il cristianesimo prese una forte presa. Il suo aspetto qui fu più di una specie di ebraismo riformato; esso tenne vivo lo spirito di Giacomo. La Bibbia venne tradotta in aramaico e illustrata con commentari ragionevoli fusi a racconti incredibili. Il cristianesimo siriano diventò austero, ma non ascetico, e fortemente mistico, enfatizzando l'aspetto morale e pratico della fede. Esso cercò espressione in frasi impressionanti, derivazioni nuove di sapienza tradizionale, e in una poesia di una bizzarra qualità lirica come per esempio l'epistola attribuita a Giacomo da una parte e le odi attribuite a Salomone dall'altra. Il capolavoro siriano sarà il vangelo di san Matteo, accompagnato dalla Didaché, o L'Insegnamento dei Dodici Apostoli, un piccolo manuale di dottrina rituale e morale. 

Il cristianesimo tenne una posizione brillante ad Alessandria, quella città mista, in parte greca, in parte ebraica, ma una città instabile tra il culto di Jahvè e i Misteri di Iside; fu invasa dal diluvio di speculazioni allegoriche e teosofiche scaturite da Filone e dalla ciarlataneria di un popolo troppo sottile di commercianti. L'imperatore Adriano scrisse da Alessandria a Serviano: “Tutti coloro che qui, adorano Serapide, sono cristiani, e persino quelli che vengono chiamati vescovi sono legati al culto di Serapide. Non v’è capo rabbino, samaritano, sacerdote dei cristiani, matematico, indovino, bagnino, che non adori Serapide. Lo stesso patriarca degli ebrei adora indifferentemente Serapide e il Cristo.... Questa gente non ha altro dio che il Denaro: questo è il dio dei cristiani, degli ebrei e di tutti i popoli”. [2] Il cristianesimo alessandrino è una Gnosi, una conoscenza preziosa e raffinata tra gnostici rivali o associati. Intorno a questo tempo diede origine all'epistola attribuita a Barnaba, in cui l'esegesi allegorica della Bibbia sfiora il delirio, e le speculazioni gnostiche di Basilide e di Valentino, le quali, non essendo state accettate dalle chiese, sono state perse per noi. 

Il cristianesimo fu bandito a Roma, la capitale dell'Impero, e perciò vi corse pericoli più grandi che altrove. A dispetto del sostegno di poche famiglie consolari la comunità romana fu sempre in guardia, in dissimulazione adeguata e paziente in forza d'animo. Sebbene ai ferri corti con la comunità ebraica, il cui status legale i cristiani invidiavano, essa trattenne un aspetto ebraico che la alleava alle chiese siriane, e, al pari di loro, richiese ai suoi membri di astenersi dal mangiar carne che non fosse stata soffocata ritualmente, separandoli così da una comune vita romana. [3]

Durante questo periodo la Chiesa nel suo complesso fu lontana dall'essere omogenea e a volte fu dilaniata perfino da un conflitto interno. Già nei giorni di Nerone una discordia tra i fedeli aveva portato alla morte di Cefa-Pietro e a quella di Paolo [4] riconciliandoli così in una apoteosi comune. Il nucleo dell'appartenenza alla Chiesa era formato da stranieri giudaizzanti come per esempio greci e orientali di umile condizione, la cui lingua comune era il greco. Amavano ascoltare l'ex schiavo, l'arcadiano Ermas, mentre balbettava delle visioni che gli apparvero sulla sua via alla sua dimora di campagna. I romani della città e gli africani si tenevano a parte poiché parlavano latino e mostravano uno spirito diverso, più realistico e amministrativo. La loro importanza crebbe, comunque, finché si presero cura degli affari nel 189. Gli ebrei e greci convertiti, [5] ardenti studiosi della Bibbia, formarono una piccola élite, orgogliosi della loro cultura elevata. Stancati da persecuzioni e da incertezza dottrinale, non erano tentati spesso di ritornare all'ebraismo? A loro si rivolgeva l'epistola agli Ebrei sotto un leggero velo di finzione. Da tutte le parti del mondo romano, i cristiani giungevano alla Città Eterna, recando con loro le dottrine e i riti caratteristici della chiesa della regione da cui provenivano. Alcuni, come per esempio gli asiatici, formarono comunità speciali. [6]

Alla Chiesa romana toccò il ruolo di arbitro tra loro, col dovere di ottenere uniformità, se possibile.
Non c'era ancora nessuna autorità centrale in alcuna chiesa. Ciascuna era amministrata come un tempo, da anziani. Non accadde finché i Corinzi non stabilirono un episcopato con solo un individuo al vertice — e nel fare così rifiutarono parecchi vescovi venerabili, per cui la Chiesa romana li incolpò tramite la penna del loro segretario Clemente — che si introdusse un'organizzazione di cui Roma doveva infine raccogliere i benefici. [7

Le varie Chiese erano solite scambiarsi lettere in cui comunicavano le rivelazioni più recenti, oppure una preghiera liturgica, oppure qualche documento antico, o ciò che pretendeva di essere tale. La loro unione risiede nell'attesa comune dell'Avvento e nel loro travaglio comune; poiché le loro erano società illegali messe al bando per tutto l'Impero, e i loro membri erano soggetti alle punizioni più rigorose se denunciati. Traiano e Adriano repressero gli abusi come la pubblicazione di informazioni false e il linciaggio.

NOTE

[1] Vide Henri Delafosse, Lettres d’Ignace d’Antioche; Pam, 1927, e “La Lettre de Clement Romain aux Corinthiens” nella Rev. de l'Hist. des Relig., Gennaio, 1928.

[2] Scriptores Historiæ Auguste, ed. H. Peter; Lipsia, 1884, pag. 224.

[3] Un'astinenza da carne contenente sangue fu la regola nelle chiese di Vienna e di Lione che erano affiliate alle chiese d'Asia e Frigia (Eusebio, Hist. Eccl., 5, 1, 26) e nelle chiese d'Africa, affiliate alla Chiesa di Roma (Tertulliano Apolog., 9; De Monog., 5; De Jejun., 4).

[4] Epistola di Clemente. Il testo stesso e un confronto con altri esempi di illeciti indotti da gelosia mostrano che era certamente un riferimento a gelosia e discordia tra cristiani (Cullmann).

[5] Ossia, ebrei di lingua greca.

[6] Vide G. La Piana, “The Roman Church at the End of Second Century”, nella Harvard Theological Review, luglio 1925.

[7] Aniceto introdusse l'episcopato singolo a Roma nel 164, e l'africano Vittore lo stabilì saldamente nel 189. I nomi di alcuni degli anziani che precedettero Aniceto sono stati preservati dalla tradizione, ed Egesippo fabbricò da loro una successione immaginaria.

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