lunedì 12 novembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»I Profeti (40 E.C. — 130 E.C.) (III): Struggimenti e sofferenze di san Paolo

Divisioni  


I PROFETI
(40 E.C. — 130 E.C.)

III

STRUGGIMENTI E SOFFERENZE DI SAN PAOLO

Chiamati e ispirati dallo Spirito, Barnaba e Paolo intrapresero un viaggio missionario. Essi incrociarono l'isola di Cipro, passarono lungo la costa meridionale dell'Asia Minore, per la Pisidia e la Licaonia, due regioni grecizzate e fittamente popolate, nella provincia romana di Galazia. Appresero che predicare il vangelo nel mondo greco non era un idillio. Le sconfitte erano abbondanti e la vita stessa era spesso a rischio. Il loro metodo era prendere le sinagoghe come base di operazioni. Era costume al giorno di Sabato invitare ebrei di passaggio a dire un pò di parole edificanti. Barnaba e Paolo approfittarono di questo costume per annunciare l'imminente Giorno del Giudizio, per rivelare il mistero di Gesù Cristo morto e risorto, e per predicare Salvezza nel suo nome. Non molti ebrei si interessarono; essi erano annoiati. Presso ogni sinagoga c'erano un numero di uomini e donne, specialmente donne, che, sebbene non ebrei, temevano il Dio degli ebrei e desideravano placare Jahvè offrendogli un culto. Essi formavano una sorta di appendice fluttuante, indefinita e disorganizzata per ogni sinagoga. Tra di loro si dovevano trovare i Santi predestinati. Essi dovevano staccarsi dall'ebraismo ufficiale, unirsi tra di loro in Gesù Cristo, per mezzo del battesimo, per mezzo del bacio santo, per mezzo di miracoli e di profezie. Dei capi si dovevano trovare per loro ed essi dovevano mantenersi casti e santi per l'arrivo del Signore. Questo portò inevitabilmente ad uno scontro. Gli ebrei locali resuscitarono Caino. Essi protestarono alle autorità. I profeti di solito se ne andavano in un tumulto, in una pioggia di pietre, ma lasciando dietro di loro una nuova ekklesia di Gesù.

I due apostoli ritornarono ad Antiochia ricchi di speranza e di esperienza. Paolo pianificò una spedizione più lunga. Egli prese con lui da Gerusalemme un profeta di nome Sila per visitare le nuove chiese e mantenere il loro fervore. In Licaonia egli incontrò un secondo collaboratore, Timoteo, il cui valore risiede nel fatto che suo padre era un greco e sua madre un'ebrea. Paolo lo aveva circonciso così da poter essere egualmente ben ricevuto da ebrei e da gentili. Guidati dallo Spirito, viaggiarono assieme lungo l'Asia Minore. Dal momento che lo Spirito li proibì l'ingresso in Bitinia, essi si fermarono a causa del mare a Troade. In un sogno un macedone apparve a Paolo e ricorse a lui per un aiuto. Perciò essi si imbarcarono a Neapoli e sbarcarono in quell'Europa che doveva diventare molti secoli più tardi la fortezza di Gesù. Non prevedevano, comunque, questo futuro distante. Si affrettarono per paura di dover fare troppo tardi e che suonasse l'ultima Tromba.

A Filippi, una colonia romana, la Parola trovò ascoltatori. Una venditrice di porpora, una Lidia di Tiatira, un adoratrice di Jahvè, offrì un tetto e fu battezzata con tutta la sua casa. Ma la tempesta che sorse fu grande e i tre profeti furono cacciati con violenza (1 Tessalonicesi 2:2). A Tessalonica, una grande città di commerci, una sinagoga ben frequentata produceva una conversione eccellente di greci e di donne benestanti. Quando si stabilì l'ekklesia presso la casa di un Giasone, gli ebrei, furiosi per essere stati sfruttati dalla nuova setta, come si sentirono, sollevarono la città, e parecchi dei nuovi fratelli vennero uccisi; poichè questo è ciò che dobbiamo comprendere dall'espressione di 1 Tessalonicesi 4:14-16 “i morti in Cristo” (in greco dia tou Jesou). [1] I magistrati cercarono di arrestare Paolo e i suoi compagni. Avevano predetto la tempesta e avevano fatto bene a fuggire (1 Tessalonicesi 3:4).

Paolo fuggì per mare ad Atene. Impedito per due volte da Satana dal ritornare a Tessalonica, Paolo provò grande ansietà per la sua nuova chiesa là, e mandò Timoteo a portare loro conforto. Timoteo ritornò con un buon rapporto. L'ekklesia si atteneva fermamente a Paolo, domandava quando sarebbe apparso il Signore, e si rovellava al pensiero del fato dei fratelli che erano stati uccisi dal momento che essi non avrebbero assistito alla sua Venuta.

Paolo dettò gioiosamente una lettera da leggersi alla chiesa riunita. Essa combinò preghiera e profezia, e passò dal pronunciamento di ricordi familiari all'annuncio di predizioni e di comandi. È il documento più antico che il cristianesimo abbia preservato.
In esso si deve trovare in poche righe la nuova religione (1 Tessalonicesi 1:9-10):
Sono loro infatti a parlare di noi,
dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi
e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli,
per servire al Dio vivo e vero
e attendere dai cieli il suo Figlio,
che egli ha resuscitato dai morti,
Gesù, che ci libera dall'ira ventura.
[2
Il dio vero e vivo è quello degli ebrei. Al suo culto è congiunto quello del Figlio di Dio morto e risorto di nuovo, poichè alla fine del mondo solo Gesù ci salverà. Quanto a coloro che erano stati uccisi di recente, essi sarebbero risorti in Gesù. [3] Il profeta fa una predizione nel nome di Dio (4:15-17).
Questo vi diciamo sulla parola del Signore:
noi che viviamo
e saremo ancora in vita per la venuta del Signore,
non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti.
Perché il Signore stesso, a un ordine,
alla voce dell'arcangelo
e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo.
E prima risorgeranno i morti in Cristo;
quindi noi, i vivi, i superstiti,
saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole,
per andare incontro al Signore nell'aria.
Sarebbe stato il privilegio dei martiri precedere tutti gli altri. Paolo e i vivi si sarebbero elevati solo sulla seconda nube. Quanto al Giorno, solo una cosa si sapeva; esso sarebbe giunto come un Ladro di Notte. [4] Il vero credente sarebbe dovuto rimanere sempre di guardia, forte in una corazza di fede e amore e con l'elmo della speranza.

Corinto, risorta dalle sue macerie, capitale romana della Grecia, centro commerciale e bordello per i marinai di due mari, fu una terra benedetta per Paolo. Egli fu capace di passarvi diciotto mesi, grazie all'opera che una coppia ebraica gli offrì nel fare tende (capanne) e al supporto recatogli da fratelli della Macedonia. [5] La sinagoga lo sopportava da parecchio tempo e il suo capo, Crispo, era affascinato da lui. Quando alla fine vi capitò l'inevitabile conflitto, l'ekklesia si stabilì nella casa di un adoratore di Jahvè che era stato battezzato, Tito Giusto, e il proconsole fece orecchie da mercante alle proteste legittime della sinagoga. Paolo ebbe il tempo di preoccuparsi e di sviluppare questa sua cara chiesa, che fu sempre vicina al suo cuore e sempre una spina nella sua carne.

La chiesa consisteva principalmente di persone di condizione umile e di mente semplice. [6] Tra i suoi membri troviamo nomi latini come per esempio Titio, Lucio, Terzio, Quarto, Fortunato, Acaico, Tito (questo ci porta vicino a Roma), Crispo, il capo principale della sinagoga, Gaio, la cui porta era aperta a tutti i cristiani, il tesoriere della città Erasto, e in prima fila proprio la famiglia di Stefana, la prima greca a venire battezzata in Grecia. Ognuna di loro, uomo e donna, apprese la maniera di pregare ad alta voce, emettere profezie, guarire nello Spirito, e fare miracoli. Quando un profeta si alzava per parlare e un altro, seduto, era ispirato dallo Spirito, era il dovere del primo tacere. Ci furono delle volte quando il soffio dello Spirito emesso  da quelle lire umane non erano altro che leggeri mormorii, suoni privi di un significato riconoscibile. Era allora che parlavano in lingue. Un inteprete, a sua volta ispirato, traduceva. Se il profeta avesse gridato “Ba! Ba! Ba!” l'interprete avrebbe detto “Abba!” (Padre). [7] Se egli avesse mormorato “Ta! Ta! Ta!”, sarebbe stato tradotto “atha, maran atha” (“O Signore, vieni!”). Paolo era spesso ispirato a parlare in lingue, ma egli preferì profetizzare, così che la chiesa potesse edificarsi. [8] Fu quando Gallio, il fratello di Seneca, era pronsole a Corinto — cioè, nel 50-52 circa, verso la fine del regno di Claudio — che Paolo vi dimorò. [9] Nel 51 o 52 egli salpò con Tito per Gerusalemme al fine di unire con la chiesa originaria di Gerusalemme le nuove chiese che lui aveva fondato. Forse nervoso all'idea di incontrare Pietro, Giacomo, e Giovanni, che egli non aveva ancora incontrato, egli fece un voto, e poi, come era costume tra gli ebrei, si rase il capo. [10]

Come fu il suo interrogatorio a Gerusalemme, Paolo lo comunica in seguito ai Galati in vivide parole, desideroso di provare che egli, Paolo, non era un apostolo inviato da quelli di Gerusalemme, ma dal Signore stesso, Gesù Cristo (Galati 1:15-2:10):
Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre
e mi chiamò con la sua grazia si compiacque
di rivelare in me suo Figlio
perché lo annunciassi in mezzo ai pagani,
subito, senza consultare nessun uomo,
senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me,
mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.

Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia.
Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo.
soltanto avevano sentito dire:
Colui che una volta ci perseguitava,
va ora annunciando la fede che un tempo voleva distruggere.
E glorificavano Dio a causa mia.

 Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme
portando con me anche Tito:
vi andai però in seguito ad una rivelazione.
Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani,
ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli,
per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano.
Ora neppure Tito, che era con me,
sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere.

E questo proprio a causa dei falsi fratelli
che si erano intromessi a spiare la libertà
che abbiamo in Cristo Gesù,
 allo scopo di renderci schiavi.
Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante,
perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.

Da parte dunque delle persone più ragguardevoli
— quali fossero allora non m'interessa,
perché Dio non bada a persona alcuna —
a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più.

Anzi, Giacomo, Cefa e Giovanni,
ritenuti le colonne,
diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione,
perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi.
Soltanto ci pregarono di ricordarci dei Poveri:
ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.
[11]
Questo è il primo incontro tra san Paolo e Gerusalemme, e il quadro è un quadro impressionante. A quanto pareva, Paolo aveva scoperto un nuovo mondo,  e aveva portato appresso con lui i suoi pagani battezzati, come Colombo si portò i suoi pellerossa. Eccitazione generale! Conversazioni private con le autorità, in cui Paolo esige una risposta definitiva. Spie ascoltano ai buchi della serratura. Si fa pressione per sopportare Paolo, ma essi non si preoccupano di richiedere la circoncisione di Tito. Paolo offre un'opposizione ostinata. Il compromesso risultante: chiunque sia ebreo di origine è assegnato a Gerusalemme; chiunque sia pagano a Paolo. Ma non dimentichi di mandare denaro per il mantenimento dei Santi a Gerusalemme! Paolo guadagna un punto a suo favore.

Presto arrivò il secondo conflitto. Dopo aver lasciato Gerusalemme, Paolo ritornò ad Antiochia, completando così la sua grande spedizione. Pietro lo seguì. All'inizio Pietro non si faceva problemi di adattarsi ai costumi di Antiochia. Egli prese il suo posto alla tavola comune dove mangiavano carne che non era Kosher. Fu una vittoria per i Nicolaiti. Ma il successo fu di breve durata. Ascolta cosa dice Paolo sul soggetto (Galati 2:11-14):
Ma quando Cefa venne ad Antiochia,
gli resistetti in faccia
perché era da condannare.
Infatti, prima che fossero venuti alcuni da parte di Giacomo,
egli mangiava con persone non giudaiche;
 ma quando quelli furono arrivati,
cominciò a ritirarsi e a separarsi per timore dei circoncisi.
E anche gli altri Giudei si misero a simulare con lui;
a tal punto che perfino Barnaba fu trascinato
dalla loro ipocrisia.
Ma quando vidi che non camminavano rettamente
secondo la verità del vangelo,
dissi a Cefa in presenza di tutti:
Se tu, che sei giudeo, vivi alla maniera degli stranieri e non dei Giudei,
come mai costringi gli stranieri a vivere come i Giudei?
Questa lacerazione portò ad una rottura definitiva. Giacomo ottenne la mano destra questa volta. L'indebolito Pietro accettò le conseguenze dei suoi stessi atti, e Paolo, abbandonato da Gerusalemme e da Antiochia diventò un Apostolo privo di un mandato. La sua autorità era lui stesso e Gesù. Ma per separarle da lui e portarle nel campo comune Gerusalemme inviò emissari alle nuove chiese che lui aveva fondato. 

Egli lasciò Antiochia per la terza volta, e cadde seriamente malato tra i galati, che si preoccuparono teneramente di lui. Egli non mancò di istruirli per inviare un sussidio ai poveri di Gerusalemme (1 Corinzi 16:1). Poi si recò ad Efeso, la superba capitale d'Asia, dove vi erano discepoli di Giovanni il Battezzatore e cristiani. Da qui egli entrò in corrispondenza con la sua Chiesa prediletta — quella di Corinto. [12]

Egli era ansioso, geloso, e irato. Fin dalla visita di un colto missionario della setta del Battezzatore, Apollo di Alessandria, che predicava, così disse lui, una sapienza superiore, ci furono a Corinto individui ambiziosi che pensavano di possedere tutta la conoscenza. [13] Essi si spinsero oltre Paolo, ripetento gli aforismi che Paolo aveva detto loro l'anno prima, ma con un significato più ampio. “Ogni cosa mi è lecita”. “L'idolo non è nulla nel mondo, e non c'è che un Dio solo”. “Ora non è un cibo che ci farà graditi a Dio; se non mangiamo [inteso Kosher], non abbiamo nulla di meno; e se mangiamo non abbiamo nulla di più” (1 Corinzi 8). “Le vivande sono per il ventre, e il ventre è per le vivande; ma Dio distruggerà queste e quello” (1 Corinzi 6:13). Bene, se l'idolo è niente, perchè evitare l'idolatria? Se non c'è nessuna ragione del perchè non si dovrebbe mangiare carne sacrificata agli idoli, perchè non si dovrebbe ricercare la puttana, che è stata consacrata a un dio? “Ogni cosa è lecita”. Nella Chiesa che Paolo desiderò presto condurre a Gesù pura come una vergine ci furono, sebbene conoscendo fin troppo, idolatri e libertini. Ci fu perfino un uomo che aveva preso come moglie la moglie di suo padre, un incesto scioccante agli occhi di tutti gli uomini, perfino dei pagani. Paolo, assente nel corpo, ma presente nello Spirito, condanna a morte il criminale con una maledizione. (1 Corinzi 5:4-5):
Nel nome del Signore Gesù,
essendo insieme riuniti voi e lo spirito mio,
con l'autorità del Signore nostro Gesù,
ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana,
per la rovina della carne,
affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù.
Egli è davvero severo sui “forti” (1 Corinzi 4:10) che immaginavano di camminare rettamente. Egli li confonde nella loro pretesa conoscenza. Egli, che non aveva che lottato di recente con Gerusalemme per allargare le libertà dei cristiani, doveva ora limitarle nel conflitto coi Corinzi. Rammenta loro che l'idolatria recò morte agli israeliti nel deserto. Esorta loro a trattenersi dal mangiare carne quando è stata offerta apertamente agli idoli a loro conoscenza oppure quando potrebbe scandalizzare un fratello. Egli fa ogni tentativo di riportare sullo stretto cammino dell'ebraismo i greci sottili e dissoluti. Inoltre egli rassicura gli scrupolosi che temono di avere commercio con le loro mogli e i guardiani turbati dalle vergini che  hanno in custodia. 

Quando l'influenza del partito di Gerusalemme (forse una missione dello stesso Pietro) si estese a Corinto, la posizione era diventata critica. Si erano sviluppate tre correnti — quella di Paolo, quella di Apollo, e, più pericolosa, quella di Pietro. L'apostolo tentò coi suoi toni più pacifici di ricondurre i fratelli dispersi di nuovo al suo ovile. [15] Egli invitò alla collezione di denaro per Gerusalemme, che propose di raccogliere là lui stesso, se fosse stato necessario. Inviò Timoteo a ristabilire ordine, ma Timoteo era incapace e l'attrito si aggravò, così Paolo, in allarme, abbandonò il conflitto che aveva tra le mani ad Efeso e salpò in fretta per Corinto. Ecco! I Corinzi, la cui ekklesia egli aveva stabilito, lo respinse come uno privo di autorità, un fratello sprovvisto di credenziali o di una lettera di credito, un ciarlatano, un furfante che li aveva “imbrogliati”, corrotti, una creatura senza spina dorsale che non osava dire “bo” ad un'oca, ma che stando ad una distanza di sicurezza avrebbe rimproverato con furia. Le sue lettere sono piene di fuoco e di forza e di spirito combattivo, ma, quando egli viene faccia a faccia, quanto diventa mite e quanto disprezzabili le sue parole! Un fratello lo insultò (2 Corinzi 7:12 : ἀδικήσαντος). Paolo ritornò a Efeso profondamente ferito, umiliato, punto sul vivo. Aveva perduto i suoi figli? Egli aveva ricavato un'idea del potere di Gerusalemme. 

In una lettera oltraggiata in cui annunciava ai corinzi che egli sarebbe presto venuto a castigarli (2 Corinzi 2:14-6:13; 7:2-3; 10-13) egli sfida apertamente coloro che lo avevano attaccato. Egli si paragona senza paura a Pietro, Giacomo, e Giovanni, che lui definisce beffardamente i “super-apostoli” e li consegna al demonio (2 Corinzi 11:14). Egli proclama ciò che egli è, non meno di cosa siano loro; ciò che ha fatto, più di quanto loro abbiano fatto; le rivelazioni che egli ha ricevuto dal Signore, che essi non possono eguagliare. Che pezzo impressionante di inventiva è quello in cui Paolo si pone nudo in tutta la sua forza e la sua debolezza, la sua debolezza che è la sua forza, e che pezzo di autobiografia lirica (2 Corinzi 11:5 et seq.):
Stimo infatti di non essere stato in nulla inferiore
a quei sommi apostoli.
Anche se sono rozzo nel parlare, non lo sono però nella conoscenza...

Quei tali sono falsi apostoli,
operai fraudolenti,
che si travestono da apostoli di Cristo.

Non c'è da meravigliarsene,
perché anche Satana si traveste da Angelo di Luce.
[15]

Non è dunque cosa eccezionale se anche i suoi servitori
si travestono da servitori di giustizia;
la loro fine sarà secondo le loro opere!...

Poiché molti si vantano secondo la carne,
anch'io mi vanterò.
Or voi, pur essendo savi,
li sopportate volentieri i pazzi!

Infatti, se uno vi riduce in schiavitù,
se uno vi divora, se uno vi prende il vostro,
se uno s'innalza sopra di voi, se uno vi percuote in faccia, voi lo sopportate.
Lo dico a nostra vergogna,
come se noi fossimo stati deboli.

 Eppure, qualunque cosa uno osi pretendere
(parlo da pazzo), oso pretenderla anch'io.
Sono Ebrei? Lo sono anch'io.
Sono Israeliti? Lo sono anch'io.
Sono discendenza d'Abramo? Lo sono anch'io.
Sono servitori di Cristo?
Io (parlo come uno fuori di sé) lo sono più di loro;
più di loro per le fatiche,
più di loro per le prigionie,
assai più di loro per le percosse subite.
Spesso sono stato in pericolo di morte.

Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno;
tre volte sono stato battuto con le verghe;
una volta sono stato lapidato;
tre volte ho fatto naufragio;
 ho passato un giorno e una notte negli abissi marini.

Spesso in viaggio,
in pericolo sui fiumi, in pericolo per i briganti,
in pericolo da parte dei miei connazionali, in pericolo da parte degli stranieri,
in pericolo nelle città, in pericolo nei deserti,
in pericolo sul mare, in pericolo tra falsi fratelli;

in fatiche e in pene; spesse volte in veglie,
nella fame e nella sete, spesse volte nei digiuni,
nel freddo e nella nudità.
Oltre a tutto il resto, sono assillato ogni giorno
dalle preoccupazioni che mi vengono da tutte le chiese.

Chi è debole senza che io mi senta debole con lui?
Chi è scandalizzato senza che io frema per lui?
Se bisogna vantarsi,
mi vanterò della mia debolezza.
Il Dio e Padre del nostro Signore Gesù,
che è benedetto in eterno,
sa che io non mento.

Bisogna vantarsi?
Non è una cosa buona;
tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore.

Conosco un uomo in Cristo
che quattordici anni fa
[16]

(se fu con il corpo non so,
se fu senza il corpo non so, Dio lo sa),
fu rapito fino al terzo cielo.

So che quell'uomo
(se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa)
fu rapito in Paradiso,
e udì parole ineffabili
che non è lecito all'uomo di pronunciare.

Di quel tale mi vanterò;
ma di me stesso non mi vanterò
se non delle mie debolezze.

Pur se volessi vantarmi,
non sarei un pazzo, perché direi la verità;
ma me ne astengo,
perché nessuno mi stimi
oltre quello che mi vede essere, o sente da me.

E perché io non avessi a insuperbire
per l'eccellenza delle rivelazioni,
mi è stata messa una spina nella carne,
un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi
affinché io non insuperbisca.

Tre volte ho pregato il Signore
perché l'allontanasse da me;
ed egli mi ha detto:
La mia grazia ti basta,
 perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza.
Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze,
affinché la potenza di Cristo riposi su di me.

Per questo mi compiaccio nelle mie debolezze,
in ingiurie, in necessità,
in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo;
perché, quando sono debole,
allora sono forte.
Paolo ci offre un pieno ritratto di sé stesso, schiaffeggiato da Satana e profeta di Dio, l'apostolo invincibile e il povero epilettico, l'indomito lottatore che operò più dei giganti. Da un lato Gerusalemme e tutta la sua organizzazione cristiana ben stabilita, dall'altra un reietto che sentì in sè il potere di distruggere tutto e ricominciarlo tutto di nuovo.

Mentre questa lettera terribile veniva recata attraverso il mare, Paolo stava combattendo ad Efeso contro problemi crescenti. Dopo qualche tempo la sinagoga gli era stata chiusa, com'era il caso di frequente. Egli riunì la sua chiesa in una schole, un luogo di incontro con dentro un singolo banco circolare di solito. In questa grande, brulicante città, dove il tempio di Artemide attirava ogni primavera grandi moltitudini di pellegrini, Paolo aveva pensato di trovare “una larga porta ed efficace” a lui aperta, sebbene “molti avversari” (1 Corinzi 16:9). Gli avversari erano non solo ebrei. I seguaci di Giovanni il Battezzatore non si riunivano tutti nello Spirito del Signore Gesù e parlavano in lingue e profezie. [17] E neppure tutti i cristiani consideravano Paolo un apostolo autorizzato. Più tardi Giovanni giudicò la Chiesa di Efeso: “Tu hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi”. Alessandro il ramaio che manifestò parecchia ostilità a Paolo [18] fu probabilmente un cristiano. Gli efesini erano un popolo pio che adorava la Dèa Artemide e ricavava molto profitto in tal modo. Erano naturalmente ostili ad una propaganda contro gli idoli. Paolo ebbe qualche difficoltà nel guadagnarsi da vivere. Egli soffrì di sete e di fame, egli fu “nudo, schiaffeggiato e senza fissa dimora, e ci affatichiamo lavorando con le nostre proprie mani”. Insultato, cacciato, diffamato, egli diventò “come la spazzatura del mondo, come il rifiuto di tutti” (1 Corinzi 4:11-13). Cominciò a chiedersi se non sarebbe morto prima che arrivasse il Signore Gesù. Trovò consolazione nel pensiero che, spogliato del suo corpo mortale, egli sarebbe risorto rivestito del suo corpo immortale per la grande Resurrezione (2 Corinzi 5:1-9).

Un tumulto prese luogo contro i cristiani, provocato dagli orefici, che vendevano ai pellegrini piccoli templi di Artemide in argento, e che videro minacciato il loro benessere. Fu in questo combattimento di strada, oppure in qualche disputa tra i cristiani, che Paolo soffrì parecchie offese? Egli dice seccamente: “ho lottato con le belve a Efeso” (1 Corinzi 15:32) [19] in un contesto dove il pericolo di morte è implicito. Nel processo che seguì il suo oppositore principale fu il ramaio Alessandro. [20] Troviamo l'Apostolo in prigione, ferito, sembrerebbe, poichè egli è diviso tra il desiderio di morire e ricongiungersi col Signore Gesù e quello di vivere per le chiese (Filippesi 1:21). [21] Egli ha ricevuto qualche moneta dai degni filippesi. Il loro messaggero Epafrodito fu quasi ucciso ad Efeso per l'opera di Cristo (Filippesi 2:27), probabilmente nello stesso tumulto in cui Paolo fu coinvolto.

Nella sua risposta dal loro stesso messaggero, egli si riferisce aspramente ai cristiani rivali che, ispirati da gelosia e da partigianeria, predicano falsamente Cristo. Egli pone in guardia i filippesi contro coloro che predicano la circoncisione. Gerusalemme aveva avuto successo nella diffusione della sua dottrina fino alla Macedonia. Quanto a lui stesso, egli era in catene nel praetorium, il palazzo del proconsole, tuttavia trovò modo di predicare il suo vangelo, e fece convertiti tra gli schiavi di Cesare. [22]

Mentre ancora in catene egli dettò una preghiera e una profezia per la Chiesa distante di Colosse, di cui aveva udito parlare dai suoi compagni di prigionia. Egli raccomanda i colossesi a non adorare angeli, perchè il Signore Gesù creò gli angeli ed egli solo dev'essere adorato da cristiani. Egli scrive una dedica quasi ritmica ad una coppia cristiana di Colosse o di Laodicea per pregarli di rilasciare uno schiavo fuggitivo, Onesimo, che egli aveva convertito in prigione.

Quando portato in giudizio e attaccato da Alessandro, Paolo si sentì del tutto abbandonato. Ma egli ebbe la forza di difendersi e di sfuggire alle fauci del leone. Egli fuggì da Efeso, dove per oltre un anno la vita gli era stata davvero dura. [23] Si recò a Mileto, da dove poteva salpare facilmente (2 Timoteo 4:14-20). 

Dove poteva andare? Sarebbe dovuto tornare a Corinto? Ciò sarebbe equivalso a domandare ulteriore turbamento. Un altro fulmine piombò a ciel sereno. I fratelli galati che lo avevano accolto come Cristo Gesù in persona e preso cura di lui, che non avevano sputato su di lui quando era malato, si sarebbero cavati i loro occhi per darglieli a lui, i suo galati avevano ricevuto i missionari da Gerusalemme. Essi erano passati all'altro vangelo, ed erano sul punto di farsi circoncidere.

Paolo inviò loro una lettera di indignazione mista ad affetto, probabilmente per mano di Crescente (2 Timoteo 4:10). Egli disse loro dell'incontro a Gerusalemme e del patto fatto con Pietro, Giacomo, e Giovanni per lasciarlo come battezzatore di pagani alla sola condizione di inviare elemosina per i Poveri. E quei villani dicevano che egli predicava circoncisione! [24] Egli si fece beffa di coloro che venivano col loro coltello rituale: “Si facciano pure evirare quelli che vi turbano!” (Galati 5:12). Egli sfidò coloro che li mandavano (Galati 5:10): 
Riguardo a voi, io ho questa fiducia nel Signore,
che non la penserete diversamente;
ma colui che vi turba ne subirà la condanna,
chiunque egli sia.
[25]
Egli definì folli i galati. Lasciarsi circoncidere equivaleva ad accettare l'intera legge degli ebrei. Egli esortò loro a ricordare il vero vangelo che lui aveva insegnato loro, il vero Cristo che egli aveva formato in loro con tutta la fatica di una donna partoriente (Galati 3:27-28; 6:15):
Infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo
vi siete rivestiti di Cristo.
Non c'è qui né Giudeo né Greco;
non c'è né schiavo né libero;
non c'è né maschio né femmina;
perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù...
Infatti, tanto la circoncisione
che l'incirconcisione non sono nulla;
quello che importa è l'essere una nuova creatura.
La lettera offrì a Paolo la possibilità di delineare l'opposizione tra il Vangelo e la Legge, a cui egli doveva dare molto pensiero. Egli finì con questo colpo diretto ai suoi nemici: “Da ora in poi nessuno mi dia molestia, perché io porto nel mio corpo il marchio di Gesù”. Questo ebbe il suo effetto, e non fu molto tempo prima che un fratello venne da Derba con Paolo per trasportare con lui la colletta fatta dai galati per Gerusalemme. [26

Corinto! Il cuore di Paolo lo attirava là. I corinzi erano ancora ostinati? In quale spirito avevano ricevuto la sua lettera di vanteria? Tito vi era andato, e avrebbe dovuto riportargli notizie. Tito aveva dovuto incontrarlo a Troade, di là Paolo avrebbe dovuto recarsi in Macedonia e visitare Filippi, la fonte inesauribile di fondi per il Vangelo. Ma nessun Tito venne a Troade; così Paolo, pieno di ansia e di impazienza, attraversò il mare, a dispetto di qualche opera missionaria in buon progresso. In Macedonia egli non aveva nessuna pace — conflitto fuori e timore dentro. Alla fine venne Tito.

Le sue nuove erano consolanti. La lettera era stata ricevuta con tristezza. Certe persone dissero che Paolo volle regolare la loro fede, che egli non sarebbe venuto, che i suoi piani erano fatti alla luce del sole, e che egli volle avere l'ultima parola su ogni cosa. Comunque, vi sopraggiunse allora un pentimento. Il colpevole contro l'apostolo fu cacciato dall'ekklesia. I fedeli avevano pianto, avevano ricevuto Tito in timore e tremore, gli avevano obbedito e mostrato nient'altro che zelo e buona volontà verso il loro padrone.

Molto provato, il vecchio profeta cominciò una lettera con una preghiera in cui le parole consolazione e dolore vibrano come perline in un campanello (2 Corinzi 1-11:11; 77-9:15). Egli parla delle tribolazioni che aveva attraversato in Asia, come egli avesse “disperato perfino della vita”, e del grande abisso da cui Dio lo aveva salvato. Egli scrisse la lettera “in grande afflizione e in angoscia di cuore” e “con molte lacrime”, così che essi “potessero conoscere l'amore” che egli provava per loro. Egli domanda loro di perdonare il proprio avversario, “perché non abbia a rimanere oppresso da troppa tristezza”. “A chi voi perdonate qualcosa, perdono anch'io”. Egli chiede loro anche di essere liberali nell'offerta ai poveri, quella colletta che egli doveva portare a Gerusalemme con Tito. Le chiese macedoni l'avevano cominciata davvero bene. Paolo volle fare di ciò un grande successo. I Santi di Gerusalemme avrebbero dovuto glorificare Dio “per l'ubbidienza con cui professate il vangelo di Cristo e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti”.

I corinzi obbedirono al vangelo di Paolo. Paolo venne riammesso nella cerchia di carità di Gerusalemme, e l'antico patto venne ristabilito. Tito si era mostrato certamente un abile ambasciatore ai corinzi, e probabilmente anche per Paolo. Sembrerebbe che il cristianesimo abbia un debito per quest'uomo modesto per i suoi sforzi positivi nel conciliare il potere esplosivo di Paolo con la cauta prudenza di Gerusalemme. 

In un'ultima lettera ai Corinzi (1 Corinzi 15), l'apostolo non predica più il suo vangelo in opposizione a quello dei Santi di Gerusalemme. Egli prende il suo posto ancora una volta come l'ultimo. “E ultimo di tutti, apparve anche a me”, “perché io sono il minimo degli apostoli, e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio”. Chi riconoscerebbe in quest'uomo lo scrittore dall'amara ironia che parlava come un folle? Egli recita la fede “così noi predichiamo, e così voi avete creduto”, e si sente ancora una volta sicuro di vedere nel corso della sua vita la Venuta del Signore.
In un momento, in un batter d'occhio,
al suono dell'ultima tromba. Perché la tromba squillerà,
e i morti resusciteranno incorruttibili,
e noi saremo trasformati
(2 Corinzi 15:52).
Queste erano le Buone Nuove che il profeta portò lungo la Macedonia fino all'Illiria. Poi egli cercò riposo nel grembo della sua amata Chiesa di Corinto. Consolato, egli dettò nel tempo libero una profezia a Terzio, così che il suo vangelo potesse essere conosciuto ai romani prima che egli vi si recasse per proclamarlo di persona. Egli espose i temi da lui dichiarati ai Galati, ma senza le rimostranze. L'epistola ai Romani è l'ultima e la più lunga delle epistole assegnate a Paolo, e la prima in un linguaggio ritmico di quei piccoli testi su cui si basa il cristianesimo. Essa fu scritta attorno al 54 E.C., e fu portata a Roma a cura di Febe, una sorella della chiesa di Cencre, proprio al tempo in cui Nerone cominciò il suo regno nella maniera più fausta. [27] La carriera letteraria di Paolo è compressa in quattro anni. Non c'è da stupirsi che fosse affrettata e senza fiato.

Paolo ascoltò molto di Roma da quelli intorno a lui. Ci furono parecchi fratelli che erano stati cacciati da Efeso, probabilmente negli stessi tumulti come Paolo. Prima di recarsi là di persona egli considerò di avere un dovere da realizzare verso i Santi di Gerusalemme.

Egli non viaggiò questa volta con un singolo compagno, un singolo pagano battezzato, ma con sette ambasciatori dai gentili, carico di doni dalla Macedonia, dalla Galazia, e dall'Asia. L'appuntamento avvenne a Troade. Di là essi salparono per Cesarea, dove trovarono alloggio presso la casa di un compagno precedente di Stefano e di Nicola, un Filippo, le cui quattro figlie fanciulle erano tutte profetesse. Malasorte fu predetto loro nello spirito da parte del profeta Agabo di Giudea (Atti 21:10).

A Gerusalemme Paolo fu accolto da Giacomo e da tutti gli Anziani. Per realizzare un voto egli fu imprudente abbastanza da entrare nel Tempio. Qui egli fu visto da ebrei dell'Asia, che lo accusarono di introdurre nel Tempio un cristiano non circonciso (Trofimo l'efesino). Paolo fu catturato, scortato fuori dal Tempio, percosso, abbattuto, ma salvato per l'intervento dei soldati romani, che lo portarono in cima su per le scale della fortezza. Egli fu spedito in catene a Cesarea, da dove dopo due anni di prigionia egli fu mandato a Roma, dove lo perdiamo di vista al momento in cui egli fu sul punto di venir condannato a morte, secondo ogni aspettativa, dal tribunale di Nerone. 

NOTE

[1] Si veda K. Lake, The Earlier Epistles of St. Paul; Londra, 1914, pag. 88.

[2] Gesù, colui che ci salverà (τὁν ῥυοόμενον), è l'interpretazione del nome Gesù (Jahvè salva) e l'applicazione a Gesù della profezia di Isaia (59:20), “un salvatore verrà per Sion”, che si presenta non lontano da un verso che Paolo adatta in 1 Tessalonicesi 5:8 (corazza ed elmo). Ecclesiastico interpretava il nome di Gesù come “grande per la salvezza dei suoi eletti” (46:2). Si veda Matteo 1:21 “egli infatti salverà il suo popolo”.

[3] La resurrezione di Gesù è atemporale. Paolo la colloca sia nel passato che nel futuro. “Gesù resuscitò (α͗νεέστη), e Dio resusciterà (ἅξει) i morti con Gesù (συ͗ν αυ͗τῷ), 1 Tessalonicesi 4:14.

[4] 1 Tessalonicesi 5:2. Confronta Geremia sulla punizione di Edom (49:9, Septuaginta: ω͑ς κλέπται ε͗ν νυκτί).

[5] Atti 18:3; 2 Corinzi 11:9. Una skene (σκηνή) è una costruzione leggera, una tenda, una capanna ad una fiera; una scena in un teatro.

[6] 1 Corinzi 1:26: “Guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili”.

[7] Galati 4:6; Romani 8:15; anche Stahl, Les Mandéens, pag. 62-68.

[8] 1 Corinzi 14:1-33, un curioso estratto.

[9] Secondo un'iscrizione a Delfi, che data la ventiseiesima acclamazione di Claudio nel proconsolato di Gallio.

[10] Il viaggio per Gerusalemme narrato in Galati è riferito brevemente in Atti 18:18-22. Paolo salpò a Cencre, si recò per Efeso a Cesarea, e salì (α͗ναβάς, il termine consacrato per andare a Gerusalemme) e vi salutò la comunità. Vide E. Barnikol, Die drei Jerusalemreisen des Paulus; Kiel, 1929. I due viaggi precedenti raccontati in Atti 9:26-30 e Atti 11:30 sono fittizi. Il primo si riferisce ad un'intepolazione in Galati (Galati 2:18-20) (vide Couchoud e Stahl, “Les deux auteurs des Actes des Apôtres” in Les Premiers Ecrits du Christianisme; Parigi e Amsterdam, 1930).

[11] Il testo marcionita che io considero la prima edizione (vide  “La première édition de Saint Paul” in Les Premiers Ecrits Christianisme). Aggiunte successive hanno alterato questo frammento rivelativo.

[12] Le due epistole ai Corinzi consistono di numerose lettere, o frammenti di lettere, messe assieme per la convenienza di una lettura liturgica — ad esempio, 1 Corinzi verso 9, “Io scrissi a voi...” è un'allusione ad un passo in un'altra lettera che è stata anche preservata, 1 Corinzi 6:12-20. Vide “Reconstitution et classement des lettres de St. Paul” in Rev. de l'histoire des Religions, 1923.

[13] Al momento in cu Paolo stava scrivendo, Apollo non era più a Corinto, ma ad Efeso (1 Corinzi 16:12).

[14] Una lettera fatta da 1 Corinzi 1-4 e 16.

[15] In The Book of Adam (R.H. Charles, The Apocr. and Pseudep,. of the O.T.; Oxford, 1913, capitolo 1, pag. 146), Satana viene a tentare Eva nella forma di un angelo.

[16] Quei quattordici anni sono i quattordici anni che Paolo assicura che passarono tra la sua prima rivelazione e la visita a Gerusalemme da Giacomo, Pietro e Giovanni. L'interrogatorio a Gerusalemme e l'umiliazione a Corinto devono aver preso luogo nello stesso anno (Galati 2:1).

[17] Essi erano ancora relativamente potenti ad Efeso al tempo del quarto vangelo. I mandei erano caratterizzati dal loro odio dello Spirito Santo (vide Stahl, Les Mandéens, pag. 57-61). Atti 19:1-7 comunica di come Paolo convertì una dozzina dei discepoli del Battezzatore e li indusse a parlare in lingue e a profetizzare.

[18] 2 Timoteo 4:14. Gli ultimi tredici versi formano un'autentica epistola paolina inserita in una lettera fittizia (vide P. N. Harrison, The Problem of the Pastoral Epistles; Oxford, 1921). Questo Alessandro sembra lo stesso uomo che fu “consegnato a Satana” da Paolo (1 Timoteo 1:20), e si potrebbe identificare con quell'Alessandro nel tumulto degli orefici (Atti 19:33). e si ammette, con Meyer, che quest'ultimo fosse un cristiano di origine ebraica che gli ebrei spinsero avanti per espolro alla furia del popolo mentre Paolo veniva portato via dai suoi discepoli. Alessandro sembrerebbe essere il capo dei cristiani rivali di Paolo.

[19] ἐθηριομάχησα. Questo capitolo è una lettera di per sé. Secondo una tradizione ragionevole (Les Actes de Paul, edit. L. Vouaux, pag. 247), Paolo a Filippi, dopo gli eventi di Efeso ricevette da Corinto un'inchiesta relativa alla resurrezione dei morti.

[20] 2 Timoteo 4:14-16, in cui gli attacchi di Alessandro vengono nello stesso contesto della prima difesa di Paolo.

[21] Le tre epistole scritte “nelle mie catene” (Filippesi, Colossesi, e Filemone) sono state connesse falsamente alla prigionia romana di Paolo; esse appartengono ad Efeso. Ci furono un praetorium e schiavi imperiali a Efeso come pure a Roma.

[22] Epafrodito è chiamato da Paolo suo fratello, suo compagno di fatiche (συνεργός), e commilitone (συνστρατιώτης). Egli probabilmente è il “vero compagno di prigionia” che Paolo implora di far pace tra Evodia e Sintiche. La parola σύζυγος significa “compagno di lotta” in un'iscrizione a Cos circa gladiatori (Herzog, Koische Forschungen un Funde, numero 133).

[23] Le parole “due anni” (Atti 19:10) non si devono intendere due anni completi. La crisi che portò alla fuga di Paolo da Efeso era attesa da lui quando egli scrisse la sua lettera irata ai corinzi (2 Corinzi 4:8-9); e questa lettera è distante non più di un anno dalla visita a Gerusalemme. La prigionia di Paolo a Efeso non viene menzionata in Atti, ma lo è nel prologo latino (marcionita) ad Atti, “jam ligatus scribit eis (sc. Colossensibus) ab Epheso” (Wordsworth White, N. T. latine ii, 1913, pag. 415).

[24] Galati 5:11. Probabilmente perché egli aveva circonciso Timoteo (Atti 16:3); ma Timoteo era ebreo per metà.

[25] I marcioniti ritenevano che questo fosse un attacco a Pietro. “Occulte inquiant, Petrum lacerat” (Girolamo, Comm. in Gal.).

[26] Gaio (Atti 20:4). I galati erano probabilmente fratelli di Derba, Listra, Iconio, e Antiochia di Pisidia, città della provincia romana di Galazia.

[27] Secondo il Chronicon di Eusebio (ed. Schoene, ii. 155) il procuratore Felice fu richiamato nel 56 E.C. Paolo fu arrestato due anni dopo a Gerusalemme, e l'epistola anticipa questo di un po' di mesi. Il testo presente dell'epistola comprende più di un terzo di aggiunte del secondo secolo.

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