domenica 11 novembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»I Profeti (40 E.C. — 130 E.C.) (II): Divisioni

Lo sciame dei profeti  

I PROFETI
(40 E.C. — 130 E.C.)

II

DIVISIONI

Le apparizioni del Signore Gesù si possono datare dalla cronologia di san Paolo nel 37-38 E.C. —ossia, al principio del regno di Caligola. Esse determinarono la missione profetica degli apostoli, come le visioni di Isaia o di Geremia avevano fatto per gli antichi profeti. Quelle apparizioni avvennero tutte in Palestina, tranne quella di Paolo, che fu messa in dubbio. Esse conferirono alla comunità di Gerusalemme e ai suoi capi, Cefa, Giacomo, i Dodici, un titolo e un diritto ineguagliati a decidere tutto ciò che si poteva postulare nel nome del Signore Gesù. [1]

Cefa-Pietro, il primo a vedere il Signore, fece un numero di viaggi missionari di cui non sappiamo che poco. Altri profeti della comunità, come Sila, Giuda Barsaba, Giuseppe Barnaba, ecc., si recarono in missione dovunque ci fosse bisogno di loro. Giacomo rimase sul colle di Sion e vi esercitò un'autorità permanente.

Il gruppo si definiva “I Poveri”, trattenendo il nome utilizzato dai salmisti e dai lettori delle apocalissi. Quella città paradossale di Gerusalemme ha sempre dimorato sulla sua arida collina in un'atmosfera di mendicità. Così si stabilì che le nuove comunità dovessero rendere un tributo di carità alla comunità madre in cambio del dono prezioso della fede. Nei primissimi giorni Barnaba, che fu un nativo di Cipro, recò un'offerta da Antiochia. [2] Inoltre, i fedeli si accinsero a sostenere Cefa, i “fratelli del Signore”, e ogni altri legati da Gerusalemme, come pure le loro mogli, ogni volta che soggiornarono con loro. [3] I sacerdoti e i leviti, che avevano formato una sorta di proletariato sacerdotale intorno al Tempio, fluirono in molti tra i Poveri di Gesù. [4]

Ogni comunità si divise tra quelle che parlavano aramaico e quelle che parlavano greco. La differenza linguistica sviluppa generalmente una differenza dottrinale e produce una divisione. I greci si separarono dagli ebrei, come loro chiamarono gli altri, e costituirono sette capi, di cui il primo e più forte fu Stefano e l'ultimo un proselita di Antiochia di nome Nicola, un pagano convertito prima all'ebraismo e poi al cristianesimo. 

Divergenze dottrinali si svilupparono presto tra le due sette. La prima verteva sul Tempio. Gli ebrei erano assidui nella preghiera pubblica. Non mancarono mai di essere presenti all'offerta dell'agnello del mattino e dell'agnello della sera. Giacomo in particolare, secondo la tradizione, fu così fervente che le sue ginocchia, a causa del costante inginocchiarsi nel Tempio, divennero così nodose come quelle di un cammello. [5] I greci, d'altra parte, non avevano nessun rispetto di sorta per la costruzione di Erode. Abramo non conobbe il Tempio. Ciò che era stato sufficiente per Abramo fu sufficiente per loro. Che cosa avevano a che fare con loro le dettagliate cerimonie di Mosè? Dio non dimorava in un'abitazione costruita con mani d'uomo. Il Signore Gesù stava venendo presto per distruggere il Tempio, e quel che egli avrebbe risollevato fu l'ekklesia dei santi.

Ci fu una rivalità tra i cristiani greci e gli ebrei greci. Attaccare il Tempio di Alessandria fu imprudente; a Gerusalemme ciò equivaleva ad una provocazione a combattere. Il Tempio era la Mecca dell'ebreo. Quando Caligola, l'imperatore folle, decretò che la sua statua si dovesse installare nel Tempio a Gerusalemme, gli ebrei insorsero e si ersero in sei file sull'ingresso, uomini, anziani, donne, e bambini, per impedire un sacrilegio simile. [6] Stefano, quel forte profeta, fu denunciato al Sinedrio per blasfemia contro Mosè e contro Dio. Egli fu sostenuto da una visione dell'Uomo Celeste:
Ecco, io contemplo i cieli aperti
e il Figlio dell'Uomo che sta alla destra di Dio.

(Atti 7:55-58)
Dopo la sua condanna sembrerebbe che fosse stato lapidato e linciato. [7] Le sue ultime parole furono “Signore Gesù, accogli il mio spirito” e “Signore, non imputare loro questo peccato”.

I cristiani greci furono espulsi, alcuni in Fenicia, altri a Cipro, e altri a Samaria. [8] Parecchi si recarono ad Antiochia, la casa di Nicola, dove formarono una comunità in opposizione a quella di Gerusalemme.

Quanto a Cefa-Pietro e agli ebrei, essi non avrebbero avuto nulla a che fare coi loro audaci fratelli, e rimasero all'ombra del Tempio ma buoni ebrei guardavano loro con dubbio.

L'assassinio di Caligola nel 41 E.C. liberò la Giudea dal terrore di vedere profanato il Tempio. Claudio sostituì il procuratore con un protettore, ed Erode Agruppa diventò re. Per dare soddisfazione agli ebrei, e per imitare la politica di Claudio, il quale, a Roma e ad Alessandria, stava reprimendo disturbi ebraici, [9] Erode ordinò che venisse decapitato un cristiano — probabilmente il più importante, Giacomo il figlio di Zebedeo, uno dei Dodici. Pietro fu gettato in prigione. Il cammello di pietà, Giacomo, fu rispettato, ed Erode Agrippa morì nel 44. Gli succedette un procuratore, e gli ebrei ortodossi celebrarono la conversione della famiglia reale di Adiabene all'ebraismo. Gli Ebrei furono lasciati in pace per un pò di anni, fino allo scoppio della Guerra Giudaica. 

La morte violenta del figlio di Zebedeo recò onore a suo fratello Giovanni, che diventò un “pilastro”, assieme a Pietro e a Giacomo. Egli fu destinato a rimanere in piedi più a lungo degli altri. Vent'anni dopo Pietro e Giacomo erano caduti entrambi, e Giovanni, il solo sopravvissuto, fu un rifugiato in Asia Minore, l'ultimo di coloro che pretesero di aver visto il Signore Gesù. Egli diventò l'autorità più grande sulla rivelazione di Cristo Gesù, e ciò dopo il passaggio del suo grande antagonista, l'altro grande profeta cristiano, Paolo.

Nella splendida Antiochia, dove l'Oronte portava tutte le superstizioni dell'Oriente, la comunità greca, ricca dei suoi profeti e arricchita dalla presenza di Barnaba, aveva commesso un atto audace. Avevano rivelato ai pagani il mistero del Signore Gesù. Essi avevano ammesso alla loro ekklesia mediante il battesimo gente che non era affatto ebrea.

Quale obiezione si poteva sollevare a questo? Non disse lo stesso Battezzatore “Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre” ? Il problema non fu in alcun modo semplice. Che sorta di “figli di Abramo” stavano per essere allevati in questa maniera? Il credo nel Figlio Celeste implicava un credo in Jahvè, e perciò un credo nell'ebraismo, che comportava un certo stile di vita. Suggerire che certe pratiche ebraiche, che potrebbero essere considerate indispensabili per un credente in Jahvè, avrebbero potuto essere imposte a convertiti pagani equivalse a qualcosa di davvero nuovo, poichè sin dalla rivolta maccabea nessun compromesso era sembrato possibile tra la vita ebraica e la vita pagana. Quali pratiche ebraiche erano indispensabili? Questo doveva creare un abisso tra Gerusalemme ed Antiochia.

Gerusalemme dichiarò che la circoncisione era essenziale per un'ammissione alla fratellanza, poichè Dio l'aveva prescritta ad Abramo prima del tempo di Mosè. Ma circoncidere un uomo che non fosse ebreo per nascita costituiva un crimine, secondo la Legge romana. [10] Sia il circonciso che il circumciser sarebbero stati meritevoli di una condanna a morte. 

Il compromesso che accettò finalmente Gerusalemme fu che il gentile doveva obbedire solo alla legge data da Jahvè a Noè per tutta l'umanità. [11] Essa contiene un solo precetto rituale. “Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue” (Genesi 9:4). Così il cristiano non-ebreo doveva osservare solamente un rito — quello del consumo di carne Kosher. Egli doveva astenersi scrupolosamente dal consumare qualsiasi carne acquistata al mercato, poiché non era stata propriamente svuotata del suo sangue ed era stata offerta probabilmente agli idoli. Nei villaggi greci i templi erano di frequente le sole macellerie. Nella pratica reale questa proibizione rendeva il cristiano dipendente dal macellaio ebreo e gli impediva di congiungersi coi suoi amici pagani durante ogni pasto.

Gli estremisti ritenevano che il Neonato nello Spirito venisse liberato dallo Spirito — ossia, da Gesù — dal fardello di Noè come pure da quello di Mosè e da quello di Abramo. Egli poteva comprare perciò senza esitazione ogni carne in vendita al mercato e partecipare a qualsiasi pasto, Kosher o meno. Gli idoli non erano niente. Esisteva un solo Dio, a cui apparteneva ogni cosa. Liberati dallo stesso Spirito, i giudeo-cristiani potevano congiungersi coi loro fratelli ebrei nel festeggiare senza disturbarsi se il cibo fosse Kosher. Così insegnò Nicola di Antiochia, il compagno di Stefano, una dottrina che gli Ebrei di Gerusalemme trovarono abominevole. Ma Nicola, pagano di nascita, sapeva in quale maniera i pagani avrebbero potuto essere convertiti.

Ci fu un'altra difficoltà. Un gentile sposato avrebbe potuto essere convertito e la moglie o il marito rimanere nel paganesimo. Che cosa allora? Secondo una tradizione, lo stesso Nicola abbandonò sua moglie, senza dubbio perchè lei rimase non-convertita. [12]

Ad Antiochia non sembrò necessaria nessuna separazione, e i cristiani greci permisero ad un cristiano di convivere con sua moglie pagana e alle donne cristiane di convivere coi loro mariti pagani (1 Corinzi 7:12). Questo era un abominio agli occhi degli Ebrei, che lo giudicarono una fornicazione. A volte accadeva che una giovane donna gentile, pur di dedicarsi all'adorazione dell'atteso Salvatore, doveva fuggire dalla sua famiglia. [13] Lei era poi incaricata di prendersi cura di un fratello non sposato, che giurava di preservare la sua verginità. Se, comunque, un desiderio pericoloso lo turbava, gli era permesso di sposare la sua vergine (1 Corinzi 7:36-38).

Tutto ciò che gli Ebrei di Gerusalemme potevano percepire nelle sagge dottrine di Nicola di Antiochia era abominio e fornicazione. Consumare carne di idoli e fornicare sono le accuse fatte ripetutamente da Giovanni nell'Apocalisse contro i Nicolaiti.
Ad Antiochia i credenti misti nel Cristo Gesù, che non devono essere confusi con gli ebrei, si chiamarono cristiani (christiani). Gli Ebrei di Gerusalemme che stavano aspettando la venuta di Gesù erano conosciuti come i discepoli di Giovanni il Battezzatore, i Nazareni. [14]

Barnaba portò di ritorno da Tarso ai profeti di Antiochia un piccolo, malato fratello, probabilmente epilettico, [15] posseduto da un'energia intensa e da un orgoglio fremente. Nei primissimi giorni egli era stato il flagello dei credenti in Arabia. Gesù Cristo gli era stato rivelato e lo Spirito era forte in lui. Egli era ritornato di recente dal proclamare Gesù per tutta l'Arabia, la Siria, e la Cilicia. Egli si sentì capace di proclamarlo da Gerusalemme fino agli estemi confini dell'Occidente; niente era impossibile per la sua fede. Da ebreo, agli ebrei era conosciuto come Saulo, e da cittadino romano, egli chiamò sé stesso Paolo.  

Noi ora dobbiamo seguirlo nella sua esistenza avventurosa e intensa, poichè egli fu colui che impresse sul cristianesimo il sigillo del suo genio. 

NOTE

[1] L'ultima apparizione, secondo San Paolo, è datata da lui quattordici anni prima del suo viaggio a Gerusalemme, quando egli incontrò Pietro, Giacomo, e Giovanni (Galati 2:1). Questo viaggio deve aver preso luogo nel 51-52 E.C. Si veda più in seguito, pag. 52.

[2] Atti 11:30; 4:36. Paolo è interpolato dall'editore.

[3] 1 Corinzi 9:5. Le loro mogli erano “sorelle” — ossia, cristiane. Barnaba non trasse vantaggio di questo privilegio.

[4] Atti 6:7 : “Anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede”.

[5] Egesippo in Eusebio, Eccles. Hist., 2:23, 6.

[6] Filone, Leg. ad Caium, 22.

[7] Atti 7:57-58. La breve nota su Paolo è un'interpolazione. Il discorso di Stefano è artificioso, ma avanza antichi argomenti contro il Tempio.

[8] La leggenda di Filippo in Atti 8. Le parole poste sulle labbra di Stefano sono a favore dei samaritani; la tomba dei patriarchi è a Sichem, invece che a Hebron; la costruzione del Tempio da parte di Salomone non piacque a Dio (Atti 8:16 e 47-50).

[9] Per Roma si veda Svetonio, Claud., 25, “Judaeos impulsore chresto assidue tumultuantes Roma expulit,” Dione Cassio, 60.6, 6. Per Alessandria si veda la Lettera di Claudio agli alessandrini, da un papiro, di Idriss Bell; Londra, 1929.

[10] Juster, Les Juifs dans l’Empire Romain; Parigi, 1914, i. 263–271.

[11] La stessa soluzione è stata adottata nei nostri tempi dal rabbino Eli Benamozegh per l'ammissione del signor Aimé Pallière all'ebraismo (A. Pallière, Le Sanctuaire Inconnu; Parigi, 1926).

[12] I nicolaiti sono attaccati in Apocalisse poiché insegnavano che la carne offerta agli idoli poteva essere consumata e poiché permettevano fornicazione. La tradizione, che appare in Clemente, Strom., 3:4, è ovviamente distorta. Ireneo, Haer., 1, 26, 3; 3, 10, 7; Ippolito, Philosoph., 7:36; Euseb., Hist. eccl., 4, 29, 1.

[13] Questa situazione è ben illustrata dalla storia di Paolo e Tecla, composta nel secondo secolo. La vergine Tecla lasciò sua madre e così si unì e visse con Paolo come una “vergine ammessa” (Gli Atti di Paolo, traduzione di L. Vouaux; Parigi, 1913).

[14] Atti 11:26 (Cristiani); 24:5 (Nazorei, espressione di arcaismo sulle labbra di un difensore di Gerusalemme).

[15] Galati 4:14: “non disprezzaste né vi fece ribrezzo” oppure “non schifaste”. Era costume sputare sugli epilettici per prevenirne il contagio (Plinio, Hist. Nat., 28:7).  

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