mercoledì 10 ottobre 2018

GESÙ CRISTO è esistito? — I vangeli

San Paolo

I VANGELI 

Sono circa settanta che si raccomandano da Pietro, Taddeo, Tommaso, Marco, Filippo, Andrea, Matteo, Giacomo, Barnaba, Luca, Mattia, Bartolomeo, Giovanni, ecc. Ma la Chiesa onora in particolare quattro di loro dichiarandoli canonici: li abbiamo riconosciuti di passaggio.

Gli altri, dice, sono apocrifi. Etimologicamente, la parola significa nascosto, evocando la gnosi e l'iniziazione; in realtà, significa semplicemente non canonico. Il vescovo Cristiani pretende che il valore storico dei vangeli apocrifi sia “rigorosamente uguale a zero”. [1] Egli pensa di accreditare gli altri screditandoli, allo stesso modo di “chi rinchiude alcuni folli in una casa per persuadere quelli che sono fuori che non lo siano” (Montesquieu). Eppure la Chiesa, che non ha firmato la sua formula, non manca di attingere dagli apocrifi che ha battezzato poi Tradizione.

Inoltre, essa non distingue tra i vangeli per ragioni storiche ma dogmatiche. Al tempo in cui il dogma si cercava ancora l'esclusività era impossibile e tutti gli scritti benvenuti. “Non spegnete lo Spirito!”, aveva detto Paolo (1 Tessalonicesi 5:19). Non vi è nulla di spento. Fino alla fine del secondo secolo regnava il più bel disordine. Giuda cita Enoch e Paolo  l'Apocalisse di Elia (1 Corinzi 2:19), che sono, al giorno d'oggi, apocrifi. Il Vangelo degli Ebrei e l'Apocalisse di Pietro, ora sotto il moggio, allora brillavano nella chiesa di Roma. Con buona pace di Lagrange il Pastore di Erma era canonico per Ireneo e Clemente di Alessandria.

Ma a poco a poco l'anarchia lasciò il posto al desiderio di unificazione: si stabilì allora una media che sarebbe diventata ortodossia; gli estremi sarebbero presto passati per eretici. Il Vangelo di Pietro, un tempo prestigioso, sembrava ora favorire i doceti: fu messo da parte. Il concilio romano del 494 collocò tra gli apocrifi il Pastore di Erma; si gettò un'ombra sui vangeli dell'infanzia troppo appoggiati al meraviglioso. Le comunità più sagge adottarono un vangelo per la relativa discrezione che teneva lontano gli estremisti e restituiva loro in compenso un maggiore prestigio. I quattro vangeli detti canonici avrebbero trionfato per la loro misura nell'eccesso: essi trionfarono. La Chiesa, insomma, ha scelto bene.

Ma da nessuna parte sembra che abbia fatto un'indagine storica su di loro: la teologia da sola ha deciso. Per Ireneo, per esempio, Matteo confuta gli ebioniti, Luca Marcione, Marco Cerinto e Giovanni Valentino: ecco ciò che conta. E se ci sono quattro vangeli, prosegue il vescovo, questo è perché ci sono quattro punti cardinali e i cherubini hanno quattro facce. Alla buon'ora!

L'unificazione della fede richiedeva una regola, in greco un Canone. Di conseguenza venne realizzato un catalogo di libri ispirati. Marcione, nel 140 circa, ne propose uno che fu respinto; ci furono senza dubbio altri tentativi. Ancora, verso il 180, la Chiesa romana aveva il suo Canone che Muratori, nel 1740, decifrò in un manoscritto dell'ottavo secolo.

Certe chiese resistettero a lungo: nel 367 il Concilio di Laodicea respingeva ancora l'Apocalisse. Ma lo Spirito Santo che aveva ispirato i canonici seppe finalmente imporli. Che ora ce li faccia sentire!

In definitiva un vangelo canonico è un apocrifo che ha avuto successo. Per vedere qualcos'altro si deve fare affidamento alla Chiesa come sempre giudice e giuria. Per me tutti i vangeli si equivalgono.
Tuttavia, per rispetto verso la Chiesa, mi occuperò solo dei quattro che ha timbrato. 


1. — AUTENTICITÀ DEI VANGELI.


Ecco una breve notizia su ciascuno di loro.

A) Vangelo secondo san Matteo.


Nessuno parla di questo vangelo prima di Papia, vescovo di Ieropoli in Frigia. Scriveva verso il 140: “Matteo ha riunito i detti del Signore in lingua ebraica e ciascuno li tradusse come poteva”.

Ecco su cosa si basa questa attribuzione: il nostro vangelo è l'unico a nominare Matteo il pubblicano che Marco e Luca chiamano Levi: è, a quanto pare, la firma dell'autore. Rops, inoltre, afferma che Matteo si definì “uno scriba perfettamente istruito riguardo al regno dei cieli” [2] e dà in riferimento Matteo 13:52. Vedi di persona che non è assolutamente niente; tali espedienti giudicano una tesi.
In effetti, tutti gli apostoli furono onorati con un vangelo, persino Giuda. Matteo subì il destino comune e se il suo libro è stato più fortunato di altri, non fu per ragioni storiche ma dottrinali. (Si veda più avanti).

L'originale, dice Papia, era in ebraico o piuttosto in aramaico, dialetto siro-caldeo; ma il presente vangelo è in greco. Tra lo pseudo-Matteo e noi c'è quindi un intermediario. San Girolamo confessa di ignorare il suo nome; anche noi ignoriamo la sua competenza. Padre Grandmaison tiene per una “congettura plausibile” che Matteo si sia tradotto lui stesso. [3] Ma la confessione di Papia nega questo bell'ottimismo.

Il nostro vangelo, in ogni caso, non traduce l'aramaico ma lo adatta, come dimostra la filologia. È anche certo che il traduttore abbia conosciuto il vangelo di Marco, dal quale a volte prende in prestito parola per parola. In sintesi, un testo non identificato in aramaico poi rapidamente scomparso è stato adattato in greco e ritoccato da un anonimo. La Chiesa venera il tutto sotto il nome di Matteo.

B) Vangelo secondo san Marco.


Papia è ancora il primo a menzionare Marco. Egli ricava da un certo Giovanni il Presbitero che Marco non ascoltò il Signore in persona ma ricevette l'insegnamento di Pietro di cui era discepolo e amico.

È poco credibile: Marco insiste sul rinnegamento dell'apostolo ed era il Tu es Petrus: un avversario si comporterebbe diversamente? Cerchiamo di spiegare questo silenzio con l'umiltà di San Pietro, ma la modestia personale deve cedere all'autorità della funzione. Il principio trascende l'uomo e ha delle esigenze su di lui. Pietro e il suo discepolo avrebbero capito: inoltre, lo Spirito Santo era lì per illuminarli.

È possibile che questo vangelo sia stato scritto da un oscuro Marco a cui volevano dare una leggenda. Gli Atti parlano precisamente di due Marchi: uno era un discepolo di Pietro (12:12); l'altro di Paolo (15:37). Fondendoli si ottenne un Marco mutevole che era passato da Paolo a Pietro attraverso una fase assieme a Barnaba (Atti 15:39). Rimase solo da identificare questo bicefalo con l'ignoto evangelista. Fu un gioco di cui ci sono altri venti esempi: così l'abate Hildouin, nel IX secolo, confonde Dionigi l'Areopagita con il primo vescovo di Parigi che visse 200 anni dopo Gregorio di Tours. Quindi attribuiamo a questo mito trattati di angelologia apparsi nel 532: Da allora in poi abbiamo avuto le Opere di san Dionigi l'Areopagita, il primo vescovo di Parigi. Attribuiamo ancora a San Bernardo (dodicesimo secolo) la preghiera lamentosa del Memorare commessa da padre Bernardo sotto Luigi XIV: l'errore è solamente di cinque secoli.

Non siamo nemmeno sicuri che il vangelo di cui parla Papia sia quello che abbiamo. Papia lo accusa, anzi, di mancanza di ordine e il nostro ne ha fin troppo. Alfaric ha dimostrato che tutto va in tre: miracoli, preghiere e parabole. Harnack assume anche tre livelli editoriali. Quindi il più antico dei vangeli è già truccato.


C) Vangelo secondo  san Luca.


Il primo che cita il nome di Luca è sant'Ireneo verso il 180. Davanti a lui il silenzio è monolitico. Senza dubbio Marcione conosceva bene questo vangelo, ma sembra ignorarne l'autore.

Può darsi che uno scritto abbia già corso sotto il nome di Luca, uno sconosciuto che verrà in seguito trasformato in discepolo di Paolo. Costui parla del “caro medico Luca” nella sua lettera ai Colossesi (4:14) e loda altrove un fratello anonimo che predicava un vangelo che equivale a dire più semplicemente la Buona Novella come l'intendeva Paolo. Questi due uomini sono stati fusi arbitrariamente con lo sconosciuto Luca mediante questa meravigliosa alchimia che trasmuta il piombo delle ipotesi nell'oro delle certezze. Erano necessari molti anni e per monsignor Ricciotti, ad esempio, è ancora solo una “ipotesi”. [4] Ma l'intrepido Rops scrive senza batter ciglio che il nostro Luca era un dottore “secondo una tradizione che risale a Paolo stesso”. [5]

Luca confessa che non ha visto quello che dice, ma ha consultato, dice, i rapporti di coloro che hanno visto (Luca 1:2). È quindi necessario credere sulla parola ad uno sconosciuto che ripete gli altri. Certi assicurano che egli fu informato dalla Vergine stessa, in particolare sull'infanzia di Cristo. Luca dice in effetti: “Maria ha tenuto tutte queste cose nel suo cuore” (2:19) e Rops conclude che lei le abbia comunicate a lui. [6] Se le avesse tenute, non le avrebbe divulgate.

Ora credi quello che vuoi: innocens credit omni verbo (Proverbi 14:15).

D) Vangelo secondo san Giovanni.


Nessuno prima di sant'Ireneo conosceva il vangelo di Giovanni, nemmeno Policarpo, che era, secondo la famiglia, un discepolo dell'apostolo. Marcione e Giustino l'ignorano egualmente.

Un silenzio sorprendente è quello di Papia che visse vicino ad Efeso dove la tradizione descrive la vecchiaia di Giovanni. Egli conosceva Giovanni il Presbitero, che nessuno vuole identificare senza verosimiglianza con l'apostolo: sarebbe strano che Papia avesse conosciuto l'evangelista e avesse ignorato il vangelo; gli apologeti che vedono il pericolo si affrettano a distinguere i due Giovanni.

La tardiva attribuzione di un vangelo all'apostolo incontrò una decisa opposizione alla fine del secondo secolo. Ancora oggi, padre Lagrange rimuove segretamente da Giovanni il vangelo che egli gli assegna in pubblico. [7]

È inconcepibile, infatti, che un pescatore di Tiberiade abbia scritto questo trattato teologico: Giovanni, dicono gli Atti (4:13), era un uomo del popolo privo di istruzione.  Non c'è dubbio che avrebbe potuto imparare più tardi, ma avrebbe mantenuto del suo primo stato il senso del concreto e dell'immagine e avrebbe evitato questi fumosi discorsi in cui Gesù parla di lui in terza persona: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.” (Giovanni 17:3). Ovviamente, l'interpellato non risponde: si è addormentato. [8]

Ecco come si è proceduto, sembra, ad attribuire questa confusione al pescatore.

Si legge in questo vangelo: “Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti” (21:24). Lo stesso è nominato tre versi prima: “Il discepolo che Gesù amava”. Ma Gesù testimonia la sua predilezione per tre apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Era tra questi tre che doveva essere scelto l'autore del libro.

I primi due erano già dotati di un vangelo: quello di Pietro era anche il più antico di tutti. Giovanni restava solo in gara: ci si rassegna a ciò.

Che si definisse “il discepolo che Gesù amava” avrebbe potuto sorprendere e rimettere tutto in discussione. Ma la Chiesa era in grado di credere che questa formula orgogliosa odori di viola; alcuni, si dice, ci credono ancora.

Ancora un'altra parola sui vangeli. Quello di Giovanni, come un angelo, è una specie a sé, ma gli altri tre sono correlati. Spesso riferiscono gli stessi fatti e si possono ripartire i loro versi in colonne parallele che si abbracciamo ad un solo sguardo: sinossi. Da qui il loro nome barbaro di Sinottici.

Ma se si copiano talvolta parola per parola sui dettagli, assai spesso si oppongono sull'essenziale. Questa miscela di divergenze e di somiglianze pone un problema difficile.

Quando i Sinottici si ripetono, possiamo concludere che dipendono l'uno dall'altro oppure tutti e tre dalla stessa fonte. Ma la fonte comune è scomparsa, il che impedisce di giudicare. Per quanto riguarda la dipendenza reciproca, è di una complessità sorprendente. I geologi dell'esegesi identificano diversi livelli nei vangeli che permettono di scrivere ad esempio: “Il nucleo di Marco è anteriore al nostro Matteo, ma il nucleo di Matteo può essere anteriore al nostro Marco”. [9] E ancora al di sotto c'è il fondo delle cose dove molti non vanno per paura di restarvi.

In breve, non sappiamo nulla: gli esegeti cattolici che fanno i vanagloriosi giudicano sugli stessi pezzi di noi, il che svaluta la loro sicurezza. [10]

2. — ANTICHITÀ DEI VANGELI.


Qualunque siano i loro autori, proviamo a datare i vangeli. Va notato che l'antichità di un testo non prova la sua veridicità: una menzogna non diventa vera man mano che invecchia. Si può tuttavia concedere, senza pregiudizi, un pregiudizio favorevole ai contemporanei. A quando risalgano i vangeli?

A) I manoscritti.


Per datare un testo, si interrogano, se possibile, i manoscritti originali. Per prima cosa esaminiamo la questione: pelle e papiro sono, in linea di principio, anteriori alla pergamena, che non appare fino al quarto secolo. Si sta ancora studiando la natura dell'inchiostro (metallico o meno) e la forma delle lettere che si è evoluta nel corso dei secoli.

Non abbiamo gli originali evangelici. I manoscritti più antichi (il Sinaiticus e il Vaticanus) risalgono solo al quarto secolo. Sono quindi trecento anni più tardi rispetto agli eventi che sostengono di riferire: il divario è considerevole. Non importa che abbiamo 2500 manoscritti di cui quaranta, dice Rops, [11] hanno più di mille anni. Contano solo i due più antichi. [12]

Sono menzionati in grande dettaglio quattro versi giovannei ritrovati nel 1933 in un papiro egiziano. [13] Li si data all'anno 130 senza specificare il giorno e l'ora ed è un peccato. [14] Questa arroganza è tanto più colpevole quando uno dei versi domanda: “Che cos'è la verità?” [15]

B) L'esame del testo.


In assenza dei manoscritti originali, l'esegesi usa il testo stesso per datarlo. Così il vangelo di Marco, assicurano i cattolici, fu scritto prima del 70 poiché profetizza la rovina di Gerusalemme avvenuta in quell'anno. “Questo annuncio”, scrive padre Renié, “non ci consente di supporre che la catastrofe sia già avvenuta”. [16] Ma uno spirito malvagio conclude all'opposto: “L'evento annunciato è stato realizzato nell'anno 70. Solo dopo questa data il vangelo sarà stato scritto”. [17]

Non deciderò tra Alfaric e Padre Renié, dato che entrambi, mi sembra, peccano di apriorismo. Ma rilevo i sofismi di padre Renié. Perché l'argomento profetico sia convincente, sarebbe necessario che la profezia fosse conosciuta prima della sua realizzazione finale, e non dopo.

Per altri, i vangeli dimostrano la loro antichità descrivendo la società ebraica scomparsa nel 70.

Ma le opere di Flavio Giuseppe, alcuni archivi o memorie erano sufficienti ad informare sull'essenziale; inoltre, l'erudizione superficiale degli autori non è sempre indiscutibile, lo vedremo presto.

Infine, alcuni datano i libri sacri al primo secolo “perché non vi è alcun riferimento alle eresie e alle controversie che si verificheranno dopo”. Ciò proverebbe l'indirizzo degli scrittori e non l'autenticità degli scritti, ma vedremo in seguito che questo è inesatto. [18]

Certamente ci sono molto antiche pagine nei vangeli come quella, derivata da un'apocalisse, che prevede che la fine del mondo seguirà da vicino la caduta di Gerusalemme.  Ma un altra dichiara la sua appartenenza al secondo secolo perché presuppone un lungo passato ecclesiale (Matteo 18:17) o teologico: si è arrivati di primo colpo alla formula trinitaria di Matteo (28:19). [19]

Penso anche al Tu es Petrus (Matteo 16:18) che rompe il filo della narrazione, manca in Luca (9:18 ss) e in Marco (4:18 ss) malgrado il contesto assolutamente identico e che Ireneo non conosce ancora nel 180. L'interpolazione tardiva è evidente. [20]

Le modifiche sono distribuite su due secoli e più, proibendo di datare per intero un vangelo. Ciascun verso ha la sua età che non rivela facilmente e talvolta fa detonare violentemente se viene avvicinato a un altro. Così Gesù dice in Matteo (10:23): “Non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell'uomo” e più oltre: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28:19). I due versi si trovano nello stesso vangelo: tuttavia tra i due c'è più di un secolo.

Ecco alcune altre interpolazioni piuttosto curiose. Origene nel Contra Celsum (6:36) nega esplicitamente che il vangelo qualifica Gesù un falegname: Marco (6:3) lo afferma a chiare lettere. Il vangelo di Origene, nel 240 circa, non era quindi il nostro.

Meglio ancora: i primi due capitoli di Luca, relativi alla nascita di Cristo, sono una interpolazione molto tarda. Taziano (175 circa) non li conosceva e Marcione non li menzionava nella sua edizione evangelica. Tertulliano lo rimprovera di averli cancellati con un colpo di spugna e addirittura lo invita ad arrossire di vergogna: Erubescat spongia Marcionis!

Questa è una calunnia gratuita. [21] Mi si obietterà che Marcione, giudicando la materia malvagia, attribuì a Cristo un corpo astrale: non poteva quindi ammettere, mi verrà detto, che Gesù nacque da una donna, come racconta Luca. Da qui la sua spugna.

Bah! Si sarebbe tirato d'impaccio tramite una metafora come i teologi di tutti i tempi (saltando dieci tasti della mia tastiera), ma non avrebbe potuto cancellare due capitoli (132 versi) testimoniati da tutti. Arrossire era troppo perfino per una spugna.

Il vangelo che ha conosciuto cominciava all'incipit evocativo del terzo capitolo: “Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea...”. Poi Giovanni il Battista sale sul podio per annunciare il Maestro di persona. Questa volta capisco la parata e la applaudo. Ma i due capitoli precedenti fanno mancare l'entrata e si escludono. Inoltre, secondo Epifanio, i primi cristiani della Palestina non avevano alcun resoconto della nascita di Gesù. [22]

L'innocenza di Marcione mi sembra innegabile, ma l'accusa di Tertulliano prova la possibilità del delitto: altri usavano la spugna tanto quanto il calamo. Ancora secondo Epifanio [23] si leggeva in Luca che Gesù pianse durante sua agonia ma certi, dice, cancellarono il passo. [24] Secondo san Ilario, si è anche tentato di rimuovere il sudore del sangue. [25]

Giustino, nel 150 circa, racconta il battesimo di Cristo senza nemmeno citare Giovanni il Battista, ma ci dice che “mentre Gesù scendeva nell'acqua, il fuoco si accese nel Giordano”. [26] Questo dettaglio non è più nei vangeli che testimoniano un cristianesimo raffreddato.

I manoscritti erano allora rari e costosi: ci vollero due anni perché un buon copista trascrisse la Bibbia: era quindi facile falsificare i testi.
San Girolamo nota le discrepanze tra i manoscritti evangelici. “Ci sono”, dice, “versioni solo di copie: ognuna ha aggiunto o sottratto ciò che gli piaceva”. Girolamo fece lo stesso nella sua recensione della Septuaginta e della sua edizione della Vulgata; quindi Rufino lo accusa di frode. [27] L'autore dell'Apocalisse, che conosceva questi usi e costumi, dedica flagelli divini ai mutilatori del suo libro (Apocalisse 22:18). Quello della seconda epistola ai Tessalonicesi (2:2) mette in guardia contro le false lettere che possono correre sotto il suo nome.
I vangeli non infrangono la regola, e verso la fine del secondo secolo, Dionigi di Corinto si lamentò che alcuni hanno adulterato le sue lettere “come altri hanno falsificato le Scritture del Signore”. [28]

In questi tempi benedetti, tutto si truccava per la gloria di Dio: l'elenco dei martiri, dei vescovi, dei papi. [29] Si attribuì a Marco Aurelio un rescritto che puniva con la morte i denunciatori dei cristiani; [30] al saggio Antonino un elogio delle virtù cristiane. [31] Si inventò da zero una corrispondenza tra Paolo e Seneca, che la Chiesa primitiva teneva per autentica. [32]

Il Medioevo seguirà la tradizione. Nel 754, Papa Stefano II inviò a Pipino il Breve una lettera di San Pietro portata dal cielo. [33] Si fabbricheranno migliaia di apocrifi per dimostrare l'apostolicità delle chiese e delle abbazie fino al grande scandalo di Mabillon. [34] Noi sappiamo i falsi decretali, le false donazioni di Costantino e di Ludovico il Pio, perfino i falsi concili come quello di Sinuesse. Nella sua Chronologie expliquée par les médailles (1696) il gesuita Hédouin sostiene che tutta la storia antica sia stata inventata dai monaci basandosi su Erodoto, su Plinio e qualche altro. È una folle esagerazione, ma il medioevo ha spesso superato la “Graecia Mendax”.

I tempi moderni non hanno nulla da invidiare. Nel diciassettesimo secolo, il gesuita spagnolo Higuera pubblicò a Saragozza una presunta Cronaca di Flavio Dexter, lo storico citato da san Girolamo. Ora la scrisse lui stesso e se le è fatta inviare dalla Germania tramite un complice. [35] Le lettere di Gesù e di Maria non si contavano e parecchie sono autenticate da diversi vescovi [36] o da dottori della Sorbona. [37]

Noi abbiamo conosciuto ai nostri giorni il messaggio di Pio X a Francesco Giuseppe e il Segreto agli episodi di Fatima. Le menzogne di ieri e di oggi ci fanno comprendere quelle di un tempo.

Non devo fare qui la psicologia dei falsari, ma nota che trovano la loro scusa in uno strano lassismo che è sfuggito a Pascal. La seconda lettera di Pietro, che è senza alcun dubbio del terzo secolo, è detta scritta dall'apostolo stesso. In buon francese, è un faux. Eppure Padre Renié dichiara a suo riguardo “che una finzione letteraria rimane possibile e perfettamente compatibile con l'ispirazione”. [38] Come allora distinguere i testimoni veri dai testimoni falsi?

Capisco la preoccupazione di Padre Pouget, che è stata a lungo la mia: “I dubbi sulla fede sono inevitabili in chi riflette sui fondamenti della nostra fede, non nello scienziato che può benissimo riconciliare la scienza con la fede del carbonaro”. [39]

Sant'Agostino aveva già detto: “Io non crederei ai vangeli se l'autorità della Chiesa non mi spingesse a farlo”. [40] Circolo vizioso? Io non la penso così. Perché la Chiesa esiste a prescindere dai vangeli, ed è persino anteriore a loro se li prendiamo nella forma presente. Ammetto che lei ha la sua parola da dire. 

La sua testimonianza si pretende doppia: la Tradizione e il Martirio.
NOTE

[1] Ecclesia d'agosto 56.

[2] Rops, op. cit., pag. 40.

[3] Grandmaison, Jésus Christ, t. 1, pag. 117.

[4] Ricciotti, Vie de Jésus-Christ, pag. 123 (Payot; 1947).

[5] Rops, op. cit., pag. 45.

[6] Rops, op. cit., pag. 45.

[7] Confidenza riportata da Couchoud nel Dieu Jésus, pag. 18 (Gallimard).

[8] Anche gli apostoli (Matteo 26:40).

[9] Salomon Reinach, Orpheus, pag. 323.

[10] Ecco, ad esempio, l'opinione media di un protestante: “L'attribuzione del secondo vangelo a Marco non può essere considerata come rigorosamente stabilita. (...) L'attribuzione del terzo vangelo a Luca è molto discutibile e quella del primo e del quarto a Matteo e a Giovanni è certamente infondata” (Goguel, Jésus de Nazareth, mythe ou histoire? pag. 225).

[11] Rops, op. cit., pag. 29.

[12] 200000 varianti sono state trovate in questi manoscritti: lo Spirito Santo che ha ispirato il testo avrebbe dovuto ispirare il rispetto.

[13] È il famoso Rylands di Manchester.

[14] Il loro editore ha bisogno di essere rassicurato. Guarda alle sue preoccupazioni nella Histoire génèrale des religions, t. 3, pag. 120 (Quillet).

[15] Abbiamo visto di recente quanto sia incerta la paleografia, dal momento che un frammento del Levitico, trovato nei manoscritti del Mar Morto, è collocato dagli studiosi dal 450 al 50 prima della nostra era.

[16] Renié, Manuel, t. 4, pag. 82.

[17] Alfaric, L'Evangile selon Marc, pag. 49 (Rieder; 1929).

[18] Stessa osservazione per i vangeli. La Seconda di Giovanni (verso 7) mira a Marcione che negava che Cristo fosse venuto nella carne. Tertulliano salverà la situazione: è, dice, un'anticipazione profetica (Adv. Marcionem 3:8).

[19] Mandiamola a unirsi al Comma giovanneo apparso nel quarto secolo.

[20] Il padre Renié obietta che il Tu es Petrus si legge in tutti i manoscritti di Matteo. Siccome il più antico risale al quarto secolo, l'osservazione non va lontano.

[21] Lo stesso Maometto accuserà i cristiani di aver sottratto dai vangeli i passi profetici che l'hanno annunciato.

[22] Epifanio, Haer. 30:13 ss.

[23] Ancoratus 31.

[24] Ireneo aveva obiettato ai doceti che negavano la realtà carnale del corpo di Cristo: era contro di loro che lo avevano scritto. Scomparsa l'eresia, questo genere di versi sembrava strano e pericoloso e furono tentati di cancellarli. Non c'è nient'altro da sentire piuttosto che cercare là, come fanno gli storicisti, una prova dell'esistenza umana di Gesù.

[25] Giustino, Apologia.

[26] Girolamo, Prefazione al suo Commentario su Giosuè.

[27] Il quale Rufino attribuisce agli Apostoli il famoso simbolo di cui egli è l'autore.

[28] In Eusebio, Hist. Eccl. 4:23, 12.

[29] Il vescovo Duchesne, nel suo studio sul Liber Pontificalis, ha rimosso nove papi dal catalogo ufficiale.

[30] Secondo Tertulliano, Eusebio ed Orosio.

[31] riconosciuto falso da Nain de Tillemont.

[32] Secondo san Girolamo, De Viris.

[33] San Pietro scongiura Pipino di proteggere la sua tomba contro i Longobardi. Si può leggere questa lettera nella Patrologie Latine di Migne, t. 89.

[34] Mabillon pecca lui stesso a proposito della “santa lacrima di Vendôme”.

[35] Aveva scritto anche le Cronache di Flavio Giuseppe.

[36] Esempio in Couchoud, Théophile, pag. 89.

[37] Si veda Guignebert, Le christianisme médiéval, pag. 258.

[38] Reniè, Manuel, t. 5, pag. 269. Osservazione identica di padre Lagrange in La Mèthode historique a proposito di pseudo-Daniele.

[39] Pouget, Logia, pag. 88 (Grasset; 1955).

[40] “Ego vero Evangelio non crederem nisi me catholicae ecclesiae commoveret auctoritas”, Contra epistolam Manichaei, cap. 5.

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