venerdì 1 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Le Odi di Salomone: La Loro Dottrina (III) — Il Messia (Cristo)

(segue da qui)

CAPITOLO III

LE ODI DI SALOMONE: LA LORO DOTTRINA

 3. IL MESSIA (CRISTO)

Prima di procedere ad un esame del significato del termine “il Cristo” come utilizzato in quelle Odi, la considerazione di due esempi in più dell'anti-giudaismo dello scrittore non sarà irrilevante. Harnack pensava che ci sia un riferimento al Tempio nell'Ode 4:

Nessuno muta il luogo tuo santo, Dio mio; non c’è alcuno che lo muterà o lo trasferirà altrove. ... Prima ancora di creare i luoghi, pensasti al tuo santuario.


Non sembra possibile riconciliare l'opinione di Harnack con l'approccio dell'Odista esibito in alcuni versi citati in precedenza, a cui si potrebbe aggiungere il seguente dall'Ode 20:

Sacerdote del Signore son io ed è lui che io servo. A lui offro l’offerta del suo pensiero. ... L’offerta del Signore è giustizia, purezza di cuore e di labbra. [10]


Qui osserviamo un ripudio non semplicemente di sacrifici, ma anche di un ordine sacerdotale, che si porta con sé un completo ripudio del rituale del Tempio. L'Odista, inoltre, non sta protestando contro un cambiamento di luogo; egli dice che non è possibile che qualcuno dovrebbe cambiarlo; il che, qualora applicato ad un edificio materiale, non sarebbe vero. E neppure l'idea che Dio potesse aver bisogno o desiderare una dimora materiale sarebbe coerente con la sua dottrina metaforica. Si potrebbe supporre con ragione di gran lunga migliore che il “santuario” di cui egli scrisse sia stato una dimora non fatta da mani d'uomo; nel qual caso il cambiamento di cui nega la possibilità sarebbe la rimozione del “luogo sacro” di Dio dal Cielo alla terra, che comportava in realtà la negazione che il Tempio di Gerusalemme fosse il luogo sacro di Dio. La dichiarazione che Dio aveva costruito il suo santuario prima di fare luoghi — ossia, prima della creazione del mondo — si applica meglio ad un santuario celeste piuttosto che ad un edificio. Dal momento che la concezione di un tempio celeste era già data nei salmi, non ci dovrebbe essere nessun dubbio circa il significato delle frasi nell'Ode. I passi rilevanti sono il salmo 11:4, e 32:13 e 14:
Il Signore è nel suo tempio santo; il Signore ha il suo trono nei cieli. Il Signore guarda dal cielo. ... Dal luogo della sua dimora scruta tutti gli abitanti della terra.


Zahn comprese correttamente quei versi dell'Ode 4. Se ora lo scopo dell'Odista fosse stato negare la santità del Tempio di Gerusalemme, avremmo potuto concludere che esso era ancora in piedi quando l'Ode venne composta. Comunque, c'è sufficiente prova interna dell'antica data della composizione delle Odi senza affidarsi su ciò. Un altro indizio, non certo ma davvero probabile, dell'anti-giudaismo dello scrittore si trova nell'Ode 9: “Ponete la corona nell’alleanza autentica con il Signore”. Considerata alla luce di tutta l'evidenza non ambigua dell'approccio dello scrittore, l'espressione “alleanza autenticasi potrebbe intendere ragionevolmente come un'espressione che implica che il patto di Jahvè con Abramo, oppure con Israele, non fosse un vero patto. Ora è un profondo principio critico che quando noi troviamo in un documento antico una dichiarazione isolata che corre contro l'intero tenore di quel documento noi dovremmo ritenerla un'interpolazione. Un'applicazione di questo principio conduce necessariamente al respingimento del verso conclusivo dell'Ode 31: “Non volendo rendere nulla le promesse fatte ai patriarchi, che avevo promesso per la salvezza del loro seme”. L'Odista non può aver scritto ciò perfino se l'implicazione sopra suggerita dell'“alleanza autentica” non fosse corretta. Le “promesse fatte ai patriarchi” erano promesse di salvezza valide solamente per gli ebrei. È vero che quando i cristiani avevano cooptato l'Antico Testamento si sentirono indotti a trasferire le “promesse” su di sé con argomenti sofistici. In Romani e Galati si sostiene che coloro che possedevano la fede in Dio che aveva Abramo diventavano eredi delle promesse fatte ad Abramo; e lo scrittore dell'Epistola di Barnaba asseriva che uno scopo del Figlio di Dio nel manifestarsi nella carne era preparare un nuovo popolo per sé stesso così da poter “compiere la promessa fatta ai padri”. L'Odista non era sotto la medesima necessità. La sua omissione di riferimenti ai testi più antichi dell'Antico Testamento sembra essere intenzionale; ed egli non poteva ragionare alla maniera degli scrittori cristiani menzionati. L'idea che la Parola si fosse manifestata nella carne nel senso in cui Barnaba utilizzò la frase non è conciliabile con la sua dottrina. E neppure nella sua dottrina la salvezza è la conseguenza della “fede”; è il risultato della “conoscenza. Un'altra obiezione è l'evidente riluttanza dello scrittore a rappresentare Dio come un Dio che parla di persona. Come materia di fatto, sebbene la fraseologia del verso citato richiede che Dio dovrebbe essere colui che parla, i versi immediatamente precedenti rendono impossibile che egli possa esserlo. Da qui c'è una discontinuità nel significato che di per sé costituisce una prova di interpolazione. In quanto ebreo lo scrittore avrebbe desiderato naturalmente la salvezza del suo stesso popolo; e c'è in una delle Odi una prova di questo; ma sarebbe stato impossibile per lui credere che la salvezza potesse venire o agli ebrei oppure ai gentili in conseguenza delle promesse di Jahvè ai patriarchi.
È anche ovvio che il Cristo dello scrittore non sia il Messia ebraico; tuttavia, sapendo come sappiamo che egli derivò la sua fraseologia da certi testi dell'Antico Testamento, rivestendola di un nuovo significato dovunque lo richiedesse la sua teologia, concludiamo che anche in questo caso egli copiò il titolo. Ed è facile constatare perchè fece così. Abbiamo avuto una prova in un passo citato dai Salmi di Salomone del fatto che, appena prima l'inizio dell'era cristiana, il miglior pensiero ebraico stava associando il Messia non così tanto con un'attesa supremazia politica degli ebrei quanto con la costituzione del Regno di Dio sulla terra, l'inaugurazione del regno di giustizia. Il re messianico in qualità di rappresentante di Jahvè avrebbe conquistato lo spirito degli uomini col potere di giustizia e verità; così che gli uomini di ogni razza avrebbero ricercato gli ebrei e ogni ebreo avrebbe trovato dieci gentili ardenti di riferirgli: “Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi”. [11] Gli ebrei ellenistici, che avevano infranto le barriere della razza, potevano sperare con maggiore fiducia nella costituzione di un Regno di Dio universale in cui la giustizia sarebbe stata la legge e il monoteismo il solo credo. Essi recavano dai loro preconcetti nazionali l'idea della fondazione del nuovo Regno da parte di un Messia, un Cristo, ma il loro Cristo non era più un messianico figlio di Davide; era la Parola di Dio, personificata nel pensiero, ma nel credo reale un'emanazione spirituale dall'Altissimo, lo “Spirito del Signore”. E, dal momento che come Spirito egli non sarebbe stato né visto nè udito, egli poteva agire sul mondo in generale soltanto tramite “gli eletti” che lo avevano ricevuto, in cui egli era divenuto incarnato; e stava a loro renderlo conosciuto. Questa visione è espressa abbastanza chiaramente nell'Ode 7: “L'Altissimo tra i suoi santi sarà conosciuto”. E quelle parole non si devono comprendere nel senso in cui potrebbero essere utilizzate da un moderno pensatore razionalista. Un'espressione più dettagliata del credo si trova nell'Ode 10:
Guidato ha il Signore la mia bocca con la sua Parola. La sua vita immortale ha stabilito in me e mi ha concesso di raccontare il frutto della sua pace, Per convertire le anime di chi vuole a lui recarsi. Forte son diventato e gagliardo. ... Popoli sparsi insieme si sono raccolti né io per il mio amore per loro fui contaminato ...  essi si avanzarono nella mia vita e furono redenti, son divenuti mio popolo nei secoli eterni.


Nonostante le frasi finali siano al passato sono naturalmente profetiche. Predicono la conversione dei gentili per l'azione non soltanto dello stesso scrittore in persona, poiché egli scrive come il rappresentante della sua comunità che ha sostituito la nazione ebraica come suo “popolo”. E la conversione si deve recare tramite la Parola che ispira i santi e opera mediante loro. Egli dimostra puntualmente il suo universalismo non solo colle parole “mio popolo”, ma anche nella dichiarazione che, sebbene un ebreo, egli è incontaminato dal suo amore per i gentili. La dichiarazione è una prova ulteriore di una data antica. Perfino nelle più antiche epistole cristiane la compagnia dei gentili è così tanto un fatto naturale che non si ritiene necessaria nessuna sua apologia. Senza dubbio c'erano già convertiti gentili nella comunità O. La maggior parte delle Odi furono scritte per essere cantate dalla congregazione, così che ciascun suo membro si possa immaginare l'oratore, oppure perfino la congregazione nel complesso. E la dichiarazione che “guidato ha il Signore la mia bocca con la sua Parola” spiega un'ambiguità occasionale riguardo al fatto se chi stia parlando sia da intendersi la Parola oppure lo scrittore. La Parola, non avendo letteralmente una bocca, parla per bocca della congregazione. L'idea è data in Ecclesiastico 24:2: “Nell'assemblea dell'Altissimo lei [la Sapienza] apre la bocca”; che naturalmente significa che le parole della Sapienza sono emesse in realtà da membri della congregazione. Il tema dell'Ode 10 — cioè, che la congregazione, ispirata dalla Parola, sia la responsabile per la costituzione del Regno di Dio — ricorre nell'Ode 29:
[Il Signore] mi mostrò il suo segno e mi condusse nella sua luce. Mi diede lo scettro del suo potere, perché sottomettessi le trame dei popoli e umiliassi la forza degli uomini di potere, per condurre la guerra con la sua Parola e riportar vittoria con la sua potenza. Il Signore abbatté il mio nemico con la sua Parola.

Si può comprendere dall'esperienza di Paolo ad Efeso che una comunità che attaccava l'idolatria pagana sarebbe stata candidata a farsi nemici, alcuni dei quali sarebbero stati “uomini di potere”. Nota come lo scrittore ha preso la sua immagine dalla concezione ebraica del Messia e l'abbia applicata simbolicamente alla Parola. Nella letteratura sapienziale le parole “errore” e “follia” sono coerentemente utilizzate a significare ingiustizia, e come le antitesi della sapienza che è conoscenza di Dio. Nell'Ode 31 esse sono utilizzate in questo senso, ma probabilmente con un riferimento particolare alla falsa adorazione, che dev'essere abolita tramite l'arrivo della Parola. In quest'Ode il termine “il Signore” sembra essere applicato direttamente alla Parola; ma l'“apparizione” della Parola è in realtà l'auto-rivelazione di Dio, così che praticamente è il Signore Altissimo dinanzi a cui si dissolvono gli abissi. “La verità del Signore” certamente significa la verità di Dio. Gli “abissi” e l'“oscurità” sono ovviamente sinonimi di errore e follia:
Si sciolsero dinanzi al Signore gli abissi e scomparve l’oscurità dal suo sguardo. L’errore si smarrì e a causa di lui andò in rovina. La follia fu incapace di procedere e fu sommersa dalla verità del Signore. [Egli aprì la sua bocca e proferì bontà e gioia, proferì una lode nuova al suo nome. Egli levò la sua voce all’Altissimo e gli offrì come figli quelli che aveva formati].


Il soggetto delle frasi conclusive è apparentemente la Parola. Ma c'è qualcosa di molto strano circa quelle frasi e i versi immediatamente seguenti — a tal punto, in effetti, che si potrebbe sospettare un'interpolazione, basata su Giovanni 17, con riferimento particolare ai versi 11-15. La Parola qui è individualizzata ad un grado che non si trova altrimenti da nessuna parte nelle Odi, e la frase è sgrammaticata. Se, come io penso sia in realtà il caso, il significato dello scrittore è che era di fronte a Dio che gli abissi si dissolsero, e “la verità del Signore” sia la verità di Dio, allora il pronome “Egli” con cui comincia la frase successiva dovrebbe stare per Dio; ma non lo fa. D'altra parte, se prendiamo “il Signore” a significare la Parola e il pronome “Egli” per un riferimento a lui, il “suo nome” deve significare il nome di Dio; ma, per l'ipotesi, Dio non era stato menzionato in precedenza. I due versi seguenti, 6 e 7, potrebbero essere parte dell'interpolazione, poiché la transizione da 7 ad 8 è eccessivamente stridente:
6. Uscite, voi che foste angustiati, e ricevete gioia!
7. Ereditate la vostra anima con la grazia e prendete per voi la vita immortale.
8 Essi mi incolparono quando mi levai
.


Chi sono “essi” ? Se, comunque, leggiamo il verso 8 immediatamente dopo le parole “verità del Signore”, il pronome può essere compreso a partire da “errore” e “follia”, che sono sinonimi poetici per la gente corrotta e incredula. Non si può dubitare che c'è un legame tra quei versi e il passo di Giovanni, e le peculiarità osservabili nei primi rendono probabile che siano loro ad essere posteriori. Inoltre, è a malapena possibile che le Odi fossero state scritte più tardi del Quarto Vangelo.
I versi iniziali si potrebbero considerare in qualche misura profetici. La dissoluzione degli abissi e la distruzione dell'oscurità si devono recare tramite l'azione dei santi ispirati dalla Parola. Gli abissi e l'errore sono incontrati di nuovo nell'Ode 24, dove, in un linguaggio davvero figurato, sono predette vividamente l'abolizione dell'errore e la chiusura degli abissi tramite la voce della comunità che parla sotto l'ispirazione della Parola. L'annichilimento del politeismo sembra essere il tema dominante.   

La colomba volò sul capo del Signore nostro Cristo, perché egli era suo capo. Cantò sopra di lui e fu udita la sua voce. Paventarono gli abitanti e tremarono i forestieri. L’uccello lasciò cadere le sue ali e ogni rettile si spense nella sua cava. Gli abissi si aprirono e si celarono [oppure, si aprirono e si rinchiusero]. E cercavano il Signore come partorienti. Ma lui non fu dato ad essi in pasto, perché egli ad essi non apparteneva. Gli abissi però furono sigillati con il sigillo del Signore e perirono con quella trama coloro che dai primordi esistevano. Essi difatti rovinarono fin dall’inizio, ma la fine della loro rovina fu la Vita. ... Della sapienza facevano difetto quelli che alteri erano nel loro cuore. Furono rifiutati, perché presso di sé la verità non possedevano. Il Signore ha reso noto il suo sentiero ed ha dilatato la sua grazia. Quelli che l’hanno riconosciuto conoscono la sua santità.

In quest'Ode “il Signore” è Dio. La “via del Signore” è menzionata parecchie volte nei salmi; “la sua grazia” e “la sua santità” sono la grazia e la santità di Dio; e il “sigillo del Signore” è il suo sigillo. Si deve ricordare che il testo di quelle Odi è corrotto in un buon numero di passi, e ciò potrebbe essere a volte la causa di ambiguità. Ma perfino dove il testo è profondo lo stile altamente figurato rende difficile a volte la comprensione. Le oscurità che hanno imbarazzato i commentatori sono, comunque, in taluni casi di loro propria realizzazione, perché non hanno cominciato a porsi dal giusto punto di vista. È perfettamente certo che la frase d'esordio di quest'Ode non comporta una reminiscenza del resoconto evangelico del battesimo di Gesù. Nel vangelo la colomba è lo Spirito Santo, e non c'è nessun senso ragionevole nel dire che Cristo è “il capo” dello Spirito Santo. E neppure, al battesimo di Gesù, la colomba “cantò” su di lui. Ma il Signore, se come Dio oppure come la Parola, è il capo spirituale della comunità, e di cosa altrimenti poteva essere il capo? Inoltre, dal momento che la comunità canta lodi al Signore, si poteva dire in maniera figurata che cantasse “sopra di lui”. Si potrebbe ritenere che figurare la comunità come una colomba è un volo di fantasia troppo forte perfino per lo scrittore di quelle Odi. Pensarla così sarebbe un errore. Nel salmo 74:19, leggiamo: “Non abbandonare alle belve la vita della tua tortora, non dimenticare per sempre la radunanza dei tuoi poveri afflitti”. Il salmo fu scritto in un tempo di angoscia nazionale, da qui la qualifica di “tuoi poveri”. Che “la radunanza” sia Israele appare chiaramente dal verso 2: “Ricordati del tuo popolo che acquistasti nei tempi antichi”. Ora, osservando che l'Odista aveva una conoscenza perfetta dei salmi e che egli ha sostituito la sua propria congregazione dei santi alla congregazione di Israele, la figura in questione non fu per lui una figura innaturale oppure una figura improbabile da utilizzare. In 2 Esdra 5:26, di nuovo, Israele è indicata sotto la figura di una colomba: “Di tutti gli uccelli creati chiamasti per Te una sola colomba”. E, quando la congregazione era stata descritta come una colomba, volare non sarebbe inappropriato. Le colombe non cantano, ma le congregazioni cantano. Questo esempio mostra come sia necessario tener conto dell'esuberanza della fantasia dello scrittore.
Molto probabilmente il sigillo dell'abisso è compreso correttamente come un presagio della terminazione del potere degli spiriti maligni del mondo inferiore. È anche estremamente probabile che coloro che dai primordi esistevano e rovinarono fin dall’iniziosiano le divinità pagane la cui corruzione sarebbe stata terminata con “la Vita”. E “la Vita” è Dio. Negli inni mandei la parola è utilizzata in maniera simile — ad esempio, La Vita è glorificata e vittoriosa. La vittoria della Vita oppure la fine della corruzione deve evidentemente giungere nel futuro tramite l'apertura del “sentiero del Signore”, e il responsabile dell'apertura è la congregazione che è stata ispirata dalla Parola; da qui la dichiarazione che fu udita la voce della colomba. La descrizione della disperazione finale di coloro che non avrebbero dovuto comprendere la via del Signore e la sua grazia, che sarebbero stati respinti perchè erano privi di sapienza, è fondata evidentemente sulla descrizione della disperazione dei corrotti nella Sapienza di Salomone, capitolo 5:

Costoro vedendo [la salvezza del giusto e la loro rovina imminente] saranno presi da terribile spavento, saranno presi da stupore per la sua salvezza inattesa. Pentiti, diranno fra di loro, gemendo nello spirito tormentato: Abbiamo dunque deviato dal cammino della verità e non abbiamo conosciuto la via del Signore.

Il pensiero che la conoscenza di Dio sarebbe data al  mondo dai santi si trova anche in Sapienza 18:4 :

I tuoi figli, per mezzo dei quali la luce incorruttibile della Legge doveva esser concessa al mondo.

L'Odista ha sostituito la Gnosi alla Legge. Ma lo scrittore della seconda metà della Sapienza era, sembrerebbe, meno ellenistico dello scrittore della prima metà. Nell'Ode 23 abbiamo un tema simile, presentato in un'immagine differente. L'Ode si apre con un canto di esultanza:

 La gioia appartiene ai santi; e chi dovrebbe indossarla se non loro soltanto? La grazia appartiene agli eletti; e chi dovrebbe riceverla se non quelli che in essa hanno fiducia fin dall’inizio? L’amore appartiene agli eletti, e chi dovrebbe rivestirlo se non quelli che l’han posseduto fin dall’inizio?

Questo preludio non avrebbe avuto nessuna relazione col corpo dell'Ode, e sarebbe perciò inutile, a meno che gli eletti che avevano ricevuto e “indossato” Grazia e Amore non fossero stati considerati gli effettivi responsabili della costituzione del Regno di Dio. La Parola opera tramite loro. L'Odista continua:

 Il suo Pensiero [dell'Altissimo] divenne come lettera; la sua Volontà scese dall’alto. ... Molte mani verso la lettera si affrettarono, per afferrarla, prendere e leggerla. Ma essa fuggì via dalle loro dita e furono di essa intimoriti e del sigillo su essa, perché alcun potere non avevano il suo sigillo di sciogliere: la forza sul sigillo era a loro superiore. ... Ora, una ruota la ricevette e quella scese su essa. Un segno c’era pure con essa (la ruota) di Regno e Governo. Tutto ciò che la ruota impediva, essa lo mieteva e lo recideva. Una moltitudine mise in disparte, che ad essa si opponeva. ... Era la lettera con l’ordine che tutti i paesi insieme si radunassero. E nel capo di essa apparve il capo che si rivelò: il Figlio della Verità procedente dal Padre altissimo. Questi tutto ereditò e prese, mentre la trama dei molti completamente fallì. Gli apostati comunque tentarono, ma fuggirono; si estinsero i persecutori e furono cancellati.

L'insostanzialità degli elementi della teosofia dello scrittore è chiaramente percettibile. Egli non dirà letteralmente che Dio parla agli uomini; e così egli dice che Dio invia loro la sua Parola. Egli immagina poi che la Parola possieda una realtà oggettiva. In quest'Ode, dal momento che un messaggio di importanza suprema doveva essere recato, la Parola viene su una lettera come la parola scritta di Dio, anziché pronunciata. Ma siamo così distanti da realtà fisiche al punto che la lettera è il “Pensiero” e la “Volontà” di Dio. Il sigillo sulla lettera è, naturalmente, il sigillo di Dio. E la lettera, essendo rivolta alla comunità dei santi, non può essere afferrata da nessun altro. Come la lettera e il sigillo sono immagini poetiche così anche il “Figlio della Verità” è una metafora poetica della Parola che era derivata dalla “Verità che da sé esistette”. Dal momento che la “presa di tutto” era certamente nel futuro, quest'Ode, al pari di quella considerata in precedenza, dev'essere profetica — un'espressione della fiduciosa anticipazione dello scrittore. La figura della ruota, come si è mostrato in precedenza, fu presa da Isaia. Siccome è la ruota che riceve la lettera essa deve rappresentare la congregazione degli eletti, a cui sono assegnati il Regno e il Governo. La congregazione è così il visibile vicereggente della Parola invisibile. Il lettore è preparato a questa interpretazione dai termini del preludio in cui è detto che è l'eletto a ricevere “la Grazia”; poiché la Grazia è un sinonimo del “Figlio della Verità”. L'annientamento e il travolgimento di forze rivali da parte della ruota è una sintesi metaforica della successiva dichiarazione che coloro che perseguitarono e furono adirati diventarono estinti. È probabile che in questa e in alcune altre delle Odi lo scrittore avesse in vista particolarmente gli ebrei ortodossi come persecutori, sebbene senza dubbio c'erano altri oppositori. La rivelazione della Parola alla congregazione era l'autorizzazione divina della loro eredità della terra in quanto i depositari della verità. Potremmo osservare come lo scrittore, sebbene il suo Figlio della Verità non sia il Messia ebraico, abbia adottato la fraseologia messianica — “Regno e Governo”, Questi tutto ereditò e prese. Ma il Regno è un Regno spirituale, e il Messia è lo Spirito del Signore. La natura metafisica della concezione dello scrittore della Parola è percepita di nuovo chiaramente nell'Ode 12, in cui non si fa alcuna distinzione tra la parola pronunciata di Dio e la Parola come una sostanza spirituale:

Non si conosce la discesa o il sentiero della Parola. Essa è luce e splendore del pensiero. ... I mondi per mezzo suo hanno parlato, uno con l’altro. A loro difatti la bocca parlò dell’Altissimo.

Queste parole non furono mai scritte a proposito di un personaggio conosciuto.
L'utilizzo del passato in relazione ad un evento futuro è comune in ebraico e nelle sue lingue affini. Lo scrittore per amore di vividezza si proietta fantasiosamente nel futuro. Si potrebbe dare un esempio dai Salmi di Salomone, 11:

Alzati in piedi, Gerusalemme, su un'altura e guarda i tuoi figli, dall'oriente e dall'occidente radunati infine dal Signore. Dal nord giungono nella letizia del loro Dio, dalle isole lontane li ha radunati Dio. Alte montagne ha abbassato, così da farne una pianura per loro, i colli fuggono lontano al loro ingresso.

L'Odista enfatizza la sua opposizione a questa visione nella sua dichiarazione nell'Ode 10 che erano i gentili ad essere raccolti assieme. C'è un altro senso in cui il termine “il suo Cristo” con il significato “il suo unto” è utilizzato in quelle Odi. Si può capire dai salmi canonici da cui lo scrittore ha copiato così tanto della sua fraseologia. Il termine si trova nel Salmo 20:6 :

Ora so che l'Eterno salva il suo unto; risponderà a lui dal suo cielo santo con la forza salvatrice della sua destra. Alcuni confidano nei carri e altri nei cavalli, ma noi ricorderemo il nome dell'Eterno, il nostro Dio.

In quei versi “il suo unto” è il personificato Israele; da qui il pronome singolare “lui”. Il “noi”  nel verso seguente prova che non è una sola persona ma la nazione a credere in Jahvé e ad essere salvata. La correttezza di questa interpretazione emerge ancor più chiaramente dal salmo 2:2 e 3 : 
Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo unto: «Spezziamo le loro catene, gettiamo via i loro legami».
In due altri salmi Israele è definito l'unto di Dio; uno di quelli è il salmo 84:9 :
Vedi, o Dio, nostro scudo, guarda il volto del tuo unto!
Sarebbe forse possibile supporre che il salmo fosse stato scritto come un salmo di Davide, che è immaginato in questo verso nell'atto di riferirsi a sé stesso; ma la natura del salmo nel complesso non favorisce quest'ipotesi. Ed è proprio esclusa nel caso del salmo 15:15, dove il salmista sta scrivendo degli israeliti prima del loro ingresso in Canaan, e dice:
Egli non permise che alcuno li opprimesse; per amor loro castigò dei re, dicendo: Non toccate i miei unti.


Ora nelle Odi di Salomone il popolo eletto, gli eletti, non sono più Israele ma la congregazione dei santi; di conseguenza, dato che Israele nei salmi è “il suo unto”, nelle Odi la congregazione diventa naturalmente “il suo unto”. La conclusione così raggiunta è confermata dal fatto che chiarisce una frase nell'Ode 9 che ha suscitato qualche perplessità:

 Datemi la vostra anima, perché anch’io vi dia la mia anima. La parola del Signore e i suoi voleri sono l’idea santa che si è proposta per il suo unto. Nel volere del Signore è la vostra vita; suo pensiero è la vita eterna e immortale è la vostra fine. Arricchitevi in Dio Padre ed accettate il pensiero dell’Altissimo. Fortificatevi e redimetevi con la sua bontà. Un messaggio di pace annunzio a voi, suoi santi.
Quest'Ode è evidentemente rivolta dallo scrittore alla sua congregazione, di cui egli si potrebbe perciò supporre il capo — questa è una conclusione importante. Egli comincia annunciando che dichiarerà i voleri e l'idea santa di Dio riguardante “il suo unto”. Egli poi procede a rendere noto i voleri e l'idea di Dio riguardante la comunità, “i suoi santi”. È a loro che è annunciata la pace, e sono loro che devono ricevere il pensiero dell'Altissimo. Da qui “il suo unto” [=il suo Cristo] in quest'Ode è la comunità. E l'“idea” che si è proposta è realmente equivalente alla Parola in quanto l'espressione del pensiero di Dio. Poiché la Parola è anche “la mia anima”, che dev'essere data da colui che parla ai suoi seguaci se essi gli daranno le loro anime. Poiché l'idea è, potremmo supporre, che la Parola — l'Idea santa, oppure la Volontà — dell'Altissimo si deve trasmettere dall'anima di colui che parla nelle anime di quelli a cui si rivolge, i quali, forse, erano nuovi membri, dal momento che successivamente essi sono esortati a “porre la corona” che è detta essere “Verità”. Paragonabile a quest'espressione è una formula marcosiana citata da Ireneo (1, 13:3): “Io voglio farti partecipare alla mia Grazia ... Il luogo della tua Grandezza è in noi. Ricevi dapprima da me e per la Grazia. ... affinché tu sia ciò che sono io, e io ciò che sei tu”. La formula potrebbe essere stata composta per una cerimonia di iniziazione, un cui elemento potrebbe essere stato un'incoronazione simbolica. C'è qualche ragione per pensare che un suo altro aspetto potrebbe essere stato un'unzione con l'olio. Inoltre, dal momento che ricevere il Pensiero dell'Altissimo equivale ad essere “arricchito in Dio Padre”, osserviamo nuovamente che ricevere la Parola equivale a ricevere Dio. E fare questo equivale ad essere “redenti” e ad avere “vita eterna”.
Le citazioni precedenti rendono chiara la trasformazione della speranza messianica che è giunta a passare nella mente dell'Odista e della sua congregazione. Invece della concezione ebraica di una vittoria materiale oppure di un insediamento catastrofico del Regno di Dio abbiamo la nozione che un nuovo ordine mondiale deve mettere radici nella comunità degli eletti e crescere colla sua espansione. Come nel credo più antico, è ancora il Messia, il Cristo, che giunge per donare il Regno di Dio, ma egli è già qui —  la Parola incarnato invisibilmente negli eletti. E c'è anche un Cristo visibile, l'unto di Dio, la stessa comunità, che sotto un certo aspetto è l'agente di Dio per l'insediamento del regno universale di giustizia, e sotto un altro aspetto il Regno stesso in embrione. Il rinnovamento di un mondo corrotto tramite la vita divina intrinseca alla comunità è predetta metaforicamente nell'Ode 22, da citare in seguito. In quell'Ode il Regno di Dio è definitivamente eguagliato alla congregazione dei santi.


NOTE

[10] Un confronto di quei versi con i salmi 1, 14, 23 sembra gettare luce sul significato di “sacrificio” nell'Ode 7.

[11] Zaccaria 8:23.

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