sabato 2 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Le Odi di Salomone: La Loro Dottrina (III) — Il Figlio di Dio

(segue da qui)


CAPITOLO III

LE ODI DI SALOMONE: LA LORO DOTTRINA

4. IL FIGLIO DI DIO

Si sarebbe naturalmente ipotizzato che gli ebrei al principio dell'era cristiana non potessero facilmente immaginare che Dio avesse un figlio se non nel senso figurato in cui il popolo eletto si potrebbe considerare il figlio di Dio. Gli ebrei ortodossi sicuramente avrebbero ripudiato l'idea che Jahvè potesse avere un figlio in qualsiasi altro senso. A giudicare dalla sprezzante maniera in cui i farisei e i rabbini parlarono dei contadini di Palestina possiamo concludere che la maggior parte di quelli non erano ebrei strettamente ortodossi, ed era apparentemente tra questa classe di persone che trovarono un suolo congeniale le idee apocalittiche. Ma non sembra probabile che sarebbe occorso perfino a loro di figurare che qualche uomo, per quanto potente l'impressione che egli potrebbe aver fatto sulle loro menti, fosse l'unigenito Figlio di Dio. C'è in realtà una prova che nella parte più ebraica della prima Chiesa cristiana non si credeva che Gesù fosse stato il Figlio di Dio in quel senso speciale. Egli non è nominato così nell'Epistola di Giacomo; e secondo Atti (4:27) Pietro predicò Gesù come il “santo servo” di Dio. Un passo che pretende di riportare le parole di Pietro esclude per implicazione l'unica Figliolanza di Gesù:
“Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi uccideste, appendendolo al legno. Dio lo ha esaltato con la sua destra e lo ha fatto Principe e Salvatore” (Atti 5:30).
La connessione di “Figlio di Dio” con “Logos” indica che il termine si originò tra gli ebrei ellenizzati della Diaspora. Si trova per tutta la letteratura paolina e giovannea; e probabilmente non è senza significato che la sua prima apparizione in Atti è in 9:20, dove è detto che Paolo “proclamò che Gesù è il Figlio di Dio”. Le epistole paoline sono state cattolicizzate e così lo è stato il Quarto Vangelo; ma perfino così gli scritti paolini e giovannei sono classificati dagli studiosi biblici come “ellenistici”. Ci sembra che vi fosse stata una confluenza di due flussi: un duplice flusso ebraico in cui Gesù fu predicato o come il messianico “Figlio di Davide” oppure come il “Servo di Dio” (pais Theou), e un flusso ellenistico in cui egli fu predicato come il “Figlio di Dio”. E accadeva molto tempo prima che i due flussi si fusero completamente. La fusione non era occorsa quando venne scritta l'Epistola di Barnaba, poiché lo scrittore di quell'Epistola nega che Gesù fosse “Figlio di Davide”. Anche nella Prima Epistola di Clemente  Gesù è “Figlio di Dio” ma non di Davide, ed è detto che fosse stato “inviato da Dio” senza nessuna menzione di Maria. Si potrebbe dire che il cristianesimo cattolico sia cominciato con Ignazio. Nelle epistole ignaziane Gesù è sia “Figlio di Davide” che “Figlio di Dio”. Ma ci furono ancora cristiani ellenistici per un bel po' dopo il tempo di Ignazio.
Ora le dottrine paolina e giovannea, sebbene ciascuna di loro si potrebbe classificare come ellenistica, hanno qualche aspetto davvero distintivo che le contraddistingue l'una dall'altra. Da qui, come sappiamo che le differenze specifiche tra uno scimpanzé e un gorilla si possono spiegare solo postulando un periodo evoluzionistico tra quelle specie e un antenato comune, così anche dobbiamo postulare un periodo di sviluppo tra le dottrine paolina e giovannea e una forma più primitiva di cristianesimo in cui il fattore comune, il credo che Gesù — oppure ad ogni misura il Cristo — fosse Figlio di Dio, era già presente. Non è necessario supporre che ciascuna di quelle dottrine fosse derivata direttamente dalle Odi di Salomone; ma, per continuare il parallelo evoluzionistico, potremmo paragonare la scoperta delle Odi alla scoperta di una specie estinta che fornisce informazioni rispetto ad una fase più antica in una certa linea di sviluppo fisiologico. Nelle Odi il Cristo è Figlio di Dio, ma il nome Gesù non è ancora stato introdotto.
Lo scrittore ebraico delle Odi di Salomone non era più propenso degli ebrei meno ellenizzati a dover giungere spontaneamente al credo che il Cristo fosse il Figlio di Dio in qualche senso analogo a quello in cui un uomo sia il figlio di suo padre. Il cristianesimo successivo sembra essere stato influenzato dalle religioni misteriche greche e aver raggiunto così una concezione più definitiva — col tempo, si potrebbe forse perfino dire, una concezione alquanto più letterale — della relazione tra il Figlio e il Padre. Durante il secondo secolo è percettibile  un processo continuo di letteralizzazione di cui non c'è nessuna traccia nelle Odi di Salomone; e muovendosi, come fece lo scrittore, in un mondo di metafore, sarebbe facile per lui considerare l'emanazione della Parola dall'Altissimo come un tipo di nascita, senza alcuna infrazione del suo monoteismo. È probabile, in effetti, che l'idea non fosse un prodotto spontaneo della sua propria mente. C'è una prova del fatto che la teosofia egiziana stesse cominciando a influenzare la speculazione religiosa ebraica già nell'ultimo secolo pre-cristiano. In alcuni degli scritti ermetici il Logos è il Figlio di Nous, e la relazione è proprio di quella natura metafisica che si armonizzerebbe con le idee religiose dell'Odista. Ma la sua conoscenza della letteratura di quel genere avrebbe potuto semplicemente rendere più netta l'influenza che egli deve aver trovato nel suo proprio campo particolare. Poiché la relazione è indicata nella Sapienza di Salomone. Lo scrittore di quel libro, dopo aver descritto la Sapienza nel capitolo precedente come “un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente”, dice in 8:3: “Essa manifesta la sua nobiltà nella comunione di vita con Dio”. Dato che così la Sapienza emanata è considerata la figlia di Dio, nelle Odi la Parola emanata diventerebbe abbastanza naturalmente nello stesso senso metaforico il Figlio di Dio.
L'Odista non era il primo scrittore nella sua stessa linea di pensiero ad utilizzare il termine “Figlio di Dio”; si trova nei Salmi e nella Sapienza di Salomone, ma con un significato diverso da quello che siamo stati appena a considerare. Nel primo significato (Salmi 2:7-12), il Figlio è Israele:

Il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra. ... E ora, sovrani, siate saggi. ... baciate il figlio con timore, che non si sdegni e voi perdiate la via. ... Beato chi in lui si rifugia.

Le clausole finali tendono certamente a creare l'impressione che il figlio sia una singola persona e perfino una persona divina. E la promessa di eredità e possesso suggerisce il Messia. Il testo è stato, naturalmente, interpretato così. Non c'è nessuna prova che l'Odista lo interpretò in quel senso ed è davvero improbabile che lo fece. L'interpretazione ovviamente non è corretta, poiché l'esortazione ai re a “baciare il figlio” implica che egli è presente continuamente. È a Israele che è promessa l'eredità. Israele è definito Figlio di Dio anche da Osea (11:1): “Quando Israele era giovane io lo amai e chiamai mio figlio fuori d'Egitto”.
Ora, dal momento che l'Odista ha trasferito di frequente alla sua congregazione espressioni che nell'Antico Testamento erano applicate ad Israele, è abbastanza probabile che egli trasferì anche questo. Da qui sarebbe un errore, ogni volta che incontriamo il termine Figlio di Dio in un'Ode, assumere come una materia di fatto che sia inteso un divino Figlio di Dio. Soprattutto, se troviamo che applicarlo alla comunità fa miglior senso ed è più appropriato al contesto, dovremmo fare così. Un caso di questo tipo capita nell'Ode 7:

La conoscenza invero egli ha stabilito come sua via ...  l’ha condotta completamente a perfezione. Vi ha posto sopra le tracce della sua luce ed io dal principio ho raggiunto la fine. Poiché da lui fu creata, nel Figlio si riposò. Per poterlo salvare, ogni cosa prenderà e l’Altissimo tra i suoi santi sarà conosciuto. L’ignoranza è stata annientata, perché è giunta la conoscenza del Signore.
In questo caso prendere “il Figlio” a significare la Parola crea una difficoltà, laddove se comprendiamo il termine come una designazione della comunità, il significato è chiaro e conforme alla dottrina conosciuta dello scrittore. La Gnosi era indubbiamente recata dalla Parola; ma essa si riposò nella congregazione. Ciò deve essere sicuramente il significato della dichiarazione, “l’Altissimo tra i suoi santi sarà conosciuto”. Altrimenti la rapida menzione dei “santi” sarebbe irrilevante e inadeguata. Il significato è che la conoscenza dell'Altissimo, recata dalla Parola, risiede nella congregazione dei santi, che sono così capaci di renderlo conosciuto. “L’ignoranza è stata annientata, perché è giunta la conoscenza del Signore”. Ed era naturalmente nella congregazione ad essere arrivata; e là essa “si riposò”. Di nuovo, quando applicato alla Parola, il Cristo divino, nessun senso ragionevole si può associare alle parole “Per poterlo salvare, ogni cosa prenderà”. Anche se dovessimo supporre — il che certamente non è il caso — che lo scrittore avesse in vista la crocifissione del Cristo, egli non poteva aver ritenuto necessario per la sua salvezza che Dio dovesse “prendere ogni cosa”. Secondo il dogma cristiano Dio resuscitò Cristo dai morti mediante la sua semplice irresistibile volontà. Egli non necessitò di prendere possesso di ogni cosa. Il tempo al futuro è a sua volta incoerente con la supposizione che lo scrittore si stesse riferendo ad un evento che era passato. Se, d'altra parte, supponiamo che il Figlio in quest'Ode sia la comunità, ogni difficoltà scompare. La dichiarazione che Dio “nel Figlio si riposò è completamente in disaccordo con la dottrina metafisica dell'Odista, se “il Figlio” significa “la Parola”. Niente del genere si trova da nessuna altra parte. D'altra parte, la dichiarazione che Dio si riposò nei suoi eletti sarebbe stata piuttosto appropriata.
Al principio dell'era cristiana troviamo tra ebrei di larghe vedute il credo che lo scopo di Dio nella scelta della loro razza fosse quello di dover renderlo conosciuto ai gentili. Lo scrittore del Testamento di Levi (capitolo 14) dice agli ebrei: “Voi siete le lampade d'Israele di fronte a tutti i popoli. E se voi diventerete tenebra a causa dell'empietà, che resterà da fare alle genti che vivono nella cecità?”. Filone, di nuovo, dice: “Il popolo ebraico ha ricevuto in sorte il sacerdozio e il dono della profezia, per il bene di tutta l'umanità”. [12] Seguirebbe da quella concezione che gli ebrei devono necessariamente essere preservati. Dio inviò una punizione su di loro per purificarli per il loro grande compito, ma egli non avrebbe permesso loro di venire distrutti. L'Odista, credendo che, non Israele ma la sua stessa comunità fosse stata resa da Dio la depositaria della “conoscenza” per il beneficio dell'umanità, avrebbe naturalmente creduto a sua volta che Dio avrebbe utilizzato ogni mezzo per la sua preservazione. Ed egli trovò nella Sapienza un passo da poter applicare:

 I giusti al contrario vivono per sempre ... perché [il Signore] li proteggerà ...  e armerà il creato per castigare i nemici (5:15-17).

Dall'espressione “si riposò” siamo riferiti ad Ecclesiastico 24:8 :
Il mio creatore [la Sapienza] mi fece posare la tenda e mi disse: Fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele.
L'Odista ha riassunto la dichiarazione che Dio fece dimorare la Sapienza in Israele nella dichiarazione che egli fece “riposare” la Gnosi nella congregazione degli eletti, chiamandola “il Figlio”. Le parole immediatamente precedenti “poiché da lui fu creata” rendono più probabile che lo scrittore avesse in mente questo verso di Ecclesiastico. Così nella dottrina dell'Odista c'è un invisibile Cristo spirituale il Figlio e un Cristo materiale, quest'ultimo essendo la comunità; e i due sono uniti come sono uniti lo spirito e il corpo. La realizzazione di questo fatto aiuta ad una comprensione migliore dell'Ode 3, che è evidentemente un salmo di iniziazione. Possiede sia un significato letterale che un significato simbolico. Il neofita canta, “Le sue membra son presso di lui; con esse sono appeso”. Nella congregazione a cui si è aggregato egli “è appeso” sui membri del Cristo; e là trova sulla terra la “quiete” che corrisponde alla quiete di Dio. Appena egli canta le parole “E non sarò straniero” gli si fa realizzare il benvenuto fraterno con cui egli viene ricevuto. E nell'aggregarsi alla comunità egli diventa unito al Figlio sia nel senso letterale che nel senso spirituale del termine.
Nel successivo credo cristiano cattolico l'unione del Cristo con la congregazione fu concepita in maniera meno intima. La congregazione riceveva lo Spirito Santo, ma il Cristo era ritenuto non come presente “all'interno” dei membri, ma come presente “nel mezzo” di loro. La concezione primitiva era troppo metafisica per sussistere quando il cristianesimo era diventato popolarizzato. La concezione metafisica era certamente la più antica dal momento che era derivata direttamente dalla Sapienza di Salomone. Nell'Ode 19 il Figlio è la Parola:

Una coppa di latte mi fu porta e l’ho bevuta per la dolce cortesia del Signore. Il Figlio è la coppa e chi fu munto è il Padre e chi lo munse lo Spirito santo. ... Lo Spirito santo aprì il suo seno ed ha mescolato il latte delle due poppe del Padre. Benché non lo sapessero, diede la miscela al mondo. Chi ne riceve, è nella perfezione della destra [di Dio].

La frase conclusiva rende chiaro che qui il latte, come in qualche altra Ode, è la Gnosi; infatti la dottrina dello scrittore è che la redenzione giunge attraverso, e soltanto attraverso, la conoscenza di Dio. Nell'Ode 30 leggiamo che l'acqua vivente, che è la Gnosi, arrivò “non vista e fin quando nel mezzo fu portata non fu conosciuta”. Il mezzo di trasmissione era la Parola. “Dalle labbra del Signore zampilla” e “la bocca del Signore è la Parola verace e la porta della sua luce”. Coerentemente la Parola è paragonata ad un calice. In alcune delle Odi lo Spirito Santo è maschile; in altri è femminile. Si potrebbe derivarne una differenza di autorità. Ma è una prova dell'antichità di quelle Odi il fatto che lo Spirito Santo sia definito estremamente a malapena. Il Padre e la Parola sono entrambi Spirito ed entrambi santi; e di solito è impossibile astrarre lo Spirito Santo da loro come un'entità separata. Per esempio, dove è scritto in 6:7 che “i nostri spiriti lodano lo Spirito suo santo”, dobbiamo comprendere che è lo stesso Dio spirituale ad essere lodato. Di nuovo, nell'Ode 11, nel verso “uscite con inni di gloria al suo Spirito e amate la sua santità”, proprio come amare la santità di Dio è un'espressione riassuntiva per indicare l'amore del santo Dio, così anche lodare il suo Spirito è equivalente a lodare lui stesso. Quindi non farà letteralizzare un'espressione poetica, che ad un gusto moderno comporta di certo una strana metafora, [3] e non farà pensare del Padre e dello Spirito Santo come due persone che stanno separate l'una dall'altra. Il significato è che il Padre, che non può avere un contatto diretto con gli uomini, darà loro il latte della Gnosi mediante la mediazione del suo Spirito, e che esso fu veicolato nelle loro anime nel calice che è la Parola — la Parola stessa, comunque, essendo un'estensione dello stesso Spirito. Dove lo Spirito Santo è rappresentato femminile l'Odista sta scrivendo sotto l'influenza della letteratura sapienziale, in cui Sofia, la Sapienza divina, è uno Spirito emanato da Dio. Nella continuazione dell'Ode c'è menzione di un figlio”, che non è necessariamente il Figlio:

Il grembo della Vergine fu indebolito, lei ha concepito e partorito.  Madre divenne la Vergine per grande favore; divenne gravida, generò un figlio, ma non sentì dolore, perché ciò accadde non senza motivo. Ella levatrice non ha voluto, perché lui [Dio] la vita le diede. Come se fosse un uomo ella generò, col volere; generò con apparenza e possedette con grande forza. Amò con la redenzione, custodì con cortesia e manifestò con grandezza.

La perdita apparente di continuità tra quei versi e quelli che li precedono immediatamente suggerisce che essi furono aggiunti da un'altra mano. Se lo scrittore intese per la Vergine la Vergine Maria allora senza dubbio essi sono stati interpolati. Poiché in quel caso le due parti non si armonizzano del tutto. La Vergine, in quelle Odi — come appare dall'Ode 33 — è la Sapienza; e lo Spirito Santo menzionato appena prima, essendo femminile, è a sua volta la Sapienza; cosicché, se la Vergine della seconda parte fosse Maria, il solo flusso di connessione tra le due parti sarebbe spezzato, e noi dovremmo decidere che la seconda parte non era stata scritta dall'Odista. Il testo è evidentemente corrotto e la traduzione corretta di alcune parole è incerta. In particolare la parola “indebolito” nella frase d'apertura è davvero dubbia. Correzioni sono state proposte dai commentatori. La correzione di Harris “Il seno della Vergine ha afferrato” — vale a dire, il latte — ha il merito di stabilire una continuità tra le due parti, ma rende impossibile che il figlio nato dalla Vergine possa essere il Cristo. Infatti prima che la Vergine ricevesse il latte, il Figlio, come ci viene detto, era stato il calice che lo conteneva. Come poteva il Figlio aver trasmetto il latte alla Vergine prima di essere nato? Inoltre il latte è la Gnosi, che fu recata all'umanità dal Figlio; non era il seme da cui il Figlio aveva la sua nascita. [4]
Dal momento che quelle Odi erano più valorizzate dagli gnostici che dai cattolici è possibile che la parte vi fosse stata aggiunta da uno gnostico; nel cui caso la Vergine sarebbe Sofia, e così si creerebbe un legame con la parte precedente, dal momento che sappiamo che gli gnostici — ad esempio, i Bardesaniani — che erano apparentemente familiari con le Odi, identificarono lo Spirito Santo con Sofia in quanto la madre del Salvatore. [5] Un'incoerenza in questa rappresentazione sarebbe spiegabile se la seconda parte avesse un autore diverso dalla prima. Ma una sola di due conclusioni dev'essere vera: o la seconda parte è una inserzione successiva, oppure il figlio nato dalla Vergine non era il Cristo.
L'auto-contraddizione sopra sottolineata non è la sola ragione per concludere che l'Odista non può aver scritto la parte se la nascita del Cristo è il suo soggetto. Per tutte quelle Odi la Parola è un'emanazione diretta da Dio. L'idea che la Sapienza fosse sua madre sarebbe un'idea incoerente. Incoerenti anche con la concezione dello scrittore della Parola sono la generazione “con apparenza con dimostrazione” oppure “apertamente”, come l'hanno tradotto alcuni —, la “custodia”  e “la manifestazione. La Parola è Spirito invisibile, è “Pensiero” e “Volontà”. La sua discesa e la sua via sono “incomprensibili”. La sua “agilità” è inesprimibile. Egli diventa noto per intuizione, non per visione fisica. Nell'Ode 41 è detto che “fu conosciuto, già prima della fondazione del mondo” — evidentemente, perciò, non noto agli uomini di quel tempo, laddove il generare apertamente e il renderlo “manifesto” sicuramente implicherebbe ciò. Si deve ricordare che se la Sapienza, lo Spirito Santo, era sua madre, questa nascita non era la sua introduzione nel mondo ma la sua nascita originale. Inoltre nell'essere conosciuto — ossia, in realtà, nell'avere la sua esistenza — prima della fondazione del mondo, la nascita e l'infanzia e il bisogno di essere “custodito” sembrano escludersi per implicazione. Un essere materiale è indicato dai termini della frase conclusiva della citazione; ma spiegare questa nascita — assumendo che la parte sia originale — a partire dal resoconto evangelico della nascita di Gesù, il cui nome non occorre mai e dei cui atti e detti ricordati l'Odista non tradisce la benché minima conoscenza, sarebbe abbastanza arbitrario e contrario all'intero spirito delle Odi, nelle quali il Cristo non è mai identificato, se non nelle anime degli eletti.
Se i versi sono autentici — e potrebbero esserli — è possibile che fossero fraintesi dagli gnostici del secondo secolo come una descrizione della nascita del Logos da Sofia. Ma, dal momento che non possono esserlo, la spiegazione si deve ricercare in un'altra direzione; e potremmo ricavare qualche luce da Filone, la cui dottrina probabilmente non fu  del tutto peculiare a lui stesso C'è una prova, a cui riferirsi successivamente, che speculazioni simili alla sua fossero correnti tra altri ebrei ellenistici del suo tempo; e per molti aspetti c'è un'affinità tra il suo pensiero e quello dell'Odista. Ora Filone definisce Sofia un'immacolata vergine perfetta [6] e dice che lei, avendo ricevuto il seme di Dio in qualche incomprensibile senso metafisico, concepì e recò il solo e prediletto figlio visibile, questo cosmo. [7] Con una ragione perfino migliore l'Odista avrebbe potuto considerare l'uomo spirituale il figlio prediletto della Vergine perfetta. Alcuni gnostici in realtà erano dell'opinione che la Gnosi fosse il seme di Dio da cui fu generato l'uomo pneumatico. [8] La metafora dell'Odista si può così interpretare. Il grembo della Vergine, avendo preso il latte di Dio — la Gnosi — concepì e generò le persone pneumatiche. L'idea fu in realtà suggerita da Sapienza di Salomone (9:1 e 2), dove è scritto che Dio creò tutte le cose mediante la sua Parola e formò l'uomo tramite la sua Sapienza. Da questa dichiarazione quando la Sapienza fu raffigurata come una vergine, la transizione alla descrizione nell'Ode fu facile. Possiamo anche rintracciare alla Sapienza alcune delle espressioni utilizzate — ad esempio, “la Sapienza è uno spirito amico degli uomini”; “essa è un tesoro inesauribile per gli uomini”; “forma amici di Dio”; “Per essa avrò gloria fra le folle”; “Mi proteggerà con la sua gloria”; “Gli uomini furono salvati per mezzo della Sapienza”. La spiegazione presentata qui è dimostrata corretta in maniera quasi conclusiva mediante una prova trovata nell'Ode 36:

Trovai quiete nello Spirito del Signore ed esso mi levò in alto. Mi pose dritto sui miei piedi, sull’alto luogo del Signore, dinanzi alla sua perfezione e alla sua gloria. ... Esso mi generò dinanzi alla faccia del Signore e, benché fossi figlio dell’uomo, ebbi il nome di Illuminato, figlio di Dio. ... Com’è difatti la grandezza dell’Altissimo, così mi ha fatto e conforme al rinnovamento dello stesso mi ha rinnovato. Con la sua perfezione mi ha unto.

Troviamo nell'estratto sopra citato il legame di connessione tra Sapienza 9:2 e l'Ode 30; infatti qui abbiamo date come equivalenti le due dichiarazioni che la Sapienza (lo Spirito del Signore) “mi pose” e che lei “mi generò”. Tracce di questa visione originale si trovano nello gnosticismo successivo. Negli Atti di Tommaso, in un'invocazione al termine del capitolo 39, la Sofia è rivolta come “la Madre di tutte le creature”. C'erano alcuni gnostici che chiamarono Sofia Barbelo. Secondo quelli, Barbelo era la madre degli esseri viventi. [9] L'origine del credo è davvero antico. [10] In un'iscrizione cuneiforme Ištar, con cui venne identificata Sofia, è rivolta come “la madre compassionevole dell'umanità”. L'opinione gnostica prevalente era che gli uomini derivarono la loro anima da Sofia; ma mentre alcuni rintracciarono a lei anche il pneuma, altri credevano che le persone divenissero pneumatiche mediante il Logos. La dottrina delle Odi appare oscillare tra le due opinioni. Sembra necessario supporre che durante il periodo della loro composizione la sostituzione della Parola al posto della Sapienza stava prendendo luogo gradualmente. La dichiarazione nell'Ode 36 che “mi generò dinanzi alla faccia del Signore”, si potrebbe paragonare alla dichiarazione nell'Ode 19 che “ella levatrice non ha voluto, perché lui la vita le diede”.
Io difficilmente posso immaginare che parecchi lettori avranno presunto che i versi citati dall'Ode 36 siano intesi a ricordare un detto del Cristo. Sembra chiaramente ovvio che lo scrittore stava parlando per sé stesso e per i membri della sua congregazione. La nascita riferita in un'Ode deve sicuramente essere quella riferita nell'altra; alcuni critici, perciò, che prendono la seconda parte dell'Ode 19 per una descrizione della nascita verginale di Cristo, mantengono che il Cristo sia colui che parla nell'Ode 36, a dispetto della perdita di adeguatezza nella maggior parte delle espressioni. La sola ragione apparente per questa opinione, a parte la presupposizione riguardo all'Ode 19, risiede nel verso “ebbi il nome di Illuminato, figlio di Dio”. Ma questa dichiarazione non ha bisogno di causare affatto alcuna difficoltà. Nell'Ode 41 i santi sono definiti “i figli del Signore”; e nell'Ode 3 leggiamo: “Mi son congiunto per amare quel figlio, perché io divenga figlio”. Tramite la cerimonia di iniziazione ciascun membro della comunità diventava un “figlio di Dio” al pari dell'uomo giusto della Sapienza 2:16. Questo apparentemente era anche il caso nelle comunità paoline; infatti in Romani 8:16-17, coloro a cui l'epistola è rivolta sono chiamati “figli di Dio e coeredi di Cristo”; e in Galati 4:7 leggiamo: “Quindi non sei più schiavo, ma figlio”. Nella prima epistola di Giovanni di nuovo i cristiani sono dichiarati “figli di Dio” e “nati da Dio”. Dal momento che il termine “nato” implica una madre, e lo scrittore menziona anche il seme di Dio, potremmo concludere la sua corrispondenza con il credo dell'Odista che la madre spirituale delle persone pneumatiche sia lo Spirito Santo. Ciò è di certo dottrina giovannea, come potremmo apprendere da Giovanni 3:6 e 8. Dove il cantante dell'Ode si gloria del fatto che, sebbene un figlio dell'uomo, egli fu chiamato l'illuminato, egli stava probabilmente pensando al rito, battesimale o altro, in cui egli era “chiamato” — non essendolo stato in precedenza — il figlio di Dio. Tra le sette gnostiche l'illuminazione era un aspetto prominente nel “Mistero”.
Questo vale sia per gli gnostici cristiani che per gli gnostici non-cristiani ed è probabilmente l'origine della dichiarazione nel Vangelo secondo gli Ebrei che una luce luminosa brillò sul Giordano quando Gesù fu battezzato. Di fatto il battesimo era definito di frequente photismos (illuminazione); [11] la persona battezzata poteva perciò chiamarsi “l'illuminato”. Nell'Ode 25, che è stata ritenuta un'ode battesimale, c'è una prova che l'“illuminazione” fosse un aspetto nel rituale della comunità O. Il cantante sembra star riferirsi alla sua esperienza iniziatica. “Una lampada mi ponesti alla destra e alla sinistra, ... mi levai gli abiti di pelle ... e divenni del Signore nel nome del Signore”. La rimozione degli abiti di pelle potrebbe essere stata realizzata in maniera visibile tramite qualche atto simbolico. La frase “come se fosse un uomo” nell'Ode 19, che è probabilmente la traduzione corretta, può essere compresa a partire da Daniele 7:13, “guardavo uno simile ad un figlio dell'uomo” — ossia, “come un uomo”, oppure “come se fosse un uomo” — dato che l'apparizione è così descritta perché l'essere immaginario non era un singolo uomo ma la figura di una nazione, Israele.


NOTE

[2] De Abr. 2:15.

[3] La metafora potrebbe essere stata suggerita da Giobbe 21:24 : “Ha i seni pieni di latte”.


[4] Sembra chiaramente certo che bere un calice di latte fosse un elemento in uno dei riti di questa comunità. In un papiro di Berlino si trova la prescrizione: “Prendendo il latte con il miele, bevilo prima del sorgere del sole e qualcosa di divino entrerà nel tuo cuore”.


[5] Ippolito, Ref. Omn. Haer., 6:35.

[6] Confronta l'Ode 33.

[7] Secondo Filone, Dio aveva due figli, uno più anziano, il Logos invisibile, e uno più giovane, il cosmo visibile. Negli scritti ermetici il cosmo è l'immagine visibile del Logos invisibile.

[8] Confronta 1 Giovanni 3:9.

[9] Epifanio, Haer. 26:10.

[10] Confronta Reitzenstein, Poim., pag. 227 ff.

[11] W. Bousset, Kyr. Christ., pag. 199. Potremmo anche confrontare 2 Corinzi 4:6 : “Il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è quello che risplendette nei nostri cuori per l'illuminazione [photismos] della Gnosi”

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