giovedì 27 agosto 2015

Paolo fu una chimera (IV)



Spesso l’aspetto esterno
fa apparire le cose men che sono
in realtà. Dall’ornamento esterno
il mondo si lasciò sempre ingannare.
Nel mondo della legge,
quale causa, per quanto sporca e trista,
non saprà oscurar la sua natura,
se perorata da un fiorito accento?

(William Shakespeare, Il mercante di Venezia)

Vidi qualcosa di strano quando realizzai che alcune volte dove Paolo parla della resurrezione, sembra avere ben chiaro in mente un concetto piuttosto carnale, corporeo, fisico, concreto, in una parola oggettivo della resurrezione,
Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore.
(1 Tessalonicesi 4:14-17)

Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui.

(1 Tessalonicesi 5:9-10)

...mentre altrove sempre «Paolo» espone un'interpretazione decisamente più evanescente e spirituale della resurrezione.
Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono
ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l’incorruttibilità.
(1 Corinzi 15:50)

Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio;
(Filippesi 1:23)

La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.
(Filippesi 3:20-21)

Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore.
(2 Corinzi 5:1-8)
Paolo sarebbe così schizofrenico da vendere due significati diversi per lo stesso termine?
Senza saperlo, mi trovavo, leggendo quelle lettere, nel pieno campo minato di un territorio di nessuno conteso tra teologie diametralmente opposte su Dio, sul creato, sulla carne, sulla resurrezione. Le prime avvisaglie di un conflitto che non era per niente limitato alla giusta definizione della resurrezione raffiorano nella tensione a stento repressa che si manifesta con drammaticità, a mio giudizio, nel caso di Galati, dove «Paolo» protesta «davanti a Dio» che egli «non mente»:

In ciò che vi scrivo – lo dico davanti a Dioio non mento.
(Galati 1:20)
Una strana protesta da parte di un uomo che apparentemente si stava sgolando per proclamare la verità. Perchè un uomo onesto farebbe una protesta così enfatica, a meno che non stesse già mentendo? Oppure a meno che non si aspettasse di venire accusato di mentire non appena la sua lettera fosse divenuta di dominio pubblico?

La medesima, malcelata tensione raffiora nel passo di Galati 6:11 :
Guardate con che grossi caratteri vi ho scritto di mia propria mano!
(Galati 6:11)
Perchè «Paolo» fa del suo meglio per affastellare pretese di fiducia sopra pretese di fiducia nella sua lettera?

Sembra che un devoto lettore della lettera in questione, se proprio volesse seguire alla lettera i dettami ivi prescritti, dovrebbe in primo luogo credere alla sua parola che «Paolo» non mentiva su come abboccò Pietro e poi, solo dopo, dovrebbe in aggiunta prestare fede alla genuinità della lettera stessa: «io credo che tu non menti quando pretendi di non mentire sul conto di Paolo e io credo alla tua esortazione di credere che sei davvero tu Paolo che scrivi e non altri a spacciarsi per te» (gasp!). Non solo doveva scommettere sull'onestà di «Paolo» nel suo approccio con Pietro ma doveva parimenti scommettere che a invitarlo a scommettere in tal senso fosse «Paolo» in persona!!!

È troppo esagerato. È troppo sospetto. Troppo IMPROBABILE. 


Se i destinatari della lettera non si fossero fidati della prima richiesta di fiducia (Galati 1:20), allora avrebbero dato retta alle maldicenze degli ebioniti sul conto di Paolo (che avevano creato per lui la famigerata fama del suo «mostruoso» doppio «Simon Mago» a precederlo), auto-escludendosi a priori dall'intera disputa sull'eredità dell'Apostolo. Se invece gli stessi destinatari non si fossero fidati della seconda richiesta di fiducia (Galati 6:11), allora si sarebbero schierati ipso facto dalla parte del «Paolo» di cui si professava alfiere la setta cristiana rivale della comunità della lettera in questione, possibilmente al tempo preciso in cui quella lettera si presentava ai destinatari in quello stato, perchè quella stessa lettera poteva ancora essere «accettata» e «salvata» nella sua prtesa «autenticità», previa la sua ulteriore manipolazione e correzione da parte degli stessi destinatari per ritorcerla a loro volta contro le intenzioni dei loro creatori e/o interpolatori precedenti, e così via in un crescendo continuo di accuse e colpe reciproche. In un surriscaldato clima settario del genere, non stupisce allora l'ossessione - e quando dico ossessione intendo davvero OSSESSIONE - di autenticare a più non posso e per quanto possibile le lettere di Paolo con pretese davvero bizzarre tipo questa:
Il saluto è di mia propria mano: di me, Paolo.
(1 Corinzi 16:21)

Il saluto è di mia propria mano: di me, Paolo.
(Colossesi 4:18)

Il saluto è di mia propria mano: di me, Paolo; questo serve di segno in ogni mia lettera; è così che io scrivo.
(2 Tessalonicesi 3:17)

Io, Paolo, lo scrivo di mia propria mano....
(Filemone 19)
E allora mi resi conto che il Paolo letterario è un'anomalia dal momento che figurano in realtà due separati individui a coprirne il ruolo nel Nuovo Testamento. 
 
Il «Paolo» più antico era provocatorio contro i tradizionalisti e polemico contro coloro che a suo giudizio vessavano i cristiani con obblighi di obbedienza alla Legge. Il «Paolo» più recente era un passivo apologeta della gerarchia, dell'organizzazione, dell'ordine, e un fattore determinante nello sviluppo della nascente Chiesa Cattolica Romana.

«Paolo» l'apostolo fu introdotto nella lettera ai Galati nella veste di un fiero e indipendente agente di Dio sulla Terra che proclamava di aver ricevuto la sua conoscenza direttamente da Gesù Cristo (Galati 1:1,12).
Un tale «Paolo» disdegnava fieramente ogni compromesso di sorta, al limite dell'opposizione più radicale, e rifiutava di prestare sottomissione a chiunque avesse intenzione di obbligare i credenti all'osservanza scrupolosa della legge di Mosè, indipendentemente dal suo rango gerarchico o spirituale (Galati 2:4-6,11-13).

 «Saul-Paolo» d'altra parte, fu introdotto in Atti come colui che fu trasportato per mano come un mendico in città dopo esser caduto dall'asino (neppure da cavallo!) sulla via per Damasco - e che perfino allora non gli fu concesso il privilegio di vedere in volto Gesù ma solo una «grande luce». E successivamente gli fu impartito da altri la missione che doveva svolgere (Atti 9:4-6). Questo «Paolo» doveva la vita più di una volta ai fratelli cristiani (Atti 9:23-26, 29-30), e doveva dare una pubblica apologia di sè pur di guadagnarsi l'approvazione degli altri apostoli (Atti 9:27). Inoltre, da allora in poi «Saul-Paolo» fu così servizievole e volenteroso nei confronti dei leaders della Chiesa da compromettersi più di una volta, col suo rispetto scrupoloso della Torah, agli occhi dello stesso apostolo «Paolo» il quale invece tuonava proprio contro quella stessa Torah considerandola una maledizione ordinata da angeli verosimilmente demoniaci (Galati 3:13, 19). L'apostolo «Paolo» non avrebbe mai esortato nè compiuto un minimo gesto nel rispetto della Legge, ancor più non avrebbe agito così se fossero stati i leaders della Chiesa a ordinarglielo (Atti 21:23-26), al contrario lui rimproverava aspramente la chiesa quando scendeva a tali compromessi (Galati 4:10-11). L'apostolo «Paolo» non avrebbe permesso a nessuno di farsi circoincidere solo per compiacere gli ebrei (Atti 16:3), infatti per quanto gliene fosse importato, gli ebrei che imponevano ad altri la pratica della circoncisione potevano benissimo andare a farsi mutilare (Galati 5:11) !

È banalmente ovvio riconoscere che, sebbene l'apostolo «Paolo» e «Saul-Paolo» condividano una comune identità nell'antica letteratura cristiana, non rappresentano affatto lo stesso individuo.
 
Così perchè ci fu in primo luogo quella così radicale opposizione tra il primo «Paolo» e il secondo «Paolo»?
 
Principalmente a causa del fatto che il tendenzioso propagandista di Atti (che poi sarebbe lo stesso falsario proto-cattolico del vangelo usato da Marcione e dai marcioniti, ovvero «Luca») e l'autore originario della lettera ai Galati (tradizionalmente identificato con uno storico Paolo) sembrano aver avuto due agende diverse. Comunque: al di là delle loro agende separate e alquanto contrastanti tra loro, sia Galati che Atti condividono almeno un aspetto in comune, e cioè l'essere entrambi probabilmente scritti nel secondo secolo. La stessa lettera ai Galati, che introduce «Paolo» come un apostolo, non ordinato dagli uomini ma da Dio, fu introdotta al mondo cristiano da Marcione a circa la metà del secondo secolo. Secondo Tertulliano, Marcione aveva “scoperto”  questa lettera apparentemente scritta da Paolo più di 80 anni prima. Fino a Marcione, non esiste nessuna evidenza che qualcuno fosse mai stato a conoscenza delle “epistole paoline”.  Il fatto che questa particolare letteratura rimase “occultata” e nascosta per così tanto tempo, e poi quando sbucò fuori accadeva che per puro «caso» già affrontava frontalmente questioni pienamente relative alla metà del secondo secolo, sembra troppo impossibile per essere soltanto una mera  coincidenza, quindi non può essere affatto una coincidenza, perciò definitivamente non è credibile a mio parere. Inoltre, notando come per tutta l'intera «lettera» ai Galati affiorino di nuovo e ancora di nuovo le stesse identiche dottrine di Marcione, allora sono ancor più propenso a considerare che non fu un ipotetico Paolo storico il vero autore di quella lettera.
 
Lo spirito antinomistico (Galati 3:11,13, 19; 4:9-10; 5:1-4) unito al conflitto tra la carne e lo spirito (Galati 3:2, 5:18-24), la polemica sulla circoncisione (Galati 2:7; 5:2, 6), il tema della liberazione dal presente mondo malvagio (Galati 1:3-4) e la redenzione dalla maledizione della Legge tramite l'adozione da Dio Padre (Galati 4:1-6; 1:3-4, 3:13; 4:3); sono tutti insegnamenti marcioniti e gnostici. Il fatto che Paolo è presentato in una luce così fiera, dogmatica e indipendente, mi induce a chiedermi se sia davvero più probabile che a fabbricare la lettera fosse stato qualcuno che idolatrava Paolo piuttosto che Paolo stesso (idem per gli interrogativi suscitati da 1 Corinzi 9 e da 2 Corinzi 11). Inoltre, poichè è luminosamente evidente che il contenuto di Galati affronta temi del secondo secolo, e sembra prodotto da qualcuno che fu così entusiasta di Paolo da assumere la sua identità letteraria allo scopo di promuovere le proprie dottrine, allora può ben essere il caso che l'epistola ai Galati fosse stata prodotta dallo stesso Marcione o da qualcuno della sua scuola.  Non meraviglia allora che Paolo fu identificato a denti stretti dal cattolico Tertulliano come “l'apostolo degli eretici” (haereticorum apostolus in Contro Marcione, 3.5) nella misura in cui la sua popolarità tra i marcioniti e i primi gnostici (valentiniani) era dovuta al fatto che Paolo l'apostolo fu in realtà fin dal principio un'invenzione letteraria mero riflesso della loro teologia «eretica».

Così che cosa dire invece di «Saul-Paolo»? Da quale teologia fu creato questo secondo «Paolo»?

«Saul-Paolo» fu un personaggio letterario determinante nei canonici Atti degli Apostoli, un documento di pura propaganda la cui agenda fu quella di promuovere sul mercato religioso l'unificazione della nascente Chiesa Cattolica. Questo movimento di fine secondo secolo che tendeva con ogni mezzo all'unificazione delle precedenti chiese cristiane e che avrebbe portato poi al trionfo finale della Chiesa Cattolica, trovava il suo impulso originario nella volontà di quei cristiani giudaizzanti (riluttanti a rinnegare completamente la Torah e il dio degli ebrei) di prevalere ad ogni costo sui liberi pensatori gnostici o solo dualisti come Marcione che preferivano al contrario una relazione diretta con Dio (non più identificato coll'inferiore dio degli ebrei) piuttosto che la sottomissione all'autorità della nascente gerarchia proto-cattolica.
Il racconto di «Saul-Paolo» non solo dotò la chiesa ortodossa di un apostolo ebreo fedele compagno di San Pietro nella sua aspirazione a rappresentare tutto il cristianesimo, ma parimenti aiutò a fare terra bruciata intorno agli gnostici previa prima annessione dell'“apostolo degli eretici” e la sua interessata trasformazione in un alfiere della Chiesa Cattolica al pari di San Pietro, quindi un ottimo esempio di totale, passiva obbedienza alla chiesa istituzionale da imitare per i nuovi proseliti proto-cattolici da allora in poi. Quella strategia si rivelò brillante, e l'effetto assolutamente imprevedibile. Col più grande furto letterario di tutti i tempi la Chiesa Cattolica ebbe successo a cooptare la maschera di «Paolo» che gli gnostici stessi avevano sfruttato prima a loro esclusivo vantaggio, col risultato che la Chiesa Cattolica vinse così la battaglia per la supremazia. Per la fine del secondo secolo oramai i cattolici erano “gli ortodossi” e gli gnostici erano “gli eretici”.

Atti degli Apostoli impiega una triplice strategia nel trasformare “l'apostolo degli eretici” in un passivo apologeta cattolico al servizio della futura Grande Chiesa.

Innanzitutto, umilia il «Paolo» delle epistole disarcionandolo da cavallo (anzi nemmeno quello: da un asino) sulla via per Damasco e soggiogandolo alla volontà degli altri apostoli, in particolare al volere di Pietro.

Da quel momento in poi, relega «Saul-Paolo» al semplice ruolo di postino della Chiesa per conto di Pietro.

Infine, «Saul-Paolo» è ridotto al ruolo di mero principale portavoce e apologeta a tutto vantaggio del cattolicesimo ortodosso, predicando i dogmi che saranno considerati di lì a poco la “dottrina ortodossa”. Infatti laddove «Paolo» l'apostolo si era orgogliosamente auto-identificato come apostolo (Galati 1:1; Romani 1:1), e aveva preteso di essere eguale in tutto e per tutto ai principali apostoli (2 Corinzi 11:5; 1 Corinzi 9:1), Atti ritiene bene di non qualificare neppure «Saul-Paolo» come apostolo trasformando il titolo stesso di apostolo in un mero ufficio, creando speciali prerequisiti intesi unicamente a impedire a priori a «Saul-Paolo» di poter anche solo aspirare al titolo in questione (Atti 1:21-22). Per giunta, sebbene Atti sembra far fare a «Saul-Paolo» gli stessi miracoli che riconosce a Pietro, e cioè la resurrezione dei morti  (Atti 9:36-40; 20:9-12), la guarigione dei paralitici (Atti 3:1-8; 14:8-10), la guarigione mediante la sola presenza fisica (Atti 5:15; 19:11-12), la fuga miracolosa dalla prigione  (Atti 12:6-10; 16:25-26), e la vittoria su maghi impostori (Atti 8:18-23; 13:6-11), in realtà di fatto «Saul-Paolo» è ridimensionato al ruolo di mero missionario taumaturgo al contrario di Pietro al quale è permesso di predicare un messaggio per diretta rivelazione da Dio (Atti 11:1-18), quando invece la direttiva rivelata dal cielo a «Saul-Paolo» era di fare ciò che gli sarebbe stato impartito (Atti 9:4-6).  E invero da allora in poi fare ciò che gli viene impartito da altri è precisamente quello a cui si riduce miseramente in definitiva «Saul-Paolo»
 
Si noti la sua condizione di totale e succube passività:
 
«Saul-Paolo» fu trasportato e portato (Atti 9:8,27), portato e inviato (Atti 9:30; 11:29-30), scelto e inviato (Atti 15:22,30), e in termini piuttosto espliciti gli fu detto quel che doveva fare (Atti 21:23-24,26).  Quando fu composto Atti degli Apostoli, «Saul-Paolo» era il principale portavoce e apologeta della dottrina cattolica ortodossa del secondo secolo, sotto l'occhio vigile del suo connazionale ebreo e cattolico «Barnaba» (Atti 14:12,14).  «Saul-Paolo» predicava la resurrezione fisica dei morti (Atti 13:31,37, 17:3,31-32) invece del messaggio di resurrezione spirituale comune alla maggior parte degli gnostici (1 Corinzi 15:50). «Saul-Paolo» incoraggiava il martirio  (Atti 14:22), una pratica che secondo la chiesa istituzionale avrebbe procurato una salvezza istantanea in punto stesso di morte, a differenza dei cristiani gnostici che negavano ogni gloria in tale delirante superstizione basata sulla fede nella resurrezione fisica di Gesù dai morti. E cosa ancor più importante, «Saul-Paolo» collaborava attivamente nell'istituzione di una gerarchia autorevole in ogni comunità (Atti 14:23), promuovendo quindi la dottrina della chiesa ortodossa secondo la quale ogni culto non poteva essere officiato senza la diretta approvazione di un vescovo cattolico, a differenza dai cristiani gnostici che erano noti per permettere a tutti, uomini e donne, di parlare o amministrare i sacramenti.

E così «Saul-Paolo» fu l'invenzione letteraria di Atti degli Apostoli, estremamente utile ai proto-cattolici nell'unificazione di tutti i cristianesimi esistenti sotto l'unico ombrello di una chiesa istituzionale (e allo stesso tempo nello sconfiggere il cristianesimo gnostico). Il vittorioso piano di unificazione offrì maggiore credibilità e pretesa di universalità alla gerarchia, oltre che un inevitabile progresso nell'ordine e nella struttura, che col tempo avrebbero condotto alla costituzione della Chiesa Cattolica Romana. Dalla fine del secondo secolo la dottrina cattolica venne ad essere identificata tout court con l'“ortodossia”, mentre la teologia gnostica venne identificata come mera, perniciosa “eresia” da debellare e distruggere. Questa vittoria nella lotta per l'ortodossia non solo procurò alla nascente Chiesa Cattolica il dominio, ma offrì i mezzi, l'opportunità e i motivi per cancellare completamente dalla storia del cristianesimo antico qualsiasi traccia di gnosticismo.
Il ruolo di «Saul-Paolo» come lo utilizzarono in passato i proto-cattolici serve altrettanto oggi ai moderni folli apologeti cristiani infiltrati nell'accademia per giustificare implicitamente di nuovo e ancora di nuovo, assieme all'interessata ma fittizia «ebraicità» di «Paolo» l'apostolo, anche l'antica pretesa ortodossa di vantare legami storici con le origini stesse del culto nel I secolo, così da poter poggiare la fede cristiana moderna su «solido» terreno storico. Un ottimo servizio in tal senso è dato dal «Paolo ebreo» autore di «lettere sicuramente autentiche» ipotizzato dall'apologeta cristiano Mauro Pesce.  È facile intuire l'agenda apologetica dietro queste lettere normalizzate a forza per farle apparire scritte da un devoto «pio ebreo» della prima metà del I secolo: come altrimenti il folle apologeta cattolico di turno potrebbe vantarsi di una «continuità con la chiesa dei primi secoli (che condivide con l'ortodossia) che nessun'altra chiesa può vantare»?
 
Quindi la propaganda di Atti degli Apostoli e del suo «Saul-Paolo» fu tanto efficace allora nel mantenere e preservare lo status-quo come lo è altrettanto oggi
 
Come non essere allora d'accordo col prof Price quando scrive:
 
Non ci si può trattenere dal pensare che è tutto cinico e manipolatorio come fu da sempre ogni opera di un auto-costituito Grand'Inquisitore. Al pari delle truffe dei predicatori televisivi, è un uso vergognoso della Bibbia per fini ulteriori. Al pari dei pseudoepigrafi del passato, i quotatori di Paolo oggi ne usurpano l'autorità per sé stessi. Inevitabilmente si deve sospettare che fanno così perchè perdono fiducia che le loro idee, accuratamente attribuite a Paolo, convinceranno qualcuno a meno di tenere in piedi l'edificio col suo supporto. Ma l'impressionante colossale apostolo alla cui autorità vertiginosa ricorrono risulta essere non più reale del gigante radioattivo nel vecchio film di fantascienza, The Amazing Colossal Man: era tutto solo un trucco della luce con convenienti effetti speciali.
(Robert M. Price, The Amazing Colossal Apostle - The Search for the Historical Paul, pag. 536, mia libera traduzione)
Se Paolo è esistito, allora la vicenda della sua vita è insignificante alla luce dei suoi alter ergo letterari: l'apostolo «Paolo» (“l'apostolo degli eretici”) e «Saul-Paolo» (“l'apologeta dei cattolici”).  Infatti questi due «Pauli» totalmente letterari, che alludono alla stessa identità sotto forma di due fittizi individui, sono l'espressione del conflitto per la supremazia che lacerò il cristianesimo del secondo secolo. 

Personalmente, io penso che nè il “Paolo di Atti” nè il “Paolo di Galati” sia un personaggio storico.

Io posso dire allora che «Paolo l'apostolo» non è mai esistito se non sulla carta.

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