martedì 25 agosto 2015

Paolo fu una chimera (III)


La verità è simile ad una pianta che germoglia sotto un mucchio di grosse pietre, ma che tuttavia si arrampica verso la luce; con sforzi inauditi, con mille giravolte e inflessioni, sformata, pallida, intristita, ma pur sempre verso la luce.
(Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

Esiste una curiosa differenza tra Gesù e Paolo. Gesù, appena consegnato ai pagani, per quanto diventi presto associato ad un altro dio che muore e risorge al pari di Attis, Adone, Osiride, Dioniso, ecc, contiene nel nome stesso (Gesù/Giosuè, letteralmente: «Dio salva») la sua origine ebraica e nessuno potrà strappargliela senza far torto alla ragione. Laddove Paolo, nonostante tutti gli sforzi titanici per giudaizzarlo e mascherarlo da ebreo da parte dei falsari proto-cattolici delle originarie lettere marcionite attribuite a «Paolo», nel suo nome di origine latina PAULUS tradisce in nuce l'impronta irrimediabilmente gentile della teologia di cui è contemporaneamente emblema e alfiere: il primo diventa l'ultimo (e viceversa), il grande diventa piccolo (e viceversa), il forte diventa debole (e viceversa), in virtù sempre della grazia (al di là se cattolicamente o gnosticamente intesa), mai delle opere della Legge.
Quest'identità di Paolo strettamente associata al suo nome (che perciò conferma il mio sospetto sull'artificialità letteraria del personaggio in questione) è corroborata non solo dalle «lettere» di Paolo (che riflettono nella loro prima edizione la teologia di Marcione con difsusi elementi gnostici raffioranti qua e là) ma anche dagli stessi proto-cattolici Atti degli Apostoli:
È meglio comprendere il significato del nome Paolo come composto di due componenti (etimologia e identità narrativa). L'etimologia del nome Παῦλος allude all'essere 'piccolo'. Hemer nota che varianti comuni del tempo comprendevano Paullus, Polus, e Pollus. Anche se era uno dei suoi nomi precedenti potrebbe aver assunto un significato più profondo oppure più forte. Questo è suggestivo di Paolo come l'ultimo o il più piccolo (si veda 'sono il minimo degli apostoli?' 1 Cor 15:9). Questo significato è suggestivo dell'esteso tema lucano del doppio (bipolare) capovolgimento mediante il quale l'ultimo è il più grande e il più grande è l'ultimo. L'altra componente da considerare è l'affermazione che descrive Paolo nell'immediato contesto. Qualsiasi cosa significa il nome 'Paolo', il narratore vuole che il lettore lo associ con l'identità del vero Popolo di Dio - quelli colmati dallo Spirito Santo (Atti 13:9). Anche se si manca il nesso e si offre l'etimologia del nome 'Paolo', l'informazione critica è offerta dalla dichiarazione sullo Spirito Santo. Potremo dire che Paolo debba essere identificato con l''ultimo' che è colmato dallo Spirito.
(David Wenkel, From Saul to Paul.' The Apostle's Name Change and Narrative Identity in Acts 13:9, mia libera traduzione)
E così, nonostante nel nome simbolico, dunque nella sua più intima essenza costitutiva, «Paolo» veicola debolezza, piccolezza, insignificanza (rispecchiante in questo la peccaminosa debolezza congenita della carne), ecco che l'eroe compie miracoli grandiosi e sovrumani:
...con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo.
(Romani 15:19)

Certo, in mezzo a voi si sono compiuti i segni del vero apostolo, in una pazienza a tutta prova, con segni, prodigi e miracoli.
(2 Corinzi 12:12)
Nell'ultimo caso Paolo esorta i Corinzi a testimoniare i «suoi» miracoli. Qui non si può sfuggire alle due corna della bestia:

1) O Paolo fece veramente dei miracoli,
2) oppure Paolo non scrisse mai le lettere attribuite a «Paolo».

Se fosse vero il secondo punto, allora molto probabilmente Paolo non è mai esistito.

O Paolo fu un uomo reale in carne e ossa, in grado davvero di fare miracoli e capace per giunta di suggestionare a tal punto i Corinzi per mezzo di ipnosi e illusionismi di sorta da convincerli uno ad uno con successo di aver appena fatto miracoli di fronte ai loro occhi, OPPURE quelle epistole sono nient'altro che produzioni spurie, anonime, fabbricate apposta per apparire più antiche di quanto lo fossero realmente e brandite con orgoglio sull'onda della minacciata estinzione della civiltà ebraica nel 135 EC a suggellare la vittoria morale dell'uomo leggendario che predisse la totale inutilità delle opere della Legge rispetto al potere liberante della grazia salvifica concessa da un Dio-che-tutto-ama.

Il potere magico di Paolo nel fare miracoli era evidentemente sul solco della «tradizione» evangelica (per fare di lui un Alter Christus) - nonostante il Gesù evangelico avesse detto che nessun altro segno sarà dato alla sua generazione (Luca 11:29) - e verrà ulteriormente manifestato nella successiva tendenziosa propaganda proto-cattolica di Atti degli Apostoli come pure nella letteratura apocrifa.

Ma sarebbe assurdo razionalizzare i miracoli fatti da Paolo, quando si è smesso da tempo di razionalizzare i presunti «miracoli» fatti da Gesù. 
Il più comico esempio di razionalizzazione dei miracoli di Gesù a mia conoscenza tentò assai goffamente di spiegare l'episodio della «camminata sulle acque» negando il «miracolo» in quel caso sulla scorta di appurate ricerche geologiche che testimonierebbero la presenza in alcuni punti del Mar Morto di rocce affioranti appena di poco sotto la superficie dell'acqua capaci di consentire ad una persona di poterci camminare sopra con estrema agilità e destrezza (!), risparmiandole la necessità di nuotare.
Un approccio razionalista così ingenuo al mito permetteva agli antichi filosofi di evemerizzare indisturbati dèi e semidèi prendendosi pure il merito di apparire «scientifici» (!) nel fare così.
Ma nota che i folli apologeti cristiani sotto mentite spoglie di storici non fanno nulla di diverso quando tentano ancora di razionalizzare il Gesù evangelico dicendo che i suoi «miracoli» erano di natura psico-somatica, e perciò qualcosa che avrebbe potuto benissimo fare uno «sciamano», un «posseduto dallo Spirito», un «mago giunto dall'Egitto», un particolare «santone ebreo», un «estatico allucinato», un «apocalittico megalomane», ecc. La ricerca accademica più seria e scientifica ha rivelato di nuovo e ancora di nuovo come dietro il Gesù taumaturgo, anzi soprattutto dietro il Gesù taumaturgo, l'unico «Gesù storico» consentito (ammesso e non concesso che lo si possa ancora definire «storico») non fu altri che il profeta-guaritore Elia dell'Antico Testamento (delle cui storie quelle evangeliche ne costituiscono parzialmente la sapiente riscrittura midrashica).

Vedo che il medesimo errore lo si commette con assai più estrema facilità nel caso di Paolo. Ma la pura e semplice verità è che non si possono razionalizzare i «miracoli» di Paolo come non si potevano razionalizzare i «miracoli» di Gesù. Non ci si può figurare una sorta di Paolo «gladiatore» solo perchè il falsario di turno che posa come «Paolo» scrive:
Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe?
(1 Corinzi 15:32)
 
Ma Paolo non era civis romanus come pretende il propagandista di Atti? E allora come poteva un civis romanus essere gettato in pasto ai leoni? E anche se non fosse mai stato un civis romanus (mai fidarsi delle stronzate di Atti degli Apostoli), le probabilità che fosse scampato ai leoni nell'arena di Efeso sono davvero minime e vanno messo nel conto di chi insiste di poter provare la storicità di Paolo basandosi sulle epistole soltanto.

E come poteva Paolo essere sfuggito alle guardie del re Areta facendosi calare su una cesta?
Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mento. A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per catturarmi, ma da una finestra fui calato giù in una cesta, lungo il muro, e sfuggii dalle sue mani.
(2 Corinzi 11:30-33)

Non c'è della sottile ironia simbolica nel fatto che il «Minuscolo» per eccellenza sfugga provvidenzialmente alle grinfie di uomini malvagi perchè perfino una cesta, PICCOLA com'è, è capace benissimo di occultarlo alla vista? Del resto, nell'immediato contesto lo stesso «Paolo» aveva enfatizzato: «Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza.»   Il simbolismo legato a «Paolo» è tutto riassunto in quella frase.

Come nel caso di Gesù, allo stesso modo è proibito figurarsi un Paolo storico che gode di una fama di taumaturgo in virtù di chissà quale possessione spirituale capace di guarire malattie psico-somatiche di qualche tipo, «semplicemente» (ma evidentemente sfugge la reale complessità dell'affermazione) perchè le lettere dichiarano che «Paolo» ha fatto «miracoli» presso i Corinzi oppure che fu accolto come «un angelo, come Cristo Gesù» (Galati 4:14) dai Galati la prima volta (rendendo ancora più incomprensibile e poco realistico il loro tradimento alla volta successiva: si veda Galati 3:1).
I «miracoli» sono i «miracoli». Se quello è ciò che recita il testo, non gli si può far dire altre cose, solo per illuderci che rendendo a malapena realistico il tutto si possa esorcizzare il dubbio crescente sulla storicità di questo Paolo super apostolo inventato. Sarebbe letteralmente assurdo concedere il miracoloso nel caso di Paolo, mentre lo si è appena negato nel caso di Gesù. L'evidenza perciò milita contro la presunta storicità di Paolo. Devo ringraziare Romani 15:19, 1 Corinzi 15:32, 2 Corinzi 12:12, 2 Corinzi 11:30-33 poichè quei passi creano essenzialmente un dilemma in alcun modo ineludibile e di conseguenza gettano un dubbio sulla legittimità dell'intero corpus paolino: non sono lecite mezze misure. I folli apologeti cristiani travestiti da storici quotidianamente evitano di affrontare questi interrogativi, in ciò rassomigliando ai più volgari imbonitori politici. Ma non si sfugge: o devo concedere il miracoloso nel Nuovo Testamento oppure devo seriamente sfidare (se non rigettare del tutto) la storicità di Paolo.
Non meraviglia allora che l'unica lettera che avrebbe potuto rivelarmi maggiori dati autobiografici su Paolo si riveli, alla conta dei fatti, scritta dall'«eretico» Marcione o da un suo seguace.

Innanzitutto, perchè Marcione è colui che «scoprì» la lettera stessa.
 «Ma ecco che, scoprendo l’Epistola ai Galati [Sed enim Marcion nactus epistolam Pauli ad Galatas], dove Paolo rimprovera gli stessi apostoli, criticandoli di non camminare retti secondo la verità del Vangelo, cioè dove egli accusa nello stesso tempo alcuni falsi apostoli di pervertire il vangelo di Cristo, ebbene Marcione s’impegna con tutte le sue forze per distruggere lo statuto dei loro vangeli che sono propriamente quelli degli apostoli o di personaggi apostolici pubblicati sotto i loro nomi: suo scopo era, è sicuro, di conferire al suo vangelo il credito che a loro ha sottratto»
(Tertulliano, Contro Marcione, IV,3,2)

In secondo luogo, perchè la lettera ai Galati è rivolta ufficialmente agli abitanti della Galazia, una regione vicina al Ponto da cui proveniva Marcione.

In terzo luogo, perchè il contenuto della lettera ai Galati illustra la teologia di Marcione.

In quarto luogo, perchè le questioni affrontate in quella lettera non solo sono presentate dal punto di vista marcionita, ma anche perchè i temi trattati erano quelli aspramente discussi proprio al tempo in cui Marcione presentò quella lettera da lui “scoperta”.

Ognuno di questi punti può essere benissimo, preso da solo, una mera coincidenza puramente fortuita, ma ignorare da una prospettiva olistica TUTTI questi indizi all'interno della «lettera» - in realtà un autentico trattato di teologia marcionita - che puntano nel loro insieme evidentemente ad una matura teologia «eretica» del II secolo, per me è insensato. Oltre ogni ragionevole dubbio, io considero l'epistola ai Galati una fabbricazione di Marcione o di qualcuno della sua scuola.
Lo spirito antinomistico che raffiora a più riprese in quella lettera è tipico dell'ideologia marcionita. Il forte dibattito che prese luogo durante la metà del II secolo riguardo ai meriti o demeriti della circoncisione è ben riflesso nell'opposizione adamantina dell'autore contro quelli del “partito della circoncisione” (2:3-4,11-12,14,16; 5:2,11-12). In modo simile, il conflitto tra Legge e fede come canale privilegiato per elevarsi a Dio fa parte della polemica storica che oppose violentemente Marcione alla chiesa romana, e trova a sua volta espressione dappertutto nel testo di Galati  (2:16, 21; 3:2,11,26).
La voce di Marcione è quella che in Galati considera la Legge di Mosè una maledizione emanata da un dio inferiore al vero Dio Padre  (3:13,19; 4:8). L'idea della liberazione dai mali di questo mondo (1:4), e della redenzione dalla Legge (4:5), tramite la diretta adozione da Dio Padre (4:6), era fondamentale per la teologia marcionita. Era sempre Marcione a negare bontà alla carne (1:4; 5:17-21) e a considerare la salvezza un'esperienza intimamente mistica e spirituale (2:20; 3:2, 5; 5:17).

Per farla breve, ogni tema principale discusso nella lettera ai Galati costituiva una dottrina fondamentale di Marcione, la stessa persona guardacaso che “scoprì” la lettera. 

Quei paralleli sono troppo perfettamente corrispondenti perchè siano solo una fortunatissima catena di pure coincidenze.  Perciò è fuor di dubbio che Marcione oppure un suo collaboratore fosse il vero autore della lettera ai Galati.

Paolo non è mai esistito ma è solo il nome simbolico di un inventato super-apostolo «degli eretici», dietro il quale si nascondono tanti anonimi «Paoli» liberi di manovrare non visti nel limite delle convenzioni letterarie che il genere «epistole» imponeva (finendo in realtà per produrre non «lettere», ma autentici trattati teologici), attribuendo alla voce oracolare del super apostolo la loro teologia e le loro soluzioni ai loro problemi più contingenti, nonchè i loro riguardi per i loro simpatizzanti nonchè i loro moniti e i loro anatemi all'indirizzo dei loro nemici e «falsi» apostoli, mentre tutti gli occhi dei loro lettori sono devotamente abituati a puntare su qualcosa di noto, qualcosa che dev'essere noto, perchè noto, tangibile, oggettivo è l'IMPATTO esistenziale scatenato su di loro, e di conseguenza proiettato su «Paolo», dal nuovo dio ellenistico Gesù che muore e risorge, al crepuscolo del sacro fervore mistico che investì gli originari apostoli gnostici di inizio II secolo, e che doveva perdurare ancora a lungo prima che l'ortodossia nascente cominciasse a mostrare i muscoli e a trasformare l'ideale Big Bang mistico di cui «Paolo» era il fittizio emblema nel reale Big Crunch della proto-cattolica Reductio ad Unum.   

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