domenica 23 agosto 2015

Paolo fu una chimera (II)

Del resto, soltanto a queste condizioni ci riesce fino a un certo punto spiegabile, come mai Paolo, le cui lettere principali debbono certamente essere autentiche, abbia potuto rappresentare del tutto seriamente come Dio incarnato, come essere identico al Creatore del mondo, un individuo morto così poco tempo prima che molti suoi contemporanei erano ancora vivi allora, mentre simili apoteosi, intese del resto seriamente, richiedono di solito molti secoli per poter gradualmente maturare. [D'altronde si potrebbe trarre di qui un argomento contro l'autenticità in generale delle lettere di Paolo].
(Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, pag. 506)

Quando Joseph Smith aveva 21 anni, l’angelo Moroni gli consegnò gli antichi annali. Joseph aveva un’istruzione formale pressoché inesistente e non conosceva l’antica lingua con cui erano state scritte le tavole d’oro, ma riuscì a tradurle perché Dio gli conferì il dono e il potere di fare ciò. La traduzione fu completata in meno di tre mesi e nel 1830 furono stampate 5.000 copie del Libro di Mormon a Palmyra, New York. Dio scelse Joseph come profeta, veggente, rivelatore e traduttore per restaurare la chiesa di Gesù Cristo in epoca moderna, e il Libro di Mormon fu indispensabile a questa restaurazione. A Joseph Smith fu dato un incarico straordinario e, poiché rimase degno delle benedizioni del cielo, egli riuscì a portare il Libro di Mormon al mondo.
(tratto da un sito web mormone)

L'unica «evidenza» di un Paolo storico si basa su due soli elementi:
1) alcune lettere del Nuovo Testamento attribuite a Paolo.
2) l'autenticità di quelle lettere.
Se cade il punto 2, cade anche Paolo. Perchè non ci sarebbe più alcuna evidenza storica della sua esistenza. Senza l'autenticità dell'intero corpus paolino (che funge apologeticamente come una sorta di àncora storica), la storicità di Paolo svanisce come una palla di neve.

Un problema serio con l'idea di un Paolo storico è che, nonostante quanto gli attribuisce Atti 22:3 :
«Io sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi.»
...questo Paolo non sembra aver sentito nulla di Gesù fino al tempo in cui gli apostoli Pietro, Giovanni e gli altri non ne predicavano la resurrezione a Gerusalemme.
Perchè questo silenzio? I vangeli stessi vogliono farci credere che Gesù era itinerante per tutta la Giudea, la Samaria e la Galilea, operando miracoli in lungo e in largo, miracoli che tutti avevano visto sbalorditi, e tuttavia un Paolo apparentemente vissuto a Gerusalemme, una città che Gesù deve aver visitato almeno tre volte durante la sua predicazione pubblica (stando al racconto evangelico), non ha udito nemmeno una volta parlare di lui, tanto meno ha avuto sentore di qualche miracolo da lui operato. Questo è un problema gigantesco per l'ipotesi della storicità di Paolo, un problema insormontabile che non si può spiegare neppure ipotizzando un Gesù completamente mitico dietro il Gesù di Paolo. Il Gesù di Paolo È mitico, dal momento che «Paolo» afferma che Gesù è il Figlio di Dio perciò intrinsecamente miracoloso e soprannaturale. Pur così, io considero una grande anomalia il fatto che Paolo non fa trapelare di Gesù NEPPURE dove è stato crocifisso. Anche ammettendo che il Gesù di Paolo fosse stato crocifisso dagli «arconti di questo eone» e solo da loro - e non da Pilato -, rimane anomalo (=sorprendente, =inatteso, =improbabile) che si possa speculare puramente a livello di mere ipotetiche congetture, assumendo l'autenticità delle epistole, riguardo alla precisa identità del luogo della crocifissione di Gesù per l'autore di quelle epistole: sulla Terra? Nei cieli inferiori sub-lunari? In un lontano passato mitico primordiale? Nessuna risposta capace di allontanare tutti i dubbi. E QUESTO È STRANO. SORPRENDENTE. ANOMALO. INATTESO.

Questo è così sorprendente, così inatteso, così poco credibile da gettare inevitabilmente un alto «beneficio del dubbio» sulla tesi che Paolo fosse una vera persona storica.

Da un lato i folli apologeti cristiani hanno una reazione assolutamente prevedibile a tutto questo: come sempre hanno fatto in passato e faranno in futuro, ricorreranno alle scuse più ridicole pur di giustificare il profondo e imbarazzante silenzio circa un Gesù storico nelle epistole. Ad esempio dicendo che Paolo si trovava a Tarso (!) e non a Gerusalemme precisamente (!) nei giorni in cui Gesù visitò quella città. Ma Paolo, con tutta la sua cultura, davvero non avrebbe fatto il minimo sforzo per soddisfare la sua umana curiosità circa il famoso taumaturgo galileo?

Il problema riguarda non solo Paolo, ma tutte le altre epistole (ad esempio, 1 Clemente e la Lettera agli Ebrei) che mostrano una totale ignoranza di un Gesù storico. Ancora una volta, ci sono circostanze così sospette che i folli apologeti cristiani preferiscono ignorare pena altrimenti di veder crollare uno a uno i loro ridicoli dogmi. Ed in effetti  io riconosco che tali sospette circostanze suonano quasi offensive nei confronti dell'ipotesi della storicità di Gesù.

Eppure non sarà un Gesù mitico assunto all'origine delle prime rivelazioni (leggi: allucinazioni) cristiane a salvare la storicità dell'uomo chiamato Paolo facendo giustizia dell'apparente silenzio su un Gesù storico.
Perchè il silenzio a cui mi riferisco non è solo letale per gli storicisti. E non mi riferisco alla semplice assenza di menzione dei principali fatti salienti di un ipotetico Gesù storico (quasi che uno storico Paolo avrebbe dovuto «per forza» menzionare che il suo Gesù proveniva da Nazaret!). Le parole del miticista George Albert Wells sono certamente valide per escludere qualsivoglia Gesù storico dalla cristologia di un ipotetico Paolo storico. 


Io sono consapevole che non si può sempre inferire l'ignoranza di uno scrittore circa qualcosa rilevante ai suoi interessi dal suo silenzio su di esso. Due epistole del Nuovo Testamento (Giacomo e Giuda) non dicono pressochè nulla circa Gesù, e Giacomo neppure menziona la sua morte e resurrezione, che figurano in modo così prominente negli scritti di Paolo. Quel che trovo significativo sono non occasionali silenzi di questo tipo, ma un silenzio che è persistente e ripetuto in tutti i documenti di un periodo — documenti scritti da diversi autori sotto diverse condizioni — su materie alle quali loro non potevano essere stati indifferenti. Si può tentare di spiegare il silenzio di uno specifico scrittore attribuendogli un particolareggiato punto di vista teologico, come fa Brandon con Paolo. Ma tali ipotesi sono costruite su ipotesi discutibili, e falliscono interamente di spiegare perchè questo silenzio è comune a tutti gli scrittori del periodo. Hahn (192) è di recente stato in grado di rappresentare l'antico pensiero cristiano come orientato principalmente verso il Gesù storico solamente prendendo i vangeli come suo punto di partenza, e praticamente ignorando — come un recensore teologico (400, pag. 196 — 7) ha appena lamentato— la più antica evidenza che tradisce così chiaramente che la cristologia si sviluppò da una riflessione sul Signore risorto. 
(Did Jesus Exist?, pag. 62, mia libera traduzione)

Ma io mi sto riferendo ad un silenzio su Gesù ancora più inquietante di quello denunciato dai miticisti proponenti della storicità di Paolo.
E cioè il silenzio non solo su tutto ciò che riguarda il Gesù storico, ma anche il silenzio su un fondamentale aspetto dello stesso Gesù mitologico descritto dalle lettere di Paolo.
Sembra semplicemente incredibile che da nessuna parte nelle epistole «Paolo» dica dove fu ucciso il suo Gesù mitologico e che per «intuirlo» (se sulla Terra o in Cielo) i miticisti debbano ricorrere alle più sottili e complicate congetture.
Eppure, se si prende 1 Tessalonicesi, quella che la maggior parte del consensus crede che sia un'evidente tarda interpolazione cristiana del II secolo inserita in una lettera genuina dell'uomo chiamato Paolo (addirittura la prima lettera in ordine cronologico ad essere stata scritta dall'apostolo) e cioè 1 Tessalonicesi 2:14-16 :
Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Cristo Gesù che sono in Giudea, perché anche voi avete sofferto le stesse cose da parte dei vostri connazionali, come loro da parte dei Giudei.
Costoro hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti, hanno perseguitato noi, non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini.
Essi impediscono a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano sempre di più la misura dei loro peccati!
Ma su di loro l’ira è giunta al colmo.

...risponde in realtà indirettamente alla domanda «dove fu crocifisso il Gesù mitico di Paolo?» MA SOLO A PATTO di datare l'intero testo circostante di 1 Tessalonicesi circa allo stesso periodo in cui i biblisti già collocano la sola suddetta interpolazione. E cioè in pieno II secolo. 

Così il prof Price:
Da [1 Tessalonicesi] 2:15 è chiaro almeno che il nostro autore non è ebreo. È impossibile immaginare un ebreo, specialmente un ebreo settario che considera la sua setta come il vero Israele, mentre parla di ebrei in questa maniera. Puzza di tipico antisemitismo ellenistico, mentre denuncia gli ebrei come odiatori del genere umano. L'odiosa considerazione è proprio quel che la Storia ci conduce ad aspettare dalle prime chiese cattoliche: gli assassini di Cristo stanno ricevendo il loro dovuto. E 2:16 è certamente un riferimento alla caduta di Gerusalemme nel 70 EC, se non in realtà alla disfatta della ribellione di Bar-Kochba nel 136 EC. La mia ipotesi è che il reale riferimento inteso sia alla disfatta di Bar-Kochba, recente nel tempo dello pseudoepigrafista, ma che è abilmente lasciato ambiguo così da poter assumere che il riferimento sia alla disfatta del 70 EC, più vicino alla morte di Paolo.
 (Robert M. Price, The Amazing Colossal Apostle: The Search For The Historical Paul, pag. 491, mia libera traduzione)

Così, poichè la spiegazione più semplice dev'essere quella dal maggiore potere esplicativo, entrambi i problemi riscontrati sotto l'ipotesi di un Paolo storico e cioè:

1)
l'apparente anomalia del silenzio sul Gesù storico nelle epistole di Paolo (che deve imbarazzare gli storicisti);

2) l'apparente anomalia del silenzio perfino sul luogo della crocifissione del Gesù mitologico nelle epistole di Paolo (che deve imbarazzare i miticisti);

...si risolvono nel più naturale dei modi semplicemente rigettando l'ipotesi tradizionale dell'autenticità di quelle epistole.

Infatti solo i cristiani gentili del II secolo (ovvero i reali fabbricatori delle epistole) si sarebbero potuti accontentare di sapere - nella loro brama assoluta di un nuovo, potente, celeste Salvatore che muore e risorge - a proposito di Gesù, semplicemente che «qualcuno» morì e soffrì in Giudea per mano dei «Giudei» (sotto l'impulso di demoniaci arconti), escludendo loro così per sempre dalla grazia salvifica, dalla fede redentrice, o dalla gnosi rivelatrice (rispettivamente marcionita, cattolica e gnostica).

 Questo implica che tutte le lettere di «Paolo», essendo mere fabbricazioni del II secolo, semplicemente non sono di alcuna utilità nè per dimostrare nè per negare un Gesù storico. Quelle lettere sembrano aver attinto dal mero «sentito dire» innescato dalla diffusione dei primi vangeli soltanto lo stretto necessario che serviva ai loro autori e lettori (ovvero il mito di un nuovo dio ebraico che muore e risorge) allo scopo di appagare più efficacemente l'ansia mistica di assoluto risvegliata nelle masse sterminate di pagani convertiti e/o da convertire nel vasto Impero Romano. I primi apostoli gnostici hanno certamente avuto un ruolo affatto marginale in tutto questo.

È errato perciò leggere le epistole di Paolo come se fossero delle vere lettere storiche di un ebreo del I secolo. Le teologie riflesse in quelle lettere sono troppo complesse e stratificate per venire elaborate dallo stesso individuo in un lasso di tempo così breve. Francamente lo trovo poco credibile. In mezzo secolo non solo è poco probabile per un ebreo riuscire nell'impresa di trasformare la propria ebraicità (oltre a quella di tutti i suoi seguaci, come lui da considerare adepti di un indipendente movimento ebraico) in una «nazionalità» del tutto spirituale e mistica ma addirittura ha dell'impossibile perfino figurarsi la creazione ex-novo in così breve tempo di un'intera chiesa ecclesiastica diffusa su più continenti e dotata già di una gerarchia super-organizzata (da far invidia a quella presente presso gli esseni, ad esempio) e di un comune mito fondativo nel quale gloriarsi e riconoscersi. Eppure quello è ciò a cui debbo prestare fede se soltanto dovessi accettare ancora l'autenticità delle 7 epistole paoline. Per giunta, dovrei trascurare il mare di indizi interni alle epistole [1] che tradiscono la loro chiara provenienza dal II secolo anzichè dal I secolo: indizi troppo evidenti per tutte le lettere perchè siano semplicemente liquidati con un'alzata di spalle senza alcuna ulteriore considerazione.   

Se tu assumi che le lettere di Paolo siano autentiche devi accettare l'idea assurda che rapidamente, nel giro di meno di 50 anni (!), centinaia di ebrei rinunciassero bruscamente al loro sogno di indipendenza nazionale ebraica per concentrare invece tutte le loro speranze di vita eterna su una relazione spirituale con un arcangelo celeste che muore e risorge e regna in cielo invece che su Gersalemme (e tutto questo senza neppure attirare l'attenzione di un profondo conoscitore delle sette marginali ebraiche del tempo: Flavio Giuseppe). Devi accettare che le stesse centinaia di ebrei prendessero stanza a Gerusalemme per ricevervi le prime persecuzioni da parte degli ebrei più tradizionalisti in tale misura da abbandonare in massa Gerusalemme per lasciarvi dietro solo gli originari Apostoli. Devi accettare l'idea che la loro dispersione portasse alla rapida internazionalizzazione del loro movimento già prima della venuta di Paolo a Roma così da spiegare perchè egli si rivolgeva nella sua lettera a ebrei romani già (!) convertiti al movimento prima di lui. Devi accettare l'idea che nelle principali città dell'Impero già vi fossero insediate e stabilite congregazioni cristiane abbastanza antiche da ostentare una gerarchia ecclesiastica ben strutturata da far invidia alle comunità esseniche (Filippesi 1:1) e con tanto di storia alle loro spalle (1 Corinzi 11:2; 2 Tessalonicesi 2:15; 2 Tessalonicesi 3:16). Tutto questo in meno di 50 anni (se sei miticista) e addirittura in meno di 35 anni (se sei storicista, dovendo per forza limitarti all'intervallo di tempo che intercorre tra la morte di Gesù e la morte di Paolo).

Le lettere di Paolo presuppongono una completa diaspora degli ebrei: l'unica vera diaspora che ci fu era una diaspora collettiva di TUTTI gli ebrei, e non solo quella di fantomatici cristiani (1 Tessalonicesi 2:15) ricordata peraltro da nessuna fonte estrabiblica. I veri persecutori erano le legioni romane giunte a sedare la rivolta di Simone Bar Kochba (135 EC) invece che farisei zeloti come pretende di propagandare tendenziosamente Atti 8. Solo con la Terza Guerra Giudaica ci fu una completa diaspora di ogni singolo ebreo dalla ''Palestina''. Dopo la disfatta dei ribelli di Simone Bar Kochba, i maggiorenti del popolo ebraico furono sterminati in massa, i loro rotoli sacri dati alle fiamme, il sito del tempio profanato da statue pagane e Gerusalemme stessa ribattezzata Aelia Capitolina così da recidere completamente ogni legame della regione con l'ebraismo.  Le vittime assommarono a mezzo milione, senza contare i sopravvissuti condotti schiavi in Egitto (una triste ironia del destino). Non solo: come se non bastasse, pur di assicurarsi una completa diaspora, le autorità proibirono dopo il 135 EC a ogni ebreo di recarsi anche solo nei paraggi della Gerusalemme ricostruita, pena l'accusa di sedizione. Perfino la stessa circoncisione fu proibita per qualche anno:
Historia Augusta, Hadrianus 14.2
Moverunt ea tempestate et Iudaei bellum, quod vettabantur mutilare genitalia.

A quel tempo i giudei mossero guerra, perchè era loro proibito praticare la circoncisione.
Poichè non esiste nessuna evidenza storica della fuga dei ''giudeocristiani'' da Gerusalemme, allora Atti degli Apostoli è pura, tendenziosa propaganda che quando parla di cristiani perseguitati da ebrei (Atti 8) si ispira in realtà alla diaspora storica di ogni singolo ebreo da Gerusalemme dopo il 135 EC, provando di essere prodotta dopo quella data.
La completa dispersione nel più vasto e variegato mondo greco-romano di quel che rimase del popolo ebraico a seguito della stroncata rivolta di Bar Kochba nel 135 EC innescò un tempo di virulenta evoluzione teologica nella misura in cui non esisteva ancora alcuna ortodossia a plasmarla ma solo la disperata esigenza di una teodicea a fronte di cotanto male. Quell'evoluzione teologica si affidò al mero sentito dire provocato dalla diffusione di un antico vangelo (Mcn?)  per attingervi una specifica teodicea tanto necessaria quanto ridotta ai più essenziali minimi termini:

1) Il Dio salvatore era il dio degli ebrei? Oppure la salvezza doveva essere ricercata e bramata al di là di YHWH?

2) La salvezza si poteva ottenere per pura fede, mediante una speciale conoscenza esoterica, oppure ancora tramite una stretta osservanza della Torah (Galati 3; Romani 7:12; 8:1-8; Giacomo 2:10; 1 Giovanni 5:11-13) ?

3) Gesù era venuto «nella carne» oppure solo «nella somiglianza» della carne (Romani 8:3; Filippesi 2:7-8; Giovanni 1:14) ?

4) Quale ruolo dovevano avere le donne nelle chiese (Atti 21:9; Romani 16:1; 1 Timoteo 2:11-15; 1 Corinzi 14:34) ?

5) A quale regola dovevano attenersi i primi vescovi (Ebrei 13:17; 1 Pietro 5:1-3)?

Tutti problemi del II secolo, non del I secolo. Impossibile che un solo uomo fosse tanto geniale da rispondere a tutte quelle domande nella prima metà del I secolo (risolvendo praticamente anzitempo problemi che sarebbero sorti solo nel secolo successivo) e, a dispetto più totale della sua supposta genialità, sfuggire all'attenzione di tutti i suoi contemporanei, compreso quella (!) di un ebreo naturalizzato civis romanus come Flavio Giuseppe.
 
Lo gnosticismo cristiano del II secolo EC sembra davvero ben rappresentato nel Nuovo Testamento. Giovanni 1 è puro pensiero valentiniano, laddove Galati 3 riflette così bene squisita teologia marcionita che alcuni studiosi ne considerano Marcione in persona l'autore:
Numerose contraddizioni e anacronismi in Galati implicano che l'opera è multistratificata, essendo passata attraverso le mani di vari redattori, e che perfino il nucleo originale era pseudoepigrafico. Seguendo Van Manen, io assumo Marcione come l'autore, parzialmente a causa dello strano commento di Tertulliano in Contro Marcione che Marcion nactus epistolam Pauli ad Galatas: “Marcione, scoprendo l'Epistola di Paolo ai Galati,” la utilizza per “distruggere il carattere di quei Vangeli che sono pubblicati come genuini e sotto i nomi degli apostoli” (4.3.1). Se prendiamo la parola scoprire nel suo senso letterale, quei commenti potevano implicare che nessuno aveva visto l'epistola prima e che, come Hilkiah che scoprì Deuteronomio (2 Re 22:8-13) oppure Joseph Smith che scoprì il Libro di Mormon, Marcione scrisse il nucleo di Galati (capitoli 3-6), e posò come Paolo ad un uditorio di primi seguaci che stavano cominciando a prestare fiducia alla propaganda del cristianesimo cattolicizzante. È la devozione cattolica alla Torah che Marcione combatte, non necessariamente l'attaccamento alla Bibbia Ebraica che poteva tenere un giudeocristiano. I primi due capitoli sono aggiunte più tarde dai marcioniti che volevano contrastare la storia di Paolo in Atti, dove Paolo era stato cooptato dal cristianesimo cattolico.
 (Robert M. Price, The Amazing Colossal Apostle: The Search For The Historical Paul, pag. 411, mia libera traduzione, corsivo originale) 

Solo nel contesto della diaspora ebraica post 135 EC si possono spiegare gli anni embrionali della religione cristiana propriamente detta e i dibattiti e le discussioni inerenti che dettero volto ed espressione ad una divergenza quasi schizofrenica di dottrine tutte ruotanti attorno a Gesù.

Fino alla seconda metà del II secolo, non esistevano ancora proto-cattolici. Come pure non c'erano mai state fino ad allora persecuzioni dei cristiani da parte delle autorità romane (Tacito non parla mai di cristiani, nemmeno Svetonio e tantomeno Flavio Giuseppe, laddove è dubbio, come testimonianza di persecuzione anticristiana, perfino il riferimento al 'Cristo quasi deo' di Plinio il Giovane [2]).
L'evidenza storica dell'ossessione tipicamente cristiana per il martirio emerge solo dopo il 170. È a quel punto facile intuirne la ragione: questo culto feticista cristiano della morte era frutto dell'insegnamento proto-cattolico secondo il quale il martirio costituiva una forma di battesimo. Perciò il martirio era deliberatamente ricercato dai più folli tra i protocattolici perchè così guadavagnavano la purificazione totale dei loro peccati esattamente in punto di morte. Questo concedeva apparentemente ad ogni martire una salvezza ''tangibile'', ''oggettiva'' e garantita (invece di altre forme di salvezze più oscure perchè ottenute per via esoterica, mistico-allucinatoria, misterica e gnostica), perciò esistevano veramente proto-cattolici che ricercavano e richiedevano la morte per mano dei Romani esattamente con tali deliranti speranze in mente.
Negare quest'evidenza è da folli apologeti cristiani.

Pensare che alcune lettere di Paolo siano autentiche significa fare il passo più lungo della gamba. In realtà, la tesi che potesse rapidamente nascere e consolidarsi una chiesa cristiana così capillarmente ramificata, così organizzata gerarchicamente, e da così tanto tempo in funzione da ostentare già un mito fondativo comune, prendendo le mosse da un movimento che riuscì nella trasformazione di speranze nazionaliste e xenofobe ebraiche del I secolo EC in istanze mistiche incentrate su un salvatore celeste piuttosto che su un messia terreno, e fare così in meno di 50 anni (!), è una tesi derivata da una cronologia che è semplicemente troppo compressa per essere considerata credibile. Come già notato, l'evidenza interna indica invece che le lettere paoline erano in verità un'invenzione più tarda rispetto al tempo assunto all'interno del racconto stesso. Infatti la diaspora completa degli ebrei, la divergenza quasi schizofrenica presa dalle teologie discusse e dibattute, il presunto sviluppo di una nascente Chiesa Cattolica pienamente organizzata, governata e strutturata, e il livello di persecuzione di cui si fa apologeticamente menzione qua e là per tutte le lettere, sono tutti elementi fin troppo consistenti con il cristianesimo del 2 secolo per essere frettolosamente ignorati come frutto di mera coincidenza. 

Quindi le mie conclusioni si possono così sintetizzare:

1) Spuntano troppi problemi quando si prendono per autentiche le lettere di Paolo.
2) La cronologia tradizionale di quelle lettere accumula così tanti sviluppi teologici in un tempo così limitato da sembrare poco credibile.
3)  Esistono un sacco di indizi [3] all'interno delle lettere che puntano al II secolo EC come la loro origine più naturale piuttosto che al I secolo EC.
4) tutto ciò che riguarda Paolo e le lettere di Paolo costituisce un deliberato anacronismo editoriale venduto come verità storica per ragioni relative alle situazioni e alle circostanze degli stessi inventori.

 Nel prossimo post spiegherò un'altra forte ragione ancora per ritenere Paolo una chimera.

 
[1] Per un primo elenco sufficiente di quelli indizi, mi considero fortemente indebitato all'americano Robert M. Price e al tedesco Hermann Detering.

[2] Perfino nella lettera di Plinio il Giovane proconsole di Bitinia inviata all'imperatore Traiano e risalente al 110 EC (dove si fa menzione solo di un 'Christo quasi deo') si prescrive che i cristiani, lungi dall'essere veramente perseguitati, debbano essere puniti solo se arrestati e riluttanti a rinnegare la loro confraternita religiosa.  Il dr. Detering dubita dell'autenticità del passo, come dell'intero Libro 10 di Plinio il Giovane.

[3] Trovo buffo che ogni tanto su uno di quelli indizi inciampano fragorosamente mostri sacri riveriti dai folli apologeti cristiani come il defunto biblista ebreo Geza Vermes, il quale così cercava invano di armonizzare la presenza dell'evidentemente docetico inno ai Filippesi (Filippesi 2:6-11) in una lettera la cui paternità paolina doveva comunque essere salvata a tutti i costi (pena la scomunica da parte dei folli apologeti cristiani):
“Le espressioni ‘nella forma di Dio’, ‘aggrapparsi all'eguaglianza con Dio’, e ‘svuotare sé stesso’ riecheggiano concetti mitologici familiari dal vangelo di Giovanni e da tarde speculazioni eretiche gnostiche. Se così, cronologicamente puntano ai primi del secondo secolo AD piuttosto che al tempo di Paolo. L'inno fa assai miglior senso se è preso come una composizione liturgica esistente inserita nella lettera ai Filippesi non da Paolo stesso ma da un più tardo editore. Il fatto che questo poema possa essere rimosso senza spogliare il significato generale del capitolo favorisce fortemente la teoria della sua origine post-paolina”.
(Geza Vermes, ‘The Changing Faces of Jesus’, pag. 78, mia libera traduzione e mia enfasi)

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