sabato 29 agosto 2015

Paolo fu una chimera (V)

«D'ogni malizia, ch'odio in cielo acquista
ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista.
Ma perchè frode è dell'uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sutto
li fraudolenti e più dolor li assale»

(Dante, Inferno XI, 22-27)


Uno scettico sull'autenticità di tutte le epistole paoline una volta giudicò l'opinione tradizionale, che salva almeno l'autenticità di 7 epistole paoline, paragonando il Paolo storico in quel caso ad un «libero elettrone che corre solitario nello spazio vuoto». E mai definizione fu più azzeccata: da questo punto di vista «Paolo», sotto l'ipotesi della sua esistenza storica e della sua paternità delle epistole, assomiglia davvero ad un solitario viaggiatore ipergalattico (=civis romanus), nelle immensità dello spazio profondo (=il Mediterraneo), dando direttive e risolvendo problemi e conflitti su ogni «pianeta» colonizzato dalle prime comunità cristiane (=extraterrestri), comunità di cui, prima durante e dopo l'irruzione improvvisa di questo ipotetico «Paolo», non è stata lasciata enigmaticamente alcuna traccia. In questo volo di fantasia «Paolo» assomiglia davvero al celebre personaggio fantascientifico partorito dal genio di George R. Martin: Haviland Tuf.
Molte persone, specie se cresciute in un ambiente cristiano, prendono per garantita l'esistenza di un Paolo storico per fede e/o per consuetudine non accorgendosi così dell'esagerata complessità di ipotesi e scenari tra i più gratuiti che devono bere solo per essersi compromessi (fatalmente o deliberatamente?) con l'accettazione della regola del gioco richiesta dal Nuovo Testamento come da ogni racconto fantasy, regola che prescrive FEDE al lettore (che sia fede cieca o solo parziale non importa, l'importante che sia FEDE) prima di continuare la lettura. 

E quell'improbabile complessità che i creduloni devono digerire una volta sposata acriticamente la premessa di un Paolo storico e reale autore di almeno 7 lettere del Nuovo Testamento, è intimamente connessa con l'idea che i ricordi di 12 compagni di un fantomatico Gesù «storico» (???) finirono cristallizzati nel migliore o peggiore dei modi nelle scritture dei loro discepoli, scritture solo occasionalmente «sporcate» da «eretici» come gli «gnostici» e ciarlatani come Cerdo, Marcione, Basilide, Saturnino, Simon Mago, Valentino, ecc. È sufficiente rifletterci sopra un secondo per capire quanto improbabile e soprattutto interessata, ancorchè apologetica in essenza, sia una «ricostruzione» del genere, dal momento che riesce sempre e comunque ad assegnare coincidenzialmente il premio della «più fedele Tradizione Orale» guardacaso proprio ai «discepoli» di un Gesù «storico» e solo a loro, «più» Paolo per completezza. Se fosse stato così semplice risalire ad un punto d'origine così sicuro, palese ed obiettivo — reso ancor più tale se incentrato magari attorno ad un Gesù «storico», così da essere ancora di più ipergarantito & ipermotivato nel diffondere un “vangelo” dappertutto coerente e nel sorvegliarne la purezza dalle incrostazioni di varie bande di “eretici” coi loro “falsi” vangeli — perchè allora le lettere attribuite a «Paolo» si rivelano, ad un più attento scrutinio, il prodotto del lavoro raffazzonato di fazioni rivali del secondo secolo intenta l'una a superare l'altra per mezzo di varie falsificazioni ???

Se Paolo fu il reale autore delle sue lettere, perchè allora è l'unico autore in tutto il Nuovo Testameno di cui si sono preservate le lettere autentiche? Tutti gli altri libri del Nuovo Testamento sono infatti considerati anonimi dal consensus. Ma non è strano che solo Paolo fu preservato più o meno fedelmente, mentre degli altri apostoli nemmeno una lettera o un frammento di lettera autentici? Ma solo puro proto-cattolico «sentito dire»? I proto-cattolici specialmente avrebbero dovuto preservare gelosamente i testi dei primi apostoli loro dichiarati «patroni», e non limitarsi invece solo a fabbricarne di nuovi a tavolino sotto falso nome (tradendo così di essere desolatamente privi di legami storici genuini con il culto settario originario e dunque nella disperata necessità di crearli).

Questo pattern più generale (la bizzarria di un Paolo soltanto ritenuto genuino scrittore di alcune lettere che ne portano il nome, tra tutti i testi del Nuovo Testamento) si ripete su un'istanza più specifica che trovo in definitiva davvero fatale all'ipotesi dell'autenticità delle 7 lettere paoline.

Le Epistole «Pastorali» di «Paolo» non vengono alla luce se non verso il tardo secondo secolo, se non più tardi. Tutti ritengono quelle lettere non autentiche. In 2 Timoteo 4:13 il loro «Paolo» scrive:
Quando verrai porta il mantello che ho lasciato a Troade presso Carpo e i libri, soprattutto le pergamene.
 La parola greca che è tradotta con «pergamene» è μεμβρανας e indica libri fatti da pelle di animale, non di papiro. Il problema è che la pelle di animale non era utilizzata per la creazione dei rotoli, ma solo per i codici, che non furono introdotti fino al secondo secolo. Perciò l'epistola in questione, in base all'evidenza interna, non poteva originarsi prima del secondo secolo.
I folli apologeti cristiani obietteranno che questo fatto dimostra solo la fabbricazione delle epistole
«Pastorali», che non per sé stesso «prova» l'artificialità dell'intero corpus paolino.
L'obiezione regge, ma presta il fianco ad un errore logico non trascurabile che fa cadere a pezzi l'intera costruzione.

1) Paolo fu una reale persona storica e scrisse almeno alcune lettere.

2) le lettere originali di Paolo furono presto confuse con le lettere false di «Paolo».

Come si spiega storicamente il passaggio dal punto 1 al punto 2 ?

Se ci si prese il disturbo di recuperare tutte le lettere di Paolo, e il consensus è unanime nel riconoscere all'«eretico» Marcione il merito di aver setacciato l'intero oriente greco-romano alla ricerca di tutte le epistole di Paolo che riusciva a trovare (ricordo che Marcione sarebbe stato facilitato in tale faticosa operazione di recupero dal momento che era un ricco armatore di Sinope), allora questo implica oltre ogni ragionevole dubbio che Paolo sarebbe stato considerato dai primi che ne collezionarono e brandirono orgogliosamente le lettere come un'autentica leggenda vivente agli occhi dei primi cristiani.

Se si esclude la sola ipotesi alternativa (dell'invenzione di «Paolo»), questo entusiasmo per Paolo coltivato dai cristiani del II secolo (non importa se «eretici» o meno) sarebbe spiegabile solo a patto di supporre effettivamente la formidabile azione di un Paolo storico nella prima metà del I secolo, con migliaia di adoranti discepoli entusiasticamente infervoriti e galvanizzati dalla figura dell'«apostolo delle genti», al quale dovevano, quantomeno se gentili, la possibilità di convivere pacificamente in armonia coi giudeocristiani.
Ma se è così, ancor più se il vangelo evidentemente paolino di Marco fosse stato il primo vangelo scritto appena a ridosso del 70 EC, allora userei senza dubbio le parole di Tom Dykstra per descrivere il miglior plausibile scenario in quel caso: 


«Se lo scenario storico in Marco è implausibile, come può uno scenario plausibile venir ricostruito? È possibile fare così cominciando con il quadro di due missioni cristiane come descritto nella Parte I. La missione gentile cristiana fu stabilita non da vari gruppi disconnessi ma da una singola scuola nel senso di una rete di leaders probabilmente condotti al principio da un leader carismatico. Il leader e la scuola vennero ad essere noti col nome di Paolo. La loro missione non poteva fare progressi se i gentili fossero forzati a seguire le tradizioni ebraiche, specialmente la circoncisione. Ma essi andarono contro corrente rispetto alle persone che volevano seguire proprio tali tradizioni e che potevano pretendere autorità per le loro vedute riferendosi a relazioni personali o familiari con Gesù. 
La scuola di Paolo poteva scrivere epistole nel suo nome perfino se egli fosse non più in grado di condurre questo sforzo, ma essi avrebbero realizzato alla fine che tali lettere erano armi dall'efficacia limitata. Oppositori di Paolo che potevano citare legami personali o familiari con Gesù, o legami alla santa città di Gerusalemme oppure al tempio, potevano ancora reclamare maggiore autorità di Paolo, e alcuni nelle comunità di Paolo avrebbero potuto essere propensi a seguire il loro seguito (com'è già evidente dall'epistola ai Galati). Ciò che era necessario era un'autorità maggiore di Paolo a supporto della versione di Paolo del vangelo contro quella dei suoi rivali. La sola più alta autorità umana sarebbe Gesù, e così germinò l'idea di una narrazione circa Gesù, tuttavia per quanto ne possiamo dire, la scuola di Paolo non sapeva virtualmente nient'altro di lui che la crocifissione e la resurrezione.»
(Mark, Canonizer of Paul, pag. 235, mia libera traduzione)

Nota bene: un Paolo storico morto nel 64 EC e il primo vangelo, Marco, scritto appena dopo il 70 EC. Ciò implicherebbe un intervallo di almeno 6 anni tra la morte di Paolo e la creazione del primo vangelo.

Se Dykstra avesse anche solo parzialmente ragione in questa sua ricostruzione (al di là se il Gesù storico fosse esistito o meno) allora gli scritti di Paolo — e quello è ciò che Tom Dykstra pensa di aver dimostrato nel suo libro — sarebbero prestissimo diventati canonici e chiaramente riconosciuti come tali, ossia profondamente autorevoli e ispirati.
Nelle chiare parole di Dykstra:
«Nel caso di Marco e delle epistole paoline, entrambi gli estremi dello spettro si applicano. Da una parte, Marco conosceva le epistole paoline e rielaborò materiale da loro nel suo proprio testo. D'altra parte, gli autori delle epistole non avevano alcuna conoscenza del vangelo di Marco, ma dopo che fu creato il vangelo di Marco, esso influenzò profondamente la comprensione dei lettori delle epistole. Questo riflette una funzione comune delle scritture in generale: ciò che fa Marco per Paolo il Nuovo Testamento come un intero fa per l'Antico Testamento.»
(Tom Dykstra, Mark, Canonizer of Paul, pag. 220, mia libera traduzione e mia enfasi)
...«ciò che fa Marco per Paolo il Nuovo Testamento come un intero fa per l'Antico Testamento»... ...ovvero: Marco considera Paolo, proprio come il Nuovo Testamento considera l'Antico Testamento, niente meno che letteratura SACRA precedente.

Pensa un pò: dopo soli 6 anni (!) dalla morte di un ipotetico Paolo storico (nel 64 EC, ammettendo gratuitamente che la Traditio avesse ragione, perfino se questo dato va decisamente contro il buon senso), le sue lettere furono canonizzate e l'evidenza storica di tale precoce canonizzazione sarebbe proprio data dal vangelo di Marco.
Il prof e prete polacco Adamczewski è dello stesso parere e si spinge addirittura oltre Dykstra su questo punto: 


«L'esistenza di una lunga serie di all'incirca 300 coppie sistemate sequenzialmente di elementi semanticamente corrispondenti nel vangelo di Marco e nelle lettere paoline (Gal, 1 Cor, e Fil) non può essere un risultato di mera coincidenza. Deve essere risultato dalla risoluzione di un evangelista post-paolino di presentare i dettagli dei contenuti delle lettere paoline in un modo narrativo ampiamente comprensibile, e nondimeno semanticamente ricco, precisamente nella forma di una biografia ipertestuale del personaggio palestinese di Gesù Cristo.
Perciò, nel vangelo marciano, in linea con l'auto-comprensione di Paolo del proprio personale ministero (si veda 1 Tess 1:6; 1 Cor 11:1, ecc.) il personaggio narrativo di Gesù Cristo generalmente non riflette le caratteristiche storiche della persona di Gesù che fu chiamato il Messia (si veda Rom 1:3 ecc.), ma possiede le caratteristiche del sofferente e risorto Figlio di Dio, che fu rivelato al mondo nella persona, nell'insegnamento, e nel corso dell'esistenza di Paolo l'Apostolo (si veda Rom 1:4; Gal 1:16, ecc.).»

(Bartosz Adamczewski, The Gospel of Mark — A Hypertextual Commentary, pag. 199, mia libera traduzione e mia enfasi)

Secondo Dykstra, Marco canonizzò le lettere di Paolo.
Secondo Adamczewski, Marco fece qualcosa di più: considerò lo stesso Paolo un vero e proprio Alter Christus, quasi che Paolo fosse l'unico
«specchio» a disposizione per Marco dove si potesse riflettere l'immagine di Gesù (questo indirettamente proverebbe che Marco non avesse altri «specchi» di Gesù oltre Paolo a disposizione, a parte la sua immaginazione), essendo dunque costretto a «sacralizzare» e «dogmatizzare» le epistole di Paolo, elevandole al rango di Sacre Scritture ben prima dell'irruzione di Marcione.

Riassumo la logica fin qui:

1) se Paolo è esistito, allora chi trovò le sue lettere (Marcione) lo considerò una leggenda vivente.
2) se Marco è il primo vangelo, allora la sua sapiente riscrittura midrashica delle lettere di Paolo dimostra che, minimo nel giro di dieci anni circa dalla sua morte, le lettere di Paolo erano già elevate al rango di Sacre Scritture presso la comunità paolina da lui lasciata.
3) «La missione gentile cristiana fu stabilita non da vari gruppi disconnessi ma da una singola scuola nel senso di una rete di leaders probabilmente condotti al principio da un leader carismatico. Il leader e la scuola vennero ad essere noti col nome di Paolo(Dykstra, ibid., pag. 235, mia enfasi).

Si noti dove sta convergendo inevitabilmente la ricerca recente di Dykstra e di Adamczewski (condotta sotto l'ipotesi di un Paolo storico):
lo storico Paolo, per via del suo «carisma» e del ruolo prominente esercitato tra i cristiani gentili, fu ad un passo dall'essere esaltato quasi al livello di Gesù dai suoi seguaci, talmente elevata fu la sua autorità presso di loro e talmente riveriti furono i suoi scritti già immediatamente dopo la sua dipartita da questo mondo.

Ma allora questo implica solo una certissima conclusione:

1) se Paolo fosse esistito, non ci sarebbe stata la benchè minima possibilità per eventuali lettere false attribuite a Paolo di finire confuse con le lettere genuine di Paolo!

2) Ma questo è ciò che accadde: le lettere genuine di Paolo furono confuse con le lettere false di «Paolo» [1]

3) Perciò: non ci fu mai un Paolo storico che scrisse alcune delle lettere attribuite a «Paolo».

In sintesi, gli apologeti hanno stranamente ammesso che solo 7 lettere di Paolo sono genuine mentre rigettano come false tutte le altre. Ma Paolo sarebbe stato considerato «come un angelo, come Cristo Gesù» (Galati 4:14) tra i più antichi credenti gentili, percià sarebbe stato impossibile per qualunque falsario spacciarsi facilmente per «Paolo». Perciò sarebbe impossibile in principio l'esistenza stessa di lettere falsamente attribuite a «Paolo». Eppure è un fatto che esistono un sacco di lettere fabbricate del genere.
La non-autenticità delle Pastorali è perciò un argomento contro, e non per niente a favore, l'autenticità dell'intero corpus paolino.
E senza l'autenticità del corpus paolino come evidenza di «sostegno», la presunta storicità di Paolo svanisce come una palla di neve. Perciò, molto probabilmente, Paolo non è mai esistito.

Un argomento più generale contro la storicità di Paolo si potrebbe derivare da tutto questo, e lo riassumo brevemente così:

1) Gesù nelle lettere è esaltato ad altezze metafisiche così vertiginose che almeno quel Gesù oggetto del culto riflesso nelle epistole non è mai esistito.

2) «Paolo» sostiene di essere stato accolto dai Galati «come un angelo, come Cristo Gesù» (Galati 4:14) [2].

3) ma è impossibile per un uomo in carne e ossa farsi idolatrare da vivo al livello di un arcangelo celeste, specie se a quella persona manca sia il potere politico per farsi adorare come un dio (vedi l'esempio di un Caligola o di un Hailè Selassiè) sia l'evidenza storica di guru carismatico (come quella lasciata ad esempio da un Apollonio di Tiana, da un Rasputin, o da un Sai Baba).

4) perciò: Paolo non è mai esistito.


Non sorprende affatto che le «Lettere sicuramente autentiche» e il «Cristianesimo originario» sono miti e nient'altro che miti ad uso e consumo di una neonata Chiesa protocattolica aspirante al dominio e dalla spiritualità—ammesso che di spiritualità si possa ancora parlare per una chiesa che vende «oggettive Verità» al più basso prezzo— fortemente in debito a quella precedente: gnostica e marcionita.

Il secondo secolo fu non a caso un periodo storico quando il pensiero perfino delle persone più colte era avvolto in un incredibile e incoerente amalgama delle più diverse dottrine metafisiche, derivate  da ogni angolo del mondo fino ad allora conosciuto. Si trova un ribollente fermento di idee confuse sugli dèi, la religione, i miti, i simboli, le allegorie, le parabole, i paralogismi e, mischiate con la concezione messianica ebraica, le speculazioni filosofiche di Filone e le teorie gnostiche, con i loro più stravaganti sviluppi, senza contare il sincretismo tra le varie mitologie greco-romane, egiziane e persiane.
Una lettera scritta dall'imperatore Adriano testimonia questo sincretismo di idee religiose ebraiche, egiziane, persiane, ecc.
Le controversie interne alla nascente identità cristiana sono intimamente connesse con l'invenzione dell'apostolo Paolo. Il primo passo era rappresentato dalla prima edizione delle originarie lettere marcionite attribuite all'apostolo, trovando la sua ultima e più manifesta espressione nella Lettera ai Galati, mentre il passo conclusivo fu la creazione, ad opera dei propagandisti proto-cattolici,  dei tendenziosi Atti degli Apostoli.

Il metodo è piuttosto semplice. Una lettera è scritta e attribuita per la prima volta a Paolo (probabilmente da Marcione). Quando il lettore domanda chi sia questo Paolo, subito da parte proto-cattolica gli si indica Atti degli Apostoli, che erano fabbricati per fornire la risposta. Ma intanto le altre «lettere» erano già state composte ancor prima di Marcione (e non si sa se su quelle lettere si era già posto il nome di Paolo o se fu Marcione il primo a farlo ufficialmente).
Non si può trattenere un sorriso alla vista di apologeti che dibattono senza posa sul reale contenuto di 7 epistole, scervellandosi su come armonizzare a forza le diverse teologie ivi cristallizzatesi, senza notare che nessuna di quelle 7 lettere è genuina.

Gran parte della ricerca dei Critici Radicali Olandesi sin dal 19° secolo consisteva nell'identificazione dei vari strati teologici alla base delle «lettere» di «Paolo», mentre il resto della gente, soprattutto i predicatori e i folli apologeti cristiani travestiti da accademici, continuavano invano a tentare di applicare un minimo di interpretazione «coerente» sopra un testo per sua natura riottoso al venir considerato frutto di un unico autore — le “lettere sicuramente autentiche di Paolo”.

Quelle «lettere» erano un guazzabuglio di falsi resoconti e inventate corrispondenze, vendute come documenti genuini e su quella premessa appellate sfacciatamente dalla Chiesa, in nome della più cieca fede e in mancanza di ogni altra evidenza, come se fossero “le Verità” dell'apostolo «Paolo», pena altrimenti di doverle vedere per quello che esse sono in realtà: 
Nessun autore, nessun'autorità, solo testi—e alla fine neppure testi ma frammenti.  Tutto quello che possiamo fare, sembra a me, è di leggerli per cosa ci hanno da dirci, o ci appaiono di dire, e lasciare che ci colpiscano come possono. Molto probabilmente, parecchi di noi apriranno i nostri occhi a interessanti nuove possibilità, potrebbero svelare responsabilità che facemmo del nostro meglio per dimenticare di avere avuto. Alcuni edificheranno e altri sfideranno, e senza dubbio ciò proverà che ne è valsa la pena leggerli, ma noi non possiamo nasconderci dietro l'artificiale figura di Paolo con la sua “autorità apostolica”.
(Robert M. Price, The Amazing Colossal Apostle — The Search for the Historical Paul, pag. 536, mia libera traduzione e mia enfasi)
Il primo canone ufficiale di sacre scritture cristiane fu incollato assieme da un vescovo più tardi condannato come eresiarca e arci-eretico, ma a quel tempo tanto «ortodosso» nelle sue pretese quanto poteva esserlo chiunque altro in quel caotico sincretismo che dette le doglie alla nascente «Grande Chiesa»: Marcione.

E la fede cristiana che Marcione stava tentando di instaurare del tutto distinta da quella ebraica lui la fece risalire non a Gesù ma a «Paolo l'Apostolo», non a caso qualificato nervosamente dal folle apologeta Tertulliano come:
«apostolus haereticorum» e «apostolus Marcionis» (Contro Marcione 3.5).  

Marcione, come conferma il prof Price, non era veramente antigiudaico. Certo, il dio degli ebrei era esigente, geloso e violento, ma era pur sempre il loro dio, e così in fondo erano tenuti ad venerarlo. Quella degli ebrei era una religione perfettamente valida, per loro. Ma Paolo aveva recato la Buona Novella di un nuovo dio che prometteva ai gentili, e a ogni ebreo che lo desiderasse, una fuga da questo mondo governato dal vendicativo YHWH.

Il problema vero per gli ebrei proveniva non da Marcione ma da quei autoproclamatisi “Cattolici” a significare la loro dichiarata pretesa di essere “universali.” Per Marcione, costoro si stavano macchiando di un “imbroglio sincretistico” suscitato dai discepoli di Gesù, fin troppo stupidi, idioti e buffoni per comprendere  il vero messaggio di Gesù.  Perciò,
«Paolo» era stato scelto per raddrizzare le cose andate storte per colpa di quelli inetti discepoli. Da qui tutte le storie sulle controversie tra «Paolo» e gli altri “apostoli”, ai quali poi si aggiunsero pur di far numero contro Marcione gli stessi “fratelli di Gesù.” E Marcione era intenzionato a finire il lavoro.

La sua versione della storia era che “il Gesù risorto dovette andarsene fuori” dal cerchio degli apostoli, “per trovare qualcun altro, un uomo del tutto sprovvisto di credenziali, che portasse il suo messaggio dappertutto intorno al Mediterraneo.”

Fino ad allora non c'erano ancora epistole: così Marcione cominciò a scriverle.

Tertulliano nota che Marcione “scoprì” l'Epistola ai Galati:

 «Ma ecco che, scoprendo l’Epistola ai Galati [Sed enim Marcion nactus epistolam Pauli ad Galatas], dove Paolo rimprovera gli stessi apostoli, criticandoli di non camminare retti secondo la verità del Vangelo, cioè dove egli accusa nello stesso tempo alcuni falsi apostoli di pervertire il vangelo di Cristo, ebbene Marcione s’impegna con tutte le sue forze per distruggere lo statuto dei loro vangeli che sono propriamente quelli degli apostoli o di personaggi apostolici pubblicati sotto i loro nomi: suo scopo era, è sicuro, di conferire al suo vangelo il credito che a loro ha sottratto»
(Tertulliano, Contro Marcione, IV,3,2)
 

...e considerata la facilità e ripetitività con cui perfino a distanza di secoli e millenni lo stesso pattern si ripete a più riprese nella Storia:


Allora il sommo sacerdote Hilkiah disse a Shafan, il segretario: «Ho trovato nella casa dell'Eterno il libro della legge». Hilkiah diede quindi il libro a Shafan, che lo lesse.
Cosí Shafan, il segretario, andò dal re a riferire la cosa, dicendo: «I tuoi servi hanno raccolto il denaro trovato nel tempio e l'hanno consegnato nelle mani di coloro che fanno il lavoro, a cui è affidata la sorveglianza della casa dell'Eterno».
Inoltre Shafan, il segretario, riferì al re: «Il sacerdote Hilkiah mi ha dato un libro». E Shafan lo lesse alla presenza del re.
Or avvenne che, quando il re udì le parole del libro della legge, si stracciò le vesti.
Poi il re ordinò al sacerdote Hilkiah ad Ahikam figlio di Shafan, ad Akbor figlio di Mikaiah, a Shafan il segretario e ad Asaiah servo del re:
«Andate a consultare l'Eterno per me, per il popolo e per tutto Giuda, riguardo alle parole di questo libro che è stato trovato; poiché grande è l'ira dell'Eterno che si è accesa contro di noi perché i nostri padri non hanno ubbidito alle parole di questo libro e non hanno agito in conformità a tutto ciò che è scritto per noi».
(2 Re 22:8-13)
Sotto quella pietra c’era una cassa fatta di pietre. Quando Joseph guardò nella cassa, vide le tavole d’oro.
(Storia di Joseph Smith 2:51–52)

...non meraviglia che le parole di Tertulliano, prese alla lettera, sembrano significare che Marcione aveva scritto lui stesso la lettera ai Galati.


Alle lettere di questo fabbricato «Paolo» Marcione aggiunse un solo vangelo, Mcn — molto probabilmente il vangelo che fu poi parzialmente corrotto ed espanso dal proto-cattolico «Luca» ed incollato alla tendenziosa propaganda di Atti degli Apostoli.
E così il primo ufficiale Nuovo Testamento fu «eretico» e contava solo l'Euangelion e l'Apostolikon, il
«Vangelo» e l'«Apostolo», oltre a delle perdute Antitesi marcionite come commentario al vangelo (perchè quel vangelo, il più antico ad essere stato scritto, non fu prodotto da Marcione e dunque, non riflettendo prima facie la sua teologia, necessitava pertanto di una «corretta» interpretazione).
  
Il prof Robert Price identifica più probabilmente in Policarpo, il vescovo di Smirne nonchè noto oppositore di Marcione, la decisione di cercare di cooptare i cristiani marcioniti abbracciando la loro idea di sacre scritture unicamente cristiane, aggiungendovi un «Nuovo Testamento» all'Antico (per spogliare del secondo i legittimi proprietari: gli ebrei) e trattenendo entrambi. Solo ora le epistole di «Paolo», fino ad allora evitate come eretiche, potevano venir adattate all'uso cattolico previa una giudiziosa quanto necessaria redazione.

 Poi, per nascondere le fin troppo imbarazzanti dispute tra «Paolo» e i Dodici, il cattolico Policarpo (o chi per lui) raccolse insieme i vangeli di «Marco» e «Matteo» (che già da tempo erano stati scritti in reazione al primo vangelo), falsificò lo stesso Mcn per trarne fuori il nostro canonico «Luca», cattolicizzò piuttosto goffamente il vangelo gnostico di Giovanni, fabbricò i tendenziosi Atti degli Apostoli (al fine di propagandare un «Saul-Paolo» totalmente addomesticato da San Pietro), quindi aggiunse le cattolicizzanti “Epistole Pastorali” e una manciata di altri testi attribuiti a fittizi apostoli per ingrandire la loro fama.

E quando si accusa il clero cattolico di essere fin troppo indulgente coi propri e altrui peccati morali, ebbene, non stupirà il lettore che la radice di cotanto lassismo morale era già tipica del nascente cattolicesimo del tardo II secolo: 
Dove cominciò a divergere dal paolinismo il cristianesimo cattolico? Come disse Adolf Harnack, il cattolicesimo perpetuò la nozione in origine gnostica di un Gesù terreno come una manifestazione temporanea del Cristo celeste, tuttavia senza la negazione docetica di un'incarnazione carnale. Fuse questo col sacramentalismo di una religione misterica. Quindi, il cristianesimo cattolico non fu neppure uno dei più antichi tipi di cristianesimo, ma un miscuglio secondario di elementi dai cristianesimi che i suoi vescovi disprezzavano e condannavano. Dove diventò lungo la linea una specie separata? Io penso che fu occasionato dalla scissione tra lo gnosticismo originario, che si aspettava un'illuminazione istantanea alla realizzazione della dottrina segreta, e la versione successiva che introduse vari esercizi per coltivare gradualmente l'illuminazione. Cos'erano quelli esercizi? Morali “buone opere” di salvezza. Nel generale contesto ellenistico cristiano, le “opere” non suggerivano più l'osservanza ebraica della Torah (“opere della Legge”), per la maggior parte dei cristiani. In origine, la disciplina morale era stata, come per Socrate e le religioni misteriche, un preliminare esercizio di allenamento per tenere l'anima pronta a cose più grandi. Nella misura in cui svanì l'obiettivo gnostico di una maggiore aspirazione mistica, come fece anche nel Buddhismo non appena passarono le generazioni, le stesse “buone opere” diventarono la via della salvezza. L'obiettivo che era stato il penultimo ora diventò l'ultimo. E naturalmente, gli stessi misteri sacramentali divennero centrali alla salvezza nella stessa instabile combinazione con la preparazione morale che noi ancora oggi osserviamo nelle forme odierne di cristianesimo.
(Robert M. Price, The Amazing Colossal Apostle — The Search for the Historical Paul, pag. 247, mia libera traduzione e mia enfasi)

  L'invenzione dell'apostolo Paolo, mediante le lettere e gli Atti, rispondeva al desiderio di vendere il mistero della Resurrezione di Gesù nell'unico modo in cui si poteva storicizzare qualcosa di essenzialmente non-storico: inventandosi il suo privilegiato super-testimone umano.  I folli apologeti cristiani esprimono penosa sorpresa quando si confrontano con la studiata ignoranza di Paolo (e degli altri autori di lettere) circa i fatti e gli eventi dell'esistenza di Gesù (fatta eccezione per la crocifissione e la resurrezione). Ricorrono a spiegazioni infantili oppure a considerazioni oscure di teologia mistica nei loro sforzi patetici di spiegare e allontanare un silenzio che avvertono fin troppo impossibile se Paolo l'apostolo fosse realmente esistito.
E se Paolo fu convertito, allora perchè, come si legge ancora in Epifanio
[3], gli «eretici» Nazareni ed Ebioniti, ad esempio, non si fermarono dal parlar male di Paolo come se lui fosse il loro nemico mortale numero uno, rinnegato traditore della Torah?
Perchè, nonostante la sua conversione, predicazione del medesimo vangelo, e cosa più importante di tutte, la sua colletta di denaro a beneficio dei «poveri» di Gerusalemme, non lo perdonarono mai? La ragione è che non sapevano nulla dell'apostolo Paolo, salvo il fatto che fosse per antonomasia, come lo definì Tertulliano, «l'apostolo degli eretici
» e «l'apostolo di Marcione».
Se Saul fosse stato realmente la persona convertita in Paolo, a cui gli Atti degli Apostoli assegnano un ruolo così prominente da sorpassare di fatto quello degli apostoli e dei discepoli stessi di Gesù, allora com'è possibile spiegare perchè le lettere di Giovanni, di Giacomo e di Giuda non rammentano mai il passato di persecutore di questo Paolo, tantomeno lo menzionano esplicitamente? Com'è che bisogna aspettare Papia, il quale, secondo Eusebio, cita Matteo, cita Marco, cita oscuri «detti del Signore», e tuttavia ancora non dice nulla su Paolo, sull'uomo che ha dominato l'intera generazione degli apostoli, e nemmeno una parola sulle sue lettere?

L'esito finale della tendenza apologetica a ripararsi dietro la chimera chiamata «Paolo» non poteva che sfociare, conseguenza diretta dell'esagerazione evidente del ruolo coperto da questo fantomatico «Paolo» per i cristiani gentili suoi contemporanei e per il primo vangelo, nella pia fabbricazione di «evidenza storica» per Paolo laddove non c'è mai stata: in Flavio Giuseppe.
Così tradisce candidamente questa interiore esigenza apologetica di confermare con «evidenza» extrabiblica la storicità di Paolo il prete polacco Adamczewski, con sforzi piuttosto patetici come il seguente:
«In particolare, Flavio Giuseppe riferisce dell'azione di un certo ebreo che fuggì a Roma perchè era stato accusato di trasgredire alcune leggi, che pretendeva di spiegare la sapienza delle leggi di Mosè, che operò con un team missionario di altre tre persone, che era attivo tra proseliti appartenenti ad una famiglia romana di alto rango, e che utilizzò per le sue necessità il denaro che doveva essere collezionato per il Tempio di Gerusalemme (Antichità Giudaiche 18.81-84). Non è difficile identificare in questa storia enigmatica i caratteri dell'attività di Paolo a Roma (si veda ad esempio Fil. 3:3.20; 4:10.14.22). Coerentemente, si potrebbe ragionevolmente ipotizzare che per mezzo della strana storia bipartita che segue la considerazione circa Gesù, Flavio Giuseppe suggerì in un modo narrativo-allusivo che la disgraziata espulsione di numerosi ebrei da Roma, che prese luogo molto probabilmente non molto tempo dopo la morte di Gesù, era stata causata dall'azione solo apparentemente gentile (ma in realtà in rotta con la legge e finanziariamente anti-giudaica) di Paolo tra i gentili a Roma, che era stata una diretta conseguenza dell'azione messianica-missionaria di Gesù  (secondo Flavio Giuseppe, Ant. 18.63, anche tra i gentili) in Giudea.»
(Constructing Relationships, Constructing Faces - Hypertextuality and Ethopoeia in the New Testament Writings, pag. 27, mia libera traduzione)
Se l'apologeta e prete cattolico Adamczewski sente la necessità di presentare della patetica «evidenza» non-cristiana per Paolo per effetto del peso determinante giocato da questo stesso Paolo nell'originaria azione missionaria gentile cristiana in base alla sua (e di Dykstra) ricostruzione delle origini cristiane, allora questo vuol dire che sotto l'ipotesi di un Paolo storico la naturale conclusione è che quel Paolo storico non poteva non essere stato un personaggio famoso, contro la risposta di Richard Carrier proprio a questa domanda.

Ma la realtà è un altra.

Paolo non viene menzionato nel Corano.

Flavio Giuseppe è completamente silenzioso su Paolo.

Non esiste neppure un'interpolazione cristiana che riguardi Paolo in Flavio Giuseppe.

Paolo, l'uomo nella cui persona, secondo il vangelo di Marco, «fu rivelato» il «Figlio di Dio» — al punto che lo stesso suo
«Gesù» ne avrebbe prevalentemente le caratteristiche [4]—, non è mai menzionato in tutte le opere di Flavio Giuseppe, che pure fu uno storico meticoloso e avrebbe dovuto conoscere per nome quei pochi ebrei così cosmopoliti e famosi da arrivare da Gerusalemme fino a Roma.
Anche se si deve usare con cautela l'Argomento del Silenzio, io penso che in questo caso, assieme ad ogni altra evidenza presentata contro la presunta storicità di Paolo, il profondo Silenzio sull'uomo chiamato Paolo costituisce il chiodo finale piantato sulla bara di quella chimera.

Io posso dire allora, in conclusione, che «Paolo l'apostolo» non è mai esistito se non sulla carta. 



[1] Nell'Apostolikon di Marcione, ovvero la prima edizione ufficiale delle lettere paoline, figuravano 10 lettere di «Paolo» e non 7 (come sarebbe stato più probabile se quelle 7 soltanto fossero davvero autentiche).

[2] Così scrive Bart Errorman (mancando, assai vergognosamente, di riconoscere il debito per ciò che scrive nei confronti di Richard Carrier, l'unico ad avergli rammentato quanto elevata è in realtà la cristologia paolina):
Io ho letto la lettera di Paolo ai Galati centinaia di volte sia in inglese che in greco. Ma il chiaro importo di cosa dice in Galati 4:14 semplicemente mai me lo sono memorizzato, fino a, francamente, un pò di mesi or sono. In questo verso Paolo chiama Cristo un angelo... Paolo scrive ''quella che, nella mia carne, era per voi una prova, non l’avete disprezzata né respinta, ma mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù.'' ... Io ho sempre letto questo verso nel senso che dice che i Galati hanno accolto Paolo nel suo stato di infermità al modo che avrebbero accolto un visitatore angelico, o perfino Cristo stesso. (Ma il verso non sta realmente dicendo) che i Galati hanno ricevuto Paolo come un angelo o come Cristo; sta dicendo che loro accolsero lui come avrebbero accolto un angelo, come Cristo. Per chiara implicazione, allora, Cristo è un angelo.
(How Jesus Became God, mia libera traduzione e mia enfasi, pag. 252 - 253)

[3] Scrive Epifanio:
E neppure [gli ebioniti] si vergognano di accusare Paolo qui con certe fabbricazioni della scelleratezza e dell'impostura dei loro falsi apostoli. Dicono che fosse di Tarsoche lo ammette lui stesso e non lo nega. Ed essi suppongono che fosse di discendenza greca, prendendo l'occasione per questo dallo (stesso) passo a causa della sua franca dichiarazione, 'Io sono un uomo di Tarso, cittadino di non certa città.'
Poi sostengono che egli era greco e figlio di una madre greca e di un padre greco, ma che si era recato a Gerusalemme, che vi rimase per un pò, che bramò sposare una figlia del sommo sacerdote, ed era perciò diventato proselito e si era circonciso. Ma dal momento che ancora non poteva sposare quel genere di ragazza diventò adirato e scrisse contro la circoncisione, e contro il Sabato e la legislazione.
(Epifanio, Panarion, 30.16:8-9)

[4
«A questo punto della storia, è già evidente che il Gesù marciano, come risultato del coerente uso dell'evangelista delle procedure ipertestuali di interfiguralità e transdiegetizzazione (comprendendo specialmente transpragmatizzazione e transmotivazione), ha le caratteristiche non semplicemente della storica persona che visse in Giudea all'inizio del primo secolo AD, ma prevalentemente del Figlio di Dio che fu rivelato nella persona del suo particolarmente scelto Apostolo.»
(The Gospel of Mark — A Hypertextual Commentary, pag. 40, mia libera traduzione e mia enfasi)

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