INDICE
Introduzione dell'Autore
Pietro Nel Nuovo Testamento
Lo Sfondo Mitico della Figura di Pietro
Pietro e Mitra
Pietro a Roma
Pietro, Principe degli Apostoli
V
PIETRO, PRINCIPE DEGLI APOSTOLI
Dal punto di vita storico e critico-letterario, è stabilito il fatto che l'Apostolo Pietro presenta un'entità completamente incomprensibile, di cui il massimo che possiamo dire con qualche certezza è quel che Paolo dice in Galati intorno a lui. Questo è al più sufficiente ad avanzare l'affermazione che un Pietro esistette, ma non semplicemente sufficiente per eguagliarlo col Pietro di cui raccontano i vangeli e gli Atti — il Pietro da cui sono derivate le leggende successive. Questo è il Pietro di cui si presume che avesse ricevuto il potere delle chiavi da Gesù, che così lo collocò al di sopra di tutti gli altri apostoli.
Come allora si deve spiegare il fatto che la chiesa primitiva di Gerusalemme si riferiva non a Pietro, ma piuttosto a Giacomo — il “fratello del Signore” — come suo capo? E come tutto considerato dobbiamo comprendere il fatto che Paolo non è ovviamente a conoscenza di alcun Pietro che sia un “Principe degli Apostoli”? Non una volta egli identifica Pietro [131] come qualcuno prominente tra i capi della chiesa rispetto a Giacomo e a Giovanni. Dovunque egli recita il ruolo di “apostolo”, non si intende niente più del fatto che egli è un missionario o un messaggero della fede di Gesù, e non c'è nulla nelle lettere di Paolo a indicare che egli sapesse qualcosa circa un Pietro che fosse uno dei dodici apostoli che erano originariamente i discepoli di Gesù. [132] Infatti il passo spesso citato di 1 Corinzi 15:5, che dichiara che il Gesù risorto fu visto da “i Dodici”, è così ovviamente un'interpolazione successiva che non si può addurre in considerazione come contro-prova. [133]
Come è ben risaputo, vi prevale tutto fuorché unanimità nei vangeli riguardo alla chiamata dei primi discepoli, il loro numero, oppure i loro nomi. La storia circa la chiamata di Simone ed Andrea abbiamo già mostrato che è un'invenzione dell'evangelista. Più di tutto, il fatto che i discepoli sono dodici di numero offre una ragione per pensare che assolutamente nulla più a proposito di loro fosse conosciuto, e la maniera in cui sono introdotti nei vangeli [134] risveglia un forte sospetto di un'aggiunta successiva al testo originale. Questa sensazione è rafforzata dal fatto che la maggior parte dei discepoli non recitano nessun ruolo del tutto nei vangeli e negli Atti, non hanno nessuna personalità, e figurano semplicemente come nomi con cui arrivare alla conta di dodici.
Ora già nell'Antico Testamento c'erano dodici partecipanti sacerdotali nella condivisione dei pani dell'offerta, [135] che corrisponde alla Cena del Signore nei vangeli. Dodici “principi delle tribù” erano scelti da Mosè (il modello veterotestamentario di Gesù) per assisterlo nella sua funzione di giudice. [136] Con dodici aiutanti scelti da lui, Giosuè (che in virtù del suo nome soltanto fu inteso essere un precursore di Gesù) attraversò il Giordano. [137] In effetti, secondo il vangelo di Matteo, [138] Gesù stesso scelse “i Dodici” come rappresentanti delle dodici tribù di Israele. Il numero di dodici delle tribù di Israele, comunque, deriva ovviamente dai dodici segni dello zodiaco, cosicché nella benedizione di Giacobbe, i suoi dodici figli sono caratterizzati secondo le qualità dei segni dello zodiaco. [139] Anche l'Apocalisse, che forse rappresenta una visione pre-cristiana delle cose, parla di “dodici apostoli dell'Agnello”, [140] e quelli ovviamente sono relativi ai dodici segni dello zodiaco. Agostino confronta espressamente i dodici discepoli del Signore con le costellazioni zodiacali nell'orbita del sole, [141] come è ben risaputo che sono stati raffigurati su orologi pittorici durante il Medioevo, per esempio nella cattedrale di Strasburgo. Il valentiniano Teodoreto notò: “I dodici apostoli occupano nella Chiesa lo stesso posto tenuto dai dodici segni zodiacali nel mondo fisico: proprio come quest'ultimi manifestano la loro influenza nella procreazione, così i primi sono invocati nella nascita delle anime”. [142] Dupuis aveva complessivamente ragione quando egli fece risalire il numero dodici degli apostoli che circondano Cristo alla relazione del sole con i segni dello zodiaco. [143] In effetti, uno studioso contemporaneo del mondo assiro come Jeremias ha espresso l'opinione che in alcuni dei patronimici dei discepoli potrebbe essere possibile trovare reminiscenze dei segni dello zodiaco e dei loro appellativi (ad esempio, “Tommaso”, il gemello, ricorda tuâmu, ossia, il nome dei Gemelli; i “figli di Zebedeo” ricordano il babilonese Zalbatanu, come è chiamato il Giove “tonante” negli antichi elenchi babilonesi — da qui Giacobbe (Giacomo) e Giovanni come i “figli del tuono”; [144] “Giacomo il figlio di Alfeo” è relativo ad alpu, “toro” [segno zodiacale del Toro] un nome di Marduk, ecc.). [145]
Con questa derivazione dei dodici discepoli dai segni zodiacali ci ritroviamo ancora una volta nel mezzo dell'antico mondo mitico orientale, nell'atmosfera intellettuale del Crono persiano-fenicio e dei culti di Mitra in cui, come abbiamo visto, ha anche le sue radici la figura del Principe-Apostolo. Se comunque il numero dodici dei discepoli è non-storico ed è semplicemente l'ovvio risultato dell'associazione del dio Gesù al mondo astrologico dell'Oriente, allora il sospetto non può essere evitato più a lungo: l'intera ipotesi che Gesù avesse dei discepoli non ha nessuna prova storica. Questo diventa tutto più evidente quando si osserva come i discepoli nei vangeli (se si escludono Pietro, Giacomo e Giovanni) arrancano come delle autentiche nullità dietro il solo Cristo.
I Dodici sono chiamati anche “Apostoli” (messaggeri) nei vangeli, e in Matteo 10:5 sono inviati in un viaggio ad annunciare l'imminente regno messianico. [146] Secondo Epifanio, comunque, il termine Apostolo era utilizzato molto tempo prima di Cristo come il termine consueto per gli assistenti del Sommo Sacerdote, che assieme a lui formavano un collegio, facevano preparazioni legali con lui, e soprattutto avevano il dovere di raccogliere le tasse ecclesiastiche dalle comunità ebraiche nelle terre straniere. [147] Per fare questo in maniera tale da procurare ai suoi ordini l'impressione adeguata, il Sommo Sacerdote dichiarava di stare agendo come il successore di Mosè — proprio come il Papa di Roma si presenta il “Vicario di Cristo” e il “Successore di Pietro” — ed esigeva lo stesso rispetto per i suoi messaggeri come Mosè lo reclamava per i suoi dodici principi tribali oppure come lo pretende il Papa per i suoi cardinali e vescovi.
Con l'espansione della Diaspora, il numero degli apostoli doveva essere aumentato a settanta o settantadue, i quali o operavano come assistenti al fianco dei primi apostoli oppure erano loro subordinati. Si immaginava che Mosè stesso avesse selezionato settanta anziani come assistenti. [148] Anche il Sinedrio aveva settanta membri, e l'Antico Testamento venne tradotto dall'ebraico al greco da settanta traduttori. Perciò, nei vangeli vi compare in aggiunta ai dodici apostoli anche un più vasto gruppo di apostoli — settanta o settantadue in numero a seconda di diversi manoscritti — e secondo il decimo capitolo di Luca, Gesù li invia nel mondo a proclamare il vangelo. L'idea sottostante in tutto questo deve essere stata l'antica nozione ebraica e cristiana secondo cui vi esistevano settanta (oppure settantadue) popoli sulla terra — con altrettante parecchie lingue diverse — e così sembrerebbe che il numero corrispondente di apostoli era inteso a indicare il significato universale di Gesù e del suo regno. [149]
A dispetto del peso di quelle considerazioni, si sarebbe potuto naturalmente ancora mantenere l'ipotesi che Gesù avesse realmente un seguito di dodici o settanta discepoli, forse, come il credente nelle scritture Jeremias ha concepito, così da poter rivestire di vera “realtà” la filosofia che avevano diffuso per tutto l'Oriente. Ma a marciare contro una posizione del genere tuttavia c'è di nuovo e di nuovo la totale assenza di riferimenti autentici agli apostoli nei vangeli. Se, come concede perfino Jeremias, il gruppo dei settanta “non è storicamente tangibile”, non può esserci realmente alcunché di diverso nel caso dei dodici.
Ora noi in realtà possediamo una testimonianza diretta da cui possiamo scoprire come l'intera idea dei Dodici avrebbe potuto svilupparsi e raggiungere una conferma canonica nella fede della comunità cristiana. Questa è la cosiddetta “Dottrina dei Dodici Apostoli” (Didachè), [150] che fu scoperta nel 1873 e pubblicata dieci anni più tardi. Secondo l'opinione prevalente, che mantiene che quest'opera sia stata composta nella seconda metà del secondo secolo (prima del 160), essa deve collocarsi nella sfera cristiana di pensiero. Ma riguardo ai suoi elementi basilari è probabilmente assai più antica. Harnack ha mostrato che è la rielaborazione cristiana di un prodotto in origine puramente ebraico — un'istruzione per proseliti, che era veicolata da ogni apostolo ebreo che collezionava la tassa del tempio dalle comunità straniere. [151]
Oltre ad istruzioni ed esortazioni morali, che non possiedono tuttavia nessuna natura specificamente cristiana, il documento contiene direttive per il battesimo, la cena del Signore, l'elezione di vescovi e di diaconi, come pure regole per l'accoglimento di apostoli e di profeti dai membri della congregazione. La formula raccomandata per la cena del Signore recita, “Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la santa vite di Davide tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo” (Capitolo 9). Questo, assieme all'assenza di ogni riferimento alla crocifissione, alla morte, o alla resurrezione di Gesù, punta ad un'espressione del culto di Gesù che, come con Giovanni il Battista, Apollo, e i dodici di Efeso, [152] non sapeva nulla di un auto-sacrificio di un messia che era apparso in forma umana, e che insegnava un tipo di Cristo che poteva proprio altrettanto facilmente essere puramente ebraico quanto cristiano. I parecchi riferimenti al vangelo, [153] comunque, creano complessivamente la forte impressione che essi costituiscano una interpolazione successiva, introdotta nel testo originale allo scopo di celare la sua deviante cristologia.
Da tutto questo potremo concludere che i dodici apostoli dei vangeli sono semplicemente una invenzione successiva, modellati sugli apostoli ebrei. L'invenzione venne realizzata ad un tempo quando la Didachè (la quale, come sappiamo, era tenuta in alta considerazione nei primi giorni del cristianesimo) fu rielaborata in una forma cristiana. Pur di mantenere la presunta origine cristiana delle sue dottrine, diventò necessario far sì che i suoi dodici apostoli risalissero direttamente allo stesso Gesù. [154]
Dal momento che né l'idea che i discepoli fossero dodici di numero e neppure l'affermazione che Gesù avesse dei discepoli possono rivendicare qualche pretesa di validità storica, l'ipotesi di un ruolo di leadership di Pietro tra i discepoli collassa di necessità. Il “Principe degli Apostoli” è esposto per quel che è realmente — un mito e una finzione architettati allo scopo di avanzare le pretese di sovranità del “Supremo Pastore” di Roma.
Simultaneamente, la questione della residenza di Pietro a Roma assume una nuova luce. Da qui in avanti è chiaro che qualunque Pietro che potrebbe semplicemente essere stato a Roma— e che in ogni caso non avrebbe potuto essere qualcosa di più del Pietro di Galati — non poteva essere stato il discepolo che ricevette da Gesù le chiavi del cielo oppure la roccia su cui si immagina che Cristo avesse fondato la sua chiesa. Se o meno egli stesso fu il primo vescovo romano, egli certamente non ricevette il diritto alla sua posizione di autorità da Gesù. Le pretese che la Chiesa Cattolica Romana ha avanzato in questo caso abbiamo dimostrato che sono completamente prive di fondamento.
NOTE
[131] Galati 2:9.
[132] Holsten, Das Evangelium des Paulus, 1880, pag. 224s. Si veda anche W. Seufert, Der Ursprung und die Bedeutung des Apostolates in der christlichen Kirche der ersten zwei Jahrhunderte, 1887, pag. 46s.
[133] Anche Seufert considera il passo forse “una glossa davvero antica” (ibid., si veda pag. 157) e pensa che Paolo non avrebbe ristretto la dignità di apostolo ai Dodici e che egli non avrebbe tenuto l'alta opinione di loro che siamo soliti trovare nei vangeli. “Solo quando la reazione giudaizzante contro il successo della missione gentile di Paolo stava diventando più forte appare che ci fosse una ritirata verso il riconoscimento di dodici apostoli, che offrisse una base operazionale da cui disputare il diritto di Paolo all'apostolato” (pag. 47s.). Si vedano le pag. 14-23.
[134] Matteo 10:1; Marco 3:13; Luca 6:12; Giovanni 6:67, 70.
[134] Matteo 10:1; Marco 3:13; Luca 6:12; Giovanni 6:67, 70.
[135] Levitico 24:5s.
[136] Numeri 1:44; Esodo 18:21s.
[137] Giosuè 3:12; 4:1s.
[138] Matteo 19:28.
[139] Jeremias, loc. cit., pag. 87.
[140] Apocalisse 21:14.
[141] De Civitate Dei, 15:20.
[142] Eclogue cap. 26, citato da Jeremias, loc. cit., pag. 91.
[143] Dupuis, loc. cit., pag. 137s.
[144] Jeremias, loc. cit. pag. 92. Si veda anche Winckler, Altorientalische Forschungen, 1905, 387; Fiebig, Babel und Neues Testament, 1905, pag. 18.
[145] Schürer, Geschichte des jüdischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi, terza edizione, 1898-1902, 1, pag. 659, 3, pag. 77, 101; Seufert, loc. cit., pag. 8s, 152s.
[146] Numeri 11:16, 24, 25.
[147] Si veda Strauss, Leben Jesu, 1 § 71.
[148] Jeremias, loc. cit., pag. 93.
[149] Neutestamentliche Apokryphen, 182s; Seufert, loc. cit., pag. 117-120.
[150] Harnack, Lehre der 12 Apostel. Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, 2 pag. 14, 27s. Si veda anche Dogmengeschichte, I, pag. 105.
[151] Ovviamente qui Davide è di nuovo non il ben noto re Davide, ma piuttosto il divino re-salvatore dallo stesso nome, che siamo già venuti a riconoscere come un parente di Dioniso e dispensatore di vino.
[152] Atti 18:24s; 18:1-7.
[153] Per esempio, in Didachè capitolo 8.
[154] Si veda a questo riguardo Robertson, Christianity and Mythology, pag. 373s; Pagan Christs, pag. 156s.
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