domenica 31 gennaio 2021

IL PUZZLE DEI VANGELIL'eucarestia

 (segue da qui)

5° L'eucarestia

Secondo la definizione del Concilio di Trento, il dogma dell'eucarestia è quello secondo il quale il pane e il vino consacrati contengono «veramente, realmente e sostanzialmente il corpo, il sangue, l'anima e la divinità di N. S. Gesù Cristo». Non ricorderò qui le polemiche con i Protestanti sulla questione della presenza reale, ma non si può negare che l'origine del dogma sia antica: esso è conosciuto dallo pseudo-Ignazio di Antiochia, da Ireneo, e figura nella versione delle epistole di Paolo, almeno così come è stata rimaneggiata nel II° secolo. [43]

In che modo si presenta l'eucarestia nei vangeli? 

Nei sinottici, leggiamo che nel corso dell'ultima cena condivisa con i suoi discepoli, Gesù l'avrebbe istituita con queste parole: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo... Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue». [44]

Ma è molto importante notare che il IV° Vangelo ignora questa istituzione e queste parole. Come un atto così importante avrebbe potuto essere omesso dallo scrittore giovanneo? Si può concluderne, sia che il racconto di Giovanni è anteriore a quello dei sinottici, sia che l'eucarestia costituisce in questi un'interpolazione successiva, sia infine che Giovanni conosce una tradizione diversa. In ogni caso, è un fatto che, se il IV° Vangelo presta a Gesù molte parole nel corso della «Cena», nessuna di queste si riferisce al pane e al vino: questo è molto grave per l'istituzione.

Per l'autore del IV° Vangelo, l'istituzione dell'eucarestia non si lega alla Cena, ma alla moltiplicazione dei pani, cui segue un lungo discorso sul pane della vita. [45]

Ancora si devono distinguervi due parti:

— nella prima, vi è menzione solo di un alimento simbolico, questo «pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» [46]

— Nella seconda (che inizia in 51-b), Gesù è ritenuto dare infine questa spiegazione: «Il pane che io darò è la mia carne...  se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita». [47]

Ma queste sono due fasi diverse dell'evoluzione del dogma, ed appare molto chiaramente che i versi da 51-b a 58 costituiscono una interpolazione ulteriore con ripetizione: l'espressione «i vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti», data una prima volta nel verso 49, viene ripetuta nel verso 58 per assicurare la congiunzione. Tutto ciò che figura nell'intervallo non è dunque originale, e prima del verso 49 non c'è menzione che del pane di vita simbolico, ma non ancora di mangiare carne e di bere sangue — cosa che avrebbe suscitato tra gli ascoltatori ebrei una indignazione ben più forte!

L'autore iniziale di Giovanni conosceva quindi solo il pane di vita simbolico: l'aggiunta sulla carne e sul sangue è senza dubbio un tentativo maldestro di armonizzazione con i sinottici, senza la quale il IV° Vangelo avrebbe ignorato totalmente l'istituzione dell'eucarestia.

Ma, viceversa, i sinottici ignorano il discorso sul pane della vita. Questa duplicità esclude ogni possibilità di attribuire l'istituzione dell'Eucarestia a Gesù: siamo in presenza di due tradizioni inconciliabili che si distruggono a vicenda. 

In apparenza, la versione dei sinottici ha più credibilità. Sembra essere anteriore, se è vero che figura in Marco, ed è il silenzio del quarto Vangelo che diventa allora sorprendente. Ma i sinottici hanno davvero parlato di questa istituzione? L'ipotesi di un'inserzione ulteriore dell'eucarestia in queste opere sembra singolarmente confermata:

— dalla contraddizione che esiste nelle Epistole di Paolo tra la descrizione dei semplici pasti comunitari [48] e l'aggiunta delle due istruzioni sull'Eucaristia; [49

— da un'interpolazione simile trovata nella prima Apologia di Giustino. [50]

Se ai sinottici è stata aggiunta l'istituzione eucaristica, è comprensibile che il Quarto Vangelo non la contenga nello stesso luogo. L'unica cosa sorprendente è che è la si è aggiunta in Giovanni in un posto diverso.

Di fronte a queste grandi difficoltà, diventa irrilevante sottolineare le differenze di dettaglio tra i sinottici stessi, o tra i vari manoscritti di Luca.

Ma resta importante sottolineare che la formula: «Fate questo in memoria di me» si trova solo in Luca, [51] e che gli altri ne sono inconsapevoli: potrebbe quindi far parte dell'interpolazione (probabilmente di origine romana) nelle epistole di Paolo, che la contengono due volte.

Anche se tardiva, l'armonizzazione dei vari testi è quindi molto imperfetta. Se non avessimo il silenzio di Giovanni, potremmo probabilmente mantenere la concordanza dei sinottici sul simbolismo del pane e del vino. Dobbiamo dedurne che si dovrebbe istituire un rito? Ovviamente no, perché il racconto di quanto sarebbe accaduto una volta, durante l'ultimo pasto, qualunque sia il significato dato alle parole (e indipendentemente da qualsiasi dissertazione sul verbo «essere»), non implica in alcun modo l'ordine di commemorazione e l'istituzione di un rito permanente, dotato di grazie speciali.

Per quanto riguarda la formula nota solo a Luca, potrebbe suggerire l'idea di una sorta di «memoriale», ma una cerimonia commemorativa non è la reiterazione di un miracolo. Nell'interpretazione opposta, perché Marco e Matteo ignorano questa istruzione essenziale della commemorazione?

Non siamo quindi in presenza di una narrazione, di un fatto, ma di tentativi di attribuire a Gesù un rito esistente nelle comunità cristiane del II° secolo. Resta da interrogarsi sulla natura e sull'origine di un simile rito. 

Non troviamo alcun precedente nel mondo ebraico. Per di più, una tale nozione vi appare impensabile. Gli ebrei avevano un'idea troppo spirituale della divinità per accettare senza orrore l'incarnazione di Dio, e ancor più la sua trasmutazione in pane mangiato dagli uomini. Quanto all'assunzione del sangue, essa è rigorosamente proibita dalla legge di Mosè, e la simbologia del vino non basterebbe a farla accettare. L'unica espressione riportata in Giovanni: «Il mio sangue è vera bevanda» (6:55) sarebbe bastata a suscitare l'indignazione di tutti gli ascoltatori, se quella frase fosse stata pronunciata in pubblico.

Né troviamo alcun rito di questo genere tra gli Esseni, molto rispettosi delle prescrizioni della Legge. Sappiamo da Giuseppe che essi partecipavano a pasti in comune, che comportavano un solo piatto. «Prima di mangiare, il sacerdote pronuncia una preghiera e nessuno può toccare cibo prima della preghiera». [52] I manoscritti di Qumran ci hanno meglio informato su questi pasti, da cui erano esclusi i novizi e coloro che avevano commesso una grave colpa. «Allorché  disporranno la tavola per mangiare o il vino dolce per bere, il sacerdote stenderà per primo la sua mano per benedire in principio  il pane e il vino dolce». [53] Poi tutta la comunità partecipava, nell'ordine gerarchico, alla frazione del pane, e probabilmente anche alla distribuzione del vino. Ma da nessuna parte è detto di prestare a questi alimenti un valore simbolico.

È un pasto analogo che descrivono gli Atti degli Apostoli nella comunità di Gerusalemme, come lo immaginano: «Spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore». [54] Si tratta proprio di un pasto autentico e ordinario, dove il cibo non è simbolico.

È infine un pasto dello stesso genere che suggerisce la lettera di Plinio il giovane a Traiano, quando dice che i cristiani di Bitinia si riunivano per «prendere del cibo comune e innocente».

In tutto ciò, non c'è menzione di una trasformazione dei cibi, ancor meno di un rito sacramentale: è un semplice pasto fraterno.

Per contro, il rito è frequente nei culti misterici, in quelli di Osiride, di Attis o di Mitra, [55] e Giustino è stato colpito da queste analogie. Ben prima dell'apparizione del cristianesimo, riti di teofagia erano praticati: Cicerone ha giudicato questa idea irragionevole, [56] egli la conosceva.

Che un rito di questo genere sia praticato in altri culti, l'apostolo Paolo lo sa bene, poiché invita i cristiani a scegliere: «Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni. Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni». [57]

L'eucarestia è quindi un rito esclusivamente pagano che si è infiltrato nel cristianesimo. In quale periodo? Possiamo precisarlo approssimativamente. Il vero Paolo non conosce ancora che i pasti comunitari, [58] e, secondo Tertulliano, sembra che sia il Cristo di Marcione che abbia fatto per la prima volta del pane l'immagine del suo corpo. [59] Il rito esisteva quindi nel cristianesimo gnostico prima della stesura dell'Evangelion, intorno al 130-140. Difficilmente prima, perché Plinio, intorno al 112, non ne ha sentito parlare. 

Va sottolineato, tuttavia, che l'autore della «Didachè» (intorno al 140?) non conosce ancora, a sua volta, che i pasti fraterni, che egli definisce «eucarestia»: nel capitolo 9 dà la formula del ringraziamento da recitare sul calice e sul pane spezzato; questo pasto è il simbolo dell'unione della Chiesa, è per questo che si escludono i non-battezzati. [60] Nel capitolo 14, egli dice: «Il giorno del Signore, riunitevi; spezzate il pane e rendete grazie: però dopo aver confessato i vostri peccati». Ci vuole molto candore per riconoscervi una descrizione della «messa» primitiva, in ogni caso, non si fa alcuna allusione alla transustanziazione. 

Il rito teofagico è quindi un'infiltrazione pagana nel cristianesimo, risalente alla prima metà del II° secolo. Proveniente dai misteri orientali, esso ha dovuto penetrare attraverso la Gnosi e il paolinismo. Se fosse stato conosciuto a Roma al tempo della stesura dei vangeli, il suo significato non sarebbe stato compreso, perché i nostri scrittori non avrebbero mancato di precisarlo. Quanto al racconto della «cena», è probabilmente ispirato a racconti analoghi riguardanti l'ultimo pasto di Mitra, ma questi testi non ci sono pervenuti. 

NOTE

[43] 1 Corinzi 11:23-29.

[44] Marco 14:22-24, Matteo 26:26-28, Luca 22:19-20.

[45] Giovanni 6:22-59.

[46] Giovanni 6:33.

[47] Giovanni 6:51-53.

[48] 1 Corinzi 11:21.

[49] 1 Corinzi 10:16-17 e 11:23-25.

[50] Apologia 66:3. Su quella interpolazione, si veda sopra, capitolo 4 § 3.

[51] Luca 22:19.

[52] Guerra Giudaica, 2:8:5.

[53] Regola della comunità 6:4-5. Si veda anche la Regola annessa, 2:17-22: «Nessuno stenderà la sua mano sulle primizie del pane e del vino prima del Sacerdote», che li benedirà per primo. Questo rito era richiesto non appena c'erano almeno 10 ospiti.

[54] Atti 2:46.

[55] Si veda il mio Fable de Jésus-Christ, 3° edizione, pag. 170 ss.

[56] Della natura degli dèi, 3:16.

[57] 1 Corinzi 10:20-21.

[58] 1 Corinzi 11:21.

[59] «Adversus Marcionem» 3:40.

[60] Didachè 9:5.

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