domenica 20 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Lo pseudo-Matteo»

(segue da qui)

Lo pseudo-Matteo

Secondo lo stesso vescovo Papia, che scriveva intorno al 150: «Matteo riunì in ebraico i detti del Signore, e ciascuno li tradusse come poteva»

Questa descrizione si applica abbastanza bene al «discorso della montagna»: tutto il racconto biografico, sconosciuto a Papia, è quindi stato aggiunto, dopo il 150, al testo dello pseudo-Matteo.

Se il vangelo di Matteo è stato scritto in ebraico (o più probabilmente in aramaico), questa versione non ci è pervenuta, e non si sa neppure chi avrebbe tradotto l'opera in greco, né se si tratta della stessa opera.

L'identità del nostro Matteo con un originale aramaico è anche molto dubbia, poiché, come gli altri vangeli, egli cita la Bibbia nella versione greca della Settanta, e non secondo il testo ebraico: molti autori cristiani l'hanno notato, da Ireneo e Gerolamo. Come mai un testo ebraico o aramaico avrebbe citato la Bibbia greca?

L'esistenza di un apostolo Matteo è dubbia: la Chiesa lo identifica arbitrariamente con il pubblicano Levi, nominato in Marco e in Luca, che ignorano Matteo. In tutti i casi, Levi non ha potuto scrivere intorno al 150 i detti del Signore, e colui che li ha scritti non è l'autore della biografia che vi fu aggiunta. 

Il vangelo di Matteo è molto più ebraico di quello di Marco; dal Capitolo 1, Gesù vi è detto «figlio di Davide, figlio di Abramo»; l'autore propone una genealogia davidica di Gesù (dal suo padre Giuseppe), e insiste sul compimento delle profezie relative al Messia, che cita abbondantemente (ma a volte in maniera inesatta), ispirandosi alla raccolta di «Testimonianze» di cui si è già parlato. Al contrario di Marcione, di cui capovolge l'espressione (Matteo 5:17), egli proclama che Cristo è venuto per compiere la Legge, e non per abolirla: questa risposta prova una stesura posteriore a Marcione. La natura ebraica dello pseudo Matteo è stata spesso notata. Couchoud lo definiva: «Autentico Pentateuco cristiano, destinato a delle chiese aramaiche... Codice religioso di un cristianesimo a base ebraica». [17

Ma sembra che si possa andare più lontano: un erudito svedese, Stendhal, sembra aver stabilito che il nostro pseudo-Matteo provenisse da una comunità essena diversa da quella di Qumran. [18] Ciò spiegherebbe in particolare la natura chiaramente essena del «discorso della montagna». Ma il nostro testo comporta almeno tre strati successivi: i «detti» dello pseudo-Matteo, noti a Papia, [19] la biografia che vi è stata aggiunta (a suon di citazioni della Bibbia e secondo Marco), e infine le correzioni e aggiunte romane (in particolare l'aggiunta del «Tu es Petrus...»).

Quanto alla data, si ricorderà che Matteo riproduce l'allusione contenuta in Marco agli eventi del 135: «Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo — chi legge comprenda —, allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti» (24:15-16). Matteo precisa che questo abominio deve ergersi «nel luogo santo», e si riferisce a Daniele (9:27), che intende un periodo precedente in cui il sacrificio e l'offerta nel tempio erano cessati, essendo il tempio divenuto un santuario pagano (sotto Antioco IV, dal 168 al 165). Colui che legge deve quindi comprendere; e se l'autore invita gli ebrei a fuggire allora verso i monti, è perché conosce la disfatta di Bar-Kokhba nel 135: egli sa che «quelli che mettono mano alla spada periranno di spada» (26:52), altra allusione alla rivolta duramente repressa. [20]

Si noterà infine che Matteo conosce e utilizza Marco.

NOTE

[17] COUCHOUD: «Jésus, le dieu fait homme», pag. 253.

[18] LASSALLE: «L'école de Qumrân et l'école de saint Matthieu», Bulletin du Cercle E. Renan, aprile 1960.

[19] Secondo Alfaric, questi «detti» si sarebbero confusi con il cosiddetto vangelo degli Ebrei, egualmente attribuito a Matteo.

[20] Quest'espressione figurava già nell'Apocalisse (13:10).

Nessun commento: