sabato 13 aprile 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsLe Parabole di Gesù.

Le Parole del Signore.

10. LE PARABOLE DI GESÙ 

Le parabole si presentano dopo le frasi del Discorso della Montagna come la parte più importante dei detti di Gesù. Sono così grandemente stimate e possiedono una tale reputazione di “unicità” e di eccellenza insuperabile che ad opinione di molti sarebbero sufficienti da sé a stabilire la paternità di Gesù.

Tutte quelle parabole trattano del “regno dei cieli”, della maniera della sua espansione, del modo in cui diventarne degni, e dell'attitudine che gli ebrei e i gentili assumono riguardo alla sua promessa nel culto di Gesù. Il legame con Isaia è così ovvio.

“Va' e riferisci a questo popolo”, Jahvè ammonisce il profeta: “Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d'orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito” (6:9 e 10). “Con labbra balbettanti e in lingua straniera parlerà a questo popolo colui che aveva detto loro: Ecco il riposo! Fate riposare lo stanco. Ecco il sollievo! Ma non vollero udire” (28:11 e 12). Quelle parole hanno avuto un'influenza generale sulla descrizione della condotta degli ebrei nei confronti di Gesù, ma hanno avuto l'effetto particolare di indurre gli evangelisti a far parlare Gesù in parabole (Matteo 13:13). In questo modo possiamo comprendere il detto altrimenti incomprensibile in Marco 4:12, dove il Salvatore parla in parabole alla gente in modo che non possano capirlo e convertirsi e ricevere perdono per i loro peccati. Si tratta semplicemente di una citazione da Isaia. Più che altrove riconosciamo qui la natura misterica del cristianesimo originario degli Iesseani, che rivelano così la loro dipendenza da Isaia. La dottrina è comunicata in parabole che risultano incomprensibili ad “esterni” e non sono designate per essere comprese da loro. Solo ai discepoli o iniziati è permesso di percepire “i misteri del regno dei cieli”. Quindi leggiamo in Matteo 13:34 e 35: “Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo” (Salmo 78:2). Marco, inoltre, dice che egli spiegava tutto ai suoi discepoli (4:34).

In quelle circostanze non siamo sorpresi di trovare una delle parabole principali, quella del seminatore (Matteo 13:3; Luca 8:5), prima tra i Naasseni, la setta gnostica pre-cristiana, il cui stretto rapporto con il cristianesimo abbiamo già sottolineato. In questa parabola, tuttavia, abbiamo, come W. B. Smith ha mostrato estesamente, un cambiamento e un adattamento di un'allegoria molto più antica in cui la dottrina gnostica illustrava lo spargimento da parte di Dio del seme che germogliava dal Logos che generò il mondo. [1] Nel caso di molte altre parabole di Gesù, a loro volta, la fonte può essere rintracciata, e non sono riprodotte come detti di Gesù con qualche gran miglioramento. Così la parabola del mercante che scambia tutti i suoi beni per una singola perla si trova nel Talmud (Schabbat, fol. 119, col. 1), e risale a Proverbi 8:10: “Accettate la mia istruzione e non l'argento, la scienza anziché l'oro fino, perché la scienza vale più delle perle e nessuna cosa preziosa l'uguaglia”. Persino la parabola della rete, che la segue in Matteo, sembra essere ispirata dallo stesso passo nel Talmud, secondo il quale la perla è perduta in una tempesta, inghiottita da un pesce, e recuperata dalla cattura del pesce, e riportata al suo proprietario originario, che la vende e ricava grandi ricchezze.

Leggiamo quanto segue nel Talmud: “Dio disse all'uomo: Quanto è grande la tua colpa per avermi tradito? Tu hai peccato contro di me e io ho pazienza con te. La tua anima viene ogni giorno a me, quando tu dormi, e rende il suo conto, e rimane mia debitrice. Eppure ti restituisco la tua anima, che è di mia proprietà. Così tu ogni sera restituisci il suo dovuto al tuo debitore”. Non è difficile osservare in questo passo la parabola del servo disonesto (Matteo 18:23).

Di nuovo, leggiamo nel Talmud: “A chi paragonerò il Rabbino Bon, figlio di Chaija? Ad un re che ha assunto lavoratori, tra i quali c'era uno di grande potere. Quest'uomo fece in modo che il re lo convocasse, e tenne una discussione con lui. E quando calò la notte, i lavoratori salariati vennero a ricevere il loro salario. Ma il re diede al lavoratore favorito lo stesso salario che aveva dato agli altri. Allora essi mormorarono e dissero: Abbiamo lavorato tutto il giorno, e quest'uomo ha lavorato faticosamente solo per due ore, eppure gli è stato dato lo stesso salario che abbiamo ricevuto noi. E il re li mandò via dicendo: Quest'uomo ha fatto di più in due ore di quello che avete fatto voi durante tutto il giorno. Così anche il rabbino Bon aveva realizzato nello studio della legge nei ventotto anni della sua vita più di quello che avrebbe fatto un altro che fosse vissuto cent'anni” (Berachoth, fol. 5, col. 3). La parabola è abbastanza coerente e inattaccabile. Ma il parallelo biblico — la parabola degli operai nella vigna — è chiaramente ripugnante, dal momento che il re tenta di giustificare la sua condotta con un sentimento puramente arbitrario, e considera la sua mancanza di giustizia una virtù (Matteo 20:15). Non è stata migliorata sulle labbra di Gesù, dove le si fa illustrare il tema che nel regno dei cieli l'ultimo sarà il primo e il primo l'ultimo; che molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti (20:16). 

La parabola dei due figli ricorda il detto del Talmud: “I giusti promettono poco, ma fanno molto” (Baba mezia, fol. 76, col. 2). La parabola dei vignaioli ribelli è ispirata da Isaia 5:
Il mio amico aveva una vigna sopra una fertile collina. 
La dissodò, ne tolse via le pietre, vi piantò delle viti scelte, vi costruì in mezzo una torre......si aspettava che facesse uva, invece fece uva selvatica.
Ora, abitanti di Gerusalemme e voi, uomini di Giuda, giudicate fra me e la mia vigna! 
Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per essa? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, ha fatto uva selvatica? 
Ebbene, ora vi farò conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: le toglierò la siepe e vi pascoleranno le bestie; abbatterò il suo muro di cinta e sarà calpestata. 
Ne farò un deserto......Infatti la vigna del Signore degli eserciti è la casa d'Israele, e gli uomini di Giuda sono la sua piantagione prediletta; egli si aspettava rettitudine, ed ecco spargimento di sangue; giustizia, ed ecco grida d'angoscia.
La parabola della festa del matrimonio reale recita nel Talmud: “Un re invitò i suoi servi a un banchetto, senza indicare l’ora esatta del convito. Fu loro richiesto di fare il bagno, ungere se stessi e indossare le loro vesti festive per apparire degni di fronte al re. I servi prudenti si prepararono subito e attesero all’ingresso del palazzo verso la nona ora del giorno, aspettando il momento in cui dovevano essere autorizzati ad entrare. Pensavano che nel palazzo reale non mancasse nulla e che la porta potesse aprirsi ogni momento. I servi stolti invece continuarono il loro lavoro. Credevano che per un convito si dovessero prima fare i preparativi e ci fosse ancora tempo all’apertura della porta. Improvvisamente il re richiese la presenza dei suoi servi. I servi prudenti entrarono con l’abito di gala, i servitori stolti con l’abito sporco. Il re si rallegrò con i servi prudenti, ma si adirò con i servi stolti. Egli comandò: Coloro che si sono preparati per il convito, si siedano per mangiare e bere. Quelli invece che non si sono cambiati d’abito per il banchetto stiano in piedi a guardare! E in aggiunta dovettero subire una punizione severa”. [2] La parabola non è felicissima, a causa delle sue molte improbabilità; ma nel Nuovo Testamento è del tutto assurda. L'invito ad un banchetto già preparato; la riluttanza degli ospiti a recarsi alla festa del matrimonio, al punto che addirittura uccidono alcuni dei servi; la collera cieca del re, che brucia la città per vendetta; la sua rabbia nei confronti di chi è portato dalla strada perché non ha indosso l'abito di gala, e la terribile punizione inflittagli — tutto questo è così innaturale, grottesco e ridicolo che può soltanto essere definito una completa perversione del Talmud originale. 

La parabola delle dieci vergini (Matteo 25:1), che incarna le stesse idee, non è migliore. Dieci fanciulle che escono per incontrare uno sposo durante la notte, e alcuni di loro che dimenticano (!) l'olio per le loro lampade e che sono respinte dallo sposo per questa leggera negligenza: queste non sono immagini prese dalla vita reale, ma false costruzioni di una svagata fantasia. Lo stesso si potrebbe dire del padrone nella parabola del prestito dei talenti (Matteo 25:14), che è adirato con il servo che riporta indietro il suo talento senza interesse, lo tratta duramente, e lo getta nelle tenebre, dove c'era pianto e stridore di denti. Possiamo notare, di passaggio, che Matteo 25:29, è un proverbio rabbinico del Talmud, dove leggiamo: “A colui che raccoglie ancor più sarà aggiunto; ma a colui che subisce una perdita, da lui ancor più sarà tolto”. [3]

Tra le parabole di Luca, quella della pecora smarrita (15:4) recita nel Talmud come segue: “Un mulattiere conduceva dodici muli davanti a lui, tutti carichi di vino. Uno di loro si allontanò nel cortile di un gentile. Allora la guida lasciò gli altri e cercò quello che si era disperso. Alla domanda su come si fosse azzardato a lasciare gli altri per amore di uno, rispose: Gli altri rimasero sulla strada pubblica, dove non c'era pericolo che qualcuno cercasse di rubare la mia proprietà, poiché avrebbe saputo di essere osservato da così molti. Così è stato degli altri figli di Giacobbe [oltre a Giuseppe]. Rimasero sotto gli occhi del loro padre e furono inoltre più vecchi di Giuseppe. Lui, tuttavia, fu lasciato a se stesso in gioventù. Da qui la Scrittura dice che Dio si prese particolarmente cura di lui. [4

La parabola del pezzo d'argento perduto (15:8) ripete e indebolisce la stessa idea, e si trova ugualmente nel Talmud: “Quando un uomo perde una moneta d'oro, accende molte lampade per cercarla. Se un uomo prende tutto questo disturbo per le cose temporali, quanta più pena dovrebbe prendersi quando si tratta di tesori che mantengono il loro valore nel mondo a venire?” (Midrash Schir hashirim, fol. 3, col. 2). È anche la tesi dei rabbini [5] che i peccatori penitenti sono più cari a Dio dei virtuosi (Luca 15:10).

La parabola dell'amministratore ingiusto (Luca 16:1) recita come segue nel Talmud: “Un re aveva nominato due sorveglianti. Uno scelse come sovrintendente del tesoro; l'altro lo mise a capo delle riserve di grano. Dopo un certo tempo, quest'ultimo cadde sotto il sospetto di infedeltà. Nondimeno si lamentò di non essere stato promosso al posto di sovrintendente del tesoro. Allora gli fu domandato, a meraviglia delle sue parole: Folle, sei incorso in sospetti quando a capo delle riserve di grano: come potevi essere affidato alla cura del tesoro?” (Jalkut Simeoni, (sez. 1, fol. 81, col. 1) La parabola non è profonda, ma non è del tutto inconcepibile, com'è il caso della parabola nel vangelo, quando dice: “Il padrone lodò quell'amministratore disonesto” e “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza......Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?” (8-12). Ci si domanda con stupore come una tale parabola possa trovare ammissione nel Nuovo Testamento. 

La parabola del ricco e del povero Lazzaro (Luca 16:20) ci ricorda della storia talmudica di due uomini che morirono nello stesso momento, uno dei quali aveva vissuto virtuosamente e l'altro viziosamente, e che un rabbino vide, l'uno intento a godere una grande gioia, l'altro a leccarsi dolorosamente con la lingua il bordo di una sorgente, la cui acqua non riusciva a raggiungere. [6] Leggiamo proprio lo stesso in Midrasch Koheleth, fol. 86, col. 14: “Di due peccatori uno era stato convertito prima della sua morte; l'altro rimase nel peccato. Quando quest'ultimo andò all'inferno, si meravigliò di vedere il precedente compagno delle sue cattive azioni assunto in cielo. Allora udì una voce: Folle, sappi che la tua morte spaventosa ha portato il tuo compagno al pentimento; perché hai rifiutato durante la tua vita di volgere il tuo cuore alla penitenza? A questo il peccatore rispose: fammi fare penitenza ora. Folle, la voce gridò ancora una volta, non sai che quella vita eterna è come il Sabato? Colui che non prepara il suo cibo per il Sabato nel giorno della preparazione [Venerdì], di che cosa mangerà il sabato? Chi non fa penitenza prima di morire non parteciperà alla vita eterna”. Infatti, le stesse parole di Luca 16:25, si trovano nel Talmud, dove è detto degli empi: “Perché non avete  parte in quella vita voi ricevete la vostra ricompensa in questo mondo” (Berachoth, fol. 61, col. 2).

Al fine di illustrare le parole, “Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto” (Luca 9:9), Gesù racconta la parabola di un uomo che va da un amico a mezzanotte e chiede tre pani, che egli alla fine riceve, non per un buon sentimento o affetto, ma a causa della sua importunità. Anche la vedova (Luca 18:1) ottiene la liberazione dal suo avversario dopo una lunga supplica solo perché era così problematica per il giudice. Quelle parabole sono innocue in sé stesse, ma quale indegna idea di Dio è incarnata in loro!

Il paragone del Messia con uno sposo (Matteo 9:15, Giovanni 3:29) e della sua venuta con quella di un ladro nella notte (Luca 12:39), deve essere stato comunissimo tra gli ebrei, siccome la troviamo anche in Apocalisse (3:3 e 19:7), e abbiamo visto che questa era in origine un'opera ebraica, successivamente modificata in senso cristiano; forse apparteneva alla cerchia delle sette gnostiche dalle quali derivava il cristianesimo. [7

Dopo tutto questo è impossibile dire che le parabole di Gesù non potevano essere “inventate” oppure che sono “insuperabili”. Al contrario, sono spesso difettose, a volte del tutto inconcepibili, e sono strettamente legate alle parabole ebraiche sia nella forma che nei contenuti; anzi, sono in parte imitazioni di quest'ultime, e sono a volte indebolite, invece di essere migliorate, nella riproduzione. È semplice ipnotismo teologico, che più o meno influenza tutti noi, a far così tanto delle parabole di Gesù. E quando Fiebig dice, nel suo Die Gleichnisreden Jesu (1899), che quelle parabole “hanno in sé la garanzia che nessuno tranne Gesù avrebbe potuto crearle” (pag. 116), sappiamo cosa pensare di tali stravaganze.

Le parabole del buon Samaritano (Luca 10), del figliol prodigo (Luca 15), del fariseo e il pubblicano (Luca 18) sono davvero belle e importanti. La prima, tuttavia, ha un parallelo in una parabola buddhista che si ritiene abbia avuto qualche influenza sulla storia evangelica; [8] la coincidenza dimostra in ogni caso che questa parabola poteva essere “inventata”. La parabola del buon Samaritano corrisponde in sostanza a Deuteronomio 22:1. È in armonia con la moralità ebraica, ma non con il comando che Gesù impone ai suoi discepoli di non andare tra i samaritani. Forse è un'invenzione successiva appartenente al periodo in cui la missione cristiana fu estesa a luoghi non ebraici. Entrambe le prime due parabole danno motivo di riflessione nel fatto che si trovano solo in Luca, non in Matteo e in Giovanni. Sembra come se non fossero nella cosiddetta collezione di detti. Quanto alla parabola del fariseo e del pubblicano, una storia così eccellente potrebbe essere stata inventata tardi, proprio come quella della donna colta in adulterio (Giovanni 8:3). Come possiamo dire che era impossibile per tutti, tranne che per Gesù, aver raccontato la storia?

NOTE

[1] Der vorchristliche Jesus (1906), pag. 108-135. Inoltre, leggiamo nella prima epistola di Clemente: “Uscì il seminatore e gettò nella terra i semi; secchi e nudi caduti nella terra si dissolvono. Poi la grandezza della provvidenza del Signore li fa rinascere, e da uno solo crescono molti e portano frutto” (24:5). Osserviamo che la parabola era raccontata in molte forme. Quale forma proviene da Gesù?

[2] Koheleth rabba, 9, 8. Si veda anche Bereschit rabba, sez. 62, fol. 60, col. 3; e Sohar Levit., fol. 40, col. 158.

[3] Tikkunim in Sohar Chadash, fol. 75, col. 4. 

[4] Bereschit rabba, sez. 86, fol. 84, col. 3.

[5] Si veda Sohar per Gen., fol. 29, col. 1113, dove è detto che il penitente era di un livello al di sopra del pio; e Sohar per Lev., fol. 7, col. 56. 

[6] Trattato Chagiga, fol. 77, col. 4, Talmud di Gerusalemme.

[7] Confronta anche Isaia 61:10, e Marco 2:19.

[8] Pfleiderer, Urchristentum (1902), 1, pag. 447; Van den Bergh van Eysinga, Indische Einflüsse auf evang. Erzählungen (seconda edizione 1909, pag. 57). 

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