martedì 12 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Il Nome Gesù (V) — Letteralizzazione del Simbolismo Gnostico

(segue da qui)


CAPITOLO V

IL NOME GESÙ
 
4. LETTERALIZZAZIONE DEL SIMBOLISMO GNOSTICO

Nel Libro di Baruc, scritto probabilmente poco dopo l'anno 70, è detto che la Sapienza “è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini”. L'idea non era nuova allora, ed esattamente nello stesso senso gli gnostici, seguendo le Odi di Salomone, potevano dire che la Parola era “apparsa sulla terra”. Una discesa del Logos era parte della dottrina più antica delle sette gnostiche in generale. La letteralizzazione graduale dell'idea è perfettamente comprensibile. Lo sviluppo e la proliferazione di culti furono il risultato della brama universale di un Salvatore. Vi era sentito il bisogno di un essere divino non troppo dissimile o troppo remoto dagli uomini, a cui si potessero rivolgere preghiere con speranza, e attraverso cui si potesse assicurarsi l'immortalità. I poveri e gli oppressi si aggrappavano ad ogni credo confortevole; e la loro creduloneria era profonda. Quando la Parola era stata chiamata Figlio di Dio e Cristo la sua individualizzazione diventò inevitabile. Qualunque cosa alcuni dei capi e maestri continuarono a pensare doveva essere riservato come tradizione esoterica da rivelarsi solo a quanti fossero capaci di riceverla. Origene suggerisce l'esistenza di una tradizione esoterica adatto solo ai “perfetti” anche al suo tempo.
Nel caso dei Naasseni possiamo vedere realmente l'individualizzazione all'opera. Il Logos Naasseno era uno spirito “senza forma” che discende per la liberazione dell'Anima del Mondo. Nell'Inno Naasseno sono percettibili chiaramente tracce della dottrina primitiva, ma l'Anima è stata allegorizzata in una donna “che si aggira in un labirinto” e il Cristo in una persona, il Figlio di Dio, che col permesso di suo Padre discende a liberarla. Aggiunto a questo abbiamo l'idea più sviluppata ed espressa più concretamente secondo la quale il fine della discesa è la salvezza degli uomini. A questa fase vi sorse una differenza di opinione riguardo la natura del Cristo discendente. L'idea di uno spirito disincarnato — denudato —era ripugnante per la mente antica. I maestri gnostici che supponevano che Adamo, oppure Giosuè fosse venuto di nuovo dal Cielo come il rivestimento visibile del Cristo spirituale avrebbero realizzato come psyche la sostanza dell'essere discendente, da cui derivò il docetismo. Gli gnostici che credevano che la materia è intrinsecamente malvagia non potevano ammettere che Cristo fosse apparso nella carne. Ma dev'essere stato il credo comune degli ebrei che Enoc, Mosè ed Elia fossero stati traslati nella carne.  Ci furono molti ebrei nelle prime comunità cristiane; e il partito cattolico acquisì la dottrina ebraica di una resurrezione fisica. Il pensiero della vita eterna dello spirito non li soddisfaceva. Una salvezza che non includeva la salvezza del corpo sembrava loro incompleta, e così loro insistettero su una resurrezione dell'intero uomo. E, dal momento che nella loro visione la resurrezione di Gesù era la garanzia di questo, essi combatterono per essa, nelle parole di van den Bergh van Eysinga, “con tutte le armi a loro disposizione”. Senza dubbio i racconti della resurrezione, così materiali nei loro dettagli, furono inventati per l'esplicito motivo di stabilire il dogma. L'espiazione, comunque, sembrò a loro incompleta senza la sofferenza della vittima divina. Nel conflitto di opinioni la visione materialista prevalse e così diventò la dottrina ortodossa delle Chiese. Non ci viene detto esplicitamente  in modo preciso che gli ebioniti gnostici fossero doceti, ma Epifanio dice che “alcuni di loro hanno negato che Gesù fosse un uomo”.

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