venerdì 4 maggio 2018

Del profondo desiderio pagano di una resurrezione “nella carne” come potenziale impulso primario all'evemerizzazione di Gesù


La religione greca non era in alcun modo moribonda al tempo in cui apparve il cristianesimo, ma il cristianesimo con la sua promessa della carne riuscì davvero a colpire il paganesimo nel suo punto più vulnerabile. Il cristianesimo offriva un compimento dell'attrazione per la carne che i greci avevano nutrito per secoli, mentre allo stesso tempo vedevano solo come un desiderio futile. Con il cristianesimo l'immortalità fisica non era più uno stato irraggiungibile, ma qualcosa che Cristo aveva improvvisamente messo alla portata di tutti.
(Dag Øistein Endsjø, Greek Resurrection Beliefs and the Success of Christianity, pag. 215-216, mia libera traduzione)


Le divinità pagane erano magnifiche e incantavano e impregnavano il mondo greco-romano con la loro magica presenza. Eppure una marginale divinità semitica, anzi neppure una divinità, ma la sua mera evemerizzazione in un avatar terrestre, distrusse quelle divinità e le cacciò per sempre dal mondo.

Per quale ragione?

Quelle divinità, dopotutto, erano illusioni, spettri, fantasmi, allucinazioni (nel caso peggiore), nomi e allusioni per esprimere la profondità dei legami con la natura e i suoi fenomeni (nel caso migliore): avrebbero soddisfatto in qualunque momento sia la natura superstiziosa del volgo, sia l'inquietudine tipica che nasce da un'eccessiva conoscenza.  Sia come illusioni che come allusioni, esse non poterono però dare ai pagani ciò che loro da sempre agognavano senza mai ottenerla: la fede nell'immortalità della loro carne.   Il cristianesimo, e più precisamente l'invenzione nota come “Gesù di Nazaret”, dette loro quello che essi cercavano e bramavano più di tutto. Perché se un uomo preteso vissuto “nella carne” era preteso risorto pure “nella carne”, allora chi lo avrebbe riconosciuto come suo “Christus” e “deus” sarebbe pure lui un giorno risorto “nella carne”. Qualcosa che neppure i culti misterici pagani potevano concedere, visto che garantivano ai loro adepti soltanto la resurrezione delle loro anime e non della loro carne. Qualcosa che, a dire il vero, neppure la religione misterica ebraica praticata dai primi cristiani come Paolo poteva loro offrire, visto la perentorietà dell'apostolo in merito, che non lascia adito ad alcun dubbio di sorta:
“Ora io dico questo, fratelli, che carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio; né i corpi che si decompongono possono ereditare l'incorruttibilità”.
(1 Corinzi 15:50)

Anzi, fu proprio perché Paolo predicava una resurrezione solamente spirituale (sia di Cristo che dei morti) che i corinzi non gli credettero. Loro, come tutti i pagani, volevano sentire qualcuno che predicasse una resurrezione di spirito e corpo, e non solo dello spirito. Quella sì che sarebbe stata una novità estremamente desiderabile, per loro!

Nelle parole del professore Dag Øistein Endsjø, autore del libro Greek Resurrection Beliefs and the Success of Christianity :

Che Paolo sostenesse una qualche forma di resurrezione spirituale apparentemente non arrivava ai greci che per primi lo incontrarono. Non lo capirono in questo modo e certamente non vollero capirlo in questo modo. I greci avevano generalmente sempre deplorato un'esistenza priva di carne.
(pag. 157, mia traduzione)

Così, in un primo momento, non c'era nessuna ragione perché un pagano avrebbe dovuto convertirsi al Cristo crocifisso predicato da Paolo e dai primi apostoli cristiani. Se non era capace di risorgere (e far risorgere) nel corpo ma solo nell'anima, tanto valeva tenersi i propri dèi che muoiono e risorgono, i quali almeno risorgevano nella loro stessa carne, anche se promettevano ai loro adepti-emulatori soltanto una resurrezione spirituale e non carnale.

Tra gli ebrei non cristiani, c'erano di certo chi credeva ad una resurrezione “nella carne”: soltanto, essi non ne fecero mai una bandiera di proselitismo tra i gentili. Dopotutto, quale prova potevano mai onestamente portare di un uomo che fosse risorto “nella carne”?

Eppure il miracolo accadde che, dopo la morte di Paolo e dei cristiani della sua generazione, nuovi gruppi cristiani cominciarono a pretendere di avere proprio quella prova: il loro Gesù era l'uomo che era risorto “nella carne” e così lui solo era in grado di offrire la medesima resurrezione carnale ai pagani che la desiderassero.   

Questo nuovo messaggio, del tutto estraneo a Paolo e ai primi cristiani, colse alla sprovvista gli stessi cristiani rimasti più fedeli al credo dell'apostolo: quegli stessi cristiani che negavano che Cristo fosse risorto “nella carne”. Negavano anche, a dire il vero, che Cristo fosse vissuto “nella carne”, ma solo “nell'apparenza” di una. In ciò questi cristiani doceti del II secolo erano sicuramente più fedeli, rispetto ai cristiani “carnalisti”, al credo originario cristiano espresso nell'inno ai Filippesi, dove Gesù assume solo un vestito di carne il tempo necessario a spogliarsene con la morte sulla croce, per rivestirsi, e stavoltà per l'eternità, di un altro corpo di carne celeste, decisamente meno transeunte del primo corpo, rimasto invece annichilito per sempre nel mondo del decadimento e della corruzione. 
La nozione della resurrezione della carne, come abbiamo visto, non era sconosciuta a certe parti del giudaismo nell'antichità. Ma se Paolo è veramente rappresentativo della forma più antica del cristianesimo, scopriamo che la nozione di una carne immortale non era qualcosa che il cristianesimo originariamente recò con sé dal giudaismo. Il giudaismo su cui si basava il Paolo farisaico non includeva alcuna credenza nella resurrezione della carne, siccome lui stesso respinse l'idea. Ma non possiamo essere sicuri del fatto che il credo paolino della resurrezione fosse davvero il credo cristiano originale. Siamo così di fronte a due possibilità. O i cristiani pre-paolini credevano nella resurrezione della carne e continuarono con questo credo nonostante le idee di Paolo, oppure i primi cristiani raccolsero il credo dopo Paolo. Dato che non sappiamo se i cristiani credettero o meno che la resurrezione includeva la carne prima di Paolo, è impossibile trarre conclusioni assolute qui. Ma il modo in cui i vangeli aumentavano gradualmente l'enfasi sulla dimensione fisica della resurrezione in generale, e della resurrezione della carne in particolare, indica che quei credi non vi erano all'inizio, come in Paolo, oppure non erano in alcun modo fortemente articolate.
(pag. 159, mia traduzione)

Così, se il recondito desiderio dei pagani era la fede nell'immortalità della loro carne, fede che i loro dèi non davano loro — che anzi, negavano apertamente loro, concedendo solo l'immortalità dell'anima — allora una religione che avrebbe dato quella fede li avrebbe guadagnati per sempre.

Al costo di rinunciare ai loro antichi dèi. 

Questo desiderio dei pagani doveva essere talmente profondo, che pur di soddisfarlo — in vista di un enorme successo per la loro fede —, alcuni cristiani non solo cominciarono a insistere sulla realtà carnale della resurrezione di Gesù, ma fecero così andando contro lo stesso credo di Paolo e dei primi cristiani (negatori di una resurrezione carnale), nonché contro gli stessi cristiani del II secolo che alla memoria dell'Apostolo si rifacevano (primo tra tutti, l'eresiarca Marcione).

Coerentemente, doveva essere esagerata oltre ogni misura l'enfasi sulla resurrezione carnale di Gesù. I cristiani sarebbero dovuti diventare la prova vivente che fosse possibile, per dei devoti comuni e gentili, credere alla possibilità di una loro futura resurrezione nella carne. La maniera più persuasiva del fatto che Gesù resuscitò “nella carne”, è descrivere Gesù stesso come un uomo tra gli uomini, e non soltanto “in forma di uomini” (Filippesi 2:7).

La tomba vuota (assente del tutto nelle lettere di Paolo) garantiva fin dal primo vangelo che la carne di Gesù era risorta, e non soltanto il mero spirito di Cristo (pace i cristiani separazionisti).

Così, alla fine, la vera ragione del perché Gesù fu evemerizzato è che solamente la sua piena umanità, la sua pretesa “storicità” con tanto di passato recente & testimoni in carne e ossa da brandire, avrebbero potuto convincere i pagani della “concreta” possibilità della resurrezione della carne anche per loro, una possibilità frustrata a priori dai loro dèi.

Quanto a quei cristiani che non si rendevano conto dell'enorme profitto derivato da una simile predicazione, essi sarebbero stati equiparati dai vincitori a quei filosofi, i soli tra i pagani, che non desideravano una resurrezione della carne, considerandola poca cosa in confronto alla resurrezione del solo spirito. 
Uno dei modi più sorprendenti in cui Paolo riflette la tradizione filosofica greca è la sua svalutazione della carne. Il suo approccio più spirituale verso il corpo è allo stesso tempo in netto contrasto all'attrazione per la carne trovata nella  religione greca tradizionale. Nella lotta tra gnostici e altri cristiani che difendevano le opinioni più paoline, e coloro che gradualmente abbandonarono l'originario rifiuto paolino della carne, potremmo riconoscere il classico disaccordo greco circa la questione se il corpo umano rappresentava qualcosa di positivo o meno. Nella lotta tra cristiani che abbracciarono la carne e quelli che spiritualizzavano o addirittura rigettavano il corpo della resurrezione, si può veramente riconoscere l'opposizione tra la religione greca tradizionale e la visione minoritaria della filosofia greca. Come osservava lo Pseudo-Giustino sul credo di coloro che negavano la resurrezione della carne, “Se il Salvatore ... proclamasse la salvezza all'anima sola, quale nuova cosa, al di là di ciò che udimmo da Pitagora e Platone e tutta la loro banda, ci ha portato?”
(pag. 190, mia traduzione)

Ora capisco perché il polemista pagano Celso poteva ben dire che:
Ma i cristiani sono volgari e rozzi, volgare è la loro dottrina e per la sua volgarità e per la sua assoluta incapacità ai ragionamenti ha conquistato le sole persone volgari.
(il folle apologeta proto-cattolico Origene, Contro Celso, I, 27) 


Difatti, solo dei mortali desiderosi di immortalità, degli stupidi hoi brotoi, vale a dire: la maggioranza dei pagani, potevano convertirsi ad una religione straniera che non prometteva nulla di nuovo a parte proprio quella cosa che a loro tanto premeva più di ogni altra: la fede nella resurrezione dei loro stessi corpi. 

Personalmente, io trovo in questo fatto un motivo in più per disprezzare il cristianesimo, allora. Io non disprezzo la materia (dopotutto, io non sono come quel demente diteista letteralista di Mike Plato), ma non trovo nemmeno particolarmente desiderabile una resurrezione del mio stesso corpo in un mitico aldilà. Ma poi... ...di quale cazzo di “resurrezione” stiamo mai parlando? I morti non risorgono. Punto. 

Non ho scritto questa recensione per ribadire questo punto. Questo blog non è mai stato intenzionato a confutare i folli apologeti cristiani come Adriano Virgili che credono letteralmente (!) nella “tomba vuota”. Il dottor Richard Miller mi aveva già abbondantemente convinto del fatto che il tropos della “tomba vuota” e della sparizione/resurrezione del corpo si ritrova in tutte le culture che si affacciavano sul Mediterraneo e fu ritenuto un mero tropos letterario dagli stessi folli apologeti cristiani come Giustino, nulla di più e nulla di nuovo sotto il sole.

 Io ho scritto questa recensione positiva perché questo libro spiega ai miei occhi la vera origine del successo del cristianesimo nel mondo pagano.

Quel successo, per farla breve, fu collegato all'enfasi sulla resurrezione di Gesù “nella carne”, un fenomeno tutto del 2° secolo, per niente affatto del 1°. Ma tale enfasi doveva essere a sua volta necessariamente collegata al Più Antico Vangelo, col suo racconto della tomba vuota quale “prova indiscussa” di tale resurrezione carnale. E il Più Antico Vangelo comportava una sola cosa: attribuire una Non-Vita sulla Terra ad un precedente arcangelo rivelatore mitologico di nome Giosuè.

Si badi che i vari cristianesimi, al tempo di Paolo offrivano ai nuovi adepti soltanto una resurrezione spirituale, non carnale. Niente di diverso da cosa offrivano i culti misterici pagani degli dèi che muoiono che risorgono. L'unica differenza, in nuce, tra ebraismo e paganesimo, era che nell'ebraismo  la resurrezione della carne, qualora creduta (perché non sempre veniva creduta, e sicuramente non dai cristiani come Paolo), poteva essere concessa dal dio ebraico a tutti i devoti. Mentre gli dèi pagani potevano concedere ai pagani infinite grazie, non da ultimo la stessa immortalità della loro anima, ma di certo non potevano giammai condividere il loro stesso dono dell'immortalità della carne (se non a qualche privilegiato eroe oppure all'imperatore di turno).

Così, la necessità di una Non-Vita di carta per un mitologico angelo del genere sorse principalmente, se non del tutto, per la necessità della propaganda cristiana, a mero scopo di proselitismo, di saziare il bisogno tutto pagano di un uomo-dio che risorgesse nella carne garantendo al contempo la loro medesima resurrezione nella stessa.

In conclusione, se un particolare angelo ebraico fu storicizzato col primo vangelo, fu a causa di impulsi profondi che giungevano in ultima istanza dalle masse pagane. Che paradosso della Storia!!!
Io non biasimo la gente per i suoi sbagli, ma pretendo che ne paghi lo scotto.
(John Hammond in Jurassic Park)

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