CAPITOLO II
MISTICISMO EBRAICO
1. La Letteratura Sapienziale
Nella nazione ebraica, come in altre, ci furono uomini dalle mentalità molto varie — dai rigorosi e conservatori farisei, intenti alla precisa osservanza della legge mosaica, all'uomo per cui quest'osservanza era fastidiosa, e che aveva una mente aperta nel rispondere a nuove idee. Lo spirito dei libri profetici differisce da quello del Levitico, e ci furono uomini tra gli ebrei le cui menti furono aperte ad altre idee rispetto a quelle degli scrittori della Legge, o perfino dei Profeti. Di conseguenza, quando, dopo la conquista della Persia da parte di Alessandro e specialmente sotto il regno dei Seleucidi, la filosofia greca cominciò a penetrare in Palestina, la sua influenza sul pensiero di alcuni tra gli ebrei divenne presto visibile nella produzione di una letteratura di un nuovo tipo. Di questo nulla fu più importante nei suoi effetti finali della letteratura sapienziale, che consisteva di scritti poetici il cui tema principale era l'esaltazione della Sapienza, la Sofia greca. Quelli scritti divennero molto popolari. La personificazione della Sapienza, che all'inizio fu una metafora poetica, giunse per gradi ad essere elaborata in maggiore dettaglio e ad essere applicata più letteralmente, finché lei fu considerata prima una persona reale, e infine un'entità divina che occupava una posizione davvero esaltata nel cielo accanto a Jahvè stesso. Qui vediamo un'idea astratta che gradualmente diventa concreta — un processo che recitò una parte importante nell'evoluzione del cristianesimo.
Una fase antica della personificazione si osserva nel libro dei Proverbi; per esempio, leggiamo: “La Sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udire la voce”. “La Sapienza forse non chiama? ... nei crocicchi delle strade essa si è posta, presso le porte, all'ingresso della città”. “La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne ... e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle”.
Anche in questo libro, troviamo il germe che si sviluppò nella concezione della Sapienza come un'entità divina, la serva di Jahvè. “Il Signore ha fondato la terra con la sapienza”. In un altro punto alla Sapienza si fa dire: “Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra ... prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io sono stata generata”.
Tra i babilonesi e i persiani, la Sapienza fu personificata come un'entità divina, e la familiarità con le loro mitologie deve aver aiutato a condurre il pensiero ebraico nella stessa direzione; ma lo sviluppo finale fu probabilmente portato a termine tra gli ebrei della diaspora, specialmente ad Alessandria, dove l'influenza greca fornì una direzione metafisica alla speculazione ebraica.
In Ecclesiastico, ovvero la “Sapienza di Gesù, il figlio di Sirach”, l'idea è diventata ancor più concreta ed esaltata: “Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo e ho ricoperto come nube la terra. Ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. Il giro del cielo da sola ho percorso, ho passeggiato nelle profondità degli abissi.”.
La Sapienza qui appare identificata con lo Spirito di Dio che aleggiava sulle acque prima della creazione. Quest'idea ebbe successivamente uno sviluppo importante. Alcuni scrittori ebrei considerarono questa Sapienza personificata un possesso speciale della razza ebraica — l'agente mediante cui Jahvè li aiutava e incoraggiava. Per esempio, nel libro di Baruc è scritto (3:31-7): “Nessuno conosce la sua via, nessuno pensa al suo sentiero. Ma colui che sa tutto, la conosce ... ne ha fatto dono a Giacobbe suo servo, a Israele suo diletto. Per questo è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini”. L'ultimo verso di questa citazione è particolarmente degno di nota.
Di nuovo, nel libro apocrifo, la Sapienza di Salomone, leggiamo della Sapienza: “Lei è un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa s'infiltra”.
L'influenza della filosofia greca, che condusse il pensiero ebraico nella speculazione metafisica, provocò in particolare un'indagine nella possibilità della creazione. L'interrogativo sorse naturalmente: Come può un puro spirito agire sulla materia? Che contatto può mai esserci tra Dio e l'universo fisico? Come poteva essere realizzata veramente l'opera della creazione? La soluzione raggiunta fu che dev'esserci stato qualcosa di una natura intermedia a puro spirito e a materia; qualcosa che non è puro spirito e tuttavia non è di una natura spirituale cosicché possa sia venire in comunione con lo spirito e sia non essere troppo impalpabile nell'agire sulla materia. Un essere di questa natura, fu pensato, poteva ricevere i comandi di Dio e impartirli agli uomini — poteva rivelare agli uomini la natura di Dio, e poteva sotto la direzione di Dio essere l'agente effettivo nella creazione di tutte le cose materiali. In Ecclesiastico 23:6, la Sapienza dice: “Io feci nascere nel cielo una luce, che mai vien meno”. E così la Sapienza fu ritenuta questo agente, e come tale fu identificata con lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio. Abbiamo visto il principio di quest'identificazione nelle citazioni dell'Ecclesiastico. Fu probabilmente aiutata dall'influenza dell'idea platonica dell'anima mundi, la quale fu a sua volta concepita in esistenza come tramite tra il regno delle idee e il mondo materiale.
Ma se Dio creò il mondo per mezzo della sua sapienza, si poteva anche dire che egli lo avesse creato tramite la sua parola; così ci fu un motivo per la personificazione anche della parola di Dio sotto il nome greco di Logos. Troviamo il germe di questo nella “Sapienza di Salomone”, che fu probabilmente composta ad Alessandria nel primo secolo A.E.C.: “Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola”. Anche: “La tua parola onnipotente dal cielo,
dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio”. In questo verso la Parola, o Logos, è concepita come essere divino che condivide il trono di Dio. Qui abbiamo un altro esempio di quella trasformazione di un'idea astratta in un oggetto o essere concreto che contribuì così tanto nel dirigere lo sviluppo del dogma cristiano. È impossibile comprendere correttamente la natura di questo sviluppo senza rendersi conto del grado in cui gli uomini del periodo che stiamo considerando pensavano e parlavano di astrazioni e simboli come se fossero entità realmente esistenti. La personificazione del Logos e la concezione della sua natura come redentrice dell'umanità furono probabilmente aiutate e influenzate nel primo secolo E.C. dalle lettere di Seneca, oppure dalle fonti greche delle sue idee, che avrebbero potuto essere ben note agli ebrei o di Alessandria o di Roma. Parecchi commentatori sono stati colpiti dalla somiglianza tra il pensiero di Seneca e quello di porzioni delle epistole paoline. Per esempio, nella lettera 41 di Seneca leggiamo: “Come i raggi del sole raggiungono la terra, ma non si staccano dal loro punto di partenza, così l'anima grande e santa, mandata quaggiù per farci conoscere meglio il divino, sta insieme a noi, ma rimane unita alla sua origine; dipende da essa, a essa guarda e aspira e sta in mezzo a noi come un essere superiore”. Le epistole di Seneca mostrano che idee che furono in seguito considerate cristiane si stavano evolvendo nella mente dei pensatori filosofici già nel primo secolo. Attraverso gli ebrei di lingua greca quelle idee contribuirono allo sviluppo della dottrina cristiana. Un passo come quello citato sarebbe stato quasi di necessità applicato alla divina Sapienza, oppure al Logos, del quale, abbiamo visto, si ritenne, perfino nel primo secolo A.E.C., che avesse visitato gli uomini dal trono di Dio in cielo.
Le concezioni della Sapienza o Sofia, e della Parola o Logos, come mediatore tra Dio e la sua creazione, e come maestro e confortatore di uomini, persistettero fianco a fianco, sebbene furono non sempre distinte chiaramente l'una dall'altra, e tendevano a coincidere. Ci fu una tendenza ad applicare all'una quel che fu detto circa l'altra. Questa concezione di una sostanza intermedia tra puro spirito e materia, e di un mediatore tra Dio e l'uomo, è il germe dello gnosticismo. Nello gnosticismo posteriore vediamo il suo sviluppo modificato mediante il contatto con l'uno o l'altro dei movimenti che contribuirono al flusso principale del dogma cristiano. In questo gnosticismo la Sofia recita una parte importante. In Filone, di nuovo, vediamo la concezione sviluppata lungo linee ebraiche modificata dall'influenza della filosofia e religione greca. Da lui le due personificazioni, “Sapienza” e “Logos”, furono tenute distinte. Egli insegnò che la Sofia fosse la figlia di Dio e la madre di tutte le cose create, e che il Logos fosse il figlio di Sofia, che è unito con Dio in un senso trascendente; cosicché, sebbene il Logos sia il risultato di quell'unione, il figlio di Dio come pure di Sofia, l'ultima può ancora venir descritta da lui come una vergine immacolata. Il Logos è il mediatore tra Dio e l'uomo. Da qui vediamo che, all'inizio del primo secolo, abbiamo lungo linee gnostiche la concezione di un mediatore che era ad un tempo il figlio di Dio e di una vergine. Questa concezione, dunque, non fu copiata dal dogma cristiano. Al contrario, fu uno dei flussi contributivi dall'unione dei quali derivò quel dogma. Quando gli gnostici avevano formato comunità religiose organizzate con un rituale e un culto, si cantarono inni in lode di Sofia nei loro incontri. Lo spirito di quelli inni risale alla precedente letteratura sapienziale, come possiamo vedere confrontando Ecclesiastico 24:21, 22, 24 e 25, con Matteo 11:28-30. Ecclesiastico: “In me ogni grazia per conoscere la via della verità: in me ogni speranza di vita e di virtù......Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei prodotti. Poiché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi è più dolce del favo di miele. Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me, avranno ancora sete. Chi mi obbedisce non si vergognerà”. Il passo di Matteo che comincia “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi”, è senza dubbio un frammento di un inno gnostico e l'oratore immaginario è la Sapienza. Filone descrive il Logos come l'“uomo ideale”, l'“uomo celeste”, come il consolatore degli uomini, come il patrocinante dei peccatori davanti a Dio, come il gran sommo sacerdote, e lo confronta con Melchisedec. Gli scritti di Filone ci recano di fronte idee che erano correnti in una certa porzione di ebrei di lingua greca immediatamente prima dell'era cristiana. Gli gnostici condivisero queste idee oppure idee molto simili, e attraverso gli gnostici tali idee contribuirono a edificare il corpo della dottrina cristiana.
Una fase antica della personificazione si osserva nel libro dei Proverbi; per esempio, leggiamo: “La Sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udire la voce”. “La Sapienza forse non chiama? ... nei crocicchi delle strade essa si è posta, presso le porte, all'ingresso della città”. “La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne ... e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle”.
Anche in questo libro, troviamo il germe che si sviluppò nella concezione della Sapienza come un'entità divina, la serva di Jahvè. “Il Signore ha fondato la terra con la sapienza”. In un altro punto alla Sapienza si fa dire: “Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra ... prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io sono stata generata”.
Tra i babilonesi e i persiani, la Sapienza fu personificata come un'entità divina, e la familiarità con le loro mitologie deve aver aiutato a condurre il pensiero ebraico nella stessa direzione; ma lo sviluppo finale fu probabilmente portato a termine tra gli ebrei della diaspora, specialmente ad Alessandria, dove l'influenza greca fornì una direzione metafisica alla speculazione ebraica.
In Ecclesiastico, ovvero la “Sapienza di Gesù, il figlio di Sirach”, l'idea è diventata ancor più concreta ed esaltata: “Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo e ho ricoperto come nube la terra. Ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. Il giro del cielo da sola ho percorso, ho passeggiato nelle profondità degli abissi.”.
La Sapienza qui appare identificata con lo Spirito di Dio che aleggiava sulle acque prima della creazione. Quest'idea ebbe successivamente uno sviluppo importante. Alcuni scrittori ebrei considerarono questa Sapienza personificata un possesso speciale della razza ebraica — l'agente mediante cui Jahvè li aiutava e incoraggiava. Per esempio, nel libro di Baruc è scritto (3:31-7): “Nessuno conosce la sua via, nessuno pensa al suo sentiero. Ma colui che sa tutto, la conosce ... ne ha fatto dono a Giacobbe suo servo, a Israele suo diletto. Per questo è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini”. L'ultimo verso di questa citazione è particolarmente degno di nota.
Di nuovo, nel libro apocrifo, la Sapienza di Salomone, leggiamo della Sapienza: “Lei è un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa s'infiltra”.
L'influenza della filosofia greca, che condusse il pensiero ebraico nella speculazione metafisica, provocò in particolare un'indagine nella possibilità della creazione. L'interrogativo sorse naturalmente: Come può un puro spirito agire sulla materia? Che contatto può mai esserci tra Dio e l'universo fisico? Come poteva essere realizzata veramente l'opera della creazione? La soluzione raggiunta fu che dev'esserci stato qualcosa di una natura intermedia a puro spirito e a materia; qualcosa che non è puro spirito e tuttavia non è di una natura spirituale cosicché possa sia venire in comunione con lo spirito e sia non essere troppo impalpabile nell'agire sulla materia. Un essere di questa natura, fu pensato, poteva ricevere i comandi di Dio e impartirli agli uomini — poteva rivelare agli uomini la natura di Dio, e poteva sotto la direzione di Dio essere l'agente effettivo nella creazione di tutte le cose materiali. In Ecclesiastico 23:6, la Sapienza dice: “Io feci nascere nel cielo una luce, che mai vien meno”. E così la Sapienza fu ritenuta questo agente, e come tale fu identificata con lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio. Abbiamo visto il principio di quest'identificazione nelle citazioni dell'Ecclesiastico. Fu probabilmente aiutata dall'influenza dell'idea platonica dell'anima mundi, la quale fu a sua volta concepita in esistenza come tramite tra il regno delle idee e il mondo materiale.
Ma se Dio creò il mondo per mezzo della sua sapienza, si poteva anche dire che egli lo avesse creato tramite la sua parola; così ci fu un motivo per la personificazione anche della parola di Dio sotto il nome greco di Logos. Troviamo il germe di questo nella “Sapienza di Salomone”, che fu probabilmente composta ad Alessandria nel primo secolo A.E.C.: “Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola”. Anche: “La tua parola onnipotente dal cielo,
dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio”. In questo verso la Parola, o Logos, è concepita come essere divino che condivide il trono di Dio. Qui abbiamo un altro esempio di quella trasformazione di un'idea astratta in un oggetto o essere concreto che contribuì così tanto nel dirigere lo sviluppo del dogma cristiano. È impossibile comprendere correttamente la natura di questo sviluppo senza rendersi conto del grado in cui gli uomini del periodo che stiamo considerando pensavano e parlavano di astrazioni e simboli come se fossero entità realmente esistenti. La personificazione del Logos e la concezione della sua natura come redentrice dell'umanità furono probabilmente aiutate e influenzate nel primo secolo E.C. dalle lettere di Seneca, oppure dalle fonti greche delle sue idee, che avrebbero potuto essere ben note agli ebrei o di Alessandria o di Roma. Parecchi commentatori sono stati colpiti dalla somiglianza tra il pensiero di Seneca e quello di porzioni delle epistole paoline. Per esempio, nella lettera 41 di Seneca leggiamo: “Come i raggi del sole raggiungono la terra, ma non si staccano dal loro punto di partenza, così l'anima grande e santa, mandata quaggiù per farci conoscere meglio il divino, sta insieme a noi, ma rimane unita alla sua origine; dipende da essa, a essa guarda e aspira e sta in mezzo a noi come un essere superiore”. Le epistole di Seneca mostrano che idee che furono in seguito considerate cristiane si stavano evolvendo nella mente dei pensatori filosofici già nel primo secolo. Attraverso gli ebrei di lingua greca quelle idee contribuirono allo sviluppo della dottrina cristiana. Un passo come quello citato sarebbe stato quasi di necessità applicato alla divina Sapienza, oppure al Logos, del quale, abbiamo visto, si ritenne, perfino nel primo secolo A.E.C., che avesse visitato gli uomini dal trono di Dio in cielo.
Le concezioni della Sapienza o Sofia, e della Parola o Logos, come mediatore tra Dio e la sua creazione, e come maestro e confortatore di uomini, persistettero fianco a fianco, sebbene furono non sempre distinte chiaramente l'una dall'altra, e tendevano a coincidere. Ci fu una tendenza ad applicare all'una quel che fu detto circa l'altra. Questa concezione di una sostanza intermedia tra puro spirito e materia, e di un mediatore tra Dio e l'uomo, è il germe dello gnosticismo. Nello gnosticismo posteriore vediamo il suo sviluppo modificato mediante il contatto con l'uno o l'altro dei movimenti che contribuirono al flusso principale del dogma cristiano. In questo gnosticismo la Sofia recita una parte importante. In Filone, di nuovo, vediamo la concezione sviluppata lungo linee ebraiche modificata dall'influenza della filosofia e religione greca. Da lui le due personificazioni, “Sapienza” e “Logos”, furono tenute distinte. Egli insegnò che la Sofia fosse la figlia di Dio e la madre di tutte le cose create, e che il Logos fosse il figlio di Sofia, che è unito con Dio in un senso trascendente; cosicché, sebbene il Logos sia il risultato di quell'unione, il figlio di Dio come pure di Sofia, l'ultima può ancora venir descritta da lui come una vergine immacolata. Il Logos è il mediatore tra Dio e l'uomo. Da qui vediamo che, all'inizio del primo secolo, abbiamo lungo linee gnostiche la concezione di un mediatore che era ad un tempo il figlio di Dio e di una vergine. Questa concezione, dunque, non fu copiata dal dogma cristiano. Al contrario, fu uno dei flussi contributivi dall'unione dei quali derivò quel dogma. Quando gli gnostici avevano formato comunità religiose organizzate con un rituale e un culto, si cantarono inni in lode di Sofia nei loro incontri. Lo spirito di quelli inni risale alla precedente letteratura sapienziale, come possiamo vedere confrontando Ecclesiastico 24:21, 22, 24 e 25, con Matteo 11:28-30. Ecclesiastico: “In me ogni grazia per conoscere la via della verità: in me ogni speranza di vita e di virtù......Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei prodotti. Poiché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi è più dolce del favo di miele. Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me, avranno ancora sete. Chi mi obbedisce non si vergognerà”. Il passo di Matteo che comincia “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi”, è senza dubbio un frammento di un inno gnostico e l'oratore immaginario è la Sapienza. Filone descrive il Logos come l'“uomo ideale”, l'“uomo celeste”, come il consolatore degli uomini, come il patrocinante dei peccatori davanti a Dio, come il gran sommo sacerdote, e lo confronta con Melchisedec. Gli scritti di Filone ci recano di fronte idee che erano correnti in una certa porzione di ebrei di lingua greca immediatamente prima dell'era cristiana. Gli gnostici condivisero queste idee oppure idee molto simili, e attraverso gli gnostici tali idee contribuirono a edificare il corpo della dottrina cristiana.
2. Gnosticismo Pre-Cristiano
Il professor Arthur Drews ha senza dubbio ragione nella sua opinione che un impulso verso la speculazione filosofica tra gli ebrei fu una ripulsione dall'irritante formalismo della Legge Mosaica. Il movimento non fu meramente intellettuale, neppure fu una mera rivolta contro prescrizioni percepite noiose. Si agognò una base più soddisfacente di condotta, una che consisteva meno in prescrizioni semplicemente formali. La brama di questo si esprime per tutta la letteratura sapienziale, in cui si dichiara ripetutamente che la via per acquisire la virtù è l'ottenimento della sapienza. Un uomo che ha preso la Sapienza per sua guida sarà da lei guidato nelle vie della giustizia; egli sarà puro, giusto, e compassionevole. L'opinione che la bontà comporta pietà e compassione si rifletté naturalmente sulla concezione degli uomini della bontà di Dio, provocando un'insoddisfazione per la vecchia idea di Jahvè come Dio giusto ma geloso e severo. Questa tendenza, comunque, potrebbe essere considerata come una dei fattori che produsse la letteratura sapienziale piuttosto che un suo risultato. È già visibile nei salmi e nei profeti. Mentre in alcuni ebrei, come Filone, ciò aiutò a contribuire l'ampiamento della visione mentale senza separarli dall'ebraismo ortodosso, in altri alimentò gradualmente una rivolta contro la Legge Mosaica, e perfino contro lo Jahvè presentato loro nei testi di storia ebraica. Fu questo che indusse gli gnostici, la base delle cui speculazioni metafisiche fu la stessa di Filone, ad evolvere religiosamente lungo una linea differente, così da separarsi dall'ebraismo, e in ultima istanza divennero davvero ostili ad esso. La tendenza a questo fu aiutata, naturalmente, dall'adesione di convertiti gentili. Gnosi significa conoscenza; e gli gnostici presero il loro nome dal loro credo che la redenzione dell'umanità dev'essere il risultato di una conoscenza di Dio e dei misteri divini che possono essere ottenuti solo mediante la sapienza, oppure mediante il Logos, che significò quasi la stessa cosa, dal momento che la sapienza fu identificata con lo Spirito Santo, e dallo Spirito Santo il Logos fu ispirato. Una conseguenza di questa opinione della redenzione fu che per un tempo considerevole ci furono due filoni di dottrina cristiana che rifiutarono di congiungersi: il credo gnostico che la redenzione dev'essere assicurata tramite la conoscenza di Dio, e il credo, che diventò il dogma principale della Chiesa Cattolica, che la redenzione dev'essere guadagnata dalla fede in un Salvatore che offrì sé stesso come sacrificio espiatorio. Entrambe quelle opinioni sono trovate espresse nelle epistole paoline; ma la diversità non si verificò in un cristianesimo precedentemente unito: essa risale ad una diversità di origine che era pre-cristiana.
Noi non sappiamo granchè circa le dottrine delle sette gnostiche ebraiche pre-cristiane, ma possiamo dedurre di più dal fatto che esse formarono una fase relativamente antica nella linea di sviluppo che cominciò colla letteratura sapienziale e terminò con lo gnosticismo del secondo secolo; e dagli scritti di Filone, il quale mantenne la stessa relazione con questa linea di sviluppo cristiano più o meno come la mantiene l'uomo di Neanderthal colla linea di sviluppo umano. La filosofia religiosa gnostica appare non solo essere stata derivata dalla letteratura sapienziale, ma essere stata influenzata dalle speculazioni astro-mitologiche che consideravano i pianeti e le costellazioni come entità divine, alcune buone e altre cattive, dagli esiti dei cui conflitti dipendevano i destini degli uomini. Essi furono mistici che credevano che con mezzi appropriati potevano arrivare ad una unione diretta tra sè stessi e Dio. Essi pensavano che quando gli uomini furono creati la capacità di acquisire una porzione del pneuma, o puro spirito divino, fosse impartita ad ogni essere umano, e che il possesso di questo rendeva possibile un'unione con Dio. Il pneuma poteva ottenersi solo mediante il Logos, ma gli uomini che si erano assicurati una sua porzione potevano, per comunione con Dio, diventare più spirituali ed espandere la loro comprensione del mistero divino. Quelli gnostici, sebbene ebrei, avevano trasceso la particolarità ebraica, e pensavano che mediante il Logos la possibilità di redenzione fosse aperta a tutti gli uomini. Ai loro incontri essi praticarono misteri di una natura mistica, forse si sarebbe potuto dire magica; quei riti essi li chiamarono i loro “misteri”. Essi credettero nell'esistenza di certi esseri divini o angeli, che chiamarono arconti, alcuni benigni e altri maligni. L'origine di quelli esseri fu probabilmente astro-mitologica; essi rappresentavano costellazioni. Diverse sette ebbero opinioni differenti circa quelli arconti. Secondo ad alcune, il creatore e dominatore di questo mondo, lo Jahvè dell'Antico Testamento, fu l'arconte principale, e gli arconti inferiori furono i suoi ministri. Secondo altri, arconti maligni risiedettero presso le porte del cielo per impedire alle anime ascendenti di avvicinarsi; ma una conoscenza dei loro nomi li avrebbe resi senza potere e aveva un'efficacia magica contro gli assalti di demoni e tentazioni. Entità di questo genere sono gli arconti che lo scrittore paolino ha in mente quando dice nella prima epistola ai Corinzi, 2:7-8: “Noi parliamo della sapienza di Dio in un mistero, misteriosa.......che nessuno degli arconti di questo eone ha potuto conoscerla; perché se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della Gloria”. Le parole tradotte “principi di questo mondo” nella versione autorizzata sono nel Testamento greco “arconti di questo eone”. Anche Eone è un termine gnostico. Di fatto, la fraseologia dell'intero passo è gnostica. È ovvio che la concezione della Crocifissione qui esposta è puro dogma e non ha nessun riferimento alla crocifissione reale di qualche uomo.
Un'altra caratteristica degli gnostici fu la loro consuetudine di trattare la Scrittura come allegoria. Essi pensarono che i libri dell'Antico testamento non fossero letteralmente veri, ma che devono essere interpretati simbolicamente. Perfino Filone, sebbene egli riverì la Legge Mosaica, tenne l'opinione gnostica circa altre parti dell'Antico Testamento. È proprio importante ricordare questo aspetto quando si risalgono le dottrine degli gnostici alle fonti da cui derivarono la loro ispirazione. In un passo in nostro possesso che noi, con la nostra mente più letterale, dovremmo capire in base al suo significato semplice e ovvio, gli gnostici avrebbero letto un doppio significato, e sarebbero andati ingegnosamente alla ricerca sotto la superficie letterale di qualche idea che potesse essere presa a simboleggiare. Non possiamo rintracciare correttamente lo sviluppo del loro pensiero a meno che non teniamo presente questo fatto.
Tra gli gnostici ebrei apparentemente pre-cristiani ci furono gli Ofiti, così chiamati per via della loro speciale adorazione del serpente, in greco ophis, che per loro rappresentava simbolicamente la sapienza, e forse la Via Lattea, l'albero celeste. Questa setta fu chiamata anche la setta dei Naasseni. Essi rigettarono la Legge Mosaica e dichiararono che lo Jahvè delle scritture ebraiche, sebbene potesse essere giusto in un senso ebraico, non fosse buono, e non poteva, perciò, essere il Dio supremo. Egli fu dio soltanto della terra, non del cielo, e il suo regno non sarebbe stato eterno.
Quelle sette gnostiche tenevano incontri periodici, ai quali nuovi membri erano ammessi solo dopo un'iniziazione preliminare, e dopo aver fatto un voto solenne di non divulgare i “misteri”, come essi furono definiti. In quelle riunioni gli adoratori, senza dubbio, in qualche maniera raggiungevano la loro mistica unione con l'essenza divina — il pneuma. Inni furono cantati e riti vennero praticati che rappresentavano simbolicamente i dogmi gnostici, come quelli circa Sofia e il Logos; cioè vale a dire, circa lo Spirito Santo e il Figlio di Dio.
Naturalmente, col passare del tempo, questo simbolismo sarebbe giunto ad esser preso sempre più alla lettera. Di fatto, secondo W. Köhler, una setta gnostica pre-cristiana, i Mandei, identificò il Logos col Messia, il cui nome in greco è Christos, il Cristo. Questo Messia differiva davvero molto, naturalmente, dalla natura del Messia ebraico. Gli gnostici ebrei, avendo abbandonato il limitato punto di vista ebraico, non concepirono più il Messia come il redentore solo degli ebrei, ma come il redentore del mondo intero; e la redenzione doveva essere recata in una maniera davvero diversa. Il Logos fu il Cristo per loro perchè riscattò il mondo recandovi la gnosi di Dio. Questo redentore, o salvatore, è definito da Köhler un Cristo pre-cristiano. Il Cristo fu anche uno dei nomi che Filone conferì al Logos.
Noi non sappiamo granchè circa le dottrine delle sette gnostiche ebraiche pre-cristiane, ma possiamo dedurre di più dal fatto che esse formarono una fase relativamente antica nella linea di sviluppo che cominciò colla letteratura sapienziale e terminò con lo gnosticismo del secondo secolo; e dagli scritti di Filone, il quale mantenne la stessa relazione con questa linea di sviluppo cristiano più o meno come la mantiene l'uomo di Neanderthal colla linea di sviluppo umano. La filosofia religiosa gnostica appare non solo essere stata derivata dalla letteratura sapienziale, ma essere stata influenzata dalle speculazioni astro-mitologiche che consideravano i pianeti e le costellazioni come entità divine, alcune buone e altre cattive, dagli esiti dei cui conflitti dipendevano i destini degli uomini. Essi furono mistici che credevano che con mezzi appropriati potevano arrivare ad una unione diretta tra sè stessi e Dio. Essi pensavano che quando gli uomini furono creati la capacità di acquisire una porzione del pneuma, o puro spirito divino, fosse impartita ad ogni essere umano, e che il possesso di questo rendeva possibile un'unione con Dio. Il pneuma poteva ottenersi solo mediante il Logos, ma gli uomini che si erano assicurati una sua porzione potevano, per comunione con Dio, diventare più spirituali ed espandere la loro comprensione del mistero divino. Quelli gnostici, sebbene ebrei, avevano trasceso la particolarità ebraica, e pensavano che mediante il Logos la possibilità di redenzione fosse aperta a tutti gli uomini. Ai loro incontri essi praticarono misteri di una natura mistica, forse si sarebbe potuto dire magica; quei riti essi li chiamarono i loro “misteri”. Essi credettero nell'esistenza di certi esseri divini o angeli, che chiamarono arconti, alcuni benigni e altri maligni. L'origine di quelli esseri fu probabilmente astro-mitologica; essi rappresentavano costellazioni. Diverse sette ebbero opinioni differenti circa quelli arconti. Secondo ad alcune, il creatore e dominatore di questo mondo, lo Jahvè dell'Antico Testamento, fu l'arconte principale, e gli arconti inferiori furono i suoi ministri. Secondo altri, arconti maligni risiedettero presso le porte del cielo per impedire alle anime ascendenti di avvicinarsi; ma una conoscenza dei loro nomi li avrebbe resi senza potere e aveva un'efficacia magica contro gli assalti di demoni e tentazioni. Entità di questo genere sono gli arconti che lo scrittore paolino ha in mente quando dice nella prima epistola ai Corinzi, 2:7-8: “Noi parliamo della sapienza di Dio in un mistero, misteriosa.......che nessuno degli arconti di questo eone ha potuto conoscerla; perché se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della Gloria”. Le parole tradotte “principi di questo mondo” nella versione autorizzata sono nel Testamento greco “arconti di questo eone”. Anche Eone è un termine gnostico. Di fatto, la fraseologia dell'intero passo è gnostica. È ovvio che la concezione della Crocifissione qui esposta è puro dogma e non ha nessun riferimento alla crocifissione reale di qualche uomo.
Un'altra caratteristica degli gnostici fu la loro consuetudine di trattare la Scrittura come allegoria. Essi pensarono che i libri dell'Antico testamento non fossero letteralmente veri, ma che devono essere interpretati simbolicamente. Perfino Filone, sebbene egli riverì la Legge Mosaica, tenne l'opinione gnostica circa altre parti dell'Antico Testamento. È proprio importante ricordare questo aspetto quando si risalgono le dottrine degli gnostici alle fonti da cui derivarono la loro ispirazione. In un passo in nostro possesso che noi, con la nostra mente più letterale, dovremmo capire in base al suo significato semplice e ovvio, gli gnostici avrebbero letto un doppio significato, e sarebbero andati ingegnosamente alla ricerca sotto la superficie letterale di qualche idea che potesse essere presa a simboleggiare. Non possiamo rintracciare correttamente lo sviluppo del loro pensiero a meno che non teniamo presente questo fatto.
Tra gli gnostici ebrei apparentemente pre-cristiani ci furono gli Ofiti, così chiamati per via della loro speciale adorazione del serpente, in greco ophis, che per loro rappresentava simbolicamente la sapienza, e forse la Via Lattea, l'albero celeste. Questa setta fu chiamata anche la setta dei Naasseni. Essi rigettarono la Legge Mosaica e dichiararono che lo Jahvè delle scritture ebraiche, sebbene potesse essere giusto in un senso ebraico, non fosse buono, e non poteva, perciò, essere il Dio supremo. Egli fu dio soltanto della terra, non del cielo, e il suo regno non sarebbe stato eterno.
Quelle sette gnostiche tenevano incontri periodici, ai quali nuovi membri erano ammessi solo dopo un'iniziazione preliminare, e dopo aver fatto un voto solenne di non divulgare i “misteri”, come essi furono definiti. In quelle riunioni gli adoratori, senza dubbio, in qualche maniera raggiungevano la loro mistica unione con l'essenza divina — il pneuma. Inni furono cantati e riti vennero praticati che rappresentavano simbolicamente i dogmi gnostici, come quelli circa Sofia e il Logos; cioè vale a dire, circa lo Spirito Santo e il Figlio di Dio.
Naturalmente, col passare del tempo, questo simbolismo sarebbe giunto ad esser preso sempre più alla lettera. Di fatto, secondo W. Köhler, una setta gnostica pre-cristiana, i Mandei, identificò il Logos col Messia, il cui nome in greco è Christos, il Cristo. Questo Messia differiva davvero molto, naturalmente, dalla natura del Messia ebraico. Gli gnostici ebrei, avendo abbandonato il limitato punto di vista ebraico, non concepirono più il Messia come il redentore solo degli ebrei, ma come il redentore del mondo intero; e la redenzione doveva essere recata in una maniera davvero diversa. Il Logos fu il Cristo per loro perchè riscattò il mondo recandovi la gnosi di Dio. Questo redentore, o salvatore, è definito da Köhler un Cristo pre-cristiano. Il Cristo fu anche uno dei nomi che Filone conferì al Logos.
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