VII
L'INIZIO DEL CRISTIANESIMO ORGANIZZATO
Noi concludiamo, perciò, che al principio dell'era cristiana vi erano in esistenza un numero di sette ebraiche; non tutte loro erano culti misterici, sebbene certamente la maggior parte di loro lo furono. Di quelle, alcune sono note per essere state pre-cristiane — cioè, i Perati, i Naasseni, i Cainiti, gli Esseni e i Mandei e la comunità che utilizzava le Odi di Salomone. È una conclusione evidente che c'erano altre sette pre-cristiane di cui non disponiamo di alcuna informazione oppure non abbastanza da fissare il periodo della loro origine. Una setta ebraica davvero antica che riveriva un Gesù furono gli ebioniti. Essi potrebbero essere stati pre-cristiani. La Chiesa giudeo-cristiana menzionata negli Atti era probabilmente ebionita. Non c'è nessuna dimostrazione assolutamente certa che qualcuna delle sette gnostiche nei giorni pre-cristiani nominasse il Logos Gesù; ma l'occorrenza del nome nell'inno Naasseno, l'uso antico del termine “Signore Gesù” da parte degli gnostici e l'identificazione di Gesù e Giosuè da parte di Origene, l'epistola di Giuda e gli Oracoli Sibillini rendono altamente probabile l'ipotesi. Se uno dei costituenti della Chiesa cristiana unita fosse stato un culto gnostico di Gesù-Giosuè, per il tempo quando gli scrittori cristiani cominciarono a interessarsi alle sette eretiche gnostiche esso aveva cessato da tempo a possedere un'esistenza separata. Di conseguenza non è probabile che dovremmo aver sentito qualcosa circa esso.
Esiste una buona ragione per credere che nella dottrina gnostica il Logos venisse ucciso, non da uomini, ma dagli “Arconti di questo eone”, [L'espressione greca significa “Dominatori di quest'età” e indubbiamente nell'antica letteratura cristiana non significava le persone prominenti a Gerusalemme.] in altre parole da demoni malvagi. Il Logos si permise di venire ucciso come un riscatto per coloro che credevano nel vero Dio. Ma dal momento che, naturalmente, il Logos fu resuscitato dai morti, gli Arconti furono ingannati, e coll'ucciderlo essi si condannarono irrevocabilmente alla distruzione. [Lublinski, Die Enstehung des Christentums, pag. 105-108.] Troviamo riferita questa visione in 1 Corinzi 2:7-8:
Parliamo della sapienza (=gnosi) di Dio nascosta nel mistero, che Dio ha preordinato prima degli eoni per la nostra gloria, che nessuno degli Arconti di questo eone [La traduzione nelle versioni inglesi non veicola il senso reale delle parole.] ha conosciuta; perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. [Un rabbì ebreo?]
Non è sorprendente che gli gnostici credessero che il Logos fosse stato “crocifisso”. Infatti la croce era connessa, direttamente oppure indirettamente, alla morte di parecchi dèi-salvatori. L'origine dell'associazione fu il fatto che al momento in cui il sole sta passando dall'emisfero boreale all'emisfero australe — vale a dire dai regni della vita in quelli della morte, esso si trova al punto dove le linee dell'equatore e dell'eclittica si incrociano l'un l'altra.
Prima della caduta di Gerusalemme quelle sette furono tollerate dai farisei, che forse nutrirono anche una certa dose di simpatia per la loro visione religiosa; nella misura in cui anche gli stessi farisei credevano nell'esistenza di esseri divini (angeli), temevano demoni, e utilizzavano incantesimi e nomi sacri come difesa contro di loro. È stata fornita qualche prova di questo; potremo citare anche Matteo 12:27: “E se io scaccio i demòni con l'aiuto di Belzebù, con l'aiuto di chi li scacciano i vostri figli?”. Gli gnostici, mentre riverivano il Logos come Figlio di Dio, oppure come un'emanazione da Dio, erano nominalmente monoteisti. E perfino l'ebreo monoteista Filone poteva scrivere del Logos e di Sofia come esseri divini.
La credibilità della storia del martirio di Stefano in Atti è stata seriamente messa in dubbio da parecchi commentatori, e non c'è una prova storica indipendente di essa. Una difficoltà che è stata riconosciuta anche da teologi relativamente conservatori è che “per gli ebrei porre a morte così un qualsiasi criminale sotto la propria responsabilità era completamente illegale”. [Enclyc. Bibl., Art. “Stefano.”] Il tentativo dell'autore di quelle parole di superare la difficoltà si infrange contro il fatto che la Chiesa cristiana a Gerusalemme vi continuò abbastanza indisturbata. È vero che in 8:1 ci viene detto che sorse una grande persecuzione e che la Chiesa si disperse; tranne, continua il documento, gli Apostoli! Come se i capi sarebbero stati lasciati soli mentre tutti gli altri sarebbero stati dispersi all'estero, e nel capitolo 21, la Chiesa è ancora là, con fratelli e anziani, con nessuno a interferire tra loro. Perfino se, come assumono i teologi conservatori, contro l'asserzione positiva del documento, l'attacco a Stefano non fosse ufficiale, ma un tumulto popolare, le autorità romane avrebbero preso qualche azione riguardo ad essa. Di ciò, comunque, non c'è nessuna menzione. Dobbiamo ricordare ance che, sebbene ci potrebbe essere stata una comunità cristiana ellenistica a Gerusalemme, le sette gnostiche ebraiche erano localizzate nelle città di Grecia ed Asia Minore e in Egitto.
Il motivo dello scrittore nell'inventare questa persecuzione e una conseguente “dispersione” fu probabilmente per spiegare la diffusa esistenza di comunità cristiane in una data più antica di quanto sarebbe stata possibile nella visione tradizionale dell'origine del cristianesimo. Secondo gli Atti, Paolo trova credenti in luoghi in cui nessun missionario cristiano vi si era recato in precedenza.
Se Gesù fosse stato condannato a morte dagli ebrei ci sarebbe stata una rivalità tra cristiani ed ebrei fin dal principio; ma questo evidentemente non era il caso. Il lettore consideri attentamente l'attitudine mentale verso gli ebrei ostentata dagli scrittori di Romani 2:17-29, [Il verso 24 probabilmente è un'interpolazione, esso colpisce come una nota discordante; ma quella non è la sola ragione per credere che sia stato interpolato. A Critical Analysis of the Four Chief Pauline Epistles, pag. 45.] e la confronti con la dura invettiva contro gli scribi e i farisei nei sinottici e contro in generale gli ebrei in Giovanni. L'ammonizione nel primo di quei paragrafi non è diretta contro gli ebrei come tali, ma contro quelli ebrei che, avendo il vantaggio di una conoscenza della legge, non si comportarono in conformità. Naturalmente ci devono essere stati ebrei del genere. In questo paragrafo c'è un'ammonizione ma non asprezza e nessuna invettiva. L'obiettivo dello scrittore è mostrare che un buon gentile è migliore di un cattivo ebreo. Nel verso 29 egli scrive che essere spiritualmente un ebreo è il suo ideale.
Il secondo paragrafo è scritta nel dolore, per nulla affatto nella rabbia. [Sfortunatamente questo paragrafo è molto interpolato; 9:14-24, 30-32; 11:1-8 sono inserzioni posteriori.] Lo scrittore, un ebreo egli stesso, è rammaricato che i suoi fratelli ebrei non abbiano accettato l'offerta di salvezza fatta mediante Cristo, la fede nel quale ha soppiantato la legge ebraica. Il suo Cristo è il Logos (la Parola), il Signore, che Dio resuscitò dai morti. Osserva in particolare che in nessuno di quei paragrafi c'è qualche attribuzione della morte di Gesù agli ebrei; sebbene sembra davvero improbabile che nei capitoli 9-11, considerando la natura del ragionamento, il fatto non dovesse essere stato riferito se fosse stato noto. Da 10:2-9, dove lo scrittore reca testimonianza che gli ebrei hanno uno zelo per Dio e poi procede a parlare di Cristo, riferendosi infine alla sua resurrezione, appare che nella sua mente ciò fosse solo una questione di Cristo e la legge, una materia di credo dogmatico. Gli ebrei avevano rifiutato Cristo, il Logos divino, e aderito alla loro legge; ma dal silenzio dello scrittore sul soggetto si può ricavare sicuramente che non esisteva il credo che l'avessero ucciso loro.
Il primo di quei due paragrafi si scrisse probabilmente qualche tempo prima della caduta di Gerusalemme; il secondo poco dopo quell'evento. In 1 Corinzi 10:1-11, nuovamente, [Scritto probabilmente appena prima della caduta di Gerusalemme.] l'autore, che fu anche l'autore di Romani 9-11, si identifica cogli ebrei; egli parla dei “nostri padri che passarono tutti attraverso il mare”. Il paragrafo comprende una recitazione di offese per le quali gli ebrei erano incorsi nella collera di Dio. In quale maniera potevano essere incorsi nell'ira di Dio in una misura più grande se non uccidendo il Cristo? Sembra improbabile che in questo paragrafo lo scrittore non dovesse aver menzionato quell'offesa se egli l'avesse saputa. Ed egli avrebbe scritto in termini davvero diversi a proposito degli ebrei se egli l'avesse saputo. Egli non fa alcun attacco agli ebrei, e neppure li condanna nella loro totalità; ma, come uno di loro stessi, egli ammette gli errori di cui erano stati colpevoli alcuni di loro. [La differenza di tono osservabile tra 1 Corinzi 10:1-11 e Romani 9-11 è dovuta al fatto che Gerusalemme era caduta nel frattempo. Il dolore venne prima; non molto dopo seguirono ostilità e condanna. I passi citati in precedenza in cui è detto che gli ebrei hanno ucciso Gesù sono di una data più tarda di quelli qui riferiti.] Nessun vangelo, naturalmente, era ancora stato scritto.
Prima della caduta di Gerusalemme, allora, le sette misteriche cristiane furono sette puramente e semplicemente degli ebrei, sebbene si accettassero convertiti gentili, e tra loro e gli ebrei non ci fosse nessuna ostilità. Essi tenevano varie dottrine e i loro misteri, sebbene simili, non erano identicamente gli stessi. Non c'era ancora nessuna Chiesa cristiana organizzata.
La caduta di Gerusalemme portò rapidamente ad un gran cambiamento. Come risultato di quella catastrofe era minacciata la stessa esistenza della nazione ebraica. I capi ebrei sentirono che ora la loro religione era il solo legame a poter tenere assieme la razza e preservare la sua esistenza nazionale. Coerentemente si insistette su una stretta osservanza della legge ebraica. A nessuno che la rifiutasse si poteva permettere ogni presenza ulteriore nella comunità ebraica. Eventualmente anche i farisei credettero che la caduta di Gerusalemme fosse una punizione divina in cui era incorso il popolo tollerando entro la loro comunione uomini che non si sarebbero conformati al modello ebraico di giustizia legale. Di conseguenza essi non avrebbero più tollerato le sette ebraiche ellenistiche. Si condannarono tutti gli scritti gnostici come ad esempio le Odi di Salomone e tutte le Apocalissi. Se non fossero stati preservati dai cristiani essi sarebbero stati distrutti.
Esiste una ragione per pensare che ad alcuni degli gnostici ebrei la loro esclusione dalla comunità ebraica fosse penosa in generale. A dispetto delle differenze dottrinali essi si erano sentiti ancora ebrei e furono orgogliosi probabilmente di essere capaci di definirsi tali. Ed essi avevano sperato di convertire la razza ebraica alla loro dottrina cristologica. Ma, per quanto con riluttanza, essi dovettero separarsi. I culti misterici furono costretti a volgersi sempre di più ai gentili, e rapidamente crebbe un'ostilità tra loro stessi e gli ebrei ortodossi. Allora accadde, negli ultimi decenni del primo secolo e durante il secondo, che si generò la situazione di cui abbiamo una prova nei vangeli e negli Atti degli Apostoli. L'invettiva contro gli scribi e i farisei messa sulle labbra di Gesù nei vangeli fu un'espressione di odio cristiano che aveva cominciato ad esistere soltanto in seguito nel primo secolo. La profezia di Gesù ai suoi discepoli, che essi sarebbero stati torturati nelle sinagoghe e perseguitati da città in città rappresenta il reale stato delle cose al tempo quando si scrissero i vangeli. [Studiosi ebrei, Chwolson, Friedländer, Lublinski e altri, concordano che il quadro evangelico descrive i farisei non del primo ma del secondo secolo.] Le sette cristiane diventarono presto consapevoli di sé stesse come una nuova forza nel mondo; ed furono tratte o indotte assieme da un obiettivo comune e da una comune persecuzione. Tra gli ebrei che erano venuti sotto l'influenza greca era già esistito il credo che la razza ebraica avesse una missione divina per portare i gentili alla conoscenza di Dio. Il credo venne ripreso; ed ha probabilmente ragione W. B. Smith nel dire che una guerra contro il politeismo fu tra le prime delle influenze unificanti all'opera. Ci furono anche, senza dubbio, uomini che ebbero l'intuito di vedere che c'era spazio nel mondo per una nuova organizzazione religiosa che dovesse occupare il posto lasciato vacante dagli ebrei, la cui religione, come ha osservato il signor Whittaker, dopo la rivolta soppressa da Adriano, si ritirò nell'assoluta esclusività che da allora ha sempre mantenuto. L'unione non fu rapida; [“La ‘grande Chiesa’ (secondo secolo) non è, come assumono gli studiosi, la Chiesa cattolica, ma una sciolta federazione di comunità che non avevano ancora assunto le forme altamente organizzate di governo e teologia che si definiscono cattoliche”. Dr. W. Woelker, Das Bird vom nichtgnostischen Christentum bei Celsus (Halle, Waisenhaus).] E neppure fu raggiunta senza considerevole attrito, un compromesso reciproco, e anche dissidio, di cui c'è prova sufficiente nell'antica letteratura cristiana. In realtà non ci sembra essere mai stato un tempo in cui tutti i cristiani tenessero una dottrina comune. Durante tutto il secondo secolo le due correnti separate, quella gnostica e quella sacrificale, si possono distinguere chiaramente. Gli Apologeti ed Origene sono rappresentanti della prima, Ignazio della seconda. Ma la caduta di Gerusalemme è il principio storico dell'era cristiana.
Alcune persone che sono consapevoli del fatto che tutti i dogmi principali del cristianesimo sono di origine pre-cristiana pensano che, nondimeno, ci deve essere stato qualche uomo di nome Gesù che fornì un focus, per dir così, o un centro di cristallizzazione attorno cui potessero raggrupparsi i dogmi. La difficoltà di quell'opinione, come sottolineata già, è concepire in che modo qualche uomo così insignificante da essere ignoto alla Storia possa essere diventato in un breve tempo, oppure perfino in un lungo tempo, il punto centrale di dogmi così tremendi. E l'ipotesi è veramente inutile. Già nel culto di Giosuè vi esisteva un Gesù sacrificato attorno al quale poter collezionare tutti gli altri dogmi. Tutto ciò che era necessario fu scrivere una storia della vita del dio durante il suo presunto soggiorno sulla terra, e fissare la sua apparizione in qualche data precisa. In un'epoca acritica non ci sarebbe voluto molto prima che la storia venisse creduta. Assai pochi di coloro che la lessero sarebbero stati nella posizione di verificare le dichiarazioni fatte in essa, specialmente quando era sopraggiunta la distruzione di Gerusalemme. E così i vangeli fornirono la chiave di volta per l'arco. Se, come pare quasi certo, il Logos era già chiamato Gesù, il Gesù-Logos, che era stato ucciso dagli Arconti perché gli uomini si potessero salvare dai demoni malvagi, e il dio-salvatore Gesù che era stato sacrificato per la redenzione, prima degli ebrei, e poi di tutta l'umanità, tendevano naturalmente a fondersi non appena la loro adorazione divenne diffusa più ampiamente.
Prima della caduta di Gerusalemme quelle sette furono tollerate dai farisei, che forse nutrirono anche una certa dose di simpatia per la loro visione religiosa; nella misura in cui anche gli stessi farisei credevano nell'esistenza di esseri divini (angeli), temevano demoni, e utilizzavano incantesimi e nomi sacri come difesa contro di loro. È stata fornita qualche prova di questo; potremo citare anche Matteo 12:27: “E se io scaccio i demòni con l'aiuto di Belzebù, con l'aiuto di chi li scacciano i vostri figli?”. Gli gnostici, mentre riverivano il Logos come Figlio di Dio, oppure come un'emanazione da Dio, erano nominalmente monoteisti. E perfino l'ebreo monoteista Filone poteva scrivere del Logos e di Sofia come esseri divini.
La credibilità della storia del martirio di Stefano in Atti è stata seriamente messa in dubbio da parecchi commentatori, e non c'è una prova storica indipendente di essa. Una difficoltà che è stata riconosciuta anche da teologi relativamente conservatori è che “per gli ebrei porre a morte così un qualsiasi criminale sotto la propria responsabilità era completamente illegale”. [Enclyc. Bibl., Art. “Stefano.”] Il tentativo dell'autore di quelle parole di superare la difficoltà si infrange contro il fatto che la Chiesa cristiana a Gerusalemme vi continuò abbastanza indisturbata. È vero che in 8:1 ci viene detto che sorse una grande persecuzione e che la Chiesa si disperse; tranne, continua il documento, gli Apostoli! Come se i capi sarebbero stati lasciati soli mentre tutti gli altri sarebbero stati dispersi all'estero, e nel capitolo 21, la Chiesa è ancora là, con fratelli e anziani, con nessuno a interferire tra loro. Perfino se, come assumono i teologi conservatori, contro l'asserzione positiva del documento, l'attacco a Stefano non fosse ufficiale, ma un tumulto popolare, le autorità romane avrebbero preso qualche azione riguardo ad essa. Di ciò, comunque, non c'è nessuna menzione. Dobbiamo ricordare ance che, sebbene ci potrebbe essere stata una comunità cristiana ellenistica a Gerusalemme, le sette gnostiche ebraiche erano localizzate nelle città di Grecia ed Asia Minore e in Egitto.
Il motivo dello scrittore nell'inventare questa persecuzione e una conseguente “dispersione” fu probabilmente per spiegare la diffusa esistenza di comunità cristiane in una data più antica di quanto sarebbe stata possibile nella visione tradizionale dell'origine del cristianesimo. Secondo gli Atti, Paolo trova credenti in luoghi in cui nessun missionario cristiano vi si era recato in precedenza.
Se Gesù fosse stato condannato a morte dagli ebrei ci sarebbe stata una rivalità tra cristiani ed ebrei fin dal principio; ma questo evidentemente non era il caso. Il lettore consideri attentamente l'attitudine mentale verso gli ebrei ostentata dagli scrittori di Romani 2:17-29, [Il verso 24 probabilmente è un'interpolazione, esso colpisce come una nota discordante; ma quella non è la sola ragione per credere che sia stato interpolato. A Critical Analysis of the Four Chief Pauline Epistles, pag. 45.] e la confronti con la dura invettiva contro gli scribi e i farisei nei sinottici e contro in generale gli ebrei in Giovanni. L'ammonizione nel primo di quei paragrafi non è diretta contro gli ebrei come tali, ma contro quelli ebrei che, avendo il vantaggio di una conoscenza della legge, non si comportarono in conformità. Naturalmente ci devono essere stati ebrei del genere. In questo paragrafo c'è un'ammonizione ma non asprezza e nessuna invettiva. L'obiettivo dello scrittore è mostrare che un buon gentile è migliore di un cattivo ebreo. Nel verso 29 egli scrive che essere spiritualmente un ebreo è il suo ideale.
Il secondo paragrafo è scritta nel dolore, per nulla affatto nella rabbia. [Sfortunatamente questo paragrafo è molto interpolato; 9:14-24, 30-32; 11:1-8 sono inserzioni posteriori.] Lo scrittore, un ebreo egli stesso, è rammaricato che i suoi fratelli ebrei non abbiano accettato l'offerta di salvezza fatta mediante Cristo, la fede nel quale ha soppiantato la legge ebraica. Il suo Cristo è il Logos (la Parola), il Signore, che Dio resuscitò dai morti. Osserva in particolare che in nessuno di quei paragrafi c'è qualche attribuzione della morte di Gesù agli ebrei; sebbene sembra davvero improbabile che nei capitoli 9-11, considerando la natura del ragionamento, il fatto non dovesse essere stato riferito se fosse stato noto. Da 10:2-9, dove lo scrittore reca testimonianza che gli ebrei hanno uno zelo per Dio e poi procede a parlare di Cristo, riferendosi infine alla sua resurrezione, appare che nella sua mente ciò fosse solo una questione di Cristo e la legge, una materia di credo dogmatico. Gli ebrei avevano rifiutato Cristo, il Logos divino, e aderito alla loro legge; ma dal silenzio dello scrittore sul soggetto si può ricavare sicuramente che non esisteva il credo che l'avessero ucciso loro.
Il primo di quei due paragrafi si scrisse probabilmente qualche tempo prima della caduta di Gerusalemme; il secondo poco dopo quell'evento. In 1 Corinzi 10:1-11, nuovamente, [Scritto probabilmente appena prima della caduta di Gerusalemme.] l'autore, che fu anche l'autore di Romani 9-11, si identifica cogli ebrei; egli parla dei “nostri padri che passarono tutti attraverso il mare”. Il paragrafo comprende una recitazione di offese per le quali gli ebrei erano incorsi nella collera di Dio. In quale maniera potevano essere incorsi nell'ira di Dio in una misura più grande se non uccidendo il Cristo? Sembra improbabile che in questo paragrafo lo scrittore non dovesse aver menzionato quell'offesa se egli l'avesse saputa. Ed egli avrebbe scritto in termini davvero diversi a proposito degli ebrei se egli l'avesse saputo. Egli non fa alcun attacco agli ebrei, e neppure li condanna nella loro totalità; ma, come uno di loro stessi, egli ammette gli errori di cui erano stati colpevoli alcuni di loro. [La differenza di tono osservabile tra 1 Corinzi 10:1-11 e Romani 9-11 è dovuta al fatto che Gerusalemme era caduta nel frattempo. Il dolore venne prima; non molto dopo seguirono ostilità e condanna. I passi citati in precedenza in cui è detto che gli ebrei hanno ucciso Gesù sono di una data più tarda di quelli qui riferiti.] Nessun vangelo, naturalmente, era ancora stato scritto.
Prima della caduta di Gerusalemme, allora, le sette misteriche cristiane furono sette puramente e semplicemente degli ebrei, sebbene si accettassero convertiti gentili, e tra loro e gli ebrei non ci fosse nessuna ostilità. Essi tenevano varie dottrine e i loro misteri, sebbene simili, non erano identicamente gli stessi. Non c'era ancora nessuna Chiesa cristiana organizzata.
La caduta di Gerusalemme portò rapidamente ad un gran cambiamento. Come risultato di quella catastrofe era minacciata la stessa esistenza della nazione ebraica. I capi ebrei sentirono che ora la loro religione era il solo legame a poter tenere assieme la razza e preservare la sua esistenza nazionale. Coerentemente si insistette su una stretta osservanza della legge ebraica. A nessuno che la rifiutasse si poteva permettere ogni presenza ulteriore nella comunità ebraica. Eventualmente anche i farisei credettero che la caduta di Gerusalemme fosse una punizione divina in cui era incorso il popolo tollerando entro la loro comunione uomini che non si sarebbero conformati al modello ebraico di giustizia legale. Di conseguenza essi non avrebbero più tollerato le sette ebraiche ellenistiche. Si condannarono tutti gli scritti gnostici come ad esempio le Odi di Salomone e tutte le Apocalissi. Se non fossero stati preservati dai cristiani essi sarebbero stati distrutti.
Esiste una ragione per pensare che ad alcuni degli gnostici ebrei la loro esclusione dalla comunità ebraica fosse penosa in generale. A dispetto delle differenze dottrinali essi si erano sentiti ancora ebrei e furono orgogliosi probabilmente di essere capaci di definirsi tali. Ed essi avevano sperato di convertire la razza ebraica alla loro dottrina cristologica. Ma, per quanto con riluttanza, essi dovettero separarsi. I culti misterici furono costretti a volgersi sempre di più ai gentili, e rapidamente crebbe un'ostilità tra loro stessi e gli ebrei ortodossi. Allora accadde, negli ultimi decenni del primo secolo e durante il secondo, che si generò la situazione di cui abbiamo una prova nei vangeli e negli Atti degli Apostoli. L'invettiva contro gli scribi e i farisei messa sulle labbra di Gesù nei vangeli fu un'espressione di odio cristiano che aveva cominciato ad esistere soltanto in seguito nel primo secolo. La profezia di Gesù ai suoi discepoli, che essi sarebbero stati torturati nelle sinagoghe e perseguitati da città in città rappresenta il reale stato delle cose al tempo quando si scrissero i vangeli. [Studiosi ebrei, Chwolson, Friedländer, Lublinski e altri, concordano che il quadro evangelico descrive i farisei non del primo ma del secondo secolo.] Le sette cristiane diventarono presto consapevoli di sé stesse come una nuova forza nel mondo; ed furono tratte o indotte assieme da un obiettivo comune e da una comune persecuzione. Tra gli ebrei che erano venuti sotto l'influenza greca era già esistito il credo che la razza ebraica avesse una missione divina per portare i gentili alla conoscenza di Dio. Il credo venne ripreso; ed ha probabilmente ragione W. B. Smith nel dire che una guerra contro il politeismo fu tra le prime delle influenze unificanti all'opera. Ci furono anche, senza dubbio, uomini che ebbero l'intuito di vedere che c'era spazio nel mondo per una nuova organizzazione religiosa che dovesse occupare il posto lasciato vacante dagli ebrei, la cui religione, come ha osservato il signor Whittaker, dopo la rivolta soppressa da Adriano, si ritirò nell'assoluta esclusività che da allora ha sempre mantenuto. L'unione non fu rapida; [“La ‘grande Chiesa’ (secondo secolo) non è, come assumono gli studiosi, la Chiesa cattolica, ma una sciolta federazione di comunità che non avevano ancora assunto le forme altamente organizzate di governo e teologia che si definiscono cattoliche”. Dr. W. Woelker, Das Bird vom nichtgnostischen Christentum bei Celsus (Halle, Waisenhaus).] E neppure fu raggiunta senza considerevole attrito, un compromesso reciproco, e anche dissidio, di cui c'è prova sufficiente nell'antica letteratura cristiana. In realtà non ci sembra essere mai stato un tempo in cui tutti i cristiani tenessero una dottrina comune. Durante tutto il secondo secolo le due correnti separate, quella gnostica e quella sacrificale, si possono distinguere chiaramente. Gli Apologeti ed Origene sono rappresentanti della prima, Ignazio della seconda. Ma la caduta di Gerusalemme è il principio storico dell'era cristiana.
Alcune persone che sono consapevoli del fatto che tutti i dogmi principali del cristianesimo sono di origine pre-cristiana pensano che, nondimeno, ci deve essere stato qualche uomo di nome Gesù che fornì un focus, per dir così, o un centro di cristallizzazione attorno cui potessero raggrupparsi i dogmi. La difficoltà di quell'opinione, come sottolineata già, è concepire in che modo qualche uomo così insignificante da essere ignoto alla Storia possa essere diventato in un breve tempo, oppure perfino in un lungo tempo, il punto centrale di dogmi così tremendi. E l'ipotesi è veramente inutile. Già nel culto di Giosuè vi esisteva un Gesù sacrificato attorno al quale poter collezionare tutti gli altri dogmi. Tutto ciò che era necessario fu scrivere una storia della vita del dio durante il suo presunto soggiorno sulla terra, e fissare la sua apparizione in qualche data precisa. In un'epoca acritica non ci sarebbe voluto molto prima che la storia venisse creduta. Assai pochi di coloro che la lessero sarebbero stati nella posizione di verificare le dichiarazioni fatte in essa, specialmente quando era sopraggiunta la distruzione di Gerusalemme. E così i vangeli fornirono la chiave di volta per l'arco. Se, come pare quasi certo, il Logos era già chiamato Gesù, il Gesù-Logos, che era stato ucciso dagli Arconti perché gli uomini si potessero salvare dai demoni malvagi, e il dio-salvatore Gesù che era stato sacrificato per la redenzione, prima degli ebrei, e poi di tutta l'umanità, tendevano naturalmente a fondersi non appena la loro adorazione divenne diffusa più ampiamente.
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