mercoledì 30 aprile 2014

Dell'enigmatica natura dell'epistola di Giacomo

L'epistola di Giacomo mi ha sempre impressionato. Non perchè sembra l'unica lettera sopravvissuta che tradisce una visione giudeocristiana. Ma perchè non sembra per niente un'epistola cristiana.

Tanto per cominciare, Giacomo scrive ''Gesù Cristo'' solo due volte. La prima riga dei primi due capitoli. E basta. E nè si può dire che la lettera originaria prevedesse dei ''capitoli''.

Nessuna citazione, tantomeno allusione, a Gesù. Giacomo, o meglio chi per lui, attinge dal Tanak per esprimere quello che vuole dire.

Cita a piene mani Levitico 19:18, Esodo 20:14, Deuteronomio 5:18, Genesi 15:16 e Proverbi 3:34. Ma non cita mai Gesù. Al pari di quanto mi attendevo da Paolo, Giacomo poteva semplicemente appellarsi alle parole del suo Signore Gesù sulle questioni che lo preoccupavano.

D'altro canto si tratta di una lettera complessivamente breve ma quei due sconcertanti aspetti -- menzionare Gesù solo due volte e mai riferire le sue parole -- tradisce forse la natura originariamente non cristiana di questa epistola. Forse si trattava di un documento ebraico che fu cooptato da cristiani, forse cristiani ebioniti, con l'inserimento di quei due solitari riferimenti a Gesù.

L'epistola è decisamente favorevole ai ''poveri'', proprio cosa significa il termine ''ebioniti''.

Rimuovendo i due riferimenti a Gesù, la lettera mantiene la sua logica e il suo flusso del discorso, e questo potrebbe essere un indizio di interpolazione di quei due magri riferimenti a Gesù. I quali non aggiungono alcun contenuto, contesto o logica alla lettera. Così o non si tratta affatto di un documento cristiano, oppure ha una vista di Gesù simile a quella di Paolo oppure ancora rivela un tipo di cristianesimo ancora indistinguibile dall'ebraismo come un intero. Un Gesù che è mero agente di salvezza e non un predicatore itinerante. 
Giacomo non sembra interessato nè al Gesù Storico e neppure al Gesù Risorto. A che cosa, allora? Alla parusia imminente del “Cristo celeste”.

In quella lettera “Gesù salva” non mediante la sua morte e risurrezione, ma solo nella misura in cui la sua parusia celeste segnerà la distruzione degli oppressori corrotti degli eletti di Dio e la costituzione dell'età di felicità a lungo promessa ai giusti. La lettera di Giacomo indica un antico mito cristiano che, seppure diverso dal mito incentrato sulla morte-e-risurrezione riflesso in così tanto della restante letteratura cristiana, è coerente in misure significative con il pensiero messianico ebraico del primo secolo.

Non solo la descrizione di Gesù fatta da Giacomo in uno dei più antichi scritti cristiani lascia aperta la possibilità che il “suo” Gesù sia una “figura celeste”, ma la sua lettera permette di avvistare anche la natura frammentaria del cristianesimo primitivo. I giudeocristiani di Giacomo sembrano meno interessati all'atto finale salvifico di Gesù per il bene di tutta l'umanità, e decisamente più interessati alla restaurazione nazionale, “la ricostituzione del regno delle dodici tribù”, il sogno messianico di un Israele riunificato da un'entità celeste e vendicativa.
Quando Gesù parla della salvezza, si tratta di una salvezza che non ha nulla a che fare con la morte e risurrezione di Gesù:
Perciò liberatevi da ogni impurità e da ogni eccesso di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza.
(Lettera di Giacomo 1:21)

Ovviamente, un cristiano proto-cattolico non avrebbe avuto nessun impedimento a vedere nella parola che salva LA Parola, alias il Logos Gesù. E d'altra parte gli ebioniti non prevedevano alcun valore salvifico per la morte di Gesù nella loro teologia giudaizzante. Eppure mi chiedo che cosa diavolo intende Giacomo con la ''parola'' che salva. Potrei ipotizzare un qualche tipo di predicazione. Per incredibile, enorme coincidenza, quest'epistola non menziona nulla sulle ''buone notizie'' o sui vangeli da predicare.

Il primo testimone che sembra aver sentore di questa lettera è Ireneo che scrive verso la fine del Secondo secolo.

E quell'uomo non era giustificato per quelle cose, ma il fatto che fossero offerte come segno al popolo illustra -- che lo stesso Abramo, senza circoncizione e senza osservanza del Sabato, ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio.
(Ireneo, Contro le Eresie 4:16.2)

Sta citando Giacomo 2:23 (''E si compì la Scrittura che dice: Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio.''), ma sta citando in realtà Genesi 15:6. Ciò che condivide solo con Giacomo è l'espressione finale ''amico di Dio''. C'è da chiedersi che non sia piuttosto farina del suo sacco e che dunque sta citando solo Genesi senza toccare per nulla Giacomo. Non dice infatti da dove ha copiato ''amico di Dio''. Eppure Ireneo è uno che di certo, A DIFFERENZA DI PAOLO (un indizio decisamente sfavorevole ai folli apologeti), fa nome e cognome di chi cita, appena prima la frase precedente:

Infatti noi, dice l'apostolo, siamo stati circoncisi con la circoncisione non fatta da mano d'uomo (Colossesi 2:11) E il profeta dichiara, circoincidete dunque il vostro cuore ostinato (Deuteronomio 10:16). .... Infatti noi siamo contati, dice l'Apostolo Paolo, tutto il giorno come pecore da macello; (Romani 8:36) 
 

Origene, una generazione dopo Ireneo, conosce davvero l'epistola di Giacomo. Ne parla come della ''Epistola di Giacomo che è in circolazione'' (Commentario a Giovanni 19:61) così non dà adito a dubbi.

Penso che questa epistola fosse originariamente ebraica, ma gli ebioniti se ne impossessarono. Aggiunsero un clima ebionita/''cristiano'' in questa lettera per farne uno strumento anti-cattolico e anti-paolino nel Secondo secolo.

Pur così, ancora non riesco a spiegarmi per quale fottutissima ragione questi fantomatici ebioniti giudeocristiani non avrebbero approfittato, se quello che cercavano in fin dei conti era solo fare l'ennesimo appello ad auctoritatem in reazione alla Grande Chiesa, di chiamare nell'incipit l'autore della lettera ''Giacomo, IL fratello di Gesù'', invece  di esordire meramente con un ''Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo''.

Quale fratello di un così grande uomo è così insignificante da non meritare neppure l'onore di essere riconosciuto come tale?

Così, cosa dovrei dedurne? So solo una cosa: questa lettera non ha assolutamente nulla a che fare con Gesù e con ogni questione squisitamente cristiana. Nessuna risurrezione. Nessuna croce. Niente ''buone nuove'' o ''vangelo''.

Non è nemmeno una lettera cristiana, probabilmente. Forse quel folle apologeta duro e puro di Martin Lutero aveva davvero visto giusto!