lunedì 9 febbraio 2015

Perchè i Proto-Cattolici temevano il Vangelo di Marco/“Ditocorto” assai più del “Lupo del Ponto” (e perchè quella strana passione degli Gnostici per Marco)

ERESIE: Necessarie alla Chiesa per valorizzare le attitudini dei nostri sacri gladiatori e non fare arrugginire le loro spade. Qualunque opinione contraria a quella dei teologi, depositari della nostra fiducia o abbastanza degni di credito da far prevalere la loro, è chiaramente un'eresia. Ne consegue che gli eretici sono sempre teologi, senza battaglioni sufficienti a rendersi ortodossi. 
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

Cosa so per certo fin qui? Cosa è evidente?

Tanto per cominciare, che un Gesù storico è totalmente estromesso dal quadro delle Origini. Non è solo inutile e irrilevante per spiegare l'evidenza, ma se lo assumi gratis lo rendi solo un inutile parassita, incapace com'è sia di imprimere un impulso originario, tantomeno un senso, al tutto, sia di meritare un qualche pur vago ricordo per un impulso originario che anche un Gesù Puro Spirito Celeste poteva benissimo efficacemente provocare al suo posto (e senza creare per questo alcun assurdo, imbarazzante silenzio su di sè).

La verità è che il cristianesimo è nato solo nella seconda metà del II secolo. Ovviamente non sto dicendo che non accadde nulla di ''cristiano'' nel I secolo, ma solo che quel poco di marginale che vi accadde - e cioè un visionario apocalittico che aveva rotto i legami con alcuni apocalittici visionari di Gerusalemme girò per il bacino del Mediterraneo predicando la fede in un celeste ''Cristo Gesù'' (col quale si auto-identificava enigmaticamente), ottenendo per questo un sacco di maledizioni, di ingiurie, di diffamazioni, di offese, di attacchi, di scomuniche e di stramaledizioni da parte degli stessi che lo avevano inizialmente accolto, seppure freddamente, a casa loro a Gerusalemme, sperando invano di poterlo trattenere dai suoi folli propositi - fu massicciamente filtrato e mediato, prima di arrivare a noi, attraverso spesse lenti proto-cattoliche del II secolo inoltrato brandite fieramente all'insegna della più grottesca quanto rozza e indelicata Reductio ad Unum oltre che delle più folli e insistenti e interessate pretese apologetiche.

Ciò che chiamiamo ''cristianesimo'' fu solo una maschera del II secolo avente il ridicolo scopo di appiccicare un'''identità'' e una ''tradizione'' a chi era privo fondamentalmente, nel I secolo, dell'una e dell'altra. Quei pochi ebrei e gentili del I secolo che per primi legarono sé stessi al concetto di ''Gesù'' non erano nè cristiani, nè uniti, tantomeno ''identici'' ad una sola e unica immagine.

Ne deriva che è inutile per me cercare di ricostruire le esatte parole di Paolo, giacchè perfino la sua identità è solo stata costruita per accumulazione, nelle sue lettere (al di là se autentiche o meno), di strati e strati teologici via via progressivamente cattolicizzanti nel tempo (paraddossalmente perfino nei suoi più ultimi strati con un assordante silenzio sul ''Gesù storico''). Paolo per me coincide con le sue 7 lettere considerate autentiche solo quando si tratta di esaminare la questione della storicità di Gesù, per puro amore di discussione, ma del resto poi, non avendo più alcun'altra funzione e utilità, svanisce ai miei occhi perfino come personaggio storico propriamente detto. Paolo è storico per me nell'esatta misura in cui lo fu Shakespeare.

L'unico che riscoprì veramente Paolo nel II secolo fu Marcione, e perfino lui non lo comprese del tutto: a che serve allora, di grazia, cercare ancora di sapere se il Paulus Historicus fosse amico o nemico del dio degli ebrei, dello stesso dio adorato dal suo rivale Cefa detto Pietro? È per me una di quelle domande alle quali non sapremo mai rispondere con certezza.
Il Paolo di Marcione contro gli Apostoli dei Proto-Ortodossi.
Agli occhi dei cristiani del II secolo, i protagonisti del I secolo fungevano solo da mere pedine teologiche su una scacchiera. In quella ricostruita scacchiera spazio-temporale ''Paolo'' era la Donna di Marcione e degli eretici, laddove ''Pietro'' era il Re dei proto-cattolici, ''Giacomo'' l'''Alfiere'' dei proto-cattolici mascherati da ebioniti per cooptare questi ultimi, mentre ''Apollo'' o ''Simon Mago'' o ''Tommaso'' o ''Giuda'' o ''Giovanni'' o ''Maria Maddalena'' erano di volta in volta i pedoni preferiti star del momento da eretici infiltratisi nelle retrovie della nascente ''Grande Chiesa'' pur di eludere la principale sfida in corso tra proto-ortodossi e marcioniti per la contesa del centro della scacchiera: ROMA.


Non che la ricerca di una identità fosse totalmente immune da un sincero desiderio di sopravvivenza, nonostante traesse principalmente la sua origine dal (per definizione: concentrazionario) universo della proto-cattolica Reductio ad Unum. Il cristianesimo reale fu storicamente una reazione alla spietata repressione della Rivolta di Bar Kochba.

Quel pedofila di Adriano bandì la circoncisione e la sua pratica nell'ebraismo. Il mondo si risvegliò la prima volta ostile, e non solo sarcastico, verso gli scritti, i costumi e la religione ebraica. Era la condizione ideale per lo sviluppo di un'antitesi capace di offrire ad una oscura setta ebraica marginale una prospettiva di sopravvivenza nel mondo gentile come ALTRO dall'ebraismo e senza per ciò unirsi al disprezzo generale verso quest'ultimo (e tuttavia, con la possibilità sempre latente di farlo, come poi di fatto accadde).

La pubblicazione di Marcione del primo Nuovo Testamento dovrebbe prendere ai miei occhi il posto tradizionale assegnato a ''dopo Cristo'' e ''avanti Cristo''. Perchè davvero solo con Marcione ci fu un ''prima'' e un ''dopo''. Che piaccia o meno, fu Marcione l'uomo che spezzò la Storia in due tronconi. Non Paolo. E tantomeno un ''Gesù storico''. Senza di lui, niente Paolo ''riscoperto'', niente resurrezione nel credo, niente cristianesimo gentile, nessuna necessità di un vangelo, tantomeno di un ''Gesù storico'' sulle cui fittizie spalle avanzare le più intolleranti e insistenti pretese di possedere ''solo e soltanto la verità''. Senza di lui, il cristianesimo sarebbe vissuto per un altro centinaio di secoli all'interno dell'ebraismo come eresia ebraica marginale, per poi estinguersi su sè stesso nel bel mezzo di niente. Senza Marcione, questo blog sarebbe nato (mi spiace dirlo: con 5 secoli di anticipo) per mettere in discussione la storicità di Mitra.

La reazione a Marcione fu tanto rapida quanto disconnessa. Il Vangelo di Marcione, il primo ad essere stato scritto, fu probabilmente l'innesco che spinse i proto-cattolici a organizzarsi e a serrare i ranghi, iniziando l'espulsione di tutti i simpatizzanti reali o presunti alla chiesa di Marcione. 


E qui inizia il divertimento. Perchè quelli sono gli anni, pochi ma immensamente cruciali e fatidici, che vide la nascita del ''Gesù storico''. Il Gesù di Marcione era ancora un angelo risplendente di luce. Per definizione, non era affatto ''storico''. Marcione poteva essere storicista per quanto riguarda la passione e la morte reali del suo Gesù sulla croce, ma credere la crocifissione un fatto storico non prova che il crocifisso lo fosse altrettanto. E Gesù per Marcione era solo ''in apparenza di uomini'', un angelo sceso dal cielo all'improvviso e inaspettatamente, non vero uomo del tutto. Era la negazione della Storia che, a dispetto della Storia, era penetrata nella Storia per negarla e contraddirla ulteriormente.

La proposizione ''Gesù fu storicizzato tutto una volta'' è vera se si considera l'estrema rapidità con cui la potente narrazione del Vangelo di Marcione sedusse perfino i suoi più ostinati e radicali nemici inducendoli a mettere pure loro mano alla penna il più in fretta possibile. Marcione stesso si auto-illuse che scrivere un vangelo equivaleva a ricevere una rivelazione personale celeste dall'angelo Gesù in persona. Grazie a Marcione, il potere della scrittura sostituì il (e subentrò al) potere della possessione spirituale. Ciò che era scritto una volta per tutte, per quanto veniva interpretato (e interpolato) in mille modi diversi, acquisì via via più potere di mille rivelazioni o allucinazioni celesti.

D'altro canto, c'è una certa misura per la quale la stessa proposizione ''Gesù fu storicizzato tutto una volta'' è da considerarsi falsa. Perchè il Gesù celeste non divenne storico già col primo vangelo. Divenne prima docetizzato o ''angelizzato'' sulla Terra col Vangelo di Marcione. Fu considerato ''storico'' quando, col vangelo di Marco, Gesù fu considerato un uomo posseduto dall'angelo Gesù (e quell'uomo però, per l'originario autore del vangelo di Marco, fu lo stesso uomo chiamato Paolo). Infine solo con Matteo il separazionismo di Marco fu bonificato del tutto e solo con Luca Gesù fu pensato completamente ''storico'' da cima a fondo.

Poi si riscrisse la Storia accusando Marcione di essere il falsario quando invece lo era l'autore di Luca-Atti al suo posto.



Chi fu allora l'autore del vangelo di Marco?

Di certo un ardente e radicale paolinista.

Questo lo collocherebbe vicino a Marcione, il primo vero paolinista della Storia.

Però Marcione merita di essere considerato più fedelmente paolino di Marco (nonostante per il Vangelo di Marcione Gesù fosse principalmente un angelo) nella misura in cui Marcione si basava su lettere di Paolo più vicine all'originale (se un Paolo è mai esistito del tutto) e contemporamente Marco si basava su lettere di Paolo già falsificate e interpolate dai proto-cattolici in tutta la loro estensione. Rimarrà un mistero sapere se Paolo fu falsificato prima che fu riscoperto da Marcione oppure immediatamente dopo che fu pubblicato nella sua voce più originale da Marcione col primo Nuovo Testamento (io personalmente tendo a questa seconda possibilità, pur di distinguermi da Parvus).

Questo apre la questione invero più divertente di tutte. Ma intanto il lettore è già avvisato che la questione più nevralgica di tutte è sapersi decidere con ragion veduta sulla relazione intercorrente tra Mcn e Marco: appurato finalmente che Matteo e Luca vennero dopo entrambi questi due vangeli, chi venne prima tra Mcn e Marco?

(personalmente spero per la priorità di Mcn e se il lettore subodora qui una certa simpatia per il prof Vinzent, non si sbaglia).

Ma torniamo alla questione che ho chiamato divertente.

Marco.

Il suo autore era sinceramente proto-cattolico? E dunque un mero protagonista della gigantesca reazione a Marcione?

Oppure era un marcionita che si era allontanato su qualche punto da Marcione mimetizzandosi tra le file degli stessi protocattolici?

L'ultima osservazione sembrerà irrazionale ai folli apologeti più sprovveduti tra i miei lettori, eppure si presti l'attenzione a questa davvero singolare situazione.

La chiesa di Marcione è appena germogliata, che già i protocattolici stanno iniziando ad organizzarsi e ad esercitare la loro autorità, purgando gli eretici che predicano ogni cosa di diverso da quanto da loro approvato, e cominciando a contrastare Marcione per tutta la lunghezza del fronte costituito dalle sue chiese.

È proprio in questo momento che gli Gnostici cominciarono a germogliare. Non è che non potevano essere mai esistiti prima di allora, anzi per alcuni (Roger Parvus, Robert Price e moltissimi miticisti e anche parecchi storicisti) è quasi certo che fossero già esistiti prima, con tanto di maestri e credenze in un qualche Dio ignoto padre di Cristo, col Dio degli ebrei ridotto a recitare la parte del Demiurgo, ecc.

Forse (e sottolineo questo *forse*) lo stesso Paolo storico fu nient'altri che Simon Mago, il fondatore stesso della Gnosi. Per me probabilità che lo fosse è attesa al 40%.

Fatto sta che il sistema sviluppato dagli Gnostici, come preservatoci dai folli apologeti Ireneo, Giustino, ecc., si basavano su QUALUNQUE Nuovo Testamento che trovavano tra le mani e su QUALUNQUE vangelo in cui si imbattevano. In larga misura di copy-right cattolici. 

Ed è qui l'aspetto più divertente, suggestivo, e nel contempo più frustrante di questi bastardi e dementi Gnostici!

Non sai mai dove cazzo si nascondono, dietro quale verso e quale pericope del vangelo. Laddove basta una sola frase per mandare in tilt l'intera costruzione dogmatica cattolica, per confutare uno Gnostico (e per Gnostico NON sto affatto intendendo Marcione, si badi bene) devi assicurarti che tutti i versi dei tuoi testi sacri in oggetto suonino rigorosamente di sicura impronta cattolica o giudeocristiana. Perchè è sufficiente la presenza di un solo verso gnosticheggiante nel tuo vangelo per offrire il destro ad un'accozzaglia di Gnostici ansiosi follemente di avanzare pretese sulla tua anima di mero psichico ignorante che pensa di essere creato ex nihilo dal Demiurgo (e dunque ignaro della sua vera natura pneumatica). 

Detto in altri termini, gli Gnostici, dopo la stesura dei primi vangeli e anzi già parallelamente a quella stesura (II secolo inoltrato, ricorda), si erano già attrezzati (e qui sarebbe interessante interpretare questa loro mossa in termini evoluzionistici darwiniani di ''struggle of life'') e auto-muniti di vari metodi di esegesi sviluppati ad hoc per identificare di volta in volta, dato in input un particolare testo sacro (vangelo o epistolario Gnostico o cattolico in origine non ha importanza), il messaggio segreto ed esoterico della Gnosi in qualità di output più autentico e spirituale, laddove tutta la zavorra restante non filtrata da quei metodi era da loro considerata fieno inteso per i cristiani carnali (giudeocristiani o proto-cattolici).

Supponi per un istante che Marco fosse originariamente un protocattolico paolino. Uno Gnostico se ne sarebbe fregato di questo suo aspetto, perchè comunque riusciva efficacemente a far pronunciare a quel Marco quel che la signora Gnosi voleva farsi sentire. Un pò ricordano, questi dementi Gnostici, i vari Pier Tulip che riescono a vedere riferimenti astroteologici perfino in un dipinto rinascimentale commissionato da cardinali cattolici (con che utilità per le origini cristiane del I-II secolo lascio facilmente immaginare al lettore)!

In realtà quel che gli Gnostici più intellettualmente dotati stavano facendo era di recuperare l'originario afflato marcionita delle lettere di Paolo sotto lo strato di vernice protocattolica di cui quei testi erano stati impunemente rivestiti in reazione a Marcione.
In questo ebbero parzialmente successo, quantomeno perchè costrinsero gli stessi protocattolici a non abbassare mai la guardia e a preservarci integra una parte cospicua del medesimo Vangelo di Marcione da loro cercato in tutti i modi di eclissare. Ringraziamo il folle apologeta Tertulliano per aver permesso agli studiosi moderni di ricostruire Mcn.

I più goffi tra gli Gnostici ovviamente contribuirono al diluvio di ridicoli vangeli apocrifi scritti in quel periodo, provocando una non desiderata inutile proliferazione di dottrine e cristologie. Uno di quei ridicoli vangeli fu proto-Giovanni, più tardi cattolicizzato. Ma questo non mi interessa affatto.

Interessa invece che gli Gnostici si originarono dallo stesso campo di Marcione (un campo invero vasto e variegato) ma non si considerarono mai ufficialmente membri della chiesa di Marcione. Al contrario, trovarono preferibile rimanere in gran segreto dietro le quinte nelle stesse chiese proto-cattoliche, spacciandosi per proto-cattolici (un pò come in Vaticano ci sono un sacco di atei, pedofili, massoni, ebrei e islamici che si spacciano per cardinali cattolici). In questo modo gli Gnostici si assicurarono una relativa sopravvivenza nel sottosuolo proto-cattolico. Almeno fino a quando non si delegarono le istituzioni politiche stesse per identificarli e sgominarli (ma per quello bisognava aspettare Nicea).

Perchè, allora, ho introdotto gli Gnostici?

Perchè può essere accaduta esattamente una di queste quattro possibilità:

1) Marco fu scritto da uno Gnostico sulla base di Lettere Paoline già cattolicizzate (praticamente le stesse che abbiamo noi oggi). Questo Gnostico si sarebbe allontanato dal docetismo strictu sensu di Marcione, abbracciando invece un adozionismo oppure un separazionismo di matrice gnostica. In apparenza però il suo vangelo sarebbe stato visto come una reazione a Marcione e perciò contato come ''proto-cattolico'' non senza più di una perplessità o sospetto da parte dei protocattolici.

2) Marco fu scritto da un protocattolico paolino (e in questo influenzato da Marcione) che voleva emulare Marcione sul suo stesso terreno: paolinizzare Gesù. Tuttavia proprio per quello - e perchè mostrava segni di separazionismo - quel vangelo fu più letto e apprezzato dagli Gnostici che dai protocattolici, suscitando forti sospetti e perplessità tra i secondi.

3) Marco fu scritto da un protocattolico paolino (come nell'ipotesi 2) e tuttavia, anche se non fu mai letto o utilizzato dagli Gnostici, i protocattolici più scrupolosi nella difesa dell'ortodossia nascente subodorarono la costante minaccia, una sorta di Spada di Damocle, di una cooptazione gnostica di quel vangelo, perciò ridimensionandone al massimo l'autorità e attribuendone la paternità ad un assistente del difensor fidei per antonomasia Pietro (a dispetto del fatto che Marco è anti-petrino nella sua più profonda essenza).

4) L'ipotesi sospettata dal geniale Roger Parvus sebbene lui stesso sembra accettare che una delle tre ipotesi di cui sopra sia più probabile: il Marco protocattolico continuerebbe nella reductio ad Paulum iniziata dal simoniano proto-Marco prima che le lettere di Paolo venissero interpolate.


Io personalmente oscillo tra l'ipotesi 1 e l'ipotesi 2, ma non dubito di sapermi decidere con più certezza in futuro.

Il messaggio veicolato da Marco evidentemente era molto più importante del mezzo con cui lo veicolò.
Ma perchè i folli apologeti noti come ''Padri della Chiesa'' erano così ansiosi di appiccicare corrette credenziali apostoliche all'evangelista Marco? Occorreva evidentemente fugare dei dubbi sul contenuto del nostro Marco, inventandosi la storiella di un Marco segretario di Pietro, massimo garante della proto-cattolicità di un documento. Ma quali erano i dubbi suscitati dal vangelo di Marco?

 Evidentemente, mediante l'imprimatur apostolico dell'associazione rassicurante Marco/Pietro, si poteva solo così disarmare eventuali letture ''devianti'' ed eretiche di questo vangelo.



Una delle strategie che legittimano i folli apologeti proto-cattolici del II secolo era il concetto di successione apostolica. Era noto infatti che l'Antichità stimava di più chi poteva vantare un passato ancestrale, perchè si pensava che la verità precedesse l'errore (che è anche il motivo per cui il pagano Celso disprezzava il cristianesimo per le sue fresche origini mentre da questo punto di vista apprezzava almeno l'ebraismo). Per soddisfare questa necessità di una tradizione antica i folli apologeti si inventarono una linea stabile di successione che permetteva di castigare a discrezione ogni cristiano scismatico reo di deviare dalla cattolica Reductio ad Unum, diffamandolo come parvenu dell'ultima ora e dunque semplicemente poco credibile. Ormai questa frottola non funziona più, tant'è che nessuno crede più al mito della presunta continuità della Traditio dalle Origini fino a Nicea, a parte forse qualche demente folle apologeta cattolico del net come Jerim Pischedda. Siamo tornati oggi paradossalmente ai tempi di San Giovanni Damasceno, il folle apologeta che ammoniva il suo gregge di non confondere l'islamismo con l'ennesima variante del cristianesimo. In fondo, se i teologi alla Mauro Pesce o alla Hans Küng o alla Vito Mancuso catturano le simpatie degli intellettuali cattolici (il lettore mi perdoni se nella stessa riga ho fatto comparire il termine ''intellettuali'' e ''cattolici'') è perchè esortano a trasformare il cattolicesimo in un gesuanesimo che aspira ad essere la fotocopia malriuscita dell'islamismo, con l'enfasi tutta sul ''personaggio storico fondatore'' di turno al di là delle incrostazioni teologiche successive (evidentemente divenute lettera morta per le loro ovvie assurdità). Con la differenza non trascurabile che i cristiani sono condannati ad essere privi di un ''Gesù storico'' mentre i maomettani possono comunque trastullarsi con la probabile storicità di un'evanescente figura di profeta armato (che poteva o meno essersi chiamato Muhammad).

Vociferando a più non posso la presunta pretesa apostolica di ''Marco'', i protocattolici cercarono di eludere l'attenzione sul contenuto del suo vangelo. Ma perchè?



Come spiega Michael Kok (PhD dell'università di Sheffield che crede all'autenticità di Marco Segreto) nella sua tesi di laurea poi divenuta un libro accademico:
Schildgen ha una sintesi appropriata della risposta patristica a Marco: "Il  vangelo non ha i dati necessari trovati in Matteo e Giovanni utili ai padri per chiarire le pratiche liturgiche, ecclesiastiche, o dottrinali". (mia libera traduzione)

Per quanto riguarda i commenti patristici espliciti, Marco è contemporaneamente affermato e immediatamente rinnegato.
La sua apostolicità è affermata e al tempo stesso le sua letterarie o teologiche qualità sono denigrate.


il vangelo di Marco non è in ordine per il folle apologeta Papia, è stato trasmesso dopo la morte di Pietro per il folle apologeta Ireneo, fu accolto da Pietro con indifferenza per il folle apologeta Clemente.


Il suo autore è chiamato con disprezzo un DITOCORTO o DITOCORTATO (
kolobodaktylos) dal folle apologeta Ippolito.

In questo modo, tutti questi bastardi folli apologeti proto-ortodossi tradiscono la loro congenita percezione che Marco non era completamente compatibile con il progetto proto-cattolico di una forsennata quanto utopica Reductio ad Unum.

Così il dr. Kok:
Se l'epiteto di Ippolito rappresentò i resti di una precedente polemica, gli studiosi dibattono se il bersaglio era il testo di Marco, la persona di Giovanni Marco oppure il vangelo mutilato di Marcione.


DITOCORTO potrebbe essere il soprannome che Ippolito affibbiò a Marco scambiandolo forse per il vangelo di Marcione, accusato dai falsari protocattolici di aver ''circonciso'' Luca (quando in realtà fu quel falsario proto-cattolico di Luca-Atti a ''circoncidere'' Mcn trasformando per di più il suo altri-giudaismo in un assurdo anti-giudaismo).


Addirittura qualcuno si è avventurato a spiegare l'origine del soprannome DITOCORTO scomodando il vezzo dei soldati romani di stanza in Siria di insultare con quell'epiteto chi si mutilava un dito per scampare al servizio militare (cosa si fa per campare!) ''ergo'' (e Dio solo sa quanta follia apologetica c'è in quell'''ergo'') il Giovanni Marco di Atti degli Apostoli (considerato autore di Marco in virtù del suo nome) se la diede a gambe disertando i suoi compagni missionari (si veda Atti 13:13; 15:38) e così meritandosi in pieno quel soprannome.

Come dice Kok:
 ...tali letture creative in definitiva entrano nel regno della speculazione, ma il punto fondamentale è che fu una calunnia sulle diminuite capacità fisiche o morali dell'evangelista.

Tuttavia, se fu imposto un nuovo significato dell'epiteto su uno precedente, poteva essere che era stato una volta in riferimento al vangelo di Marco, abbreviato all'inizio e fine dell'opera se confrontato rispetto alle narrazioni dell'infanzia e della resurrezione di Matteo e Luca. Con il tempo il referente fu dimenticato e l'epiteto fu  trasferito all'evangelista, che era ancora poco lusinghiero nei confronti della persona di Marco, ma non più una valutazione negativa di un testo canonico. Se verso il testo o verso l'evangelista, il soprannome era un altro segno dell'ambivalenza patristica verso Marco.

Curiosamente, anche Mcn era privo ''delle narrazioni dell'infanzia e della resurrezione di Matteo e Luca'', chiaramente introdotte al solo scopo di contrastare il docetismo di Marcione (che prevedeva un Gesù angelo adulto prima della morte e puro fantasma dopo la morte).


Ciò che è in evidenza è questo puro e semplice FATTO:

 
Scribi ed esegeti patristici istruiti spesso "correggevano" Marco per contrastare una vera e propria, o quello che era temuta come una potenziale, lettura aberrante.


Nello specifico, erano diffidenti su come Marco potesse prestarsi a sostegno di una cristologia adozionista o separazionista e del privilegiato status di una conoscenza esoterica. Appropriarsi di Marco nel nome di Pietro e dei suoi legittimati successori era anche un modo per delegittimare le strategie ermeneutiche di gruppi che non leggevano il testo con le lenti dell'apostolica ''regola di fede''.
 
 Cioè, la mia analisi dei dati di seguito potrebbe o rivelare che Marco ricevesse un'attiva lettura tra comunità cristiane non-centriste [ossia, opposte alla cattolica Reductio ad Unum] oppure che potesse rivelare la pura e semplice paura degli interpreti cristiani centristi [ossia, quelli che io chiamo proto-cattolici] che Marco potesse essere impugnato a favore di dottrine ''eretiche'', al di là se i loro oppositori fossero per davvero interessati o meno a Marco.


Inoltre, Marco fornì una licenza gratuita all'esoterismo cristiano, dal segreto messianico alla divisione tra gli insegnamenti in parabole di che erano accessibili al pubblico e la nascosta sapienza che impartiva privatamente ad una cerchia interna messa al corrente del ''mistero'' (Marco 4:11; si veda Matteo 13:11; Luca 8:10; Tommaso 62).
Marco 4:11 e paralleli era un testo interessante per diversi interpreti perché il termine "mistero" è un vuoto significativo che poteva essere riempito di nuovi contenuti.

Qui di seguito traduco le conclusioni migliori attinte dalla tesi di Kok.
Papia e Giustino lasciarono piccole tracce del contesto polemico in cui diverse tradizioni scritte gesuane furono ricevute e legittimate per mezzo di una pretesa autoriale. Entrambi sentirono vitale la necessità di sorvegliare Marco sotto l'apostolica autorità di Pietro, ma essi non fornirono evidenza esplicita che i loro avversati si basassero su Marco più di ogni altro testo evangelico scritto.
Esplicia evidenza a questo interesse è in Ireneo.
...
 Nella sua denuncia dei gruppi scismatici che si basavano su un vangelo al posto della riverenza cristiana ''universale'' per i quattro, Ireneo ridiscute le affinità degli ebioniti per Matteo, Marcione per Luca e i discepoli di Valentino per Giovanni. Coloro che separarono Gesù dal ''Cristo'' e negavano che il Cristo potesse soffrire, comunque, erano parziali verso Marco (A.H.3.11.7).
Tra le formulazioni cristologiche del secondo secolo in lotta per la supremazia nel mercato delle idee, Goulder etichetta il sistema teologico degli ebioniti oppure di Cerinto (si veda 1.26.1-2) come una ''Cristologia Possessionista''. In questo sistema, Gesù fu posseduto dall'angelico ''Cristo'' al suo battesimo, il quale in una più antica concezione potrebbe essere stato lo spirito (si veda Epifanio, Pan. 30.13.7; 30.16.3), e l'essere divino lo abbandonò prima della sua morte. 
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Ireneo caratterizza in una simile vena le Cristologie dei Marcosiani (1.15.3), dei Carpocraziani (1.25.1) o Gnostici Orfiti.
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Nella misura in cui ci potrebbero essere state parecchie permutazioni che Ireneo diffama collettivamente, Ehrman differisce da Goulder nella sua preferenza per la distinzione degli ''adozionisti'' che ricostruirono il battesimo come l'elezione di Gesù in quanto il figlio di dio (ad esempio gli Ebioniti; Teodoto di Bisanzio) dai ''separazionisti'' (ad esempio Cerinto) che divisero il Gesù umano dal Cristo divino come ''tipi ideali''.
...Goulder ipotizza che Marco acquisì una più antica prospettiva cristologica possessionista che fu lasciata relativamente intatta. Lo Spirito discende ''in'' (εἰς) oppure possiede Gesù al momento del suo battesimo (Marco 1:10) e lo abbandona alla crocifissione (15:34; si veda Matteo 27:46; vangelo di Pietro 19).
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Parecchi altri commentatori sono resistenti alla lettura adozionista della scena del battesimo al livello di intenzione deliberata dell'autore, sostenendo che Marco si limitò solo a quotare ''oggi ti ho generato'' dal Salmo 2:7 (confronta la lettura occidentale di Luca 3:22) oppure che Marco 1:11 non sia più un atto di adozione di quanto lo sia 9:7.
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Invero, Goulder potrebbe importare concezioni anacronistiche nel linguaggio di Marco di figli divini adottati che ha le sue più vicine analogie col re davidico oppure coll'imperatore romano.
Io sosterrei che le cristologie separazioniste o possessioniste del secondo secolo comportava dibattiti sull'ontologia e sulla natura dell'unione del divino e dell'umano in Gesù che potrebbero non essere sul radar di Marco.
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È sufficiente per i miei scopi qui che Marco poteva essere, e fu, letto alla luce della cristologia adozionista e possessionista del secondo secolo. Matteo e Luca erano meno passibili di un'interpretazione adozionista del battesimo per il fatto che essi annunciano l'identità cristologica di Gesù dalla nascita (Matteo 1:16 - 8, 23; 2:2, 11; Luca 1:32 - 3, 35; 2:11), il che rende ancor più curioso il fatto che Ireneo ci informa che gli ebioniti favorirono un'edizione di Matteo che mancava della sua storia della natività (A.H.1.26.2; 3.11.7).

...
Ireneo fornisce ai lettori un esempio di esegesi valentiniana del grido di disperazione di Gesù sulla croce, che è citato nella forma marciana ... (Marco 15:34) piuttosto che nella forma matteana ... (Matteo 27:46).
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 In questo momento, Gesù fu reciso dal Cristo divino allo stesso modo in cui Sofia-Achamoth fu esclusa dal Pleroma (A.H. 1.8.2; si veda 1.4.1). Non c'è nessuna ragione di sospettare che Ireneo si inventò interamente questa esegesi. Nel suo racconto di Basilide, un maestro che fiorì durante il regno di Adriano (nel 117-138 EC circa), Ireneo informa i lettori su come Basilide insegnò che il primo generato Nous (Pensiero) apparve sulla Terra come umano ma scambiò le forme con Simone di Cirene, lasciando il povero Simone ad essere crocifisso al suo posto mentre Cristo guardava e rideva (1.24.4). Robert Grant inferì che Basilide basò la sua opinione su una lettura decisamente letterale di Simone che prende la croce in Marco.
 ...
...la storia del Cristo divino che ride dei suoi nemici che crocifiggevano Simone di Cirene al suo posto è raccontata anche nel Secondo Trattato del Grande Set 56.6-13, che comprende i nomi singolarmente attestati dei figli di Simone (Marco 15:21) i quali furono omessi da Matteo e Luca come un dettaglio superfluo.
Poichè essi pensavano che un'entità divina non può soffrire, i valentiniani presero da Marco l'idea che il Cristo divino abbandonò Gesù sulla croce e Basilide che Cristo scambiò posto con Simone nella sua selettiva lettura di Marco. Secondo Ireneo, i valentiniani erano adepti alla lettura dei vangeli come testi in codice della loro complessa cosmogonia.
 
Essi devono aver posseduto una variante versione della replica di Gesù che ci fosse solamente uno che era buono nei cieli, infatti essi enfatizzavano il plurale ''cieli'' come un'allusione agli Eoni (A.H.1.20.2; si veda Marco 10:18; Luca 18:19).
La storia dell'emorroissa per 12 anni divenne un simbolo del dodicesimo eone, Sofia, e della sua tendenza a disperdere la divina essenza prima di toccare il mantello del Figlio, l'eone Aletheia (verità), e di terminare la sua tendenza (1.3.3). La resurrezione della ragazza di 12 anni simboleggia come l'eone Cristo conferì una forma alla Sofia Achamoth, la figlia che era stata generata dalla passione di sua madre, e le fornì una rinnovata percezione della luce (1.8.2). Ireneo trattiene dettagli originali della pericope marciana come per esempio il padre della piccola come un ἀρχισύναγωγ
ος, (Marco 5:22; contra Matteo 9:18; Luca 8:41), l'età della piccola ragazza  (Marco 5:42; contra Matteo 9:25; Luca 8:55; ma si veda Luca 8:42) e l'ammissione teologicamente inspiegabile dell'ignoranza di Gesù nella domanda ''chi mi ha toccato'' ... nella sua forma marciana (Marco 5:31; contra Luca 8:4-6). La separazione traumatica di Gesù da Cristo simboleggia la caduta di Sofia-Achamoth che fu abbandonata da Cristo e resa incapace di ritornare nel reame della luce ...
 
 
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Sembra che Marco 4:11 non fu la sola dimostrazione testuale in Marco su cui potersi appellare per garantire un genere di speciale avvistamento nel testo che fu destinato agli eletti. Potrebbe essere concesso che il trattamento valentiniano di Marco a supporto del loro mito pleromatico potrebbe essere nulla di speciale dal momento che essi sottoponevano tutti e quattro i vangeli ad una lettura simile. Nondimeno, nella loro esegesi di Marco, Watson esclama, ''Quel che più stridente è la non-assimilazione di Marco a Matteo''.


...c'è un altro gruppo gnostico in più che egli
[Ireneo] nomina che aveva una speciale affinità per Marco. Ireneo dedica una sezione ai Carpocraziani.
Erano dell'idea che Gesù fosse concepito in maniera normale come figlio di Giuseppe, ma l'anima di Gesù ricordava la sua precedente esistenza nella sfera del dio sconosciuto ed apprese la chiave per sfuggire ai maligni creatori del mondo. Gesù fu un precursore esemplare per i Carpocraziani che bramavano egualmente alla fuga da questa prigione materiale (A.H. 1.25.1).
Al pari dei valentiniani, Marco poteva essere stato la fonte della loro cristologia adozionista. Per fuggire alle loro senza fine trasmigrazioni di anime, Ireneo afferma che i Carpocraziani insegnavano che uno dovesse esperire ogni stile di vita, al di là se le azioni fossero considerate buone e pie oppure malvagie e sacrileghe, così da non essere costrette a rientrare nell'esistenza carnale (1.25.4).
Per validare le loro dottrine, una delle loro dimostrazioni testuali fu che Gesù parlò ''in un mistero'' (ἐν μυστηρίω) ai discepoli in privato e che essi lo trasmisero ai degni (1.25.5). Il singolare “mistero” (
μυστήριον), come opposto al plurale ''misteri'' (μυστήρια) (Matteo 13:11; Luca 8:10; si veda Tommaso 62), fortemente suggerisce che Marco 4:11 è in vista.
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Perfino se uno disprezza la Lettera a Teodoro come un falso, noi avremo un'evidenza di seconda mano che i Carpocraziani radicarono la loro prassi sociale nel privato disvelamento di Gesù di un ''mistero'' che attinsero da Marco. Altri gruppi gnostici si appellarono all'elemento esoterico della tradizione gesuana, ma Ireneo riesume il plurale ''misteri'' per le materie che erano rivelate agli eletti discepoli dal risorto Cristo nella sua discussione degli Gnostici Orfiti (1.30.14).
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Le interpretazioni conflittuali della cristologia marciana potrebbero anche chiarire alcune delle correzioni scribali su Marco. Il nucleo dei manoscritti bizantini rielaborano Marco 1:10 con lo Spirito disceso ''su'' (επ
) Gesù, che Ehrman assume più come uno sforzo per contrastare una cristologia separazionista piuttosto che una mera armonizzazione con Matteo 3:16 e Luca 3:22.
Questo conflitto potrebbe fornire un contesto per l'inclusione di υἱοῦ θεοῦ in Marco 1:1.
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Ehrman fa l'intrigante suggestione che si trattava di una pia aggiunta per prevenire una lettura adozionista di Marco affermando la divina figliolanza di Gesù prima del suo battesimo.

 
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Conclusione: La Battaglia Ermeneutica su Marco
Nella mia rassegna di alcuni dei riferimenti a Marco nel periodo da Papia di Ierapoli a Clemente di Alessandria, il mio obiettivo fu di testare la tesi di Braun che i cristiani centristi
[ossia, i protocattolici aspiranti alla Reductio ad Unum] confiscarono Marco dai gruppi cristiani che essi credevano essere al di là del recinto. Naturalmente, la difficoltà con ogni tesi sulla ricezione di Marco nel secondo secolo è che l'evidenza è limitata. Le modifiche editoriali fatte a Marco da scribi ed evangelisti parimenti potrebbero rivelare che essi ritenevano alcuni passaggi facile alimento per un'''eretica'' interpretazione, ma ciò non significa necessariamente che  i loro avversari teologici derivarono la stessa conclusione.
Sarebbe un interessante risultato se il timore degli interpreti cristiani centristi che i loro avversari potessero afferrare i testi ''aberranti'' di Marco, al di là se essi avessero davvero un interesse nel fare così, li incoraggiò a salvaguardare strenuamente il testo come apostolico, dunque ''ortodosso''.

  Tuttavia i vaghi indizi in Paia e Giustino che i cristiani nel secondo secolo erano immersi in un conflitto sull'appartenenza dei testi evangelici e che l'autorità apostolica fosse un'arma principale sulle linee del fronte apre una via all'esplicita menzione delle alternative comunità di interpreti di Marco in Ireneo. Ireneo insinua che i seguaci di Valentino, di Basilide e di Carpocrate erano interessati a Marco. Alcuni dei testi che caratterizzano quel dibattito, come per esempio Marco 1:9, 10:17 oppure 15:34, erano letti poichè distanziano Gesù dalla deità suprema e poichè favoriscono una cristologia adozionista oppure separazionista dove Gesù è posseduto da un'entità divina al battesimo e abbandonato da essa alla crocifissione. Un altro modo per sorvolare il paradosso di come possa soffrire un essere divino era di disapprovare del tutto l'idea di una morte di Gesù sulla croce sostituendo Simone di Cirene al suo posto. Gruppi che legittimarono la loro interpretazione della tradizione gesuana radicandola nella gnosi segreta che Gesù impartì ai suoi discepoli avevano una perfetta dimostrazione testuale in Marco 4:10.
Altri passaggi marciani, oppure il tema dell'esoterismo in Marco in generale, potevano anche servire questa funzione.

Per stabilire il mio caso, io ho cercato di evitare di basarmi sulla controversa evidenza offerta dalla Lettera a Teodoro come mia evidenza primaria. Questo testo confermerebbe quello di cui Ireneo e Clemente ci avevano già informato su come i Carpocraziani radicarono i loro credi e pratiche nell'espressione di Marco del ''mistero del regno di dio'' (A.H.1.25.5) e che alcuni lettori alessandrini presero piuttosto alla lettera l'imperativo al volontario ascetismo e povertà in Marco 10:17-24.
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I carpocraziani guardarono a Gesù come ad una figura paradigmatica per tutta l'umanità poichè egli scoprì il segreto dell'esistenza e fu in grado di sfuggire ai poteri del mondo materiale e poteva aver impartito il mistero al suo giovane apprendista nel testo mistico
[cioè Marco Segreto]. Come i Carpocraziani potevano aver interpretato il detto del ''mistero del regno di dio'', oppure la scena enigmatica di Gesù e del giovane, potrebbe non essere recuperabile dalla fiera polemica di Clemente contro di loro. 

Quello che il dr. Kok non sa, oppure evita di inferire (con la scusa che per lui Marco è del I secolo e quindi alieno da dispute insensate su quanto diceva risalenti ad un tempo posteriore), è che Marco (che io ritengo posteriore al 135 EC con Adamczewski e altri, dunque parallelo alla piena fioritura della gnosi) trova il suo più autentico significato in quella che io chiamo Reductio ad Paulum. Il Gesù del vangelo di Marco è nient'altri che l'uomo chiamato Paolo.

Dunque se gli gnostici amavano il vangelo di Marco (perfino più di Mcn, che gnostico non era), era in virtù dello stesso amore da loro nutrito per qualsiasi - e sottolineo QUALSIASI - lettera attribuita a Paolo, fosse perfino una lettera interpolata a dismisura dai protocattolici. Elaine Pagels è certamente una lettura obbligatoria qui per la comprensione di come i valentiniani soprattutto riuscivano a discernere la gnosi antinomica perfino da un testo cattolicizzato al massimo come la lettera ai Romani (notoriamente filo-Torah all'opposto della più antinomica lettera ai Galati), mediante opportuni strumenti di decodificazione ermeneutica del testo (ad esempio, scambiando ogni riferimento paolino al ''Signore'' come al Demiurgo, ecc.). Io consiglio al lettore di leggersi la lettura gnostica delle lettere di Paolo come fatta dalla Pagels nel suo classico The Gnostic Paul.

Chiunque conosce la ricerca contemporanea del Nuovo Testamento conosce Paolo come l'avversario dell'eresia gnostica. Paolo scrive le sue lettere, specialmente la corrispondenza coi corinzi e coi filippesi, per attaccare lo gnosticismo e per confutare le pretese dei cristiani gnostici della ''sapienza segreta'' - così Schmithals dichiara nei suoi recenti studi (Gnosticism in Corinth 1971; Paul and the Gnostics, 1972). Paolo predica il kerygma del ''Cristo crocifisso'' (1 Corinzi 2:2), ammonisce dell'incombente giudizio, proclama la resurrezione del corpo, insiste sulla priorità dell'amore rispetto alla gnosi; in tutto ciò dimostra la sua ''attitudine autenticamente cristiana'' contro i suoi avversari gnostici. Bultmann (Theology of the New Testament, 1947) ha spiegato che ''per Paolo, gli apostoli che hanno originato un movimento pneumatico-gnostico in Corinto sono intrusi . . . è perfettamente chiaro che per la chiesa essi hanno lo status di apostoli cristiani, ma per Paolo essi sono ''ministri di Satana'' che celano sé stessi come ''apostoli di Cristo'' (2 Corinzi 11:13). Bornkamm (Paul, 1969) dice che Paolo, proprio come Lutero, considera le ''persone invasate-dallo-spirito'' come ''fanatici'', l'''elemento veramente pericoloso'' che egli confronta nelle sue chiese. L'apostolo stesso, aggiunge Bornkamm, ''ripudia completamente'' la sapienza segreta e la gnosi che essi insegnano.
Tuttavia se questa vista di Paolo è accurata, l'esegesi paolina degli gnostici del secondo secolo è niente meno che impressionante. Gli scrittori gnostici non solo falliscono di rischiarare l'intero punto degli scritti di Paolo, ma si preoccupano di rivendicare le sue lettere come una fonte primaria di teologia
gnostica. Invece di ripudiare Paolo come il loro più ostinato oppositore, i Naasseni e i Valentiniani lo riveriscono come l'unico degli apostoli che - sopra tutti gli altri - fu egli stesso un iniziato gnostico. I Valentiniani, in particolare, presumono che la loro tradizione segreta offre diretto accesso al personale insegnamento di Paolo di sapienza e gnosi. Secondo Clemente, ''essi dicono che Valentino fu un allievo di Teuda, e Teuda, a sua volta, un discepolo di Paolo''. Quando il discepolo di Valentino Tolomeo comunica a Flora di una ''tradizione apostolica'' che ''noi anche abbiamo ricevuto dalla successione'', egli si riferisce, apparentemente, a questa tradizione segreta circa il salvatore ricevuto attraverso Paolo. Valentino stesso allude spesso a Paolo (nei frammenti esistenti, e davvero spesso nel Vangelo della Verità, se, come suggeriscono H. Ch. Puech e G. Quispel, Valentino è il suo autore): ''i suoi discepoli Tolomeo, Eracleon e Teodoto - per nulla meno di Ireneo, Tertulliano, e Clemente - riveriscono Paolo e lo quotano semplicemente come ''l'apostolo''.
Testi ora prossimi a diventare disponibili da Nag Hammadi offrono straordinariamente nuova evidenza per la tradizione
gnostica paolina. Una bozza di parecchi testi generalmente accettati come valentiniani indica la sfida che essi offrono.
J. Ménard dichiara che l'analisi delle allusioni scritturali nel Vangelo della Verità dimostra ''quanto profonda sia l'influenza paolina'' su questo testo. Nota che il tema teologico del testo - la relazione reciproca di Dio e l'eletto - ''è una dottrina tipicamente paolina''; lui trova la sua presentazione qui senza paralleli nella letteratura ellenistica contemporanea. Il secondo testo valentiniano dallo stesso codice, l'Epistola a Rheginos, parimenti evince una potente influenza paolina, come notano Puech e Quispel:

I temi ''mistici'' della teologia paolina, e, nel primo luogo, quello della partecipazione dei credenti nella morte e resurrezione di Cristo, come è stato osservato spesso, rimasero senza grande impatto sulla letteratura ecclesiastica del secondo secolo. Viceversa (quei temi) sono stati impugnati e sviluppati dagli gnostici . . . specialmente da Valentino e i suoi discepoli . . .  È tra i valentiniani in particolare che il ''misticismo'' paolino è stato ricevuto con il più grande favore e usato in una manira più o meno sistematica. . . . San Paolo è, nel trattato, l'oggetto della più alta considerazione . . . l'opera è, inoltre, permeata dall'inizio alla fine con allusioni al corpus paolino. Per il suo autore, come dichiara egli stesso (45:24), Paolo fu realmente par excellence, e in piena verità, ''L'apostolo''.
(pag. 1, 2 mia libera traduzione e mia enfasi)

Questo senso di responsabilità duale, inferiscono i valentiniani, induce Paolo a scrivere le sue lettere, come lui predica, ''in due modi alla volta''. Come egli proclama il salvatore ai psichici in termini di quanto essi possono rischiarare, così egli rivolge loro il superficiale, ovvio messaggio delle sue lettere. Ma agli iniziati, che discernono ''la verità'' nascosta là in ''immagini'', egli dirige la sua più profonda comunicazione: essi soli interpretano penumaticamente quel che gli psichici leggono solo alla lettera.
Che metodi ermeneutici gli esegeti valentiniani usano per derivare tale esegesi dalle lettere di Paolo? Questa questione forma la base del presente studio...

(pag. 7, mia libera traduzione e mia enfasi)

Si prenda ad esempio generale l'incipit alla lettera ai Romani (notoriamente la più protocattolica tra tutte le lettere di Paolo considerate autentiche).

In questo modo la prof.ssa Elaine Pagels ci illustra la straordinaria elasticità dell'esegesi valentiniana nel prendersi dalle lettere di Paolo, per quanto interpolate, quei passi che più facevano loro comodo (senza necessità di interpolare a loro volta Paolo se non in rarissimi casi).
Romani 1:1: Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio.   . . .

Paolo apre le sue lettere indicando la sua duale responsabilità - invero, la sua duale identità - così gli esegeti valentiniani potevano reclamare. Infatti l'apostolo prima identifica sé stesso come ''servo di Gesù Cristo'' (1:1), cioè, come un psichico, che sta ''come uno schiavo'' in relazione alla rivelazione pneumatica. Paolo identifica sé stesso psichicamente una seconda volta quando lui dice che egli è ''chiamato'' (in contrasto ai pneumatici, che sono ''scelti'').
Tuttavia paradossalmente egli procede ad identificare sé stesso come colui ''messo a parte per il vangelo di Dio'' (1:1). Gli esegeti valentiniani correlano questo passo con la sua stima per ''colui che mi separò dal grembo di mia madre'' (Galati 1:15), ''afferrando quei passi'', dice Origene, per provare che Paolo appartiene agli eletti pneumatici. L'apostolo, essi spiegano, usa questo linguaggio simbolico per rivelare di essere stato partorito da Dio, il Padre di sopra, attraverso la Madre, che è Sapienza (
sophia) oppure Grazia.
Perchè Paolo, il grande maestro pneumatico, si identifica prima come un mero servo psichico? Teodoto, citando Filippesi 2:7-9, richiama come il Cristo pneumatico ''svuotò sé stesso'' per assumere la psichica ''forma di uno schiavo'', Gesù, così ''essendo trovato in apparenza di uomini'', egli potesse divenire accessibile agli psichichi. Come ''servo'', Paolo imita Cristo: egli, sebbene ''scelto'', identifica sè stesso volontariamente con gli psichici che sono ''chiamati''.

(pag. 13, mia libera traduzione)


Il lettore sarà sorpreso di vedere, al termine della lettura di questo post, la medesima elasticità valentiana durante la loro lettura delle lettere paoline (dove scartano lo zig protocattolico riservato agli psichici a tutto favore dello zag gnostico riservato ai pneumatici) all'opera nella loro esegesi di un particolare vangelo.
 
In particolare, il dr. Kok meraviglia soprattutto quando evidenzia la particolare esegesi valentiana della storiella dell'emorroissa. Riporto le parole precedenti di Kok in merito:
La storia dell'emorroissa per 12 anni divenne un simbolo del dodicesimo eone, Sofia, e della sua tendenza a disperdere la divina essenza prima di toccare il mantello del Figlio, l'eone Aletheia (verità), e di terminare la sua tendenza (1.3.3). La resurrezione della ragazza di 12 anni simboleggia come l'eone Cristo conferì una forma alla Sofia Achamoth, la figlia che era stata generata dalla passione di sua madre, e le fornì una rinnovata percezione della luce (1.8.2). Ireneo trattiene dettagli originali della pericope marciana come per esempio il padre della piccola come un ἀρχισύναγωγος, (Marco 5:22; contra Matteo 9:18; Luca 8:41), l'età della piccola ragazza  (Marco 5:42; contra Matteo 9:25; Luca 8:55; ma si veda Luca 8:42) e l'ammissione teologicamente inspiegabile dell'ignoranza di Gesù nella domanda ''chi mi ha toccato'' ... nella sua forma marciana (Marco 5:31; contra Luca 8:4-6). La separazione traumatica di Gesù da Cristo simboleggia la caduta di Sofia-Achamoth che fu abbandonata da Cristo e resa incapace di ritornare nel reame della luce ...


Chiaramente quelle valentiniane sono tutte stronzate astro-teologiche gnosticheggianti create ad hoc nel tardo e inoltrato secondo secolo (e per rattizzare nel lettore il più profondo disprezzo per la schifosa e immonda astroteologia valentiniana è sufficiente che pensi a quell'idiota di Pier Tulip) ma qual è il punto esattamente qui?
Ebbene, il lettore già sa che io sto leggendo attualmente un libro straordinario che ad ogni pagina e ad ogni riga non finisce mai di stupirmi e di meravigliarmi del più profondo stupore.

Ed è incredibile come esattamente la storiella dell'emorroissa e della dodicenne stesa sul letto (e rialzata con tanto di grottescamente aramaico TALITÀ KUM) in Marco 5: 21-43 costituisca una trasposizione ipertestuale (nonchè strettamente sequenziale) indovina di quale passo cruciale della famigerata Lettera ai Galati?

Proprio di quello che dice:
Poi, trascorsi quattordici anni, sallii di nuovo a Gerusalemme con Barnaba, prendendo con me anche Tito. Vi salii in seguito a una rivelazione, ed esposi loro il vangelo che annunzio tra i pagani; ma lo esposi privatamente a quelli che sono i più stimati, per il timore di correre o di aver corso invano.
(Galati 2:1-2)

L'uso dell'Aramaico in Marco 5:41, che è sorprendente nel contesto del fatto che l'intero vangelo fu scritto in greco, addizionalmente illustra l'idea di Paolo della sua comunicazione del suo vangelo ai leaders giudeocristiani in privato (Galati 2:2d). Secondo Marco, questa comunicazione apparentemente accadde in Aramaico (Marco 5:41). Marco poteva aver dedotto quest'idea dal fatto che gli interlocutori di Paolo in quell'incontro privato, precisamente Giacomo, Cefa, Giovanni, e Barnaba (Galati 2:9), portarono nomi ebraici oppure aramaici.
La considerazione narrativamente superflua concernente dodici anni (Marco 5:42) evidentemente collega la storia di Marco 5:35-43 alla storia precedente Marco 5:24b-34. In questo modo, l'evangelista illustrò il pensiero di Paolo che egli comunicò lo stesso vangelo, che egli predicò ai gentili (Galati 2:2c), prima in pubblico alla comunità di Gerusalemme come un intero (Galati 2:2b; si veda Marco 5:24b-34) e poi, in un incontro privato, ai leaders di Gerusalemme (Galati 2:2d-f; si veda Marco 5:35-43).

( B. Adamczewski, The Gospel of Mark, mia libera traduzione e mia enfasi, pag. 79)

Si noti che il vangelo nel punto in questione recita in particolare:
E non permise a nessuno di accompagnarlo, tranne che a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
(Marco 5:37)

E guardacaso anche in quel caso ''Gesù''/Paolo fu accusato ''di aver corso invano'' (per salvare la dodicenne in fin di vita). Suona familiare?



Naturale dunque che proprio quel pezzo in particolare di Marco era destinato ad attirare logicamente un concentrato di speculazione gnostica valentiniana al punto da scomodare lo stesso Ireneo a preservare la loro eretica esegesi di quel punto preciso: gli eretici erano giunti in qualche modo a sapere che quel pezzo di Marco alludeva a Paolo, ed in particolare al Paolo che rivelava il suo vangelo ''privatamente a quelli che sono i più stimati'' (Galati 2:2), approfittando di conseguenza per veicolare una loro più moderna esegesi (nel caso riportato da Ireneo, un'esegesi valentiniana) esattamente di quel punto preciso di Marco, così da poterla farla passare direttamente per il vangelo segreto che Paolo espose ''privatamente a quelli che sono i più stimati'' (Galati 2:2). 
Questo non prova ai miei occhi che lo storico Paolo fosse uno Gnostico. Questo prova ai miei occhi che gli gnostici valentiniani, carpocraziani, basilidiani, ecc. - e non mi sto riferendo ai marcioniti, che si accontentavano solo di Mcn -  erano interessati al vangelo di Marco, con grande scorno dei folli apologeti proto-cattolici come Ireneo e Ippolito, PERCHÈ SAPEVANO CHE QUEL VANGELO ERA IN REALTÀ UN'ALLEGORIA DI PAOLO.
ERA PAOLO L'UOMO POSSEDUTO DALLO SPIRITO DI CRISTO. ERA SEMPRE PAOLO L'UOMO CHE «SIMONE DI CIRENE» SOSTITUÌ SULLA CROCE. ERA PAOLO IL FIGLIO DI DIO.


La lettura del libro di Adamczewski mi sta totalmente convincendo che il Gesù di cui parla Marco è in realtà Paolo, ed esattamente il Paolo delle 3 lettere paoline che disponiamo oggi: Galati, 1 Corinzi, Filippesi. Dunque, perfino se il Paolo della lettera ai Galati di cui disponiamo oggi suona proto-cattolico (si veda la possibile interpolazione antimarcionita ''nato da donna, nato sotto la legge'' di Galati 4:4 oppure il passato di Paolo persecutore e il fatto indiscutibile che Marco si basa su Paolo anche quando ''Paolo'' dice di essere stato persecutore della chiesa), il fatto sorprendentemente atteso rimane che gli Gnostici del II secolo amavano Marco perchè conoscevano straordinariamente che Marco stava parlando di Paolo. E DI NESSUN ALTRO.

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