giovedì 25 settembre 2014

Quando la possessione è possessione, al di là del bene e del male

AVVERTENZE PER L'USO: quanto dirò in questo post riflette solo la mia opinione personale, e dunque andrebbe considerato al livello del solo possibile e non del più probabile, qual è invece il modello delle origini cristiane proposto da Carrier/Doherty.

Le parole chiave del vangelo di Marco sono tre, a mio parere: ''regno di Dio'', ''Figlio di Dio'' e ''Figlio dell'Uomo''.

In base alle mie riflessioni precedenti, sono giunto personalmente alla conclusione che era ritenuto erroneamente ''storico'' dai primi apostoli cristiani, in quanto ''confermato'' ex eventu da allucinazioni, l'idea che lo Spirito del Figlio aveva posseduto un anonimo appena prima della sua morte sulla croce.

Roger Parvus sostiene che il Figlio si era sostituito all'anonimo con un astuto scambio di posto. Io invece sono incline a pensare che lo Spirito del Figlio aveva posseduto l'anonimo allo stesso modo in cui i demoni possedevano il disgraziato di turno guarito da Gesù nel vangelo di Marco.
Quell'anonimo però era praticamente irriconoscibile (e perciò a maggior ragione ''passato'' inosservato) nella sua autentica natura di ospite fisico temporaneo del Figlio per le poche ore della sua agonia - il tempo necessario affinchè si consumasse il dramma cosmico - perchè le regole del gioco era che solo uno spirito in possesso di un corpo poteva riconoscere l'identità dello spirito dimorante in un altro corpo.

E sulla Terra, nella stragrande maggioranza dei casi, se un uomo doveva essere posseduto, lo spirito possessore era sicuramente un demone, dal momento che solo i demoni dell'aria vagavano nei cieli inferiori e dunque solo loro infestavano la Terra col tacito permesso di Dio.

Dunque l'espressione ''il regno di Dio'' nel vangelo di Marco è un termine collettivo che designa tutti coloro che sono posseduti dallo Spirito del Figlio. Se il Figlio portava in sè dal principio l'immagine dell'invisibile Dio, era la logica, allora essere posseduto dal Figlio era equivalente a rassomigliare al Figlio, e dunque in definitiva a rassomigliare a Dio.

Ora, nel primo vangelo, assistiamo ad un fatto curioso: Gesù soltanto è posseduto dal Figlio. Dunque quando il regno di Dio è simile ad un granello di senape, come recita la nota parabola, ovvero prima di diventare un albero gigantesco, vorrà dire che solo ''Gesù'', soltanto lui, appartiene al ''regno di Dio'' perchè lui solo è al momento l'unico ''granello di senape'' ad essere posseduto dal Figlio. O meglio, il ''granello di senape'' è proprio lo Spirito del Figlio che lo possiede dal momento del battesimo.

Quindi abbiamo l'assicurazione, alla luce della parabola del granello di senape, che il ''regno di Dio'' originariamente rappresentato dal singolo uomo Gesù è destinato a crescere enormemente di misura, al punto da accogliere, da quel gigantesco albero che è diventato, degli uccelli, simbolo di Satana e dei suoi agenti sulla Terra, tra i suoi rami.

Quindi si apre una contraddizione: nonostante il numero di coloro destinati a diventare posseduti dallo Spirito Santo (= lo Spirito del Figlio) aumenterà a dismisura nel prossimo e remoto futuro, sempre si nasconderanno tra loro, nonostante siano condannati fin d'ora alla distruzione eterna, dei falsi cristiani, falsi ''fratelli del Signore'' posseduti non dallo Spirito Santo, ma dallo Spirito di Satana e dei suoi demoniaci arconti.

Rimane da capire il significato dell'espressione ''Figlio dell'Uomo''.

La più semplice spiegazione si basa su Marco 13:26, che fa dell'espressione ''Figlio dell'Uomo'' una fin troppo esplicita allusione a Daniele.

Per l'autore originario del libro di Daniele, e per l'ebraismo tradizionale almeno più maggioritario, il Figlio dell'Uomo indica tre cose:
(a) Lo strano articolo nell'epressione 'il figlio DELL'uomo'' si riferisce ad Adamo prima della caduta nella Genesi. Adamo è chiamato nella Septuaginta ἀνθρωπος fino alla Caduta. Ma dopo la Cacciata dall'Eden compare il nome Adamo.
(b) in Daniele il Figlio dell'Uomo è un termine COLLETTIVO, che si riferisce al Messia simile ad Adamo, simile ad un Umano, per il quale verranno soggiogati tutti i regni della terra
(c) e i ''Santi del Altissimo'' parteciperanno di questo dominio.

 In altre parole, il Figlio dell'Uomo è il vero Israele, l'Israele prescelto, puro, migliore, un insieme di uno o più esseri umani con in comune almeno una particolare caratteristica.

Il vangelo di Marco esordisce in questo modo:

 Ἀρχὴ τοῦ εὐαγγελίου Ἰησοῦ Χριστοῦ υἱοῦ θεοῦ. 


Dopo il primo verso, tutto quello che il lettore sa, se si limitasse al solo primo verso, è che la verità che si sta proclamando, almeno in superficie, è una buona notizia e come tale, sempre al medesimo livello di comprensione superficiale (di chi sa di dover appena ricevere una buona notizia), riguarda il Salvatore divino ('Gesù') e il Messia ('Cristo'), l'Unto atteso tradizionalmente dagli ebrei. Subito dopo viene detto il vero soggetto di tutti quegli attributi messianici ''Gesù'' e ''Cristo'': il Figlio di Dio.

Ma chi è il Figlio di Dio? È lo Spirito Santo che dal principio, come recita l'Inno ai Filippesi, è la forma, l'immagine, l' εἰκών, di Dio. Questa ipostasi divina, attraversando i cieli, era scesa sulla Terra dimorando in un uomo.

Nel vangelo di Marco quell'uomo venne abitato dal Figlio al momento del suo battesimo ad opera di Giovanni il Battista. Nel mito originario, così superbamente descritto nel prepaolino Inno ai Filippesi, quell'uomo compiva solo un'azione durante il tempo in cui il Figlio prendeva possesso del suo corpo e del suo aspetto fisico: morire sulla croce.

Poichè a morire sulla croce erano di solito aspiranti messia, ''Gesù'' e ''Cristi'' di loro proprio diritto, quelli attributi messianici finirono di conseguenza associati anticamente (= prima ancora di Paolo) al Figlio.

Era il Figlio ad aver voluto scivolare nel corpo di un aspirante novello Giosuè/Gesù e preteso ''Messia''/Cristo degli ebrei per realizzare quello che agli altri Gesù e agli altri Cristi di solito non riusciva: rovesciare il vecchio ordine mondiale e inaugurare uno nuovo che sarebbe durato mille anni.
Di conseguenza acquisì quei appellativi come risultato del suo esser scivolato nei panni di un aspirante salvatore terreno e unto ed essere riconosciuto superficialmente, esteriormente - ed ironicamente - come tale.


Dovendo dare una leggendaria Non-Vita sulla Terra al Figlio decisamente più lunga rispetto a quella che gli assegnava il mito originario, ''Marco'' fa scivolare il Figlio nel corpo dell'uomo non quando quell'uomo sta sul punto di finire sulla croce, in quanto reo di essersi proclamato novello Giosuè e aspirante Messia agli occhi degli osservatori esterni, ma al momento del suo battesimo, allorchè l'uomo ''Gesù Cristo'' viene posseduto dal Figlio la prima volta e solo lui ascolta la voce di Dio che dice: ''Tu sei il mio diletto Figlio: in te mi sono compiaciuto''. Non gli altri presenti. Neppure Giovanni. Dunque il Segreto Messianico è inaugurato: ora solo i demoni che abitano i corpi delle loro sventurate vittime possono essere in grado di riconoscere il Figlio dell'Uomo ''Gesù Cristo''. Gli esseri umani penseranno di vedere solo l'uomo ''Gesù'' e al più crederanno, come Pietro, che lui è il ''Cristo'' tradizionale degli ebrei. Ma nessuno, neppure Pietro, riesce a vedere che dentro l'uomo ''Gesù'', dentro l'uomo ''Cristo'', vi dimora temporaneamente il Figlio di Dio, ovvero lo Spirito Santo. Chi non considera l'uomo ''Gesù'' un ''Cristo'' (per ostilità, o per incredulità, o magari perchè non lo conosce neppure di vista) pensa che sia solo un mero abitante di Nazaret.

Quello Spirito del Figlio uscirà fuori dal corpo dell'uomo ''Gesù'' proveniente da Nazaret quando quell'uomo morirà e il suo cadavere verrà tumulato nella tomba.

Ora si noti cosa succede al finale del vangelo di Marco:
''Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso''.
(Marco 16:6)


Il giovane vestito di bianco descrive quello che stanno credendo le donne giunte al sepolcro: pensano ancora, nella loro cecità, di eessere state per tutto quel tempo con l'uomo ''Gesù'' proveniente da Nazaret.

Ma ora quell'uomo è risuscitato, dice il messaggero divino.

Solo un uomo poteva risorgere nella profezia ripetuta tre volte dallo stesso uomo ''Gesù'' quando era abitato dal Figlio di Dio: ovvero il Figlio dell'Uomo.


Dunque qui possiamo rischiarare il vero significato di Figlio dell'Uomo e aggiungere qualcosa di nuovo all'interpretazione originale di quell'espressione mutuata da Daniele.


Il Figlio dell'Uomo è l'uomo ''Gesù'', ritenuto ''Cristo'' secondo il massimo di realizzazione basata sulle sole possibilità umane, ma solo quando quell'uomo possiede dentro di sè lo Spirito vivificante del Figlio di Dio.

Tutto quello che il malvagio Giuseppe d'Arimatea, in combutta col Sinedrio e con Pilato, era riuscito a seppellire era solo il cadavere (Πτώμα) dell'uomo ''Gesù'', non più posseduto dallo Spirito del Figlio e dunque non più Figlio dell'Uomo: era tale solo durante il tempo in cui il Figlio possedeva lui. Per Giuseppe d'Arimatea, come per gli altri farisei, quell'uomo ''Gesù'' era sì posseduto, ma da Belzebuul, non da un angelo, e tantomeno era il ''Cristo'': chiudendo la tomba e sigillandola per bene con un grosso macigno speravano di porre fine per sempre alle grane sollevate da quell'uomo di Nazaret.

Quel che è risorto invece è il corpo celeste dell'uomo ''Gesù'', un corpo vivo (σομα) perchè lo Spirito del Figlio era ritornato in lui per abitarvi di nuovo, e questa volta definitivamente.

Si aprono due possibili definizioni per l'espressione Figlio dell'Uomo in Marco, allora, fermo lasciando il significato originario tradizionale ebraico derivatogli da Daniele:

1) Figlio dell'Uomo è l'uomo ''Gesù'' - ma anche qualunque uomo - che ospita dentro di sè lo Spirito Santo del Figlio e in qualche modo lo lascia trapelare fuori di sè.

2) Figlio dell'Uomo è l'uomo ''Gesù'' - ma anche qualunque uomo - che ospita dentro di sè lo Spirito Santo del Figlio, ma solo DOPO che il Figlio ritorna la seconda volta dentro il nuovo corpo celeste dell'uomo ''Gesù'' per resuscitarlo e non più lasciarlo (e dunque per identificarsi definitivamente con lui).


Io penso che sia più probabile, alla luce delle ricorrenze dell'espressione ''Figlio dell'Uomo'' nel vangelo di Marco (anche in circostanze diverse dalla predizione della risurrezione del Figlio dell'Uomo), la prima definizione.



Ma del secondo punto ci terrei a salvare un aspetto: il fatto che la risurrezione, per definizione, assicura una presenza eterna e costante dello Spirito Santo del Figlio dentro l'uomo ''Gesù'' nei secoli dei secoli. Da quel momento in poi il Figlio non uscirà più fuori dell'uomo ''Gesù'' e perciò la morale della favola è questa: che lo Spirito Santo non uscirà più dai cristiani che vivono, muoiono e risorgono ''in Cristo''.


Perciò, se il Figlio di Dio abiterà un uomo, quell'uomo non diventerà più un mero figlio d'uomo, ma il Figlio dell'Uomo: nella misura in cui il Figlio di Dio si ''umanizza'' esteriormente in lui, anche l'uomo si ''divinizzerà'' a sua volta interiormente nel Figlio, diventando gradualmente una cosa sola col Figlio di Dio e perciò divenendo di diritto IL Figlio dell'Uomo, prima di morire e dopo la morte.

Quello che Marco sta descrivendo dunque è esattamente questo processo iniziatico: come la vera risurrezione consiste nel comprendere che l'uomo - qualsiasi uomo, non solo l'uomo ''Gesù'' - diventa Figlio di Dio quando realizza di ospitare dentro di sè lo Spirito Santo. Quando la conoscenza riservata ai soli demoni (sapere che lo Spirito del Figlio ha preso dimora in un particolare uomo)  viene a far parte della sua conoscenza e perciò non si limiterà più, come l'ignorante Pietro, a proclamare ''Cristo'' l'uomo ''Gesù'' posseduto dal Figlio, ma riconoscerà l'esatta presenza del Figlio in lui. Dentro di sè.

Questa è pura Gnosi.

Quindi oramai non ci sono più dubbi. L'autore di Marco, pur partendo da premesse squisitamente ebraiche e in seno ad una comunità paolina ancora in gran parte formata da ebrei della Diaspora, era giunto ad un passo dal gettare le basi di quello che diventerà il vero e proprio pensiero gnostico successivo.

Marco introduce il tema del Segreto Messianico per veicolare un preciso messaggio a coloro che hanno occhi per vedere: il vero ''fratello del Signore'' è colui che, come il nazareno, ha dentro di sè il Figlio. E come il (o forse, più del) nazareno, LO SA.


Quest'ultima frase apre un'interessante e suggestiva domanda: l'uomo ''Gesù'' nell'allegoria di Marco, SAPEVA di ospitare dentro di sè il Figlio quando il Figlio era scivolato dentro il suo corpo al suo battesimo? Oppure da quel momento il Figlio si era totalmente impadronito del suo corpo al punto da usarlo come una marionetta a sua totale discrezione?

Parecchi indizi inducono a rispondere di sì alla seconda domanda, ma solo fino a un certo punto. 

Marco, il più antico dei vangeli canonici, non sta semplicemente omettendo i dettagli su Gesù prima del suo battesimo, ma sta informando per via indiretta i suoi lettori che non c'è stato nessun fatto saliente da dire riguardo all'uomo ''Gesù'' prima del battesimo. Marco è chiaro: l'uomo ''Gesù'' proveniente da Nazaret era un perfetto sconosciuto fino al giorno in cui fu battezzato da Giovanni, mettendosi in fila al pari degli altri peccatori.

Questo spiega perchè gli stessi parenti non lo riconoscono più, una volta che il loro ''Gesù'' è posseduto dal Figlio:
Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».
(Marco 3:21)

Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano».
(Marco 3:31-32)


È diventata un'altra persona:
Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
 (Marco 6:1-3)

Quindi ad importare a Marco è il Figlio che sta possedendo l'uomo ''Gesù'', non la vita precedente di quest'ultimo. Per questo non conta la sua nascita, la sua infanzia e giovinezza. Per questo non contano affatto i suoi parenti, introdotti al solo scopo di ribadire questa indifferenza (oltre che per attaccare sottobanco i Pilastri).

Luca e Matteo, nei loro racconti della vita pregressa di Gesù, nascita in primis, stanno semplicemente inventando e colmando i buchi, animati da un apologetico horror vacui rispetto all'idea che ''Gesù'' è solo un posseduto dal Figlio.


Dunque il segreto sulla vera identità di ''Gesù'' permea tutto il vangelo di Marco. Chi è ''Gesù''?

''Gesù'' è introdotto nel vangelo di Marco in una scena segreta e nota solo a Dio e ai lettori. Lo stesso Spirito Santo non scende ''su'' Gesù (come nel vangelo di Matteo), ma ''in'' Gesù. Solo i demoni e Dio conoscono l'entità ospitata dall'uomo ''Gesù''.

 Per Marco un altro spirito scivola in un corpo. Lo spirito di Elia entra dentro Giovanni il Battista.

Gesù dice:

Io però vi dico che Elia è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui».
(Marco 9:13)

Giovanni il Battista non è un attore che finge di essere Elia nel vangelo di Marco. Egli è solo l'uomo che ospita dentro di sè Elia. Lo spirito di Elia perciò ha un'esistenza separata nel vangelo. Tant'è vero che lo ritroviamo, senza più bisogno di nascondersi dietro un uomo, alla scena della Trasfigurazione di Gesù, per parlare con quest'ultimo. Perciò in Marco 1:1, ''Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero [τὸν ἄγγελόν]: egli preparerà la tua via'',  la profezia di Malachia realizzata nella figura di Giovanni il Battista sta a significare che il messaggero, o angelo, vale a dire lo spirito di Elia, è penetrato nel corpo di Giovanni per farne apparentemente un angelo umano e non invece, com'è in realtà, celeste. Marco per messaggero intende sempre un angelo celeste. E nel caso di Giovanni il Battista non fa eccezione. L'angelo celeste, lo spirito di Elia, è penetrato in lui e ha sofferto con lui.
In Malachia 3:1 Elia stesso è stato preventivamente tradotto in cielo per diventare un angelo prima di compiere la sua missione di araldo del Messia.


  
Ecco, io vi mando il mio messaggero; egli preparerà la via davanti a me. E subito il Signore, che voi cercate, l’Angelo del patto, che voi bramate, entrerà nel suo tempio. Ecco egli viene, dice l’Eterno degli eserciti...
 (Malachia 3:1)

Dunque se Elia compare senza più nascondimenti dopo la morte del suo involucro umano Giovanni il Battista, allora alla scena della Trasfigurazione Gesù ha rivelato se stesso per lo Spirito che lo possiede dal momento del battesimo: il Figlio di Dio.

Paradossalmente, rispetto allo stesso Pietro, che dice a Gesù di essere il ''Cristo'' (e non il Figlio di Dio), sono i farisei a fiutare qualcosa di più vicino alla verità, quando accusano Gesù di essere posseduto dal principe dei demoni, Beelzebul. Pure loro però non si rendono conto che Gesù è posseduto non da Satana ma dallo Spirito Santo.

Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé». Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni». Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa. In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna». Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro».

(Marco 3:21-30)

I demoni, invece, possessori delle loro disgraziate vittime, sono in grado di identificare chi sta veramente parlando a loro:
non l'uomo ''Gesù'' proveniente da Nazaret, ma il Figlio di Dio. Non il Figlio dell'Uomo, ma il Figlio di Dio. Non il visibile ''Gesù'' umano, ma l'essere o spirito che lo possedette al battesimo e lo spinse nel deserto.
E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto...
(Marco 1:12)



 Ecco un esempio di quelle conversazioni misteriose che accadono quando Gesù incontra persone possedute da demoni. Gesù, o meglio il Figlio di Dio in lui, è visto dal narratore mentre si rivolge direttamente al demone scivolato dentro l'indemoniato di turno.
 
Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
 (Marco 1:21-26)


È come se stessi assistendo a qualche sorta di struggimento per il potere del corpo tra due Spiriti che sono a mapalena celati dietro la carne da loro abitata. (Il lettore si ricordi di questo piccolo particolare perchè gli tornerà utile alla fine del post).

Si noti il famoso episodio della trasfigurazione.
  Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».
(Marco 8:3-7)

Alla scomparsa di Mosè ed Elia, ecco cosa dice Marco, ancora di nuovo divertito all'idea di rappresentare la scemenza di Pietro e dei due Pilastri:

  E a un tratto, guardatisi attorno, non videro più nessuno con loro, se non Gesù solo. 
(Marco 8:8)


Più nessuno con loro. Se non Gesù solo.



I discepoli sembrano vedere solo ''il figlio d'uomo'', solo ''Gesù'', lo sconosciuto peccatore venuto da Nazaret. Non il Figlio di Dio che sta veramente possedendo quel particolare ''figlio d'uomo''

Il Figlio dell'Uomo, assicura Gesù ai suoi discepoli, apparirà di nuovo.
«Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà».
...
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.

(Marco 10:33-34, 13:26)

Stessa promessa è fatta da Gesù all'indirizzo del sommo sacerdote che lo accusa:



Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono! 
E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo».

 (Marco 14:61-62)

In questo episodio è il Figlio di Dio che abita ''Gesù'' a dire ''Io lo sono!'' (puntualmente, senza essere affatto riconosciuto dal sommo sacerdote). Dopodichè profetizza la venuta nella gloria del Figlio dell'Uomo (del vero Israele), paradossalmente con la distruzione del vecchio, corrotto Israele nel 70 EC.

Il Figlio dell'Uomo sarà visibile pienamente alla luce del Sole quando la sua identificazione col Figlio di Dio sarà completa, dopo la risurrezione.

Si assiste ad un curioso pattern:

1) Elia lascia Giovanni il Battista quando Giovanni è decapitato da Erode, per ricomparire in persona dal vivo alla trasfigurazione, senza maschere.

2) Il Figlio di Dio lascia Gesù alla sua crocifissione per ricomparire, pienamente rivelato nella sua vera forma, come Figlio dell'Uomo (il vero Israele tra le genti).



L'uomo ''Gesù'', per tutto il tempo, non era lui ad agire e a dire quello che faceva e diceva, ma solo il Figlio dentro di lui, al suo posto.



Marco sembra indugiare apposta più del solito allorchè descrive la lunga agonia sulla croce, dal momento che Gesù è crocifisso al momento finale della morte sopraggiunta nella forma più completa.

Venuta l'ora sesta, si fecero tenebre su tutto il paese fino all'ora nona.
(Marco 15:23)

E qull'indugio, quella sinistra quiete e quelle tenebre minacciose, sono rotte ad un tratto solo da un gemito sgomento:

All'ora nona Gesù gridò a gran voce: "Eloì, Eloì, lamà ebactanì?'', che tradotto vuol dire: ''Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?''
Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: ''Chiama Elia?'' Uno di loro corse e, dopo aver inzuppato d'aceto una spugna, la pose in cima a una canna e gli diede da bere, dicendo: ''Aspettate, vediamo se Elia viene a farlo scendere''.

(Marco 15:34-36)

Si noti quello che sta descrivendo mirabilmente Marco: l'uomo ''Gesù'' da un lato non si è ancora liberato dello Spirito del Figlio che lo occupa, e dall'altro sente che, insieme alla sua vita, anche quello Spirito sta sul punto di doverlo lasciare. La meraviglia dei presenti è il segnale che qualcosa sta accadendo, anche se non si comprende cosa. Chiamare in ballo Elia è equivalente a scambiare Gesù per Elia: è in atto lo stesso fraintendimento che portò già in precedenza la gente a ritenere per sbaglio Gesù ''alcuni Giovanni il Battista; altri Elia, e altri uno dei profeti'' (Marco 8:29) e ''Cristo''. E come allora Gesù non era in realtà Elia ma era un uomo di Nazaret posseduto dal Figlio all'insaputa di tutti (fuorchè dei demoni), così ora lo stesso uomo ''Gesù'' non ''chiama Elia'' in realtà ma chiama il Figlio. Un Figlio che evidentemente è in procinto di abbandonarlo.

DUNQUE SE GESÙ CHIAMA IL FIGLIO, SI ACCORGE SOLO ALLORA DI NON ESSERE IL FIGLIO.


Certamente la citazione del salmo di Isaia serve, quando letto fino in fondo nell'originale e non nell'imitazione, a ribadire ironicamente il tema della vittoria sulla croce sotto forma di un'apparente sconfitta (in fondo quel dettaglio non fa che inserirsi nella lunga scia di dettagli simili disseminati da Marco, tra l'ironica contrapposizione di significati materialistici - il titulus, tra tutti - e l'ironia teologica ad essi sottesa). E tuttavia quell'invocazione è in aramaico perchè a pronunciarlo, vuole insinuare sottilmente Marco, non è stavolta più lo Spirito del Figlio presente nell'uomo ''Gesù'' proveniente da Nazaret, ma l'uomo ''Gesù'' stesso. Che si accorge solo ora di avere lo Spirito, paradossalmente proprio ora che lo Spirito lo sta lasciando.

Gesù, emesso un gran grido, rese lo spirito.
(Marco 15:37)

Questa volta il ''gran grido'' non è emesso da ''Gesù'', ma dallo Spirito al momento in cui lo abbandona: è lo stesso grido, mutatis mutandis, dei demoni che fuggivano esorcizzati alla vista del Figlio dentro l'uomo ''Gesù''. In quel momento è il Figlio a morire, ghermito dai demoni della morte. Satana e i suoi scherani fin da subito avevano riconosciuto il Figlio nell'uomo ''Gesù'', e ora sembrano davvero prevalere su di esso, visto che sono riusciti a crocifiggerlo insieme all'uomo che ne era il portatore, utilizzando farisei e romani come marionette.
Marco ci tiene a sottolineare che stavolta lo Spirito è proprio definitivamente uscito da quello che fino a un secondo prima, per definizione, era il Figlio dell'Uomo (in quanto posseduto dallo Spirito) e dunque l'emblema proverbiale dell'Israele morente:
E la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo.
(Marco 15:38)


Fino allo svelamento, da parte di chi assiste alla scena, della doppia natura di quell'uomo crocifisso sulla croce, perfino se si tratta (ancora una volta: l'ironia proverbiale di Marco) di un finto stupore perchè caustico e spregiativo:
E il centurione che era lì presente di fronte a Gesù, avendolo visto spirare in quel modo, disse: ''Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!''
(Marco 15:39)


Dunque ''Gesù'' agonizzante sulla croce seppe di essere stato fino a quel momento posseduto dal Figlio? Forse che il Figlio ebbe compassione per questo di lui? Vorrei credere che la risposta sia un sonoro , seppure parte di me ritiene che la risposta potrebbe essere no. Ma se rispondo , il separazionismo di Marco si evolve sulla croce in una forma di adozionismo. Questo può essere conforme alla visione paolina del battesimo: col battesimo l'iniziato muore alla sua vita precedente e risorge come adottato figlio di Dio, e perciò vero ''fratello del Signore''.  Dunque l'uomo ''Gesù'' può essere stato adottato da Dio come figlio quando, alla morte, si accorge di avere dentro di sè lo Spirito Santo del Figlio in procinto di lasciarlo. Questo è coerente con quanto recita l'Inno ai Filippesi nella parte finale.



Per questo Dio lo esaltò
e gli donò
 il nome che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
[ἐν τῷ ὀνόματι Ἰησοῦ]
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!»,
 a gloria di Dio Padre.


Il Nome che è al di sopra di ogni nome non è il nome Gesù ma il Nome Divino, il Tetragramma (=YHWH): κύριος Ἰησοῦς χριστός.


 La frase ἐν τῷ ὀνόματι Ἰησοῦ dev'essere tradotta ''al nome DI Gesù'', vale a dire, il nome che appartiene a Gesù, invece che ''al nome Gesù''.  Il Nome Divino, il Tetragramma, ora appartiene legittimamente a ''Gesù'', a ''Cristo''.

Questo si ritrova anche in Filone, laddove parla di Gesù. Filone ''sa'' che il Gesù di Zaccaria 6 è il Logos, e dunque ritiene che il titolo di Ἀνατολή con cui il Gesù di Zaccaria 6 è salutato deve essere attribuito necessariamente al Logos. Anche nell'Inno ai Filippesi il titolo di κύριος si assegna ad un essere che è già chiamato ''Gesù'' e ''Cristo'' agli occhi degli uomini.

Quindi lo ''svuotamento'' del Figlio corrisponde al ''riempimento'' dell'uomo (considerato) ''storico'' che ospitò il Figlio: entrambi i rispettivi processi paralleli di svuotamento e di riempimento raggiungono il culmine alla morte di entrambe le due nature, umana e divina, ''e alla morte di croce''.
L'uomo ''Gesù'', il ''Cristo'' κατα σαρκα viene dunque innalzato tramite l'identificazione col Figlio e onorato addirittura del Nome Divino. L'uomo ''riempito'' dal Figlio perciò, è la logica conseguenza, non è più un uomo qualsiasi, ma il Figlio dell'Uomo.



I successivi vangeli favoriranno letture letteraliste del vangelo di Marco (di cui non sono che puri rifacimenti)  e quindi indurranno sempre più gli stupidi hoi polloi a credere che Gesù diventa perfetto solo dopo la sua risurrezione - e così qualunque cristiano. L'enfasi sarà data sul prima e sul dopo la croce, e quindi sul prima e sul dopo la morte di ogni cristiano.

Ma per il messaggio segreto che ha voluto veicolare Marco, l'enfasi non è sul mero piano temporale. L'enfasi è sulla giusta conoscenza, non importa se da vivi o da morti: l'uomo ''Gesù'' è perfetto  - è il Figlio dell'Uomo - quando sa di essere posseduto dal Figlio allo stesso modo in cui i demoni stessi fiutano in lui la presenza del Figlio. Dopo la morte quell'autocoscienza interiore potrà raffinarsi e migliorarsi a dismisura, certo, (fino a poter parlare di una compiuta identificazione tra uomo e Dio), ma intanto l'uomo ''Gesù'' è già il Figlio dell'Uomo quand'è in vita perchè ospita dentro di sè il Figlio dell'Uomo. Quello che è richiesto ufficialmente al cristiano di rango inferiore è di rendersi conto che il suo corpo è il tempio dello Spirito Santo. Ma al cristiano di rango superiore è rivelata la verità: che dentro di lui dimora il Figlio allo stesso modo in cui dimorava nel peccatore ''Gesù'' proveniente da Nazaret, e per giunta con maggiore consapevolezza.

Lo Spirito Santo abita in lui allo stesso modo in cui abitava in ''Gesù'' di Nazaret quando scivolò dentro di lui al battesimo, e poco dopo ''lo sospinse'' nel deserto.

Il Tempio fisico di Gerusalemme non è più necessario. L'immagine del Tempio disico, distrutto nel 70 EC dai Romani proprio a causa della sua inutilità, è rappresentata plasticamente dalla tomba vuota con tanto di macigno rimosso. Questo a livello individuale, per il singolo ''Gesù'' proveniente da Nazaret e induttivamente per ogni singolo cristiano.
Ma a livello collettivo, il danielico Figlio dell'Uomo, ovvero il vero Israele, diventa la chiesa dei cristiani paolini alla quale apparteneva lo stesso ''Marco''. Il vero Israele muore nel 70 EC e risorge nell'Impero romano come nazione de-tribalizzata dei veri ''fratelli del Signore''.

Chi vuole vedere il Santo Sepolcro a Gerusalemme, dovrebbe visitare il Muro del Pianto. 


«A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole, affinché:   
"Vedendo, vedano sì, ma non discernano;
 udendo, odano sì, ma non comprendano; 
affinché non si convertano,
 e i peccati non siano loro perdonati