mercoledì 28 maggio 2014

Del Verus Paulus

Tre sono gli unici possibili scenari più probabili che istanziano il paradigma miticista.
1) Il primo è quello di Richard Carrier/Earl Doherty, alla cui cronologia la mia, più o meno, si avvicina molto probabilmente, ed ha il pregio di favorire la discussione con eventuali critici storicisti perchè viene incontro (ma non solo per puro amore di discussione, come ci si accorgerà alla fine) alle esigenze dei folli apologeti di non sospettare nulla di interpolato in Paolo tranne l'ovvia interpolazione cattolica costituita da 1 Tessalonicesi 2:14-16 (un passo ritenuto genuino solo da fanatici fondamentalisti cristiani della rete e vergognosamente pure da Mauro Pesce).


2) Il secondo scenario rispetta la cronologia di Carrier, dunque prima le epistole di Paolo (o almeno porzioni sufficienti di essi), anteriori al 70 EC, e poi i vangeli, però tende a fare di Paolo comunque più gnostico, fino a renderlo Simone di Samaria, meglio conosciuto come Simon Mago.
Ovviamente, l'effetto collaterale che si porta dietro questa identificazione, nonostante non ha sinceramente nessun'influenza sulla questione della storicità di Gesù, è di far arrabbiare i folli apologeti riluttanti a sognarsi neanche per sogno la riduzione di Paolo al fondatore della gnosi, *persino* concedendo ancora all'apostolo la paternità di parti cospicue delle 7 lettere paoline. I migliori proponenti di questo scenario sono due: Gordon Rylands e Roger Parvus. Poichè mantiene ancora la possibilità di recuperare un ritratto del Paolo storico, questo scenario non è veramente indipendente dal primo, e a separarlo da esso è solo colpevole la schizzinosa riluttanza dei folli apologeti ad avvicinare anche solo alla lontana idee eretiche. Il primo scenario è condizione necessaria e sufficiente perchè valga il secondo scenario, ma quest'ultimo è solo sufficiente perchè sia valido il primo.



3) Il terzo scenario è quello della Radikal Kritik: tutte le lettere di Paolo sono fabbricazioni di fine I secolo e/o del II secolo. Poichè vedo però che a quest'ultimo scenario spesso si accollano miticisti e storicisti di tutti i tipi, non sempre intellettualmente onesti o preparati, è necessario fare i dovuti distinguo, espellendo gli intrusi e gli untori della peggior specie dalla categoria.
Inutile dire che i migliori proponenti viventi di questo radicale, estremo scenario sono Hermann Detering e Robert M. Price.
Del passato io farei un nome, oltre che ricordando doverosamente il nome del grande studioso Willem Christian Van Manen (negatore delle autenticità delle lettere paoline pur essendo storicista), in Edwin Johnson (l'autore di Antiqua Mater) & Thomas Whittaker.

Mentre i primi due scenari sono paricolarmente noti e lo saranno in misura crescente perchè il trend generale sembra preferire, per motivi di reale spirito costruttivo e di sincero dialogo con gli storicisti intellettualmente onesti, ipotizzare un Paolo più tradizionale possibile (purchè tradizionale non faccia rima con teologico o apologetico, beninteso), tuttavia personalmente ritengo che solo chi è passato ad esaminare veramente a fondo il primo scenario, intuendone la sua maggiore probabilità rispetto alla migliore tesi storicista, può in un momento successivo andare ad esaminare onestamente e senza preconcetti la questione dell'autenticità delle lettere paoline.
Prima cioè devi decidere se ritieni Gesù esistito o non esistito, e SOLO DOPO CHE HAI PRESO LA TUA DECISIONE puoi considerare a sangue freddo e con la massima calma chi fu veramente Paolo.
Non stupisce allora che Van Manen si concentrò su Paolo senza neppure preoccuparsi di dimostrare la storicità di Gesù ma addirittura assumendola a priori: e pur tuttavia giungendo nella sua ricerca a ritenere probabile che nessuna di quelle sette lettere paoline fu scritta prima del 70 EC.

Per quanto riguarda Paolo, e non Gesù, le lettere di Paolo vanno considerate per se stesse e spiegate per se stesse a meno dell'ipotesi mitica o storica per Gesù.


Personalmente, non mi sento affatto nella posizione di influenzare il lettore per quanto riguarda l'autenticità delle lettere paoline ''non più disputate'' dal Consensus.

Ma se il lettore è così audace da sentirsela di fidarsi del mio fiuto, allora ecco quale pittura meglio descriverebbe, secondo il mio modesto punto di vista, la migliore rappresentazione del terzo scenario, se assumo a priori la validità della dimostrazione di Van Manen e degli altri critici radicali del passato o odierni circa le epistole ''paoline''. Mi limiterò a commentare le seguenti parole del miticista Thomas Whittaker, tratte dal suo libro The origins of Christianity, pubblicato nel lontano 1904.

Un maestro a cui nulla possa essere autenticamente attribuito se non qualche indefinito impulso ad una successione di discepoli, che dopo posero insieme, da fonti ebraiche, il corpus dei detti religiosi ed etici che chiamiamo gli ''insegnamenti di Gesù'', potrebbe possibilmente, quando il suo nome fu portato in un diverso medium sociale e lui fu personalmente dimenticato, crescere nel soprannaturale ''Cristo'' della scuola paolina. Se, comunque, dobbiamo indagare risolutamente nelle origini del cristianesimo dall'inizio, la domanda deve essere posta: è l'ipotesi necessaria tanto quanto è sufficiente?
Il risultato di ulteriore considerazione è stato di convincermi che non lo è.
Io accetto la conclusione di recente presentata da Mr. J. M. Robertson in una trilogia di efficaci lavori, che la storia del vangelo è, a tutti gli effetti e gli scopi, non semplicemente leggendaria, ma mitica.
La tesi di Mr. Robertson, così sembra a me, può persino essere approfondita ulteriormente. Lui, anche, si è trattenuto -- come egli sottolinea hanno fatto anche precedenti critici --  non mettendo in discussione la tradizione ecclesiastica abbastanza radicalmente.
...
Egli concede che il cristianesimo, come una setta distinta, potrebbe essere sorta al tempo circa in cui nacque secondo la vista autorizzata dalla Chiesa; cioè vale a dire nella generazione che precede la distruzione di Gerusalemme. Egli è dell'opinione, invero, che a quell'epoca non era nulla più che una setta ebraica; tuttavia qui il Paolinismo, se le epistole attribuite a Paolo e implicanti la sua attività sono genuine, sarebbero almeno un'anomalia. Le Investigazioni del prof Van Manen, comunque, rimuovono questa difficoltà. Infatti la sua tesi può essere perfettamente ben combinata con quella di Mr. Robertson. Ciò fatto, penso di dover fare un altro passo nella direzione negativa. Prima della caduta del Tempio dobbiamo assumere che nulla del tutto corrisponde al cristianesimo salvo un culto oscuro -- la cui evidenza Mr. Robertson ha fatto molto per portare alla luce -- e un indeterminato movimento messianico. La quasi-storica vita e morte di Gesù, attorno alle quali una nuova setta o sette venne a raccogliersi, non prese forma se non dopo l'anno 70. Il periodo di gestazione -- di creazione orale del mito -- perdurò fino a circa la metà del primo secolo. Poi iniziò la produzione della letteratura del Nuovo Testamento -- senza eccezione anche pseudoepigrafico -- che fu completato approssimativamente entro la metà del secondo secolo.

Anch'io nei momenti di maggior sfiducia e scetticismo circa la possibilità di recuperare un ipotetico ''vangelo dei Pilastri'' mi arrendo all'idea che sia possibile davvero basarsi sulla parola di quanto dice Paolo su di loro. O che Paolo stesso sia quello che dice di essere. E tuttavia almeno un punto fermo è la natura di autentico punto di svolta assunto dalla distruzione del Tempio nel 70 EC.


Una conferma particolare dell'opinione di Mr. Robertson alla quale desidero prestare attenzione è una più antica lettura dell'Epistola di Giuda ... Capita al verso 6, e il suo significato è portato alla luce dal verso 6. ''Ora io voglio ricordare a voi, che già conoscete tutte queste cose, che Gesù [cioè, Gesù, invece di ''il Signore''] dopo aver salvato per la seconda volta il popolo dalla terra d'Egitto [Mosè avendolo fatto la prima volta], fece perire in seguito quelli che non vollero credere''. Il verso successivo procede: ''e che gli angeli che non conservarono la loro dignità ma lasciarono la propria dimora, egli li tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno''.
Chiaramente la sottomissione degli angeli erranti può solo essere attribuita ad un essere soprannaturale, e non ad un mero eroe nazionale. E si deve ricordare che l'epistola è un'opera giudeocristiana, non una cristiana gentile.

L'ennesimo indizio di una figura angelica, nelle epistole, mai scesa veramente sulla terra.


Evidentemente abbiamo qui, nell'idea già esistente su base ebraica di un liberatore con nome e attributi divini, un possibile centro di una nuova crescita. Questo rende superfluo la personale spiegazione di mr. Frazer del culto cristiano come l'inizio dell'idea sacrificale in una rinnovata vitalità attraverso la morte di un reale Gesù -- il maestro galileo -- scelto, dalle macchinazioni di un'ostilità sacerdotale, come vittima di un sopravvissuto rito annuale a Gerusalemme durante il quale di solito un criminale condannato recitava la parte di un dio morente. Infatti la possibile ipotesi di mr. Frazer [non tende ad escludere la sua ipotesi una generalizzata posizione dichiarata dallo stesso mr. Frazer nella misura in cui si applicherebbe anche al pasto sacramentale? ''La gente non osserva di solito un costume a causa di una particolare occasione in cui un essere mitico è detto di aver agito in un certo modo. Ma, al contrario, davvero spesso inventa miti per spiegare perchè praticano certi costumi'' (The Golden Bough, 2nd ed., vol. ii., p. 420.)  ... ] può essere rimpiazzata con una combinazione dei risultati positivi della sua grande inchiesta antropologica con i risultati, tanto negativi quanto positivi, del criticismo biblico. Gli eventi particolari considerati nei vangeli non accaddero; ma, come pensa mr. Robertson, la storia condensa un'intera fase --invero, più di una sola fase -- di religione in una singola figura. La vittima umana è crocifissa in quanto l'incarnazione del dio. Egli ha gli attributi di un dio della vegetazione e di un dio del vino; di qui si può essere partecipi del suo corpo e del suo sangue mangiando pane e bevendo vino. Egli risorge di nuovo dai morti. La sua morte e risurrezione vengono celebrate ogni anno, alla stagione quando le celebrazioni della morte e della rinascita di divinità -- se rappresentanti delle forze della vegetazione oppure del potere del sole -- sono comuni.
Con questa più arcaica concezione, secondo la quale il dio viene ucciso nella sua maturità così da poter riottenere il suo vigore in una nuova manifestazione, l'idea espiatoria è combinata. Lui stesso senza peccato, veniva reso un sacrificio per i peccati altrui. La sua morte, perciò, coincide nel tempo con un antico rito espiatorio, la Pasqua, probabilmente in sé stessa derivata da una pratica di sacrificio umano. Poi, poichè la nuova religione del Dio Incarnato adotta i sacri libri del suo predecessore come propri, tutte le altre concezioni devono essere riconciliate col monoteismo ebraico. Da qui il problema della teologia cristiana, preservata dal Nuovo Testamento ai Padri e dai Padri agli Scolastici.
Ma, se noi accettiamo qualche veduta di questo tipo, l'interrogativo ancora rimane a cui rispondere: Quando il culto per prima si procurò un nuovo mito in una forma concreta? La risposta che propongo è che ciò non accadde fino a dopo la distruzione di Gerusalemme nell'anno 70. Quella grande crisi sprigionò idee che da lungo tempo si stavano preparando. Sappiamo sia da Flavio Giuseppe sia da Tacito che prodigi erano raccontati di essere accaduti prima della caduta del Tempio. Una voce più forte di quella umana fu udita proclamare la caduta ''degli dei''. Ma pochi, racconta Tacito, intepretarono ciò nel senso di timore: ''in molti erano convinti che fosse vero quanto era scritto negli antichi libri sacerdotali che quello era il tempo in cui l'Oriente si sarebbe imposto sul resto del mondo e uomini partiti dalla Giudea avrebbero conquistato il potere.'' Ora quelle speranze non furono abbandonate dagli ebrei ortodossi fino a molto tempo dopo. Il convertito gentile all'ebraismo era ancora una figura familiare a Roma sotto il regno di Diomiziano, e anche dopo, come si può inferire da Giovenale -- il quale, si può notare, all'inizio del secondo secolo non sa nulla dei cristiani. Non fu che fino alla totale disfatta della politica ebraica, in conseguenza della rivolta soppressa da Adriano, che la religione si ritirò nella esclusività tutto tranne che completa che avesse mai da allora mantenuto. Ed entro quel tempo il proselitismo ortodosso, riservando come fece ai nati ebrei la posizione di un'aristocrazia generale, era stata superata da quella dei cristiani, che erano usciti da loro.
Quindi sembra probabile che, proprio dopo la catastrofe dell'anno 70, quegli ebrei o semi-ebrei che per qualche ragione erano delusi dalla casta sacerdotale e dai rabbini mostrerebbero una piuttosto fervida attività. Infatti anche loro erano immersi nelle speranze nazionali, e gli accettati leader del popolo avevano fallito.

Sono soddisfatto nel vedere come anche qui si riconosce la debita importanza del Disastro del 70, autentico vero spartiacque della Storia dell'umanità in due tronconi distinti.


Una diceria allora si sparse che il Messia che aveva sofferto per poi trionfare, era già apparso e aveva già subito quello che fu predetto dai profeti. Non meriterebbe questo all'istante una fiducia da numerose persone? E qui è la base come potrebbe essere trovata per un mito. Non ci fu nulla di incredibile nell'affermazione che colui che era stato inviato per condurre la nazione lungo una nuova via era stato crocifisso da Ponzio Pilato, la cui prefettura era ora nel passato, ed era ricordata per la crudeltà sugli ebrei. Il nome di Gesù -- un nome reale in Israele -- era destinato al nuovo liberatore per il suo essere un antico dio trasformato in un leader nazionale.
L'Eucarestia, a cui si partecipava in limitati circoli, esisteva tra gli ebrei come altrove. E quei circoli, con la loro devozione a misteri non ufficiali, erano prossimi a trattenere le più arcaiche idee religiose. Quindi c'era già un culto e un'organizzazione preparata a ricevere un nuovo credo così congeniale. Abbastanza è conosciuto di tali confraternite da rendere comprensibile che estese associazioni da loro emergenti divenissero davvero potenti.


Seppure è corretto, non spiega a dovere il passaggio dall'illusione alla diceria, e dalla diceria al dogma.

Sul piano etico fu facile attribuire al nuovo liberatore un riformato insegnamento che alcuni tra le menti migliori, reagendo contro la superaffettazione del rituale e della casistica ufficiale, desideravano dedurre dagli antichi libri. Quindi potrebbe essere apparsa la prima collezione di detti attribuita a Gesù. Se questo fu un movimento relativamente recente, originatosi in Palestina, allora possiamo spiegare la differenza tra l'impressione fatta su  un moderno ebreo liberale dal Gesù sinottico e dal Paolo delle epistole. L'insegnamento principalmente attribuito al fondatore rappresenta una fase di riflessione morale che fu realmente in contatto con la legge, e poteva criticare le sue manchevolezze e coloro dei suoi rappresentanti con efficacia. Gli scritti paolini rappresentano il cristianesimo gentile, per il quale la legge fu un'astrazione. Per i gruppi paolini il principale interesse risiede nello sviluppo di un'idea del Cristo soprannaturale sulle linee di un'incipiente teologia e ''soteriologia''. E questo sviluppo, come Van Manen ha mostrato, fu ellenistico, e fu rimosso di almeno una fase dall'origine della religione di Gesù.

Il vero problema della Radikal Kritik è tutto qui: come spiegare l'assenza di un Gesù storico nelle epistole paoline, se quelle epistole furono fabbricate proprio in parallelo ai primi detti attribuiti a Gesù?
Pensare che i due movimenti non si fossero mai incrociati facendosi conoscere l'un l'altro è assurdo, e difatti lo si può superare davvero solo facendo anticipare l'ultima epistola di Paolo al primo vangelo, ricadendo dunque nel primo o nel secondo scenario.

Quello che fu richiesto ai neofiti, comunque, non era l'accettazione dell'insegnamento, ma la fede nella miracolosa risurrezione di ''il Signore''. Non c'è nessuna traccia di evidenza di qualche recente o più antico cristianesimo che fosse semplicemente una regola morale di vita. La più semplice forma di fede descritta nella letteratura cristiana è la confessione che il Gesù della cui vita e morte tradizioni orali erano in circolazione fu il Messia -- ''il Cristo''.
Ben pochi dei convertiti ellenistici di Siria o Asia Minore, dove il cristianesimo ottenne i suoi primi successi, avrebbero la competenza o il desiderio di investigare tali tradizioni. Se qualcuno avesse mostrato l'inclinazione, ad essi era detto che la fede senza evidenza era una virtù.

Se queste parole fossero pronunciate da un folle apologeta, sarebbero l'ennesima ridicola elusione al problema di un Gesù storico nelle epistole paoline. Forse Whittaker sta postulando una creazione e dell'angelo Gesù ''di Paolo'' e del Gesù dei vangeli che avviene quasi in parallelo. E tuttavia quel silenzio rimane.



... Il Messia degli ebrei, poteva ora essere dichiarato nei termini di un mito tipico e mondiale, aveva sofferto e risorto di nuovo dai morti. Egli ritornerebbe per ricompensare coloro che avevano fede, e per punire gli infedeli con la distruzione. Quindi il vecchio sogno teocratico ricomparve. Gli iniziati del culto emergente non avevano pensato a rinunciare all'attesa di un dominio universale da loro ereditato, come credevano, dai loro progenitori, naturali o spirituali. Il loro regno non era di questo mondo; perchè, quando sarebbe giunto, il mondo -- o l'era presente -- sarebbero stati distrutti. La loro Gerusalemme era una Nuova Gerusalemme; da qui bisognavano di non trascurare la vecchia. Aspirazioni teocratiche pacifiche e violente erano intrecciate, come per i loro predecessori. Da qualcuno di loro si desiderò che ogni cosa dovesse essere fatta con mite persuasione; altri prospettarono piaghe e terremoti e fuoco divoratore. Nella misura in cui gli ebrei ortodossi non ricevettero entusiasticamente il nuovo vangelo, o ''buone nuove'', la responsabilità della morte del promesso Redentore iniziò ad essere gettata su di loro, e rimossa per quanto possibile dal governatore romano. Profezie della distruzione di Gerusalemme, e parabole prefiguranti il ripudio degli ebrei increduli dal regno promesso, furono messe in bocca a Gesù. La nuova setta si volse sempre più ai gentili. La festa è per tutti tranne che a coloro che furono per prima invitati: se qualuno fosse stato riluttante, i servi del regno dovevano costringerli a venire. Gesù, si pensò, aveva mandato avanti i suoi mistici Dodici Apostoli -- corrispondenti ai dodici patriarchi e alle dodici tribù di Israele. Aveva ordinato loro di insegnare a tutte le nazioni, e aveva costituito le cerimonie della sua religione -- in realtà, costumi ancestrali, ebrei e pagani. Si formò una storia del suo tradimento. Egli era stato ''comprato con un prezzo'', come le vittime di noti sacrifici umani. Un Dramma del Mistero giunse ad essere, contestualizzando la sua Crocifissione e la sua Risurrezione e gli eventi associati. Questa è la base della narrazione esistente; come è specialmente evidente nei nostri primi due vangeli. La mitologia e il rituale ellenistico -- nella loro più remota origine essi stessi asiatici -- contribuirono al sincretismo. Lo sviluppo mitico fu accompagnato o seguito da speculazioni di una mente più intellettuale. Nel giro di una generazione dalla caduta del Tempio, la via era stata preparata per il nuovo movimento chiamato Paolinismo.

A parte l'ultima affermazione, possibile solo nel contesto del terzo scenario, il resto può valere benissimo e conserva tutta la sua validità anche nei primi due scenari.


La più antica espressione letteraria del cristianesimo, sebbene non il più antico tipo o dottrina, fu il Paolinismo. Coloro che iniziano a introdurre un cristianesimo speculativo nel nome di ''Paolo'' furono i primi cristiani a scrivere, per la precisa ragione che erano loro gli innovatori. Le epistole che formano la nostra collezione crebbero a partire da una letteratura paolina consistente di breve esposizioni dottrinali ed esortazioni. Non differiscono essenzialmente dalle altre antiche epistole cristiane, che non erano mai lettere reali, ma, dal principio, composizioni edificanti attribuite a uomini di reputazione nel passato, recando inequivocabili segni del presente al quale appartengono.
Questa vista, che è di Van Manen, introdotta parzialmente nelle sue proprie parole, io accetto; ma qualche riaggiustamento è necessario in relazione alla diversa posizione io son stato obbligato a prendere riguardo al cristianesimo molto più antico. La modifica necessaria, comunque, è sorprendentemente poca.
La prima domanda da sollevare è: Chi era questo ''Paolo'' a cui sviluppi dottrinali e poi le loro esposizioni epistolari furono attribuite? Stando a Van Manen, lui era uno di coloro che erano stati convertiti dai discepoli di un reale Gesù alla fede nel fatto che egli fosse il Messia  Il nuovo ''apostolo'' (per adottare il termine posteriore) fu attivo specialmente in viaggi missionari, e di qui fu ricordato con grande vividezza rispetto agli altri. Alcuni di quei membri delle comunità cristiane che, circa alla fine del primo secolo o agli inizi del secondo, si stavano congedando da idee limitatamente ebraiche, posero se stessi sotto la protezione del suo nome, forse perchè l'ampio raggio della sua attività suggeriva una maggiore tolleranza di costumi non-ebraici. Racconti di abbellimento dei suoi viaggi furono scritti -- sulla base parzialmente di un diario scritto da un compagno di viaggio. Di questo diario possediamo porzioni nella ''narrazione da viaggio'' dei canonici Atti degli Apostoli. La narrazione che possediamo è stata in qualche modo manipolata; ma l'abitudine alla prima persona plurale indica un reale diario. Il nucleo genuino che potrebbe essere dedotto non è incoerente con la posizione cronologica attribuita a Paolo nella leggenda. Quindi esisteva un punto di contatto per la letteratura paolina nella vita reale di colui che visse nella generazione precedente alla distruzione di Gerusalemme.

Questa visione di Van Manen è forse un'indicazione che perfino spostando tutto ''Paolo'' nel II secolo, ancora non si hanno veri effetti sulla storicità di Gesù, nonostante un certo maggiore giustificato agnosticismo sulla sua esistenza.



La modifica da me suggerita è la seguente: il Paolo che fu ricordato non fu in verità un associato ai discepoli di un reale Gesù; ma appartenne ad un gruppo di propagandisti messianici del giudaismo. Qualcuno di tali gruppi dev'essere stato vagamente ricordato, e i ''cristiani'' nel nostro senso (che emersero dopo la distruzione di Gerusalemme) naturalmente farebbero uso dei loro nomi, trasformandoli nei discepoli della persona Gesù nella quale credevano. L'''età apostolica'' fu quindi leggendaria, ma non totalmente mitica. Senza dubbio c'erano considerevoli elementi di puro mito, specialmente nel caso di ''Pietro'', l'apostolo ''roccia''. E, invero, delle figure che rimangono, nessuno ha la minima tangibilità salvo Paolo. Ancora, nel Paolo degli Atti e della letteratura epistolare è lasciata una figura che ha il grado di realtà che si può ritrovare in un romanzo storico. Questo è il personaggio del suo processo dinanzi a Festo. Come il processo di Apollonio di Tiana dinanzi a Domiziano, potrebbe non rappresentare qualcosa che prese veramente luogo; ma fu composto in relazione ad un reale personaggio, ed esso ha qualche particolare di un possibile processo. È non semplicemente una trascrizione dalla Recita di un Mistero. Il Paolo che veramente visse potrebbe aver viaggiato fino in Grecia e in Italia, e potrebbe essere stato in definitiva perso di vista a Roma. Aldilà del racconto frammentario di un singolo viaggio preservato in Atti, non esiste comunque nessuna speranza di ricostruire la sua vicenda.
Anche questa vista, che, per quanto riguarda Paolo, non si differenzia sostanzialmente da quella di Van Manen, non è assolutamente necessaria per spiegare la letteratura paolina. Considerando simili attribuzioni prima e dopo, potremmo essere inclini a dire che sarebbe sufficiente una personalità puramente fittizia. Tuttavia la collezione di narrazioni particolareggiate negli Atti degli Apostoli sembrano puntare a qualche sorta di vista sull'intero. Quelle narrazioni sono in verità piene di miracoli; ma sembrano meglio spiegate dall'ipotesi che siano leggende emergenti dall'attività propagandistica di ebrei messianici prima della distruzione di Gerusalemme piuttosto che rifiutandole in toto come semplicemente generiche storie di miracoli circa personaggi ''simbolici''.
Rappresentazione del terzo scenario proposto dalla Radikal Kritik.


Esattamente. Qualora un giorno dovessi essere sempre più convinto che le epistole sono invenzioni posteriori, questa sarebbe la pessimistica visione risultante. Una creazione post-70 di un vero e proprio *cristianesimo* con radici ''teoriche'' nell'ebraismo messianico più marginale pre-70 di cui si è persa praticamente ogni traccia (al punto che non si può parlare più nemmeno di ''giudeocristiani'' per quel periodo, ma solo di ''Ebrei Cristiani'' o ebrei messianici apocalittici), sempre come reazione al Disastro del 70.  L'agnosticismo su Gesù sarebbe a quel punto una forma di supremo, forte agnosticismo: poichè la Storia è per definizione scritta, non avendo documenti risalenti al I secolo che parlano di Gesù o di suoi seguaci, siamo allora in presenza di pre-istoria, ovvero di un tempo oramai leggendario sul quale è più saggio sospendere per sempre il giudizio.


Per una maggiore spiegazione dello sviluppo dottrinale chiamato ''Paolinismo'', mi riferirò all'esposizione che segue. Le cospicue caratteristiche del vangelo paolino sono, naturalmente, l'insistenza sulla ''fede'' che in Gesù ''il Cristo'' è giunto, e sulla ''grazia'' che è data agli uomini per credere. Questa grazia e questa fede sono le condizioni della salvezza personale. Il Cristo di Paolo, il ''Figlio di Dio'', in cui la fede è richiesta e da cui la grazia proviene, è l'espressione di un più esaltato soprannaturalismo di quello dei vecchi Messianisti. Lo sviluppo è speculativo piuttosto che mitico o apocalittico. La scuola giovannina, approfondendo questo ancor di più, dette soddisfazione anche alla concreta immaginazione che sentì la necessità di combinare con esso la fede nella realtà di un ''Cristo secondo la carne''. Per ''Paolo'', una manifestazione carnale apparente di ''il Cristo'' sarebbe stata sufficiente; ci sono indicazioni nelle Epistole di quello che fu in seguito definito ''docetismo''. La scuola di ''Giovanni'', evitando questo sviluppo, calmò gli ''ortodossi'': cioè per dire quelli tra i leader che istintivamente percepivano l'importanza di governare l'umanità, di stare al passo con i pregiudizi della massa, la quale evidentemente non poteva mollare il patetico concreto Gesù, l'equivalente di Tammuz o di Adone dell'antico culto semitico. La mitologia religiosa popolare, come distinta dalla mitologia filosofica dei cristiani gnostici, alla quale per sé stessa tendeva il Paolinismo, era quindi salvata. Nello stesso tempo, ''Giovanni'' portò maggiore ridefinizione di ''Paolo'' sul piano filosofico della mitologia. L'idea alessandrina di un Logos mediatore, o Ragione creativa, tra il Dio supremo -- della filosofia e dell'ebraismo -- e il mondo e l'uomo, fu applicato in un senso peculiare a Gesù Cristo. L'uomo di carne e sangue, e l'essere divino, dovevano essere concepiti come misticamente uniti. E il Logos non era semplicemente un potere o aspetto di Dio, ma era Dio.

Si ripropone implicitamente il processo classico in due fasi: Gesù di Paolo celeste o docetico/mitico, bonificato infine col Cristo camminante sulla terra firma e culminante nel vangelo cattolico/cattolicizzato di Giovanni. Si è costretti sempre a posporre i vangeli alle epistole, perfino dopo aver spostato le seconde dopo il 70.


Quindi il problema portato in seguito ad una soluzione ortodossa nella formula nicena fu posto. In ogni soluzione ammissibile, il formale monoteismo doveva essere trattenuto. La consapevolezza media cristiana era troppo ebraica per permettere un reale ''secondo Dio''. D'altra parte, la teologia cristiana, nella misura in cui venne più a contatto con le scuole, per necessità operò sotto la dominazione dell'idea triadica, la quale poi affascinò le menti speculative. Un altro potere mediatore, perciò, fu richiesto per completare la divina triade. Questo fu trovato nello Spirito Santo (il Pneuma), una concezione che apparve anche sulle frequenze dell'ebraismo alessandrino. Non esiste nessun bisogno di procedere ulteriormente nel complesso processo attraverso il quale la logica formale da un lato, e lo spirito del compromesso pratico dall'altro, lavorò per elaborare a partire dai dati sparsi del Nuovo Testamento il dogma di tre co-eguali ''persone'' o ''ipostasi'' in un unico Dio. Potrebbe essere sufficiente dire che il tipo di soluzione è da trovarsi implicitamente in ''Giovanni''. ''Paolo'' lasciò spazio a più variegato sviluppo speculativo. Cosa, allora, ne fu dunque del magmatico movimento della scuola paolina, il quale precedette la scuola giovannina e non fu da essa assorbita?
La risposta è fornita nella storia ecclesiastica. La ''Chiesa Cattolica'' ebbe successo nell'appropriarsi del nome di ''Paolo''; ma lui mai cessò di essere quello che era stato definito nel secondo secolo, ''l'Apostolo degli Eretici''. Un leggero schizzo del nuovo sviluppo mediante cui la transizione fu realizzata verso un cristianesimo de-cattolicizzato sarà necessario prima di concludere questa introduzione. Nel frattempo potrebbe essere degno di portare intanto in vista una o due indicazioni del fatto che la nostra collezione delle ''epistole di Paolo'' al pari in generale del Nuovo Testamento, è di molto successivo all'anno 70. Tali indizi, in realtà, sono stati resi chiari da Van Manen nelle epistole che egli tratta specialmente: e se quegli indizi venissero abbandonati, non ci potrebbe essere nessuna seria ragione di difendere il resto: mentre l'abbandono del resto non li influenzerebbe di per sé. È, perciò meramente per amore di una preliminare illustrazione, e non con l'idea che i passi citati chiudano la questione, che io scelgo un esempio dall'epistola ai Galati e un esempio dalla prima epistola ai Tessalonicesi.
Prendi l'allegoria dei due patti in Galati 4:24-26. Non si applica l'antitesi che vi emerge a due religioni, entrambe consapevoli delle proprie pretese come tali; la nuova non considerando sé stessa come una mera setta dell'antica? Ma il passo al quale presterei speciale attenzione è 4:25, dove è detto, in riferimento alla presente Gerusalemme  ''che di fatto è schiava insieme ai suoi figli''. Per contrasto, ''la Gerusalemme di lassù è libera ed è la madre di tutti noi''. Quale sarebbe stato il punto di questo mentre Gerusalemme con il suo Tempio e il suo clero duravano, non solo al sicuro, ma pieni della speranza di essere resi presto il centro visibile del regno di Dio sulla terra?

[Non esiste, naturalmente, un formale anacronismo, dal momento che gli ebrei erano tutti in diversi gradi di soggezione a Roma. La cessazione del culto del Tempio era troppo evidente all'antica letteratura cristiana per permettere da sé diretti riferimenti da parte di Paolo all'evento, a meno che non fossero rivestiti nella forma della profezia. La subordinazione politica della Giudea, comunque, è piuttosto insufficiente per spiegare il tono di un passaggio il quale chiaramente implica che l'ebraismo è già una causa persa, e che il futuro dell'idea teocratica potrebbe ora essere vista imprescindibilmente legata al cristianesimo.]


Questo è uno degli argomenti invero più forti della Radikal Kritik. Parlare in forma velatamente criptica e profetica della distruzione del Tempo oramai alle spalle.
Penso che la migliore soluzione potrebbe essere di confrontare cosa è più forte: il silenzio su Paolo di un Gesù storico nelle epistole ''non disputate'' oppure le contraddizioni implicate dal considerare quest'ultime appunto ''non disputate''?





Un passaggio che comunica, se possibile, più fortemente nello stesso senso è 1 Tessalonicesi 2:14-16. "I Giudei"— di cui l'apostolo è supposto essere uno di loro — sono ''nemici di tutti gli uomini"; e ''su di loro l’ira è giunta al colmo". Il solo interrogativo circa l'ultima espressione è se non dovesse essere riferita a qualche tempo subito dopo il 185, quando la rivolta che era finalmente dilagata sotto il regno di Adriano non venne soppressa. La prima espressione potrebbe essere stata copiata da Tacito (adversus omnes alios hostile odium, Hist. libro V, 5). Il punto di vista appartiene ad un cristianesimo del quale l'ambizione di essere una religione mondiale stava emergendo così alta da star già in procinto di eccitare l'''antisemitismo'' tra i pagani.

[L'originale dovrebbe essere letto per apprezzare l'assolutamente impensabile carattere dell'intero passaggio nel 54, la data tradizionale. ... Ogni clausola indica reminiscienza, drammaticamente riferita, sulla bocca del presunto autore apostolico, al presente o al futuro. ]

Incredibile come era facile denunciare già allora il palese antisemitismo provocato dal nascente cristianesimo proprio nei primi del 900, quando questo libro fu pubblicato, prima ancora dell'ascesa di Hitler al potere nel 33! Questo non può che far aumentare le colpe di quegli antisemiti storici!

La Chiesa Cattolica
Stando alla vista assunta nell'opera di Van Manen, le lettere paoline nel nostro testo presente sono leggermente ''cattolicizzate''. Sarebbe possibile trattare il passaggio appena citato da 1 Tessalonicesi come un'interpolazione in questo senso. L'argomento, comunque, non dovrebbe essere solo su basi puramente testuali, ma sulle basi dell'''alto criticismo''; e, come Van Manen ha illustrato, quando un tale processo va fino in condo completamente, i risultati sono difficilmente più conservatori rispetto a quelli a cui lui stesso è arrivato.
In ogni caso, le epistole paoline non espressero originariamente le idee di quella che dopo divenne la ''Chiesa Cattolica''. Paolo -- l'ideale autore della serie -- era non, come Comte arrivò a considerarlo, ''il fondatore del cattolicesimo''. E neppure era per la precisione, come lo definì Benan, ''il dottore protestante''. Egli potrebbe essere meglio descritto come il padre dello gnosticismo.

Il padre della gnosi... Simon Mago? Whittaker fa di quest'ultimo solo il parafulmine inventato puntualmente dai predatori di eretici cattolici, però per Detering, Price e Parvus Simone di Samaria fu proprio il reale Paolo storico. In questo modo il terzo scenario sfocia nel secondo, se non fosse per la sua orgogliosa ostinazione a non trascinare neanche uno spicchio di epistola prima del 70!



Le più antiche persone storiche da lui influenzate furono Basilide e Marcione. Essi svilupparono ''l'Apostolo'' (il solo da loro riconosciuto) nella direzione del loro personale anti-giudaismo. Questo anti-giudaismo era di un genere speculativo; non sembra essere stato una forma di esacerbata propaganda. Essi non ebbero nessun ruolo decisivo nella ramificante organizzazione mediante la quale gli ecclesiastici cristiani ebbero successo nel dominare il mondo. In verità, loro erano gli stessi tra coloro in seguito perseguitati dai suoi capi. L'auto-denominatasi Chiesa Cattolica innanzitutto divenne visibile come una crescente associazione di comunità cristiane animate dall'ambizione di succedere ai poteri teocratici del clero ebraico. Gli speciali rappresentanti del sogno di dominio mondiale giunsero ora ad essere certi pragmatici esperti in pubbliche relazioni, pronti ad operare con tutti i mezzi, ma, sul piano intellettuale, procedendo specialmente mediante compromesso entro certi limiti. Col passare del tempo, divennero naturalmente sempre più ostili a coloro che, aderendo ostinatamente alla antica comunità ebraica, sembravano una protesta vivente contro le loro assunzioni. Un'illustrazione del loro modo caratteristico di condurre con la protesta fu fornita, quando giunsero al potere, da Cirillo di Alessandria.
Non accadde che essi da ultimi simpatizzassero, al pari degli speculativi gnostici, con la ribellione contro l'irato Geova dell'Antico Testamento. Al contrario, adottarono nel loro canone le aspirazioni dei pià fieri apocalittici. Ogni anima che non ascolterà il nuovo profeta sarà distrutta (Atti 3:28). ... In ricompensa alle persecuzioni e tribolazioni che sopportano, i fedeli riposeranno con gli Apostoli,  ''quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo, insieme agli angeli della sua potenza, con fuoco ardente, per punire quelli che non riconoscono Dio e quelli che non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù'' (2 Tess. 1:7-8).
L'ideale della nuova teocrazia fu il dogma autoritario socialmente supremo. Il puro monoteismo combinato con la pratica di un rituale non basterebbe più a lungo -- il dogma era stato complicato dalla rinascita di arcaiche concezioni sacramentali e da una nuova mitologia, in parte di derivazione pagana. Le  horribilia secreta dell'''assassinio del dio'' e del ''cibarsi del dio'' dovevano essere portate entro le forme della logica come se fossero verità filosofiche. La vecchia idea dello Stato-Chiesa nazionale, il ''popolo eletto'', era passata in quella del sacerdozio universale.
Nella nozione, ora definitivamente formulata, dell'''eresia e scisma'' come crimini, venne coinvolto l'orribile germe dal quale crebbe il sistema storico al cui confronto le religioni di Dahomey e dell'antico Messico erano naturali e amabili errori.
Speranze di emancipazione dal giogo del costume tirannico che emerse nelle comunità cristiane, come erano sorte prima in Grecia, furono sistematicamente soppresse. Definitiva e ripetuta sanzione di schiavitù, perdurante ''sottomissione delle donne'', massime politiche che sono state giustamente interpretate nel senso di ''passiva obbedienza'' potrebbero contrastare con molto dello spirito del Nuovo Testamento, ma è in loro che noi percepiamo l'autentico ''pensiero della Chiesa''. E tuttavia non potrebbe esserci mai alcun dubbio che, se solo una volta venissero in conflitto con il sistema del clero e del suo dogma, tutti i legami civili e domestici sarebbero dissolti. Il criticismo sembra di aver giustificato l'audace suggestione di Hobbes, che ciò che fu inteso in origine come peccato contro il Fantasma Santo, che mai poteva venir perdonato, era la resistenza al potere ecclesiastico.

L'essenza del cattolicesimo è pura, indifferente & indistinta, affettata e prudente, Reductio ad Unum.
Il priore Godwin, nella miniserie televisiva Mondo senza fine (impersonato dall'attore Rupert Evans) tratto dall'omonimo romanzo di Ken Follett, rappresenta la quintessenza dell'ecclesiastico cattolico corrotto dalla brama di potere e di asservimento delle masse.


La Filosofia contro la Religione Rivelata.
La considerazione era stata fatta sopra che la resistenza del secondo secolo ai propagandisti delle nuove rivelazioni assicurarono uno spazio di temporaneo respiro alla filosofia indipendente. Questo rispetto permise a Plotino, nel terzo secolo di fondare l'ultimo grande sistema filosofico del'antichità, da allora conosciuto come Neoplatonismo, senza così tanto come nominare la Chiesa Cattolica; sebbene in un libro egli si oppose alla dottrina degli gnostici. I cristiani gnostici, con le loro alte pretese speculative, senza dubbio sembrarono meglio degni di confutazione da parte di un filosofo al contrario dei cristiani ortodossi, i quali per lui rappresenterebbero solo il lato puramente ingannevole del movimento. Plotino trova, invero, negli gnostici una sorta di oscuro riflesso di Platone: e tuttavia dovremmo sapere dal suo trattato, in mancanza di nessun'altra evidenza, che loro erano troppo fanatici anti-ellenici, pieni dell'arroganza che considerava l'intero mondo visibile e tutti gli uomini salvo i cristiani come sputati fuori dall'attenzione del divino, in quanto distinto dal potere demoniaco o persino diabolico.

Anche la gnosi non era da meno. Tutto l'albero era marcio alla radice, contaminato com'era dalla pura brama di superamento del vecchio mondo a favore di una nuova, delirante palingenesi universale.
Lo sviluppo del Cristianesimo
Figura tra i perduranti meriti di Baur e della sua scuola l'aver posto fine una volta per tutte alla tacita assunzione che il cristianesimo dei primi due o tre secoli non avesse nessuna evoluzione; che esso fosse dall'inizio cosa divenne in seguito. La loro formula, invero -- Petrinismo e Paolinismo in forte opposizione durante il tempo degli Apostoli, e in seguito riconciliati nel cattolicesimo -- non ha dato soddisfazione duratura; ma i tentativi da allora fatti di ritornare alla vista tradizionale sono ancor più completamente falliti. Quello che era necessario era che più fasi dovrebbero essere riconosciute, e che un maggior periodo di tempo dovrebbe essere concesso per l'evoluzione. Quelle condizioni sono soddisfatte se collochiamo il ''Paolinismo'' considerevolmente più tardi dell'insegnamento dei primi apostoli, Paolo compreso.
I discepoli, che potremo associare con Pietro, rimasero pii ebrei. Erano definiti ''santi'', o ''quelli santi'' non in un senso etico, ma nel senso veterotestamentario di ''consacrati a Dio''. Insegnarono ''le cose riguardanti Gesù'', il loro Maestro crocifisso, che considerarono il Messia. È quindi piuttosto comprensibile -- la loro differenza da altri ebrei essendo così leggera -- che difficilmente attirarono attenzione al loro proprio tempo; che passarono di scena inosservati, o quasi inosservati, non solo dagli autori greci e romani di quei giorni, ma anche da uno storico ebreo come Flavio giuseppe. Nel frattempo, i grandi eventi in Judaea che terminarono con la distruzione di Gerusalemme, potevano non essere senza influenza su di loro. Alcuni discepoli, senza dubbio, erano già meno attaccati alla legge di altri; e l'accresciuto contatto con il mondo greco-romano deve aver accellerato il più esteso movimento, il quale, come abbiamo visto, non era esclusivamente ''paolino''. Il ''Paolinismo'' si diffuse -- come la direzione giovannina fece più tardi e probabilmente in un'altra comunità -- in stretta connessione con la germinante gnosi. Alcuni reagirono ferocemente contro di essa. Quelli li chiamiamo ''giudaizzanti''. Devono essere distinti dai primi ''discepoli'', i cui credi erano di un più indeterminato carattere. Gli uomini moderati che assunsero una posizione di equilibrio tra gli estremi paolinisti e gli estremi giudaizzanti furono coloro che ebbero successo nel formare il cristianesimo cattolico. I giudaizzanti che andarono troppo lontano ricevettero, come una ricompensa per il loro zelo, un posto come eretici ''Ebioniti''. Infine, ''Paolo'', dopo un periodo durante il quale fu guardato con sospetto, sebbene non irrevocabilmente condannato dai cattolici insieme con gli eretici gnostici da lui ispirati, poteva essere accolto nel pantheon dei grandi uomini che, come preminentemente ''Apostoli'' -- i ''Dodici'' con l'aggiunta di uno -- erano stati incaricati di porre giù la legge della fede e della condotta per le generazioni del presente e del futuro.


È interessante osservare quanto poco, su questa vista, il metodo della chiesa è cambiato tra il secondo e il tredicesimo secolo, quando gli appena riscoperti scritti aristotelici, dopo essere tenuti a distanza proprio come lo erano stati gli scritti ''paolini'', furono almeno collocati in quella posizione di suprema autorità sulla conoscenza naturale in quanto distinta dalla conoscenza ''rivelata'' che rese loro per il Rinascimento così ingiustamente, sebbene inevitabilmente, il tipo per antonomasia di oppressione intellettuale.


Quello che chiamiamo Paolinismo, e conosciamo meglio dalle ''epistole di Paolo'' del Nuovo Testamento, sorge dopo, in connessione con la germogliante gnosi cristiana, sotto l'influenza della filosofia greca alessandrina. Tuttavia non fuori dal margine dell'ebraismo, o molto meno in indipendenza dal cristianesimo,  già esistente da cinquanta a settanta anni come comunità religiosa e confessione dei più antichi discepoli di Gesù. Il Paolinismo non è né più né meno che una radicale riforma di questo antico cristianesimo.
Ma quella riforma non è da nessuna parte accettata. Incontra un'ostinata opposizione, con il fiero antagonismo dal lato della calda approvazione -- antagonismo da parte di coloro che, sebbene discepoli di Gesù, ed aspettando la sua venuta come Messia (se parlano greco, come il Cristo) tuttavia rimangono attaccati cuore e anima all'ebraismo, alle sue leggi e precetti, istituzioni ed usi. La loro posterità spirituale diventa al presente dei tardi Ebioniti.
Quasi dal suo punto di partenza, il Paolinismo ha un vento di destra ed uno di sinistra. Mediante il secondo i suoi principi sono sviluppati unilateralmente, spinti al limite, per culminare nel Marcionismo. mediante il primo quelli stessi principi sono un pò accorciati, potati, modificati, se possibile portati in armonia con desideri e inclinazioni, disposizioni e idee, di antichi credenti che hanno unito sé stessi con il nuovo movimento o permesso a sé stessi di essere da esso rimorchiati. Quelli aiutano a formare l'esteso flusso del nascente Cattolicesimo, che prende ogni cosa in sé stesso; nella misura in cui essi non sono troppo inclini, come i marcioniti e altri gnostici, alla sinistra, o come gli ebioniti e altri giudaizzanti, troppo fortemente alla destra.


Quindi dopo il 70, si preferì scrivere per la maggiore sotto il nome di Paolo, al fine di riformare per intero il cristianesimo, la sua genesi, in un revisionismo che era anche una creazione di quella genesi, vista la sua assenza *prima* del 70 (perchè il messianismo apocalittico precedente al quale si riconduceva anche il Paolo storico era troppo poco per considerare davvero ''proto-cristiano'').

I nomi dei ''discepoli'' ... nella misura in cui contengono una reminiscenza di persone reali, sono nomi dei propagandisti dell'ebraismo messianico, fantasiosamente trasformati negli ''apostoli'' di un personale Gesù, che era non semplicemente prossimo a venire (come il Messia concepito al principio) ma che era già venuto.

Nel primo e nel secondo scenario, quei ''propagandisti dell'ebraismo messianico'' sarebbero i Pilastri di Gerusalemme, di cui i 12 sarebbero meri cloni letterari.

L'adozione della teoria mitica, si potrebbe osservare, fa curiosamente poca differenza nel modo di rappresentare il generale ordine del processo. Sebbene nessuna figura reale fosse il punto di partenza, tuttavia un concreto mito popolare, e non una concezione quasi filosofica, deve essere collocato all'inizio. Prima c'è la storia di Giosuè o Gesù, l'oggetto di un culto, e dopo di una fede che cambia con il cambiamento del tempo e dei suoi ideali; poi la dichiarazione che ''questo Gesù'', detto di esser stato predicato dai suoi ''discepoli'', è ''il Cristo''; poi la sovrapposizione delle idee alessandrine e siriano-gnostiche sul Messia identificato con Gesù. Il popolare sviluppo mitico dal culto antico è incontrato a metà strada dal Logos mediatore della fantasia speculativa. Da quest'unione emerge il cristianesimo paolino e giovannino.

Non ha importanza, ai fini dell'illustrazione di tale scenario (ma sarebbe meglio chiamarlo paradigma) nelle sue varie istanze, se quella ''storia di Giosuè o Gesù, l'oggetto di un culto'' sia in origine una mitologia gnostica oppure messianico/apocalittica (e dunque ebraica). Fatto sta che il primo collezionista delle epistole, e dunque molto probabilmente il loro primo inventore, in tale paradigma, ossia Marcione, fu un docetico. Ma fu un docetico miticista o storicista? Per Robert Price Marcione era un docetico che non sapeva nulla di un Gesù di Nazaret. Ur-Luca, o come preferisco chiamarlo io, l'Anti-Matteo, gli fu attribuito in seguito dai marcioniti divenuti nel frattempo storicisti sull'onda dell'espansione a macchia d'olio della favola del Galileo. Dunque la mia soluzione al problema sinottico ha il notevole pregio di funzionare pure in questo estremo scenario (è sufficiente difatti sostituire ''Marcione'' con i ''marcioniti'').

Nelle epistole scritte (''collezionate'') da Marcione  non si fa ancora menzione di nessun ''Gesù storico'' che proprio in quel periodo, secondo questo scenario, si stava creando. Perchè se è vero che i cattolici sapevano chi era Marcione e cosa voleva prima ancora che parlasse di Paolo, è anche vero che Marcione non seppe nulla di un racconto evangelico perchè occorre sempre del tempo ad ogni racconto fantasy che si rispetti prima di prendere piede tra le masse e divenire un best-seller.
Marcione aveva intenzione di istituzionalizzare e contenere così le spinte centrifughe di un movimento anarchico quale era stato quello di Simone di Samaria (il Paolo storico), movimento a sua volta appartenente ad un calderone di movimenti variegati più o meno simili, più o meno ebraici, con Giovanni il Battista, Dositeo, Simon Mago, Cefa, Giacomo, Gesù il Nazoreno (che ovviamente non è Gesù di Nazaret), come ''rivali, distinti salvatori, avatars, guru o dei'' (The Amazing Colossal Apostle: The Search for the Historical Paul, Robert M. Price, pag. 214). Per far questo, doveva richiamarsi all'autorità del suo apocalittico preferito (nel caso specifico, un apocalittico gnostico) e parlare in suo nome. Se fu Simone ad arrogare per sè il titolo del Cristo (come accusò Ireneo) e quindi ad essere stato lui il primo ad aver ''incarnato'' la morte apparente del Figlio in Judaea (la tesi di Roger Parvus), allora Marcione, nonostante era seguace di Simon Mago, preferì parlare della salvezza portata dall'angelo Gesù e non da Simone (previa sua deificazione) perchè intendeva implicitamente collocare in secondo piano rispetto all'angelo Gesù l'autorità del suo rivelatore ''Paolo''/Simone alla quale lui stesso si richiamava, per strapparla così agli altri simoniani (adoratori del deificato Simone/''Gesù'') e favorire il processo di istituzionalizzazione della chiesa (paradossalmente, un vero e proprio primo passo verso il nascente cattolicesimo): per Marcione, cioè, il rivelatore (Paolo), sia pure autorevole, doveva mantenersi inferiore, nella sua concreta umanità, rispetto al rivelato (Gesù) persino se storicamente Simone pretese, o gli venne attribuito dai suoi entusiastici seguaci prima che venisse Marcione, l'identità con l'angelo Gesù. Si tratta di un vero e proprio tentativo, da parte di Marcione, di addomesticare dal suo interno l'originario culto di Simon Mago, per condannarne il libertinismo e favorire l'istituzionalizzazione del movimento, altrimenti condannato alla dispersione.

Insomma, Marcione fece con un Simone già deificato alle altezze dell'angelo Gesù ciò che secondo gli storicisti aveva fatto Paolo rispetto ad un Gesù storico deificato dopo morto alle altezze del Figlio di Dio: parlare in sua vece, riducendolo alla funzione meglio in grado di favorire il suo successo. Secondo la Radikal Kritik, Marcione ridusse Simone, contro la sua originaria volontà e la volontà dei suoi seguaci, al ruolo di rivelatore dell'angelo Gesù, l'unico legittimo rivelatore sì, ma pur sempre semplice rivelatore umano. Per gli storicisti, Paolo ridusse l'uomo Gesù, contro la sua volontà, al ruolo di celeste ventriloquo dell'apostolo in persona, di lui, Paolo.


I cattolici odierni venerano ''San Giovanni il Battista''. Ma il Giovanni il Battista storico non aveva mai avuto nulla a che fare con il culto dell'angelo Gesù. Eppure alla fine riuscirono a cooptarne la figura. I cattolici avrebbero voluto cooptare allo stesso modo anche Simon Mago, ma se furono costretti ad ammettere che non si convertì è perchè avevano fallito nella cooptazione: Simon Mago era rimasto indipendente fino all'ultimo, al pari dei suoi seguaci.
Allo stesso modo, come seguace di Simon Mago, Marcione, estraneo ad ogni ''memoria'' di un Gesù storicizzato, venerava l'angelo Gesù che fu solo apparentemente crocifisso in Giudea, durante le poche ore della sua agonia.  Ma il culto originario dell'angelo Gesù era stato storicamente rivale alla setta di Simon Mago, la quale però, prima di avere Marcione tra i suoi esponenti, era riuscita in qualche modo ad appropriarsi dell'angelo Gesù dicendo che era Simone ad aver apparentemente sofferto in Giudea come ennesima manifestazione del Figlio per rivelarsi ai soli ''perfetti'', riscattandoli dal Demiurgo: la dottrina precristiana di Simone infatti prevedeva che il Cristo gnostico si fosse incarnato la prima volta sulla terra nei predicatori del suo nome mediante cui il Cristo tentava di cercare e salvare chi si era perduto. 

Quando fu introdotto un Gesù storico sulla scena dopo che i vangeli divennero di pubblico dominio, e questo avvenne di pari passo in cui furono offerti e venduti nella loro più banale lettura letteralista e non allegorica, questo nuovo, storicizzato ''Gesù di Nazaret'' apparso sulla scena non fu introdotto dagli interpolatori cattolici o gnostici successivi nelle epistole continuamente corrette & ricorrette, per il semplice motivo che pure avendolo stavolta in mente, gli interpolatori si facevano un preciso dovere di suonare più simili alle epistole ''originali'' (ovvero, le porzioni scritte da Marcione), quasi una sorta di auto-imposizione del precedente, più innocente silenzio sul ''Gesù storico'' per rispecchiare così maggiore fedeltà al mito originario. Non si tratta di un'ipotesi ad hoc perchè già vediamo sbucare, ogni tanto, nelle Pastorali, riferimenti a Pilato o alla Passione qua e là, a dispetto del silenzio restante pur presente su Gesù, evidentemente non un silenzio innocente.

Il secondo secolo vide i cristiani espulsi dalla Sinagoga. Senza dubbio a causa di una crisi sopraggiunta. Alcuni credevano che il cristianesimo fosse stato reciso dall'ebraismo e persino dal Dio degli ebrei. Sostituendo la Torah col comandamento dell'amore Marcione aveva trasformato il cristianesimo in una religione che avrebbe attratto facilmente i greci e gli altri gentili. Paolo si adattava nel suo schema come perfetto messaggero del suo vangelo, e così il suo mito fu evocato. Per reazione, gli ebioniti o giudeocristiani mai accettarono la validità di quella separazione, e si ritennero i legittimi ebrei messianici, scrupolosi osservanti della Torah. I critici cattolici di Marcione adotterebbero una strategia di tipo DIVIDE ET IMPERA. I cattolici indossavano la Torah contro i marcioniti, e indossavano il comandamento dell'amore e le posizioni paoline quando scomunicavano gli ebioniti. Infine diventò necessario per insediare una volta per tutte l'universalismo cattolico, sull'onda di tale strategia, legare quei comandamenti in contrasto tra loro. Così si dichiararono subordinati alla Torah. Per esempio, la lettera di Giacomo contiene una polemica anti-marcionita, ribadendo la validità della Torah con tanto di un comandamento in aggiunta, il comandamento dell'amore. Dunque il Paolo che conosciamo rappresenta un personaggio leggendario inseparabile da Marcione, e i suoi scritti non erano attestati prima di Marcione. La correzione dell'Apostolikon di Marcione, combinata all'aggiunta delle lettere cattoliche di Timoteo e Tito, dimostra l'addomesticamento del Paolo di Marcione. Anche così, parte della dottrina di Marcione è sopravvissuta sino ad oggi. Il comandamento dell'amore fu centrale nella sua dottrina, perchè rappresentava la fine della Torah tradizionale e l'introduzione di una Torah spirituale, rivelata non da uomo o tradizione umana, ma per rivelazione divina all'eroe di Marcione, Paolo. La rivelazione dell'angelo Gesù proveniva da un Dio che non era del popolo ebraico ma di tutte le nazioni, un Dio dunque superiore al dio creatore degli ebrei. Un Dio dell'Amore. Legare il comandamento dell'amore ai comandamenti proibitivi della Torah ebraica rappresenta qualcos'altro rispetto al concetto originale cristiano: il capitolo finale del lento processo di cooptazione del marcionismo e delle altre fazioni cristiane del II secolo sotto il tallone della chiesa romana.


E il Paolo risultante dall'addomesticamento cattolico di Marcione & company
, complice anche la storicizzazione nel frattempo dell'angelo Gesù in ''Gesù di Nazaret'' con tanto di Successione Apostolica,  fu il SAN Paolo che leggiamo tutt'ora.


Lo scenario è plausibile nella misura in cui si riconosce a Marcione e al marcionismo la deliberata volontà di addomesticare il movimento, per definizione, riottoso dei primi apostoli gnostici attraverso cui parlò la prima volta con autorità la voce del Cristo cosmico perchè ''erano i pochi nei quali la luce del Redentore aveva  risvegliato auto-consapevolezza''. Per Marcione l'angelo Gesù era il Figlio di un Dio alieno che si era solo rivelato a ''Paolo''/Simone, e ai veri seguaci di Paolo come Marcione, senza risvegliare affatto la loro interiore scintilla divina (come avveniva per Simon Mago & company) perchè gli esseri umani, per Marcione, erano del tutto privi di quella scintilla, prodotti com'erano unicamente dal solo Demiurgo. Marcione semplificò la dottrina di Simon Mago facendo dell'uomo interamente il prodotto del creatore di questo mondo. Lo spirito dell'uomo a cui il Cristo si rivela non ritorna alla dimora originaria, invece va alla casa di un Dio che in precedenza gli era completamente Estraneo. Questa semplificazione della dottrina gnostica originale attuata da Marcione per Price era un chiaro sintomo della volontà di procedere verso un'instituzionalizzazione del movimento, un aspetto dunque ''cattolico'' di Marcione nella misura in cui tradisce il suo latente dogmatismo. Per Roger Parvus invece, da migliore esponente del secondo scenario descritto in questo post, quella semplificazione costituiva l'unico modo per un onesto Marcione con cui eliminare dall'autentico messaggio di Simon Mago tutto ciò che sapeva di allegoria dell'Antico Testamento, per timore di preservare così a propria insaputa nelle lettere originali di Simone anche la minima interpolazione cattolica, a costo di buttare via il bambino con l'acqua sporca. 

Si tratta insomma di scommettere sull'onestà di Marcione.

Se era un bugiardo, come accusò Tertulliano, allora fu lui l'autore di Galati e non il Paolo storico (terzo scenario).

Se invece era profondamente onesto, come crede Parvus, allora fu lui che recuperò il vero messaggio del Paolo storico (secondo scenario).


La soluzione preferita dai folli apologeti (e anche dai sostenitori del primo scenario) è che Marcione mutilò la lettera dove l'originario Paolo suonava più fedele alla Torah.


Penso che quella di Robert Price sia intanto l'unica direzione a cui far indirizzare il terzo scenario di questo post, perchè è semplicemente un Fatto che le prime epistole, o meglio i primi frammenti di epistole, si devono al primo che ne pretese la collezione, ossia a Marcione e ai marcioniti, e che Price abbia ragione rispetto a Detering nel non poter distinguere così facilmente tra il primo e i secondi:

Le epistole paoline iniziarono, per la maggior parte, come frammenti di Simone (parte di Romani), Marcione (i capitoli dal terzo al sesto di Galati e la bozza essenziale di Efesini), e gnostici valentiniani (Colossesi, parte di 1 Corinzi, almeno). Qualcuna iniziò come documento cattolico, mentre quasi tutte furono interpolate da Policarpo, il redattore ecclesiastico che addomesticò Giovanni (come pensò Bultmann), Luca (come pensò John Knox), e 1 Pietro, e poi compose Tito e 2 Timoteo. Il risultato è che alla fine stiamo, quasi incomprensibilmente, di fronte ad una pila di frammenti letterari.
(pag. 534)

Quindi uno scenario che sembrava riottoso ad incastrarsi in una semplice descrizione, in realtà è molto più semplice di quanto si possa credere. L'unico grado di libertà che ci si può prendere è nel cercare di figurarsi, non avendo più in mano le epistole ma solo l'indeterminato ricordo di antiche polemiche e predicazioni di apostoli girovaghi, la natura di quei primi apocalittici. Erano gli antichi Pilastri ebrei messianisti, profeti, sciamani, addirittura filozeloti? Erano proto-gnostici come Simon Mago? Erano gli stessi che poi scrissero l'Apocalisse contro gli emergenti gnostici o gli ebrei troppo gentili per i loro gusti? Non facevano neppure parte di una rete, di una religione misterica a tutti gli effetti, ma partirono già dall'inizio profondamente scoordinati e senza nessun'autorità morale, se non forse quella di Giovanni il Battista?
Non possiamo saperlo. Come non possiamo ipso facto dedurre, dal fatto che il primo che si finse Paolo fosse Marcione, il peso reale che i simoniani giocarono nella fosca nebbia del I secolo, ormai divenuta l'unico fatto certo in questo pur semplice scenario.


Le parole di Robert Price, per quanto suggestive, potrebbero non convincere:
Supponi che uno abbia concluso che i vangeli non fossero così tanto posteriori delle epistole dopo tutto, facendo entrambi prodotti del tardo primo secolo, primi del secondo secolo. Supponi che i tardi vangeli fossero persino più antichi delle epistole. Quello da solo ancora significherebbe poco. Come descriveremo quelo che troviamo nei vangeli? Uno li definirebbe sobri dati storici e biografici, persino secondo gli antichi standards? O non dovremo riconoscerli puttosto come un insieme di miti dell'eroe semplicemente storicizzati?
(Robert M. Price, Does the Christ Myth Theory Require an Early Date for the Pauline Epistles?, in Is This Not the Carpenter?: The Question of the Historicity of the Figure of Jesus, Equinox, 2012, pag. 108, mia libera traduzione)

Infatti a taluni potrebbero sapere del tipico dogmatismo di chi, con i soli vangeli di fronte, si sente già in diritto di negare in toto la storicità di Gesù. L'errore di Joseph Atwill e degli astroteologi non è appunto quello di inferire erroneamente dalla semplice negazione della storicità dei vangeli la negazione della storicità di Gesù? Una falsa biografia si potrebbe benissimo appendere tanto ad un angelo mai sceso sulla terra quanto ad un personaggio storicamente esistito. Si tratta di un errore grave, che Price non avrebbe dovuto commettere.



E tuttavia lo stesso Price avrebbe subito dopo ragione quando precisa:
Se l'originaria forma mitica raggiunse una forma scritta solo più tardi, ciò probabilmente indicherebbe che una comunità mantenente l'originaria versione mitica sopravvisse accanto a quella che accarezzò la più nuova, più evoluta versione, incontaminata da essa. (Robert M. Price, Does the Christ Myth Theory Require an Early Date for the Pauline Epistles?, in Is This Not the Carpenter?: The Question of the Historicity of the Figure of Jesus, Equinox, 2012, pag. 110, mia libera traduzione)

Price avrebbe ragione a tutti gli effetti pratici: in pratica, se sei giunto alla conclusione che il Gesù di Paolo è un angelo prima del 70, dovrebbe continuare ad esserlo anche dopo il 70, sotto l'ipotesi di un ''Paolo'' inventato per quel tempo, non trovi?

La diffidenza nello spostare nel II secolo le epistole paoline ''indisputate'' sarebbe razionale solo se ti mantieni astrattamente rigoroso sul rigidissimo principio che ''quello che viene dopo il primo vangelo non puoi sapere se parla o meno di un Gesù storico neppure se si mantiene enigmaticamente silente su di esso''.

E tuttavia, se devo rifiutare la tesi di Earl Doherty quando indebolisce chiaramente il suo argomento del silenzio, da forte che era quando applicato ad un Paolo (oppure all'epistola agli Ebrei) del I secolo, nel momento stesso in cui intende applicarlo nientemeno anche ai Padri della Chiesa nonchè primi Apologeti storici del II secolo, allora devo parimenti rifiutare per coerenza di emettere a priori un giudizio sulla presenza o meno di un Gesù storico in epistole posteriori al primo vangelo. La differenza risulta chiara dal fatto che è impossibile dubitare di quale Gesù sta parlando l'autore del Dialogo con l'ebreo Trifone, persino se mette in bocca a quest'ultimo interlocutore polemico il dubbio sulla sua storicità.
Ma Cristo -- se egli è davvero nato, ed esiste da qualche parte -- è sconosciuto, e non conosce perfino se stesso, e non ha potere finchè Elia viene ad annunciarlo, e lo rende manifesto del tutto. E voi, avendo accettato un resoconto senza fondamento, inventate un Cristo per voi stessi, e per il suo amore state perendo sconsideratamente.
(Giustino, Dialogo con l'Ebreo Trifone, capitolo 8)

Tuttavia, non sono d'accordo con chi nega la paternità paolina di tutte le epistole paoline. A me sembra prima facie che gli argumenta interna pro e contro la loro autenticità siano più o meno pari. Il dr. Carrier invece, ritiene non convincenti gli argomenti di Price/Detering
Io non trovo nulla in quelle sette lettere autentiche di Paolo che sia implausibile nel contesto storico-sociale. In verità, io non trovo nessun indizio o evidenza a favore del loro essere invenzioni posteriori in tutto. ...
Non esiste nessuna ragione perchè la teologia cristiana non si sarebbe potuta ben sivlupparsi nel giro di anni (o in realtà addirittura in meno di un anno), poichè si sarebbe sviluppata da una già esistente teologia ebraica, e quindi gran parte della sua complessità è semplicemente un riporto di quello, con minori aggiunte. Non c'è davvero nulla di insolito circa innovatori religiosi che sono violentemente contrari ed energicamente oltrepassano la soglia -- in realtà, tutto ciò è tipico dal punto di vista storico. Non esiste nulla neppure di unico circa l'ebraismo libero-dalla-Torah che Paolo difende. Esistevano già sette pre-cristiane che sperimentano con quello. Ed è chiaro da Paolo che fu nuovo per il cristianesimo, costituiva la sua innovazione di esso, e una tale innovazione poteva essere fatta a qualsiasi momento della storia. In verità, ha un senso particolarmente nel contesto di Paolo, dove l'ebraismo della Diaspora stava divenendo in misura crescente disconnesso dall'ebraismo palestinese, ed in misura crescente compromesso e imbarazzato da esso (il nazionalismo del tempio stava creando mal disposizione verso gli ebrei dappertutto, e l'“esclusivismo” dell'ebraismo era un motivo costante di antisemitismo paganao, e quindi un'ovvia cosa di cui sbarazzarsi, per ognuno che voleva una migliore integrazione pagano-ebraica). Non c'è niente di anacronistico sulle nozioni di Paolo del celibato o dell'apostolato (se qualcosa, i concetti di Paolo non hanno alcun senso in un cristianesimo post-vangelo, così non esiste alcun modo plausibile perchè quelle lettere fossero scritte dopo che i vangeli divennero l'arma d'utilizzo sulla linea del fronte del dibattito inter-settario). E suggerrire che le idee di Paolo della gnosi sono post-apostoliche significa semplicemente fare un argomeno circolare (uno deve presumere prima che è post-apostolico, per dichiararlo post-apostolico...perchè non disponiamo di nessun altro scritto apostolico...punto).

Nel frattempo, esistono numerose ragioni per affermare la vista contraria su quelle sette lettere, che loro autenticamente rappresentano qualcuno chiamato Paolo che scrive negli anni 50 d.C. Non solo loro manifestano ignoranza della distruzione del culto del tempio e di Gerusalemme e dei vangeli o di ogni cosa in loro, ma anche, per esempio, l'evidenza che quelle lettere sono compazioni di estratti di altre lettere (ora perdute). Per esempio, Romani sembra contenere il contenuto di tre diverse lettere, modificate e incollate assieme. Tu non fai quello se tu stai inventando la lettera. Tu fai quello solo quando tu stai cercando di creare una nuova lettera a partire dal materiale esistente in quelle vecchie. L'editore non sarebbe stato Paolo, così la modifica è disonesta e non riflette esattamente quelo che Paolo scrisse in origine. Ma ciò non fa del contenuto un'invenzione. È ancora quello che scrisse Paolo.


Sebbene non esclude la possibilità avanzata dalla Radikal Kritik, tuttavia ammette la necessità di argumenta externa, i quali al momento sono ben lontano dal raggiungere evidenza conclusiva, anzi, non esistono affatto, perchè il massimo che si può ottenere è un debole argomento del silenzio: chi avrebbe avuto necessità di menzionare Paolo? Un documento cristiano del I secolo avrebbe dovuto menzionare un crudo e semplice episodio biografico della vita di Gesù (che non siano quelli che anche una figura angelica può realizzare, ovvero la morte e la risurrezione), prima o poi, eppure non lo fa mai: questo sì che è un forte argomento del silenzio. Al contrario Paolo era solo un predicatore dell'oggetto di culto di una religione misterica ebraica del tutto marginale, e non l'oggetto di culto in persona (salvo che nel secondo scenario, in realtà un'istanza particolare del primo).  E nel dubbio, la posizione di default da prendere sarebbe quella del consensus: Paolo scrisse le sue 6-7 lettere negli anni 50 della nostra era.


Se prima la mia opinione era quella di Arthur Drews:

Lasciamo completamente da parte la questione dell'autenticità delle epistole paoline, una questione su cui assoluto accordo probabilmente non sarà mai ottenuto, per la semplice ragione che siamo privi di ogni base sicura per la sua decisione. Al posto di questo volgiamoci piuttosto a quello che apprendiamo da quelle epistole riguardanti un Gesù storico... Il Gesù disegnato da Paolo non è un uomo, ma una personalità puramente divina, uno spirito celeste privo di carne e sangue, un impersonale fantasma superumano.
(Arthur Drews, The Christ Myth, pag.168-169, 180, mia enfasi)


...Ora sono davvero sempre più propenso a confermare le seguenti parole di L. Gordon Rylands:
Gli scrittori paolini sono interessati solamente alla morte e risurrezione di Gesù. L'autore di Galati, che i teologi, salvo quelli della scuola radicale olandese, credono essere stato Paolo, dice non solo di non aver appreso quello che ha insegnato su questo soggetto da uomini, ma che non desiderò ottenere dagli uomini alcuna informazione a suo riguardo. Una dimostrazione sufficiente che quello che insegnò fu puro dogma.
Non solo nelle epistole paoline, ma in tutte le epistole, non c'è la minima traccia di una qualunque impressione che fosse stata causata da qualche personalità umana. Se la presunta impressione fosse stata fatta, le esperienze mediante le quali i discepoli avevano vissuto in compagnia di Gesù sarebbero state preservate e il pensiero dei primi cristiani ne sarebbe stato colmo. Ma quei primi scrittori cristiani mai rafforzano i loro argomenti tramite qualcosa che avevano udito Gesù avesse fatto. Lui non viene mai posto di fronte a coloro a cui quelle epistole sono rivolte come un esempio da dover seguire in ogni relazione umana, indicando il suo comportamento in qualche occasione particolare. Per gli autori di quelle epistole Gesù è non un uomo il cui esempio altri uomini potevano seguire. Egli è il 'Figlio di Dio' che ama, nel quale otteniamo la nostra rendenzione, l'immagine dell'invisibile Dio, il primogenito di tutta la creazione.

(L. G. Rylands, Did Jesus Ever Live?, London:Watts, 1935, pag. 23, mia libera traduzione).