sabato 17 maggio 2014

Di cosa spinse Marco a inventare «Gesù di Nazaret»

Sono sempre più convinto che Marco inventò Gesù di Nazaret come rimedio e sollievo alla Disfatta ebraica del 70 EC.

Le ragioni per credere in tal senso li avevo già spiegati in questi post.





Ma dopo aver esaminato il libro di Crossan sono riuscito meglio a comprendere la differenza tra la libera scelta di inventare un personaggio ''storico'' e la necessità di inventare quel personaggio ''storico''.
Marco, in altre parole, era libero fino ad un certo punto di inventare Gesù. Ma probabilmente era costretto dalle circostanze.

Il motivo più astratto (e quindi più generalizzabile) che mosse Marco lo si può ritrovare, mutatis mutandis, in queste parole introduttive del filosofo platonico e panteista John Leslie a quello che è il suo pensiero:

Una Risposta Platonica al Perchè Qualcosa Esiste
Immagina che l'intero cosmo -- ogni singola cosa esistente -- rapidamente si dilegua. Nel vuoto risultante, che fattore creativo potrebbe esserci? Cosa porterebbe nuove cose in esistenza? Persino quando tutto è svanito, innumerevoli cose sarebbero reali. Tanto per cominciare, esisterebbe la realtà che il cosmo è esistito. Non esisterebbe alcuna evidenza di questo perchè l'evidenza consiste di cose (ricordi, tracce) e quelle sarebbero tutte scomparse. Ma sarebbe vero che un cosmo è stato in esistenza e che tu ne sei stato parte. Una volta che sei giunto in esistenza, nulla può distruggere il fatto che sei esistito. Esisterebbe anche il fatto, verità, realtà, che mele e moscerini e nuvole, insieme con infinitamente numerosi altri oggetti, erano possibilità nel senso tecnico che (a differenza di cerchi quadrati) non comportavano nessuna contraddizione. Anche i draghi sarebbero possibilità in questo senso. Ci sarebbe il fatto che se un paio di due nuvole dovessero mai esistere nel futuro, allora sarebbero 4 nuvole. Ci sarebbe il fatto che 3 gruppi di 5 moscerini, dovessero mai esistere, contterrebbero altrettanto molti moscerini quanti 5 gruppi di 3. Esisterebbero innumerevoli altre realtà matematiche nonostante nulla sia rimasto in esistenza. Potrebbe non essere reale, allora, che l'assenza di tutte le cose fosse meglio di qualcosa che poteva esserci stato al suo posto, un mondo che consiste solo di esseri miserabili? Non può essere veramente il caso, necessariamente ed eternamente, che un mondo di persone in agonia mentale e fisica sarebbe peggio di nessun mondo del tutto, così che in un una situazione vuota di tutte le persone e gli oggetti sarebbe un fatto, una realtà, che la continuata non-esistenza del mondo di agonia fosse necessaria o richiesta? Non richiesta moralmente, perchè la moralità riguarda buone e cattive azioni; e se tutte le persone fossero svanite, chi ci sarebbe ad agire? Ancora, richiesto in un modo che chiameremmo “etico”. Coprendo tutto quello che è buono o cattivo, l'Etica tratta più che un solo comportamento morale e immorale. In un vuoto, potremmo perciò dire, una situazione che non comprende nulla di realmente esistente, esisterebbe una base o ragione etica per non esistere un mondo di persone miserabili. La sua non-esistenza sarebbe realmente e veramente fortunata -- eticamente necessaria -- anche se non ci fosse nessuno ad essere consapevole di questo. Di qui il vuoto sarebbe qualcosa di una benedizione, rispetto ad ogni misura. Questo ci porta a Platone. Guardando a fatti matematici, etici ed altri fatti sulle possibilità, Platone concluse che erano fatti necessari ed eterni. Negò che erano creati dai pensieri che noi abbiamo circa loro. E Platone aveva una teoria a proposito del perchè il cosmo esiste. Una situazione vuota di tutte le cose esistenti, potrebbe essere una specie di benedizione nel modo appena ora spiegato, sarebbe sfortunata a sua volta, perchè qualcosa di meglio potrebbe esserci stato al suo posto. Nel vuoto ci sarebbe una base o ragione etica perchè giunga ad esistere un cosmo buono, infatti la sua presenza sarebbe eticamente richiesta. Ora, il Libro VI della Repubblica di Platone ci dice che Il Bene ''è per sé stesso non esistenza, ma molto al di là dell'esistenza in dignità e potere'' dal momento che è ''ciò che dà esistenza alle cose''. Il bisogno o requisito etico per l'esistenza di un mondo buono è non, in altre parole, qualcosa che può diventare reale solo quando già vi esiste qualche reale persona o oggetto. Esso è molto più ''al di là dell'esistenza'' perchè sia così. Ma, come corre la suggestione platonica, il mondo reale delle persone e degli oggetti è un mondo buono ed esiste semplicemente perchè esso dovrebbe esistere. La sua etica necessità -- il fatto che esiste un bisogno etico di esso -- è per sé stessa creativamente effettiva. Nel cercare “ciò che dà esistenza alle cose” non abbiamo bisogno di guardare più oltre. Platone non sta dicendo irrazionalmente che tutte le necessità etiche sono sempre soddisfatte, tantomeno che sono soddisfatte solo perchè veramente sono necessità. Per definizione della parola ''celibe'', nessun  celibe può essere bigamo. Per definizione di ''marito'' ogni marito ha almeno una moglie. All'opposto, una definizione di ''eticamente necessario o richiesto'' non potrebbe mai garantire che necessità o richieste etiche siano sempre soddisfatte. Non può neppure garantire che siano soddisfatte in almeno un solo caso: per esempio, il caso di una mente divina la cui esistenza fosse supremamente buona, eticamente necessaria in una maniera che non possa mai essere superata da più forti necessità etiche. Nulla nel puro e semplice significato di tali termini come ''buono'' o ''richiesto eticamente'' può assicurare che una mente divina sia esistita o che il mondo non sia costituito solamente di persone miserabili. La teoria platonica può aver senso solamente come una speculazione, non come qualcosa la cui correttezza possa venir dimostrata con la mera logica o con un dizionario.

Panteismo: I Modelli del Mondo Non sono Altro che Modelli-di-Pensiero Divini.
Può tuttavia la teoria di Platone sopravvivere anche solo come speculazione? Di sicuro, le sole cose che la teoria può spiegare sarebbero quelle che erano davvero buone. I più plausibili candidati all'essere spiegati su linee platoniche sarebbero delle menti forse degni di venir chiamate divine, menti che hanno contemplato (''hanno conosciuto'', ''hanno penato di'') assolutamente ogni cosa degna di contemplare. Se mai le necessità etiche potevano per sé stesse creare qualcosa, non sarebbero menti di tal sorta le prime cose ad essere create? E perchè qualcosa di meno buono verrebbe mai ad esistere? Perchè esiste il mondo che vediamo in realtà? Una soluzione è il panteismo sviluppato da Spinoza, che visse dal 1632 al 1677. Un modo naturale di interpretarlo è come segue. Esiste una mente divina, una mente la cui realtà è dovuta all'eterna necessità etica di essa. Noi, come tutte delle altre cose intricatamente strutturate del nostro universo, esistiamo semplicemente perchè la mente in questione pensa di questo universo in tutti i suoi dettagli. I modelli altamente intricati dell'universo sarebbero stati presenti in ogni evento, necessariamente ed eternamente, tra le possibilità disponibili per la contemplazione della mente divina, infatti non erano come i modelli dei cerchi quadrati. Ma essere contemplate in tutta la loro complessità ha reso loro più che semplicemente possibili. Ha reso loro modelli di genuina esistenza, perchè un divino universo-scenario vastamente intricato è quello che è l'universo. Al di fuori del pensiero divino non vi esiste assolutamente nulla.

(John Leslie, Immortality Defended, pag. 1-3, mia libera traduzione e mia enfasi)


Si può condividere o meno il ragionamento di Leslie (io per primo non lo condivido, sospettandolo fin da subito di eccessiva ingenuità e candore) e tuttavia se a farlo è un filosofo platonico vivente, quanto più nella sua semplicità più essenziale potrebbe benissimo ricalcare il pattern di pensiero di individui del I secolo della nostra era. In sintesi, come per Platone, così per Leslie, è più desiderabile il nulla di un mondo cattivo, ma è di gran lunga più desiderabile un mondo buono rispetto alla prospettiva del puro nulla. E questo desiderio del bene si traduce, per Leslie, nella sua necessità, nella necessità della sua esistenza, perfino se poi è lo stesso Leslie, e Platone con lui, a riconoscere l'eventualità della sua effettiva non-esistenza.


Vediamo di capire perchè Marco potrebbe aver avuto lo stesso desiderio etico che l'angelo Gesù fosse ''storico'' quando, purtroppo per Marco, non lo era, e dunque inducendolo a creare un personaggio del tutto fittizio nell'allegoria, perfino se non avesse mai preteso che tale allegoria venisse poi letta per forza come Storia.

Quello che Marco vedeva nella sua più reale contemporaneità era totalmente l'OPPOSTO di quello che sarebbe stata la realtà di un mondo appena visitato dall'impronta divina.
E tuttavia, proprio la concreta, reale, minacciata estinzione della civiltà ebraica provocò, quasi per naturale reazione, il desiderio etico che ALMENO un ebreo avrebbe meritato di ricoprire il ruolo del Messia predetto nelle Scritture e nel contempo quello dell'angelo Gesù predicato in passato da Paolo e, prima ancora di lui, dagli originari fondatori del culto. ALMENO un ebreo doveva esser riuscito a compiere cioè qualcosa che fosse degno, agli occhi di Dio, ovvero agli occhi di quello stesso Dio che aveva voluto la distruzione del vecchio Culto con tanto di Tempio raso al suolo, di sopravvivere per l'eternità al fuoco della purificazione oramai imminente e già abbattutasi sull'infedele popolo ebraico, pena altrimenti la cessazione drammatica e inevitabile di ogni più flebile speranza di sopravvivenza.

Era ormai maturo il tempo quando, per Marco, un Gesù ''storico'', al di là se lui lo considerava veramente tale, era diventato semplicemente più DESIDERABILE di un arcangelo Gesù puramente celeste, sia pure ''con potenza''. Era giunto cioè il momento che un mondo non visitato da nessun messia era diventato, agli occhi di ''Marco'', decisamente ed enormemente più insopportabile ed intollerabile perfino rispetto ad un mondo dove il Messia era venuto ma non era stato riconosciuto o veduto da nessuno sulla terra nella sua vera identità (il famoso tema del Segreto Messianico) a causa della cecità ottenebrante i suoi stessi discepoli.

Addirittura, per l'ebreo Marco era molto meglio una Judaea dove il Messia era giunto, nella sua invisibilità, solamente per ratificare spietatamente ex evento la MERITATA condanna dell'infedele popolo ebraico piuttosto che una Judaea condannata, nel passato come nel futuro, ad non essere mai visitata da nessun essere celeste, nella più assoluta indifferenza divina.




Marco fu il primo cristiano a capire che un mondo senza Gesù era privo di significato.
 
Il primo cristiano a capire che la perdita della fede è peggiore della perdita dei suoi cari.

 
Il primo cristiano a intuire che il mondo aveva disperato bisogno di un messia nel passato, prima ancora che nel futuro.


L'autore di Marco scrisse una fiction, una parabola, un'allegoria, un midrash, una favola, una leggenda -- o come altro la vuoi chiamare --, che presentava intenzionalmente come dei falliti gli ebrei e specialmente i discepoli di Gesù, così da spiegare perchè la Judaea doveva essere completamente distrutta da Dio tramite i romani. È una storia che parla di fallimento, di distruzione e di disperazione. Ecco perchè in quel vangelo in bocca a Gesù agonizzante sulla croce viene messo il Salmo 22: ''Dio mio, Dio mio,  perchè mi hai abbandonato?''.


Ecco perchè si tratta di una storia polemica, e non so decidermi se sia stata scritta da un ebreo critico di sé o da un non-ebreo anti-ebreo, ma tendo a propendere per il primo caso.
L'orientamento anti-ebraico di Marco si riverbera di certo nei vangeli successivi, con punte a volte massime da rasentare quasi l'antisemitismo.


Il vangelo di Marco si spiega come allegoria, ma non si spiega affatto come Storia vera da prendere alla lettera, perfino se fosse stato questo sin dall'inizio lo scopo del suo autore. Dovuto allo stile in cui è scritto e al fatto che il suo autore era ovviamente consapevole di basarsi su letteratura precedente, è quasi certo che l'autore sapeva di scrivere un'allegoria, senza alcuna esplicita dichiarazione che venisse presa come storia letterale. L'anonimo autore di Marco non dice mai di essere uno storico, non proclama mai di essere ispirato dallo Spirito Santo, non pretende mai di essere preso come documento religioso dal valore dogmatico. Presenta solo un commentario allegorico sulla distruzione della Giudea, e non pretende di essere nient'altro. Furono altri a rivendicare che Marco fosse qualcosa di più che una semplice allegoria. Ma intanto, probabilmente Marco era giunto già lui a credere, per suo conto, alla profonda verità almeno allegorica della sua invenzione. Il Messia Gesù doveva aver dato sollievo -- non poteva non averlo fatto! --, sia pure con la sua sola presenza invisibile, ad un popolo totalmente cieco e infedele, anche soltanto col mero pretesto di ribadirne l'infedeltà e sanzionarne così la meritata e definitiva condanna,  sullo sfondo apocalittico di una Giudea devastata e abbandonata da Dio.




In tale cupa desolazione, la desolazione di un mondo devastato dove ''ebreo'' avrebbe fatto rima con ''peccatore meritevole di punizione da Dio'', ci sarebbe stata di certo una ragione etica per Marco perchè almeno un Messia invisibile rappresentasse, anche solo con la sua temporanea presenza sulla terra firma non riconosciuto da nessuno e neppure dai suoi discepoli, un flebile spiraglio di luce.

Uno spiraglio di luce capace, un bel giorno, confidava Marco, di illuminare tutta la terra.