giovedì 8 maggio 2014

Del perchè Gesù manca di una biografia, a differenza di Apollonio di Tiana e di Romolo

In che modo è possibile dimostrare che qualcuno è esistito o meno?

Chiunque ha avuto il solo torto di far parte della ''gente comune'' sarà inevitabilmente perduto nella storia. A maggior ragione, quasi tutti coloro che vissero nell'Antichità sono irrimediabilmente perduti.  A meno che la loro esistenza non sia stata inesorabilmente legata ad un qualche evento storico. Un evento che lascia la sua traccia indelebile nella Storia. Come numerosi altri fatti bruti e semplici che hanno plasmato il corso degli eventi mondiali. Sono esistiti determinati individui che hanno ricoperto una parte ben definita in quelli eventi che hanno semplicemente necessità della loro esistenza.

È impossibile immaginare le guerre greco-persiane senza Alessandro Magno. O la Seconda guerra mondiale senza Hitler.

Un Mosè, d'altro canto, è inesorabilmente associato a quell'evento noto come Esodo. Evento di cui non esiste nessuna prova, anzi addirittura prova del contrario, dunque molto probabilmente mai accaduto nella realtà. E senza nessun Esodo reale, tanti saluti ad un Mosè ''storico'', persino se lo era di certo per Flavio Giuseppe.



Gesù, invece, soffre di ben altro problema. Migliaia di ebrei crocifissi nel I secolo portarono certamente il nome di ''Yeshua'' così sarebbe impossibile e inverificabile  a priori riuscire a determinare quale di essi è IL Gesù che intendiamo.
E per farlo, si ha bisogno di maggiori dati su di lui, dati che purtroppo al momento non abbiamo per nulla.  Nessuno è capace di dire infatti qual è stato il vero ruolo giocato da Gesù nella vicenda delle origini cristiane. Quel ruolo particolare e unico che separa questo Gesù dagli altri centinaia ''Gesù'' crocifissi nel I secolo è solo la sua risurrezione. Un ''evento'' soprannaturale a priori impossibile da localizzare nella storia.

Esistono naturalmente un sacco di detti attribuiti a Gesù ma si portano con sè il problema di essere apparsi piuttosto tardi nella cronologia del nascente cristianesimo. Ma soprattutto, quando si va ad esaminare più attentamente la NATURA del vangelo di Marco, vale a dire come doveva essere letto dai suoi lettori originari e soprattutto come doveva venire compreso nella sua funzione originaria, i problemi diventano insormontabili. Tanto per cominciare, quei detti presenti nel vangelo di Marco sono realmente i detti di Gesù, o sono piuttosto i detti di Marco? Nessuno prima di Marco sembra essere a conoscenza di quei detti di Gesù, tantomeno godiamo della testimonianza di suoi  contemporanei.


E neppure si può essere tanto idioti da paragonare i vangeli alle antiche biografie ellenistiche. Chi tenta qualcosa del genere è proprio scemo! 


La principale grande differenza è che le antiche biografie, perfino di personaggi mitologici come Romolo o Licurgo (nonostante siano ritenuti storici dagli antichi), ci dicono in primo luogo nome e cognome delle fonti utilizzate. Filostrato nel terzo secolo racconta di Apollonio di Tania, in un modo che ricorda da vicino, almeno prima facie, la storia di Gesù descritta nei vangeli (ad esempio le guarigioni miracolose), un fatto riconosciuto pure da ardenti storicisti come Errorman. 



È degno di nota che Filostrato, un noto scrittore, afferma di aver raccolto i dati su Apollonio da un numero di fonti, ivi comprese: lettere e trattati da parte di Apollonio stesso, una storia di Apollonio scritta da Massimo di Ege, e le memorie scritte da Damis e fornite da Giulia Domna, la moglie dell'imperatore romano Settimio Severo. Filostrato si spinge così lontano da esprimere scetticismo sui quattro libri di Meragene su Apollonio.  Così descriveva la biografia di Apollonio di Tiana un letterato italiano di due secoli orsono, ed ancora è validissima come analisi.
Or di tutto questo racconto che dobbiam noi credere? Tutta la storia di Apollonio deesi ella avere in conto di vera, o deesi riputare un favoloso romanzo? Io confesso che assai volentieri mi appiglierei a questa seconda opinione. Perciocchè quai sono eglino i fondamenti a cui Filostrato appoggia tutto il lungo racconto ch'egli ci fa delle imprese, de' viaggi, de' prodigi di Apollonio? Egli visse a' tempi dell'imp. Settimio Severo che salì sul trono l'anno 193, cioè a dire presso a cento anni dopo la morte di Apollonio; e fu perci troppo lungi dal suo eroe, perchè la sua narrazione possa avere autorità bastevole a persuaderci. Ma ei dice di avere avute tra le mani le Memorie della Vita di Apollonio scritte da Damide che gli fu indivisibile compagno in tutti i viaggi, e testimonio di tutte le maraviglie da lui operate, le quali Memorie venute essendo in mano di Giulia moglie di Severo, questa aveagli comandato di fornire su esse una compita ed esatta storia di questo uomo portentoso. Aggiugne inoltre di aver letto un libro di un certo Massimo Egiense, che narrate avea le cose da Apollonio fatte nella sua patria; e nomina ancor quattro libri della Vita di Apollonio scritti da Meragene; benchè di essi ei dica di non volersi valere, perchè moltissime cose di Apollonio egli avea ignorate. Ma questi libri da chi altri mai prima che da Filostrato si veggon citati? Non potrebbe per avventura temersi che i libri de' detti autori altro non fossero che un'impostura dello stesso Filostrato, il quale, come sappiamo essersi fatto da altri, gli avesse ei medesimo scritti e divolgati sotto i lor nomi, fingendo poscia di appoggiare ad essi i suoi favolosi racconti? Ma a dir vero non pare che di una tale impostura possa Filostrato a ragione essere accusato. Che sia stato al mondo un Apollonio di Tiana, e ch'ei fosse avuto in conto di mago, ne abbiamo il testimonio di due scrittori anteriori a Filostrato, cioè di Luciano (in Pseudomante) e di Apuleio (in Apolog.); e che Meragene ne scrivesse la Vita, lo afferma Origene, il quale citandone un passo mostra di averla letta (Contra Cels. l. 6). Innoltre Eusebio di Cesarea che lungamente ha trattato di Apollonio, rispondendo a Jerocle che un empio paragone tra lui e Cristo avea formato (l. contra Hieroclem), non rivoca in dubbio che siavi stato quest'uomo di cui Filostrato ed altri aveano scritta la Vita. Non si pu dunque muovere ragionevole dubbio contro l'esistenza di Apollonio, e sembra certo e incontrastabile che un uomo di tal nome vi sia già stato, che celebre si rendesse per arte magica o per l'imposture da lui usate. Ma ci non ostante si pu con ugual certezza affermare che la più parte de' prodigiosi racconti che troviamo in Filostrato, son favolosi.
(Storia della letteratura italiana del Cav. Abate Girolamo Tiraboschi, Firenze 1805-1813, pag. 736-737, mia enfasi)

Al confronto, i  vangeli scritti da autori anonimi offrono solo la dubbia pretesa di Luca 1:1-4:

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.


...dove non si parla di nessuna fonte specifica e non-soprannaturale, e dove manca del tutto una buona dose di scetticismo e di spirito critico, ma si continua a rivendere sostanzialmente la medesima, patetica allegoria teologica. Al contrario Filostrato non sbuca dal nulla nel vivo della narrazione come se fosse sotto la dettatura di un dio.

Così Plutarco parla della nascita di Romolo.




...affermino alcuni, c'e' nacque d'Enea e di Dexita di Forbante, e che, portato piccolo bambino in Italia col fratello Remo, per inondazione del Tevere, essendo l'altre barche perite, quella ov'erano i fanciulli, posando bellamente sopra le rive molle, si salvò con essi oltre ad ogni speranza, e ne acquistò il luogo il nome di Roma. Altri parimente scrivono, che Roma figliuola di quell'altra prima troiana si ammogliò con Latino figliuolo di Telemaco, e partorì Romolo. E ci ha di quelli che tengono essere stata Emilia nata d'Enea e di Lavinia, e ingravidata da Marte. Nè mancò ancora chi del nascimento di Romulo scrivesse favolosamente, che nel palazzo di Tarchezio re d'Alba tirannico e crudelissimo seguì divina visione, che fu veduto surgere dal fuoco un membro virile, e durare più giorni; ed era un oracolo di Tetis in Toscana, da cui fu a questo re risposta portata, che facesse opra che una vergine avesse con questo mostro commerzio, e ne nascerebbe figliuolo illustrissimo in virtù, fortuna e forza. Avendo Tarchezio raccontato il tutto ad una delle figliuole, le comandò che si congiungesse con quel membro, e che ella, sdegnando, vi mandò la servente. Tarchezio fieramente crucciato, come 'l seppe, fece ambedue pigliarle per farle morire: ma la dea Vesta nel sonno, interdicendogli quella morte, comandò che loro ordisse una tela da tessere in prigione, con promessa, quando fosse compiuta, di maritarle. Le giovinette tesseano di giorno; ma altre per comandamento di Tarchezio la notte disfacean il tessuto, infino a che la fanticella partorì di quel membro due figliuoli, che da Tarchezio furon dati a un certo Terazio, che gli uccidesse. Ma, lasciandogli egli sopra la riva del fiume, s'accostò una lupa a dar loro il latte, 
e uccelli di varie specie portaron loro imbeccatelle e minuzzoli, sintanto che un pastore maravigliato a questo aspetto ardì d'apprestarsi e seco i bambini portarne. I quali in questa guisa salvati e cresciuti assaltaron Tarchezio e lo vinsero. E questo scrisse un certo Promazione, che compilò istoria de' fatti d'Italia.
Ma fra' detti di maggior credenza e che hanno più testimoni, principali furono gli scritti da Diocle Peparezio, il primo che pubblicasse i fatti di Roma a' Greci, e fu per lo più seguitato da Fabio Pittore.

(LE VITE PARALLELE DI PLUTARCO, volgarizzate da Marcello Adriani il Giovane, volume I, Firenze, Felice Le Monnier, 1859, pag. 46-47, mia enfasi)

Plutarco offre un sacco di resoconti diversi sulla nascita di Romolo per prendersi il lusso di scegliere per vera la storiella che sembra più credibile. A tratti non mi pare vero che Romolo sia più mitologico di Gesù leggendo Plutarco!  Ciò che dovrebbe maggiormente tediarmi leggendo la vita di Romolo di Plutarco, ovvero il solito ritornello patetico ''alcuni dicono... alcuni raccontano... altri narrano....'' sembra davvero il suo maggiore punto di forza rispetto agli stessi vangeli! Perchè rivela una preoccupazione di chiara natura epistemologica: come dimostrare di sapere ciò che si sa.

Solo nel vangelo di Luca rischiariamo debolmente una preoccupazione simile, e solo nel suo incipit pieno di false pretese. E dopo quell'incipit, appena un miraggio della medesima preoccupazione in Luca 3:23: :
Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe...

Naturalmente Luca non sta scrivendo Storia ricordata, e neppure Storia testimoniata, nonostante le sue arroganti pretese dell'incipit, e per due motivi:

1) il suo vangelo deve almeno il 65% del suo contenuto a Marco e a Matteo che copia da Marco.
2) il suo vangelo è stato scritto molto probabilmente in reazione al vangelo di Marcione, ovvero al solo scopo di re-ebraizzare a dovere il vangelo di Marcione.

Luca non dice mai da nessuna parte dove diavolo prende la sua informazione, e la sua stessa pretesa nell'incipit è molto probabilmente falsa.


Non solo, ma quell'OSTINATA PRETESA di vendere la solita allegoria teologica come STORIA RICORDATA quando in realtà non lo è, sembra davvero un forte indizio rivelatore della provenienza dal II secolo di quel vangelo di Luca, dal momento che solo nel II secolo ci si preoccupava con tutti i mezzi possibili di gonfiare a dismisura la propria autorità appellandosi alla fittizia ''Successione Apostolica'' e a presunti ''testimoni oculari'' sbucati magicamente dal nulla allo scopo tutto POLITICO di contrastare gli eretici e togliere loro terreno da sotto i piedi descrivendoli come ultimi arrivati e spregevoli corruttori della ''vera'' e più ''autentica'' Traditio. Non stupisce allora di ritrovare nel II secolo pure il Vangelo di Tommaso, il vangelo di Giovanni e soprattutto la tendenziosa propaganda proto-cattolica revisionista e mistificatrice nota come Atti degli Apostoli.

I più antichi vangeli, ovvero Marco e Matteo, non avevano ancora bisogno di appellarsi ai ''testimoni oculari'' o all'autorità di un ''apostolo prediletto'' poichè all'epoca o quei presunti testimoni e quelli ''apostoli prediletti'' non esistevano affatto, oppure non erano ancora considerati delle preziose ''autorità'', giacchè la loro ''autorità'' sarebbe cresciuta di lì a poco in misura direttamente proporzionale alla loro UTILITÀ nella competizione con l'avversario eretico di turno, oltre che alla crescente tendenza a leggere e a prendere alla lettera l'allegoria, oramai prossima a diffondersi in tutte le comunità cristiane.




Marcione fu probabilmente la CAUSA indiretta che costrinse gli autori del vangelo di Luca e di Giovanni ad appellarsi a fittizi ''apostoli'' e a evanescenti ''testimoni oculari'', poichè Marcione fu il primo cristiano ad utilizzare a suo vantaggio quel tipo di argomentazione noto come argumentum ab auctoritate.

Il personaggio ''Barabba'' fu assai probabilmente un'invenzione di Marco, ed il fatto auto-evidente che lo si ritrova anche in ogni altro vangelo successivo a Marco è già di per sè una Prova che l'allegoria di Marco, o l'allegoria di qualcun altro che a sua volta utilizzò Marco, fu utilizzata come fonte da ogni evangelista posteriore. Chiaramente anche da Luca.


Il più antico testimone dell'incipit di Luca, con tanto di saluti rivolti all'''illustre Teofilo'', è un certo Teofilo di Antiochia, vissuto intorno al 180 EC, il quale sa poco o nulla della vicenda terrena di Gesù perfino se si dice cristiano. In altre parole, nessun cristiano prima di costui sa nulla di un vangelo rivolto a Teofilo, nonostante fosse a conoscenza di altri cristiani come Giustino Martire e Marcione i quali sanno il contenuto del vangelo di Luca.



La seconda grande differenza tra i vangeli e le biografie ellenistiche salta subito all'occhio appena finiamo di leggerli e giriamo l'ultima pagina.

Dopo aver letto i vangeli, nessuno è così audace da dire di sapere di più su Gesù di quanto già non sapesse prima di aprire il libro. Tutti quanti oramai, compreso il lettore (a meno che non sia scemo pure lui, ma voglio sperare il contrario!), sanno benissimo che per ''Gesù di Nazaret'' si intende il tizio che fece un mucchio di miracoli, guarì un sacco di gente, predicò qualche alto sermone morale, ecc. Oltre quello, nessuno sa veramente qual era la personalità di Gesù. Nessuno chiude l'ultima pagina dei vangeli sapendo qualcosa di più su Gesù, qualcosa di personale che lo riguardi, rispetto a quel poco che ne sapeva prima. Ecco perchè avvertiamo un senso di nausea oltre che un fastidioso senso di attrito (se siamo di poco più sensibili) quando qualcuno ci vuole vendere il suo personale ritratto del ''vero'' Gesù, che sia un Mauro Pesce a vendercelo o un Bart Errorman non fa differenza alcuna. L'amara sensazione che questi imbonitori con tanto di cattedra si siano guardati allo specchio e abbiano visto ''Gesù'' è troppo stringente.  Prima di aprire il vangelo, il lettore già sa che Gesù è il (figlio del) dio degli ebrei morto per i nostri peccati. Dopo aver chiuso il vangelo, ne sa esattamente quanto prima, né di più né di meno.

Com'era fisicamente Gesù? Il vangelo è avaro di notizie del genere (e lo credo, dopo essersi fatto in quattro per dire che non fu visto e riconosciuto da nessuno!).

Tuttavia dà un ritratto di Giovanni il Battista. Ma prima che il lettore tiri un sospero di sollievo e dica ''meno male, finalmente qualcuno che il vangelo si degna di descrivere meglio nei particolari!'', mi sa tanto che dovrei deluderlo. Infatti perfino il ritratto di Giovanni il Battista fu introdotto per ragioni squisitamente teologiche, come è vividamente spiegato in questo splendido post di Vridar, di cui riporto le parole finali (mia enfasi):

L'intero scenario risulta più economicamente spiegato come un collage dalla tradizione letteraria e teologica delle scritture ebraiche. La scena -- la sua introduzione profetica, il suo contesto geografico, il guardaroba e la dieta dello stesso Battista, la colomba, l'acqua, la voce -- è tutta grondante tradizione letteraria ebraica.

Gesù è introdotto come qualcuno che è più di un uomo. Cioè, è introdotto come qualcuno che NON è storico nella nostra comprensione di quello che si intende per storico.

È un'obiezione priva di significato dire che anche altre figure storiche sono state salutate in quanto più che umane. La differenza con Gesù è che lui è descritto dall'inizio alla fine come più che un uomo. Insistere sul suo essere anche un uomo significa sorvolare interamente la testimonianza dei vangeli, e anche delle epistole.

 Desidero che più studiosi prendino i vangeli sul serio. Quei fondamentalisti che favoriscono qualche grado di infallibilità hanno un merito quando obiettano ai ''liberali'' di aggiungere o di togliere dal testo. Loro hanno più rispetto per i vangeli, sebbene non rispettano i vangeli per le giuste ragioni. Assumono che il racconto narrato nei testi è vero e stanno seguendo rozzamente quella storia in quanto ''vera'', invece di una lettura con una genuina comprensione di quelle opere come esattamente un'altra forma di letteratura.

Il primo passo verso una seria considerazione dei vangeli è riconoscere e comprendere la loro natura di letteratura teologica.

C'è un folle apologeta ateo della rete, Giannino Sorgi (non riporto i nick perchè nel mio blog è vietato chiamarsi per soprannomi), che pretende che Giovanni il Battista fu il vero fondatore del movimento giudeocristiano, evolutosi poi negli ebioniti. Sarà vero? Almeno gli ebioniti saranno così gentili da interessarsi agli effetti personali di Giovanni il Battista non per ragioni teologiche ma per puro rispetto della sua traccia storica? Non ho appena finito di terminare il senso compiuto del mio interrogativo, che vengo a scoprire che gli ebioniti PRETESERO che Giovanni il Battista mangiò focacce (εκρις) e miele selvatico invece di locuste (ακρις).    Ed ovviamente questo cambiamento nella dieta di Giovanni il Battista fu eseguito per ragioni squisitamente teologiche. Le ennesime.
La parola greca per locuste viene utilizzata per indicare la "manna" che gli Israeliti mangiarono nel deserto ai tempi di Mosè. Se questo è il caso, allora Giovanni avrebbe mangiato  la "manna" che gli antichi israeliti mangiarono nel deserto ai tempi di Mosè. Questo "pane del cielo" è descritta come "simile al seme di coriandolo; era bianco, e aveva il gusto di schiacciata fatta col miele." (Esodo 16:31, Numeri 11:8). Questa dieta a base di manna avrebbe riflesso la santità ideale di peregrinazioni nel deserto di Israele, quando il popolo doveva guardare solo a Dio per il "pane quotidiano".



La sola volta che il vangelo ci fa la grazia di darci una precisa descrizione dell'aspetto fisico di Gesù è durante la scena della Trasfigurazione, e perfino allora sembra solo un pallido riflesso della ''trasfigurazione'' di Mosè dopo che salì sul Sinai per ricevere le Tavole della Legge. Non si tratta per nulla di un pallido riflesso perchè non può essere una coincidenza che Mosè salì sul Sinai portandosi appresso Giosuè mentre Gesù si portò sul Tabor i suoi primi della classe, a cominciare da quell'idiota demente di Pietro.
E tuttavia, se la prima e l'ultima occasione per l'evangelista di darci un ritratto fisico di Gesù è proprio durante una rivelazione celeste del genere, viene da domandarsi se quel BIANCO che ha inondato la scena durante quella visione non corrisponda al vero e più originario colore della misteriosa entità angelica del tutto priva di colori adorata dai primi cristiani, come Paolo.


Se qualcuno è tanto audace da ritenere possibile il ritrovamento del vero ritratto del Gesù storico, o di qualche parvenza di esso che non si riduca ad un mero flatus vocis, a partire da quale evento comincerebbe a ritrovarlo? Dalla sua crocifissione? Dalla sua predicazione? Dalla sua risurrezione? Non ne ho idea. Ma so per certo, visto come sono ridicoli i vari dementi apologeti Bart Errorman, Maurice Casey, Mauro Pesce, ecc., che il miglior caso a favore della storicità ancora deve fatto.

Mosè non è esistito perchè l'Esodo è pura fantasia. Gesù è impossibile da rintracciare nella storia perchè esistono centinaia di Gesù crocifissi nel I secolo. E i cosiddetti criteri per ritrovare Gesù sono molto vaghi e generici, troppo speculativi e astratti. In una parola, inutili.

 


Riporto le seguenti parole del prof Hector Havalos (Jesus agnostic):
Dunque com'è che la maggior parte dei biblisti accademici mai vedono qualcosa di sbagliato o malvagio che fece Gesù? La risposta, naturalmente, è che la maggior parte dei biblisti cristiani, del'accademia secolare o dei seminari, ancora vedono in Gesù un essere divino, e non un essere umano privo di difetti.
Tali studiosi stanno ancora studiando Gesù attraverso le lenti confessionali di Nicea o Calcedonia invece che attraverso un approccio storico che useremmo con altri esseri umani [come ad esempio Alessandro Magno o Cesare Augusto] dei quali notano senza esitazione i buoni e i cattivi aspetti delle loro azioni.

Ad ogni modo, è un buon segno che si stanno iniziando a vedere in accademia sempre più critiche serrate degli strumenti (s-)criteri(-ati)  finora utilizzati. E finalmente intravedo nel Teorema di Bayes applicato alla Storia il solo metodo capace una buona volta di mettere tutte le possibili spiegazioni sul tavolo per vedere infine quale di loro possiede la più alta probabilità di essere corretta, scartando così tutte le altre.