venerdì 7 luglio 2023

GESÙ COME AMALGAMA DI MOLTE FIGURE (a proposito di una tesi del Prof. Christophe Batsch)



Ci sembra incontestabile, forse a causa del nome che portarono in comune e del fatto che figurarono nell'opera di Flavio Giuseppe, che tutti questi Gesù che vissero nella stessa epoca abbiano contribuito alla creazione di un uomo leggendario che, almeno in parte, è diventato l'eroe dei cristiani.
(Analyse des origines chrétiennes, Georges Ory, Les Cahiers Rationalistes N°193, pag. 59)


Il Gesù dei Vangeli è un amalgama di molte figure?

Se uno si avvicinasse a questa domanda da perfetto estraneo al nome “GESÙ” e alla tradizione costruita intorno a questo nome, e se passasse un po' di tempo con il materiale testuale in cui questo nome figura in larga misura, dovrebbe presto riconoscere che potrebbero essere esistite diverse persone con lo stesso nome.

Se si consultassero le opere di Flavio Giuseppe, storico ebreo del I° secolo, si scoprirebbe che solo nell'opera di Giuseppe sono citati diversi Gesù: Gesù figlio di Fiabi, Gesù figlio di Saul, Gesù figlio di Saffia, Gesù fratello di Joanne, Gesù figlio di Gamaliele, Gesù figlio di Damneo, Gesù figlio di Nauecos, Gesù figlio di Nave, Gesù figlio di Anania, Gesù figlio di Tebuti, Gesù figlio di Josedek, e nulla, assolutamente nulla, circa il Gesù detto Cristo: una curiosa omissione. 

La prima cosa che questi dati ci dicono è che “GESÙ” fu un nome popolare tra gli ebrei all'inizio del I° secolo dell'era comune. Quindi, a conti fatti, ci fu  più di un Gesù a quel tempo, probabilmente molti di più.

Le storielle chiamate Vangeli sono basate, a detta dei folli apologeti cristiani, sulla tradizione orale, un eufemismo per dire che sono basati sul mero sentito dire: esattamente ciò che un'ipotetica corte marziale rifiuterebbe di ammettere agli atti come prova degna di questo nome. 

Quindi è più corretto dire, se tradizione orale ha da esserci (un “se” piuttosto impegnativo), che i vangeli sono composti da singoli episodi con i loro personaggi centrali chiamati “Gesù”. L'opinione abituale, istintiva, di molti cristiani è che tali singoli episodi, per quanto vaghi e indistinti il più delle volte, vedono la stessa cosa o la stessa persona da angolazioni diverse e attraverso lenti diverse, e che quindi ci fu un solo Gesù e non poté essercene un altro. Eppure le prove puntano nella direzione opposta. Suggeriscono che il Gesù dei vangeli potrebbe essere più un'idea che una figura storica che “patì sotto Ponzio Pilato”. Si può immaginare che un gran numero di bande di resistenti ebrei del I° e II° secolo in Giudea avessero il proprio Gesù all'avanguardia. Durante l'assedio romano di Gerusalemme, centinaia di prigionieri vennero crocifissi ogni giorno, quindi i Gesù ornamentali offrirono senza dubbio una rappresentazione spietatamente comune. Per quanto benedetti da questa autentica cornucopia di Gesù (plurale), deve essere stata una bella sfida per i primi cristiani sapere di quale uomo-Dio ricamare un dramma sacro a tavolino.
 
Esiste insomma la concreta possibilità che potrebbe esserci stato più di un Gesù nel passato del cristianesimo.

Quale di questi Gesù non invitò le donne a essere discepole?  Quale di questi Gesù morì sulla croce sotto Pilato? Quali di questi Gesù scacciò il demone “Legione”? Quali di questi Gesù si sottopose ad un battesimo di Giovanni? Quale di questi Gesù fu messo alla prova sulla liceità del tributo a Cesare? Chi, tra questi Gesù, fu oggetto di storie inquietanti su una resurrezione?  Chi compì presunti miracoli di guarigione?  Chi fu amico dei poveri e dei pescatori? Chi andò di città in città con i suoi insegnamenti impartiti “con autorità”? Chi profetizzò la caduta del Tempio?  Chi fu l'arcangelo morente e risorgente tra le centinaia di angeli e arcangeli variamente venerati nel giudaismo del I secolo E.C.?

Ci poté essere almeno una base storica per Gesù, ma non si trattò di una singola persona storica. Gesù fu un amalgama di molte figure diverse dell'epoca, non un uomo solo. Probabilmente Gesù fu un amalgama di figure simili dello stesso periodo storico: un amalgama di varie figure messianiche ebraiche dell'epoca, con varie storie e leggende di persone diverse a lui attribuite, che si accentrarono in lui in modo talvolta contraddittorio e assurdo da escludere che possa mai essere esistito un uomo di siffatte condizioni, «per la contraddizion che nol consente». Un'immagine esclude l'altra, ma nella mente dei primi evangelisti finirono per combinarsi. Le prove dolorose della distruzione della Giudea nel 70 e nel 135 E.C. finirono per persuaderli che l'epoca sognata di un ritorno della gloria di Davide si allontanava sempre più dalla realtà, ed allora fu ammesso che le prove dolorose di Gesù (personificazione di Israele) e la sua stessa morte non erano che il cammino per arrivare alla gloria, la quale fu poi riposta nell'altro mondo. La maggior parte delle storie confluite nei vangeli furono probabilmente abbellite in qualche modo, mentre altre sono vere e proprie invenzioni. Quindi, le implicazioni della questione dei molteplici Gesù che furono riuniti in un personaggio composito essenzialmente fittizio sono davvero quelle che chiunque, o qualsiasi comunità, ne farà.

In definitiva, l'ovvia incapacità della tradizione orale, laddove presente, nel preservare storie, implica che il Gesù dei vangeli è probabilmente una figura composita di più predicatori/resistenti armati di quel periodo, vero idolo di carta combinato come un mosaico coi materiali preesistenti nelle storie di altri predicatori nonché nei testi religiosi dell'ebraismo, allorché le storie furono mescolate assieme nel I° e II° secolo.

Su quali prove si basa questa valutazione?

 Il prof. Christophe Batsch (Université de Lille) ha l'indubbio merito di essere colui che, meglio di altri, argomenta a favore dell'idea di un “Gesù amalgama”. Invito a leggere la traduzione del suo articolo https://www.academia.edu/42447127/Des_vies_de_J%C3%A9sus_%C3%A0_la_destruction_du_temple_de_J%C3%A9rusalem_Hypoth%C3%A8ses_historiographiques_sur_l%C3%A9mergence_du_jud%C3%A9o_christianisme, consultato il 7 luglio 2023 )
 Giuseppe Ferri


 CHRISTOPHE BATSCH

Dalle vite di Gesù 
alla distruzione del Tempio di Gerusalemme 

Ipotesi storiografiche 
sulla nascita del giudeo-cristianesimo 

Non è una nuova scoperta: la realtà dell'esistenza di Gesù è oggetto di dibattito. 

Il personaggio che i Vangeli canonici nominano di volta in volta «il Salvatore» (Iesous in greco, Yeshua in giudeo-aramaico), «il Messia» (Chrestos in greco), «il Figlio dell'uomo», «il Figlio di Dio» o «il Verbo» (Logos in greco), riflette davvero l'esistenza reale di un uomo che era vissuto in Giudea e in Galilea sotto dominazione romana, oppure non è che una ricostruzione fittizia ispirata alle numerose figure di «messia» che avevano agitato la Giudea alla fine del periodo del Secondo Tempio? 

Dal punto di vista della fede cristiana, la questione è chiara: nel Dio-uomo Gesù, Dio si è incarnato, ha sofferto fino a morire sulla croce, è risorto. Incarnazione, morte, resurrezione: i tre elementi rimangono inseparabili e necessari. Al volgere dell'era comune, è necessariamente esistito sulla terra di Israele quest'uomo che era anche Dio e figlio di Dio, secondo la complessa elaborazione cristologica edificata nel corso dei primi secoli. I racconti evangelici, opere umane, possono essere imperfetti e soggetti alla critica testuale e letteraria; ma testimoniano nondimeno quella esistenza. 

Dallo stretto punto di vista della ricerca storica, invece, questo personaggio di Gesù non ha una realtà più concreta delle figure dell'Iliade e dell'Odissea, di Agamennone, Achille o Ulisse. Ciò non impedisce affatto di considerare Omero e il Nuovo Testamento fonti storiche utilizzabili; né di tentare di ricostruire il contesto nel quale vissero, se non questi personaggi, almeno i loro contemporanei reali, tra i quali figuravano senza dubbio coloro che li hanno ispirati. In ogni caso, queste figure leggendarie sono messe in ombra dai fenomeni che rappresentano, ma che li oltrepassano ampiamente: lo sviluppo della cultura greca classica; e l'espansione del cristianesimo nell'Antichità romana. 

Ciò non equivale così ad affermare che Gesù non abbia avuto un'esistenza reale; ciò equivale a dire che la questione, per lo storico, è rigorosamente indecidibile. Cosicché gli storici che pretendono «provata» l'esistenza di Gesù, come quelli che pretendono di «dimostrare» la sua inesistenza, non fanno che esprimere una convinzione spontanea e personale, sprovvista di ogni fondamento scientifico. 

Ci si sarebbe potuti fermare lì.

Ma la posta in gioco di quella domanda, eppure senza risposta, appare di una tale ampiezza che il dibattito non sembra vicino a spegnersi, se non tende addirittura a intensificarsi talvolta. [1] Da un lato, un buon numero di pensatori e di autorità del cristianesimo pretendono di ottenere dagli storici la conferma «scientifica» delle loro convinzioni, conferma che la ricerca scientifica è proprio incapace di fornire loro; dall'altro, certe forme di passione anticlericale hanno talvolta condotto a «dimostrazioni» pochissimo, o malissimo, fondate.  

Tuttavia, accanto e spesso in modo parallelo a quella disputa più ideologica che scientifica, un altro approccio al problema si è sviluppato a partire dalle «Vite di Gesù», questo genere letterario particolarmente in voga nel XIX° secolo. [2]

Un nuovo approccio, che si è chiamato lo studio del «Gesù storico» o del «Gesù della storia», si è imposto a poco a poco come un'autentica disciplina universitaria e teologica, con le sue cattedre, i suoi bilanci e i suoi centri di ricerca propri. È apparsa, e pare ancora a molti, offrire un terreno propizio ai dibattiti tra teologi e storici di diverse confessioni, scuole e convinzioni. Il «Gesù della storia» è in realtà una pura costruzione erudita, un artefatto intellettuale la cui principale utilità è stata quella di mantenere a distanza la disputa insolubile sull'esistenza reale di Gesù. Lo studio del «Gesù della storia» consiste infatti nel confrontare il personaggio di Gesù, di cui i Vangeli sinottici descrivono le azioni e le parole, con le conoscenze che possediamo sul contesto storico di questo racconto, grosso modo la fine del periodo del giudaismo detto «del secondo Tempio». 

Questo è quindi un ambito sul quale studiosi cristiani e storici non credenti, ovvero scettici, possono convivere perfettamente, pur in ogni incomprensione deliberata. Per semplificare all'eccesso, mentre gli uni si getteranno alla ricerca degli ipsissima verba (o di ciò che meglio li si avvicina) del Messia, gli altri arricchiranno le loro conoscenze del mondo giudaico al volgere dell'era comune e faranno entrare la prima letteratura cristiana nel loro corpus. Le esigenze della ricerca su quel periodo antico richiedono abbastanza erudizione e presentano sufficientemente difficoltà tecniche per permettere scambi, colloqui e dibattiti che non entrino nel vivo di posizioni inconciliabili. 

Tutto sommato, il metodo ha prodotto dei risultati. Il più importante è senza dubbio il riconoscimento oramai universale (ivi compreso in seno alla Chiesa cattolica sin dal Vaticano II) — ma che non era evidente neppure meno di un secolo fa — che questo Gesù, nato a Betlemme e morto a Gerusalemme, era necessariamente un giudeo, dunque un ebreo. 

Una conseguenza non trascurabile di quella «scoperta» tardiva è stata che gli storici del giudaismo antico hanno cominciato pure loro a interessarsi a quella inchiesta sul Gesù della storia, incorporando i primi e più antichi scritti cristiani nel loro corpus di ricerche. [3] Soltanto che, a differenza dei teologi e degli storici cristiani militanti, essi tengono per fonti di equivalente rilevanza gli scritti canonici e non canonici e tutte le risorse offerte dall'immensa riserva testuale del «continente apocrifo». [4] L'idea era semplice: i Vangeli, canonici o apocrifi, hanno conservato collezioni di dicta attribuite a un Salvatore-Messia degli ebrei che era vissuto poco prima della distruzione del Tempio; così hanno conservato, oltre alle varie opinioni e teorie che gli uni e gli altri gli attribuivano, tutta una serie di dettagli e di informazioni sul giudaismo della fine del secondo Tempio così come sulle correnti che lo attraversarono. [5]

Ci si può peraltro stupirsi di un intervento così tardivo degli storici del giudaismo in questo dibattito, infatti, come sottolineava Simon Mimouni qualche anno fa: «Ogni approccio storico a Gesù di Nazaret, come del resto alle origini del cristianesimo nei primi due secoli, richiede in ogni caso una buona conoscenza dell'Antichità e del mondo giudaico». [6] Del resto, quella rilettura dei testi cristiani antichi da parte degli storici del giudaismo dell'Antichità ha prodotto un numero di risultati utili alla conoscenza di quel periodo, [7] ma alla fine non ha minimamente arricchito le nostre rappresentazioni del Gesù dei Vangeli. 

Uno degli interrogativi più attuali posti dalla ricerca del Gesù storico è, ad esempio, quello di determinare a quale delle correnti politico-religiose attive in Giudea al suo tempo si possa ricondurre il personaggio evangelico: essena, [8] farisea, sadducea, zelota? Il dibattito è acceso, ma nessun consenso accademico è ancora emerso sull'argomento. L'erudizione degli storici del giudaismo su questi temi ha di certo permesso di gettare nuova luce sull'argomento, ma nessuna delle soluzioni da loro suggerite ha ottenuto l'adesione generale del mondo accademico. [9] 

Nel campo della teologia, i migliori e i più rigorosi specialisti del Gesù della storia hanno suggerito soluzioni divergenti, se non antagoniste. Per fermarsi alla teologia anglofona, che fu a lungo la più attiva in questo ambito: il Jesus Seminar e il suo fondatore Robert Funk (morto nel 2005) hanno visto in Gesù un saggio itinerante, non religioso, che sfidava le convenzioni sociali ma non aveva alcuna visione particolare del futuro. Il cofondatore del Jesus Seminar John Dominic Crossan lo vide più precisamente come un bifolco giudeo che cercò di instaurare il regno di Dio quaggiù mettendo in opera un egualitarismo radicale, per mezzo di pratiche magiche (guarigioni, esorcismi) e della condivisione dei beni. Marcus Borg (morto nel 2015) immaginava Gesù come un mistico ebreo che praticava guarigioni ed esorcismi, profeta e fondatore di un movimento, ma poco interessato all'escatologia. Invece Ed P. Sanders e John P. Meier hanno visto in Gesù un profeta escatologico, che annunciava la restaurazione imminente di Israele grazie al compimento di gesti simbolici, di miracoli e di guarigioni; interprete della Torà, annunciò la prossima restaurazione divina di Israele. Nicholas T. Wright aggiunge che egli lanciò un movimento di rinnovamento in vista della ricostruzione di Israele. La principale preoccupazione di questi pensatori cristiani sembra essere stata così quella di mantenere la figura di Gesù a distanza dalle correnti politico-religiose attestate in seno al giudaismo in cui era ritenuto vivere. [10]
 
Niente di sorprendente in ciò, se si osserva che tutti gli studi contemporanei di natura teologica sul Gesù storico (ciò che si indica talvolta la «terza ricerca») sono fondati su questi tre postulati: 

1. la presa in considerazione privilegiata, nonché esclusiva, dei vangeli sinottici canonici, Matteo, Marco e Luca; 
2. Una datazione alta di questi vangeli, o almeno della loro stesura primitiva. 
3. L'accettazione della rilevanza e dell'affidabilità dei testi di questi tre vangeli come fonti storiche che attestano ciò che enunciano. 

Quando si sarà osservato che nessuno di questi tre postulati è scientificamente fondato, né resiste alla critica storica, non ci si sarà minimamente avanzati di più; se non per ricadere nelle vane dispute del secolo scorso in Europa attorno all'esistenza o all'inesistenza di Gesù. 

Mi pare infatti che queste dispute hanno avuto finora per effetto principale quello di impedire l'emergere di un interrogativo storico essenziale: quali circostanze o quali eventi hanno provocato e favorito l'ascesa del cristianesimo, dapprima nel mondo ebraico e poi in tutto l'Impero romano? Più precisamente: cosa si può dire o cosa si può sapere dell'«evento scatenante» che aveva suscitato l'apparizione di una nuova corrente religiosa in seno al giudaismo della fine del periodo del secondo Tempio?

Le dispute sul Gesù storico non sono di alcun aiuto in questo caso; eppure è interessante constatare che un elemento fondamentale per la risposta a queste domande figura in chiare lettere nei tre vangeli sinottici. Si tratta, naturalmente, della profezia sulla distruzione del tempio e sulle prossime sciagure di Gerusalemme, in Matteo 24:1-2 e 15:22; Marco 13:1-2 e 14:20; Luca 21:5-6 e 20:24. «Vedete queste cose? disse Gesù ai suoi discepoli che gli fecero ammirare il Tempio, In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non sarà diroccata». [11] E un po' più oltre: «Perché la tribolazione allora sarà grande, quale non vi fu al principio del mondo fino a ora, né sarà». [12] Infine, Gesù mette in guardia contro la moltiplicazione dei (falsi) messia e profeti in questi tempi difficili (Matteo 24:23-26 e paralleli). 

Esiste una regola semplice ma rigorosa della critica testuale e storica: allorché un evento storico comprovato è menzionato in un testo, questo testo è sempre posteriore all'evento in questione. La forma profetica non cambia nulla al caso in questione. La pratica della «retroprofezia» è ben nota nella letteratura apocalittica ebraica: l'esempio più famoso figura nei capitoli 11 e 12 del Libro di Daniele. Si è notato da tempo che le profezie danieliche riflettono la  realtà storica complessa delle guerre siriane di Antioco IV, fino a pressappoco il versetto 11:37. Invece, il seguito della profezia non corrisponde più ad alcun evento storico conosciuto. Cosicché quella rottura nella rilevanza storica del testo ha permesso di datare questi capitoli con abbastanza precisione agli anni 167-165 prima dell'era comune.

Allo stesso modo, si deve concludere che la stesura dei tre vangeli sinottici è posteriore alla distruzione di Gerusalemme nel 70. E che non c'è dubbio che non si debba cercare altrove l'evento traumatico all'origine del messianismo giudeo-cristiano, di cui questi scritti, con certi altri scartati dal canone cristiano, furono i primi vettori. 

Ciò significa che conviene posticipare la data di inizio del giudeo-cristianesimo di circa trenta o quarant'anni. L'esistenza terrena di Gesù è situata abitualmente tra l'anno 5 e l'anno 40 dell'era comune, sotto i principati di Augusto, Tiberio e Caligola. Tutta la cronologia storica, letteraria e leggendaria delle origini del cristianesimo è ricavata a seguito di quella prima datazione. 

Nell'ipotesi storica che propongo per comprendere la nascita del giudeo-cristianesimo, la data originaria va piuttosto situata alla fine della guerra giudaica: nel 70 il tempio e la città di Gerusalemme sono distrutti dalle legioni di Tito. Masada cadde nel 74. Quello stesso anno 74 vide, da una parte, l'insediamento dei primi Saggi a Yabné e, dall'altra, l'ennesima (ma non l'ultima) espulsione degli astrologi e dei filosofi «orientali» da Roma. 

Cosa accadde tra queste due date per gli ebrei della Giudea e della Diaspora? 

L'ULTIMO RE GIUDEO IN GIUDEA 

Innanzitutto, il ritorno di Gerusalemme e della Giudea sotto l'amministrazione diretta di Roma: Agrippa I°, intronizzato re di Giudea nel gennaio del 41, muore a Cesarea nella primavera del 44. Fino al sollevamento insurrezionale di Gerusalemme del 66, la Giudea è di nuovo amministrata dai procuratori romani. Numerosi passi talmudici mostrano tuttavia l'importanza di quest'ultimo episodio di regalità ebraica, per quanto breve sia potuta apparire, nelle rappresentazioni politico-religiose, nella memoria e nella tradizione del giudaismo. Alcuni sottolineano la prosperità della Giudea sotto il suo regno: la misnà Bikkurim 3, 4 descrive così lo sfarzo della cerimonia delle primizie a Gerusalemme al tempo di Agrippa I°, mentre il Talmud di Babilonia (Pesahim 64b) sottolinea la prosperità demografica della Giudea sotto il suo regno. Altri mettono piuttosto in rilievo la rettitudine del suo comportamento e la sua conformità agli insegnamenti dei Saggi. [13] Queste qualità culminano nel racconto di Sotah 41a-42a, dove Agrippa I° è lodato per aver (ri)messo in pratica la lettura rituale della Legge (in realtà, del Deuteronomio) da parte del re ogni sette anni in occasione della festa di Succot. [14] La Misnà che descrive la cerimonia sottolinea la popolarità del re presso i Saggi e i Giudei: «Il re Agrippa si alzò per riceverlo (il rotolo della Legge) e lo lesse in piedi, gesto per cui fu lodato dai Saggi. Quando arrivò alle parole: “Non collocherai un estraneo al di sopra di te” (Deuteronomio 17:15), egli pianse, ma essi gli dissero: «Non temere nulla, Agrippa, tu sei nostro fratello, tu sei nostro fratello!»  [15

Cosicché, a dispetto della brevità del suo regno sulla Giudea, Agrippa I° appare nella letteratura rabbinica come la figura dell'ideale politico di una società ebraica retta  dall'associazione del principe e dei Saggi, la figura idealizzata di un «re dei Giudei»

L'USO DEL SUPPLIZIO 
DELLA CROCIFISSIONE IN GIUDEA 

Sin dai disordini che avevano seguito la morte di Erode il Grande nell'anno 4 prima dell'era comune, durante i quali sorsero numerosi pretendenti messianici, la crocifissione è divenuta il supplizio più comunemente impiegato dall'amministrazione romana contro tutte le velleità di rivolte ebraiche, che fossero di tipo messianico o «nazionalista» (zelotismo). Secondo Flavio Giuseppe, il legato di Siria Varo fece allora crocifiggere 2.000 ebrei a Gerusalemme. [16] Sin dalla ripresa dell'amministrazione diretta della Giudea nel 44, l'usanza prevalse di nuovo. Fu l'inizio di una pratica sistematica che non risparmiò nessuno, nemmeno i notabili gerosolomitani. Nel 45, Caspio Fado (44-46) fa crocifiggere il profeta Teuda e i suoi seguaci; poi, sotto Tiberio Alessandro (46-48), Simone e Giacomo, figli del «brigante» zelota Giuda di Gamala, e i loro seguaci, sono crocifissi a loro volta. [17] Avendo catturato il capo zelota galileo Eleazaro, che inviò  a Roma, il procuratore Felice (52-59) fa egualmente crocifiggere un numero «incalcolabile (...) di briganti e di gente del popolo accusati di complicità con loro». [18] Gessio Floro (64-66), il procuratore in carica al momento dell'inizio della rivolta, fece allora frustare e crocifiggere 3600 ebrei  a Gerusalemme, tra cui diversi notabili «appartenenti all'ordine equestre». [19] Il culmine fu raggiunto dopo la caduta di Gerusalemme nel 70, quando Tito fece crocifiggere una buona porzione degli insorti lungo le strade di Giudea: molto tempo dopo questi eventi, Giuseppe ricorda ancora nella sua autobiografia le sue lacrime e la sua sofferenza alla vista di «quantità di prigionieri sospesi alle croci» (Vita 420). 

La crocifissione non era dunque in Giudea, come si legge troppo spesso, né un castigo eccezionale, né un castigo riservato agli schiavi, ma piuttosto il supplizio ordinario al quale faceva sistematicamente ricorso l'amministrazione romana per reprimere le velleità di sollevamenti politici e religiosi (le due cose si confondevano quasi sempre) di una parte della popolazione giudaica. 

L'associazione delle due figure del messia e del re dei Giudei, in assenza di un titolare effettivo della carica, è da sempre nell'ordine dell'evidenza.  Giuseppe elenca peraltro tutta una serie di questi pretendenti alla regalità messianica che si manifestarono al momento della morte di Erode, e finirono per costringere Varo, governatore della Siria, ad un intervento militare in Giudea con tre legioni e truppe ausiliarie. [20] Fu in quella occasione che il governatore romano fece crocifiggere 2000 insorti. 

Così l'associazione tra le due potenti immagini ideologizzate del re messianico dei Giudei e della crocifissione non aveva nulla di sorprendente nella Giudea del I° secolo: si potrebbe persino dire che essa era venuta a costituirvi un topos.

Va aggiunto quanto segue, che riguarda anche la quarantina di anni di cui trattiamo, ma fuori dalla Giudea, nella diaspora. Durante quel periodo la comunità ebraica di Roma conobbe una espansione demografica considerevole, senza dubbio la più forte di tutte le comunità esterne alla Giudea. Secondo Dione Cassio (che scrive un secolo più tardi), gli ebrei erano addirittura diventati così numerosi a Roma sotto il regno di Claudio che non ci si poteva sognare di espellerli senza causare disordini. [21] Cosa in cui si trova contraddetto da altre fonti e dal suo quasi contemporaneo Svetonio. Se egli ha ben conservato la memoria di una numerosa comunità ebraica a Roma, probabilmente ancora accresciuta al suo tempo, egli ha sottovalutato dunque la capacità e la volontà del potere imperiale in materia di espulsioni e persecuzioni. 

L'espulsione degli ebrei da Roma per ordine di Claudio è accidentalmente evocata in un racconto degli Atti degli Apostoli 12:18: Paolo vi è descritto mentre lascia Atene per Corinto, dove «trovò un Giudeo, di nome Aquila, originario del Ponto, giunto recentemente dall'Italia insieme con sua moglie Priscilla, perché Claudio aveva ordinato a tutti i Giudei di lasciare Roma». Svetonio conferma quella espulsione, di cui avanza una spiegazione (Vita di Claudio 25:11): Iudaeos impulsore chresto assidue tumultuantis Roma expulit. «Egli (l'imperatore Claudio) espulse da Roma i Giudei che creavano costantemente disordini su istigazione di un messia». Il che consolida  la rappresentazione di un giudaismo intensamente travagliato dai movimenti messianici, alla vigilia del grande sollevamento del 66. Si trovano infatti altre tracce di quella agitazione messianica, che sembra non essere cessata in Giudea dopo la morte di Agrippa. Giuseppe menziona così due nuovi episodi di sollevamenti messianici in Giudea: l'uno alla fine dell'amministrazione di Fado, quando un certo Teuda radunò centinaia di seguaci sulle rive del Giordano nell'anno 49, prima di essere catturato ed eliminato. [22] Poi, alcuni anni dopo, sotto l'amministrazione del procuratore Felice (52-59), un messia anonimo  proclamatosi profeta  venuto dall'Egitto radunò i suoi seguaci sul Monte degli Ulivi. Questi furono dispersi e in parte massacrati dalla cavalleria romana, mentre il messia egiziano riuscì a fuggire. [23] Si è generalmente identificato questo personaggio alla figura del «falso profeta Ben Stada» evocato a più riprese dal Talmud di Babilonia. [24] 

Alcuni anni aggiuntivi di quell'atmosfera di tensione escatologica e messianica portarono alla «guerra giudaica» che scoppiò nel 66 e si concluse tragicamente quattro anni più tardi con la distruzione completa di Gerusalemme e del suo Tempio, centri della vita ebraica in Giudea e in tutte le comunità della diaspora. 

Ma due anni prima, nell'anno 64, la comunità ebraica di Roma, che si era apparentemente ricostituita più importante che mai dopo l'espulsione ordinata da Claudio, ha subìto una nuova persecuzione ancor più grave: è il famoso episodio dell'incendio di Roma su ordine di Nerone.   Si sa che Nerone ricercò un capro espiatorio per nascondere il suo crimine e lo trovò nella popolazione ebraica della città. La tradizione che vuole vedervi la prima delle persecuzioni anticristiane dell'Impero romano non è in effetti più minimamente accettabile: chi può ancora immaginare che nel 64 l'imperatore, i suoi funzionari o la sua polizia sarebbero stati in grado di distinguere, di identificare, di isolare e di punire un gruppo specificamente giudeo-cristiano in seno alla comunità ebraica nel suo complesso? Anche supponendo che un tale gruppo sia allora esistito, nessun magistrato romano si sarebbe preoccupato di approfondire le sottigliezze teologiche di quella strana religione monoteistica orientale. [25] Fu quindi la comunità ebraica nel suo insieme a dover subire le persecuzioni dell'imperatore. Essa subiva così per la seconda volta, ad un intervallo di una quindicina d'anni, gli effetti tragici dell'arbitrio imperiale. Si può credere che questi massacri fossero noti in Giudea e contribuissero dapprima allo scatenamento della rivolta, poi allo smarrimento dei sopravvissuti dopo la disfatta. 


È tempo di concludere suggerendo un'ipotesi storica per l'apparizione del giudeo-cristianesimo, che tenga conto degli eventi ricordati qui. Niente di più — ma niente di meno — di un modello che si sforza di applicare i due principi di verosimiglianza e di economia (il «rasoio di Occam»), allo stato attuale delle nostre conoscenze sull'argomento. 

All'indomani della distruzione del Tempio, centro di tutta la sua attività sociale e religiosa, [26] il giudaismo è evidentemente smarrito. La domanda essenziale che gli si poneva era quella della sua sopravvivenza e della sua continuazione in una forma ancora da determinare. Quella domanda suscitò allora diverse risposte, di cui ciascuna sembrava poter essere associata a un luogo geografico: Masada, Yabné o Alessandria. 

Le prime due alternative sono ben note e sono state abbondantemente studiate e commentate. Dapprima, la scelta del rifiuto, della resistenza ad oltranza e infine del suicidio collettivo: questa è l'eredità degli zeloti, che si espresse a Masada, non senza grandezza ma necessariamente senza avvenire. 

Poi la scelta di una ricostruzione paziente, rigorosa, meticolosa delle norme che regolavano la vita ebraica in assenza dei riti del Tempio che l'avevano organizzata fino ad allora. Questa fu la scelta degli eredi farisaici di Hillel e Shammai, detentori delle tradizioni della «legge orale», che si riunirono nelle «vigne di Yabné». Lì diedero nascita a un giudaismo rabbinico che imporrà a poco a poco le regole e le norme della vita ebraica fedele alla tradizione. Si è ritenuto a lungo che questo giudaismo rabbinico si fosse immediatamente imposto come  la guida e il punto di riferimento per una popolazione ebraica abbandonata alla sua sorte, in Giudea come nella diaspora. Oggi ci si è molto distanziati da quell'errore di valutazione. 

Tra i primi Daniel Boyarin ha fatto osservare che la distruzione del Tempio di Gerusalemme fu seguita da un lungo periodo di incertezza religiosa, tanto in materia cultuale e rituale quanto in materia teologica e dogmatica, durante il quale la stragrande maggioranza delle popolazioni che rivendicavano il giudaismo sembrava non essere in grado di operare una scelta radicale e definitiva tra le «offerte» rabbiniche da una parte e le offerte giudeo-cristiane dall'altra. [27] Queste vaste riserve di indecisi che si trattò di convincere sarebbero state così il target centrale (per esprimersi in termini di comunicazione moderna) delle vivaci polemiche tra ebrei e cristiani durante i primi quattro secoli dell'era comune. Sulla stessa linea, Simon Mimouni ha proposto un modello per lo sviluppo del giudaismo palestinese, vale a dire dalla Giudea alla Galilea, dopo il 70, proponendo di distinguervi queste tre forme di pratica del giudaismo: rabbinica, cristiana e sinagogale. [28] Questo giudaismo «sinagogale» (si potrebbe anche dire sociologico o ellenistico) designa la categoria maggioritaria di ebrei che conservavano una coscienza precisa della propria identità ebraica, ma non sapevano più bene né a quale dogma, né a quale pratica, legarsi. 

Bisogna allora tenere conto della terza risposta portata al disastro del 70: quella degli eredi delle correnti apocalittiche e messianiche del giudaismo della fine del periodo del secondo Tempio. Per questi colti cittadini, che erano sfuggiti alle violenze dell'assedio, agli sconvolgimenti delle guerre civili e ai massacri della repressione romana, si pose la questione di sapere dove andare, dove raggrupparsi, dove continuare a vivere e a pensare questo giudaismo degli ultimi tempi, questo eschaton di cui le catastrofi della Giudea annunciavano l'imminenza. Gerusalemme, il centro e il cuore pulsante del giudaismo del Tempio, era distrutta. Roma, la capitale dell'Impero di nuovo unificato, sembrava interdetta dopo le espulsioni e le persecuzioni antiebraiche dei suoi ultimi imperatori. Restava Alessandria, capitale dell'Oriente, culla della cultura scritta, dove una importante comunità ebraica, prospera e culturalmente attiva, risiedeva fin dalla fondazione della città. Allo stesso modo in cui gli eredi di Hillel e Shammai si raggrupparono a Yabné con i loro rotoli (la Torà scritta, la Legge e i Profeti) e le loro tradizioni (la Torà orale); così gli ebrei messianici si ritrovarono ad Alessandria con i loro scritti (gli stessi) e le loro proprie tradizioni scritte e orali. Fu probabilmente lì, nel fermento intellettuale della città erudita, e nell'urgenza di trovare una spiegazione alla catastrofe in atto, che furono frettolosamente raccolte, compilate e ricopiate tutte le parole, più o meno fedelmente conservate, le une in aramaico, le altre in ebraico e altre ancora in greco, di tutto ciò che la Giudea aveva conosciuto di messia nel corso dell'ultimo secolo. Queste raccolte di dicta eterogenei (tra i quali nulla ci impedisce di immaginare che figurassero anche quelli di un carismatico galileo) furono la materia prima a partire dalla quale si elaborarono presto i vangeli, più tardi canonici o apocrifi, contrassegnati dai vari sigilli delle diverse teologie che li ispirarono. Tutte queste raccolte possedevano nondimeno in comune il fatto che riportavano gli atti e le parole di un «salvatore», Yeshua, che era anche il «messia», Chrestos. 

Fu lì la culla del giudeo-cristianesimo che, nelle sue forme molteplici, oltrepassò i confini del giudaismo, prima ad Alessandria d'Egitto (da cui tutto sembra provenire in materia di Nuovo Testamento), poi nell'Oriente dell'Impero, infine fino alla sua capitale. 

Le più antiche attestazioni scritte che menzionano i cristiani nelle fonti «pagane» (nell'occorrenza latine) sono tutte datate all'inizio del II° secolo dell'era comune. C'è lì una notevole convergenza, che dà a pensare che il «fenomeno cristiano» fu allora improvvisamente scoperto e preso in considerazione dal mondo romano, dai suoi dirigenti e dai suoi pensatori. Si tratta di un passo degli Annali di Tacito che manifesta una conoscenza almeno indiretta dei racconti evangelici della Passione del Cristo [29] (intorno al 110); della lettera di Plinio a Traiano sui cristiani di Bitinia (intorno al 111-112); infine della definizione di Svetonio dei cristiani come «una categoria di gente con superstizioni nuove e malefiche» [30] (tra il 119 e il 120).

Quarant'anni dopo la distruzione di Gerusalemme, un racconto della predicazione e della morte di Gesù Cristo, il salvatore e messia, circola in una forma pressappoco consolidata che sarà progressivamente fissata e canonizzata nel corso dei secoli successivi. Molti degli elementi narrativi di questi racconti evangelici trovano la loro fonte e la loro potenza simbolica negli eventi che precedettero e seguirono immediatamente la caduta di Gerusalemme nel 70. 

Non pretendo che questo breve articolo riesca ad esaurire le numerose questioni che solleva questa ipotesi di datazione tardiva. Io la sottopongo però alla discussione in quanto mi appare la migliore in grado di rendere conto di quel fenomeno storico e sociale inaudito che fu l'emergere del giudeo-cristianesimo.


Riferimenti cronologici

Prima dell'era comune 

63

 

Presa di Gerusalemme da parte di Pompeo; fine della Giudea asmonea

 

53

 

Disfatta di Crasso contro i Parti a Carre

44-43

 

Assassinio di Cesare a Roma e secondo triumvirato: Ottaviano, Antonio e Lepido

 

42-38

 

 

Invasioni partiche in Siria-Giudea; l'asmoneo Antigono si insedia come re in Giudea; Erode nominato re di Giudea dal Senato romano

37-34

 

Erode conquista Gerusalemme e regna sulla Giudea

 

33-31

 

Guerra civile tra Ottaviano e Antonio; vittoria di Ottaviano-Augusto ad Azio

30


Erode confermato re di Giudea

20

 

Ricostruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Erode

4

Morte di Erode; messianismi in Giudea; spartizione del regno (tetrarchie)


Dopo l'era comune 

6

Annessione della Giudea alla provincia romana di Siria; sollevamento zelota

 

10 circa

   Morte di Hillel e di Shammai

 

14

 Morte di Augusto. Tiberio imperatore

 

26-36

Ponzio Pilato prefetto di Giudea per dieci anni

 

37

Morte di Tiberio. Caligola imperatore

 

38-40

 

 

Scontri tra greci ed ebrei ad Alessandria; Filone a Roma; a Gerusalemme crisi della statua dell'imperatore nel Tempio

 

41

 

Assassinio di Caligola. Claudio imperatore. Agrippa I° re di Giudea

 

44

 

Morte di Agrippa I°. La Giudea provincia romana

 

45 circa

Insurrezione ed esecuzione del messia Teuda-Tommas-Didimo

 

46-48 circa

Crocifissione di Simone e Giacomo, figli di Giuda di Gamala

 

49

Espulsione dei Giudei da Roma da parte di Claudio

 

50

Agrippa II re di Calcide (ma autorità sul Tempio di Gerusalemme)

 

54

Morte di Claudio. Nerone imperatore

 

64

Incendio di Roma e persecuzione degli ebrei di Roma

 

66

Inizio della «guerra giudaica». Vespasiano inviato in Giudea

 

68-69

Morte di Nerone. Anno dei 4 imperatori

69

 Vespasiano imperatore

 

70

Presa e distruzione di Gerusalemme (Tito)

 

74

Caduta di Masada. Insediamento dei rabbini a Yabné

 

79

Morte di Vespasiano. Tito imperatore

 

81

Morte di Tito. Domiziano imperatore

 

92-93

Morte di Agrippa II

 

96

Morte di Domiziano e fine dei Flavi. Nerva imperatore

 

98

Morte di Nerva. Traiano imperatore

 

110-111 circa   

Prima menzione dei «cristiani» negli scritti latini (Plinio, Tacito)

 

114-116

Campagna di Traiano contro i Parti

 

115-117

Sollevamento degli ebrei della diaspora nell'Impero («guerra di Quieto»); distruzione di Alessandria

 

117

Morte di Traiano. Adriano imperatore

 

117

Ricostruzione di Alessandria da parte di Adriano

 

120

Giudea provincia consolare; prime attestazioni delle idee gnostiche e cristiane

 

132-135

Sollevamento di Bar-Kochba

 

138

Morte di Adriano. Antonino imperatore

 




Bibliografia 

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PICARD, J-C., Le continent apocryphe. Essai sur les littératures apocryphes juive et chrétienne, Turnhout, Brepols (Instrumenta Patristica 36), 1999. 

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NOTE
[1] Fino a poco tempo fa, una rivista che tratta di storia delle religioni e destinata a un pubblico colto ma non specialista, pubblicava così un numero intitolato «Jésus, mythe ou réalité?» (Le Monde des religions 80, novembre-dicembre 2016). In modo significativo e molto francese, ogni seria messa in discussione della reale esistenza di Gesù vi è equiparata a una «tesi mitista», oggi ampiamente denigrata e che nessuno di questi storici scettici afferma di sostenere. Quella «tesi mitista» si è sviluppata particolarmente in Francia, dall'erudito Constantin-François Volney (Méditations sur les révolutions des empires, 1791) fino all'accademico di Strasburgo Prosper Alfaric (Le Problème de Jésus, 1932). In sostanza, essa consiste nel riconoscere nella vita di Gesù, come la riportano i Vangeli, solo un mito solare, che riflette qualche religione orientale sincretistica di cui non si possiede peraltro nessuna traccia. 

[2] Le due più famose sono quella di David Strauss, Das Leben Jesu, apparsa nel 1835, e la Vie de Jésus di Ernest Renan, pubblicata nel 1863. L'opera di Strauss fu tradotta in francese da Émile Littré nel 1839 (volume 1) e nel 1853 (volume 2); e in inglese da Georges Eliot nel 1846. Nel 1865 Strauss pubblicò una nuova opera intitolata Der Christus des Glaubens und der Jesu der Geschichte. Quella distinzione tra un «Cristo della fede» e un «Gesù della storia» è stata abbondantemente ripresa in seguito, in particolare tra i teologi protestanti. La rottura epistemologica decisiva tra un Gesù storico e un Gesù della fede è in effetti già stata operata da Rudolf Bultmann nel secolo scorso. Si veda inter alia R. BULTMANN, 1921 e 1931, Die Geschichte der synoptischen Tradition, Göttingen: Vandenhoeck und Ruprecht; id. 1953, Die Theologie des neuen Testaments, Göttingen: Vandenhoeck und Ruprecht.

[3] Uno dei primi, o almeno dei più importanti, di questi storici del giudaismo a interessarsi al Gesù storico fu senza dubbio Jacob Klausner, uno dei fondatori dell'Università Ebraica di Gerusalemme. Nel 1922 pubblicò un Jésus de Nazareth, che fu tradotto in inglese nel 1925, poi tradotto in francese e pubblicato a Parigi nel 1933 sotto il titolo Jésus de Nazareth. Son temps, sa vie, sa doctrine.  Si leggerà con profitto su questo argomento Dan Jaffé, 2009, Jésus sous la plume des historiens juifs du XX° siècle. Approche historique, perspectives historiographiques, analyses méthodologiques, Paris. 

[4] Espressione coniata da J-C. PICARD, 1999, Le continent apocryphe. Essai sur les littératures apocryphes juive et chrétienne, Turnhout, Brepols (Instrumenta Patristica 36). Gli antichi apocrifi cristiani, contemporanei o anteriori ai Vangeli canonici: il Vangelo degli Ebrei, il Vangelo degli Egiziani, il Vangelo degli Ebioniti, il Vangelo di Pietro (che si possono considerare vangeli giudeo-cristiani di forma molto antica); è forse anche il caso del Vangelo di Tommaso, ritrovato nei papiri di Nag Hammadi.

[5] Quella osservazione è alla base di tutta una corrente della ricerca storica che ha imparato a utilizzare il Nuovo Testamento come fonte di informazioni sul giudaismo alla fine del periodo del secondo Tempio. Si veda inter alia D. FLUSSER, 2003, Les sources juives du christianisme. Une introduction, Paris, Tel-Aviv, Éditions de l'éclat; e C. CARMICHAEL (ed.), 2000, New Testament Judaism. Collected Works of David DAUBE Volume 2, Berkeley, Robbins Collection. 

[6] Si veda il sito di Simon-Claude Mimouni su Academia: «Jésus de Nazareth et l'histoire. Quelques remarques et réflexions à propos des travaux de John P. Meier», (versione riveduta di un articolo pubblicato in Recherches de science religieuse 99, Paris, 2011, pag. 529-550), qui pag. 17; consultato il 28 dicembre 2016. 

[7] L'editore di questo volume è stato uno degli storici francofoni più fecondi e innovativi in questo ambito, in particolare nell'uso delle fonti talmudiche sul cristianesimo antico. Si veda inter alia Dan JAFFÉ, 2007, Le Talmud et les origines juives du christianisme. Jésus, Paul et les judéo-chrétiens dans la littérature talmudique, Paris, Éd du Cerf; e Dan JAFFÉ (ed.), 2010, Studies in Rabbinic Judaism and Early Christianity, Leiden, Brill. 

[8] Si torna sempre alla famosa frase di Ernest Renan nella sua Vie de Jésus (1863): «Il cristianesimo è un essenismo che ha avuto successo. Lo spirito è lo stesso e certamente, quando i discepoli di Gesù e gli esseni si incontravano, dovevano credersi confratelli». Ma spesso si trascura il fatto che lo stesso Renan ha espresso i più seri dubbi sulla propria tesi in un'opera importante scritta vent'anni più tardi: E. RENAN, 1887, Histoire du peuple d'Israël, Volume quarto Libro 9 «Autonomie juive», Capitolo 7 «Avant-goût du christianisme». 

[9] Shmuel Safrai, e prima di lui Geza Vermes, hanno creduto così di reperire nella letteratura talmudica l'esistenza di una corrente carismatica in seno al movimento farisaico, gli hassidim, ai quali i due ricercatori associavano Gesù. Quella tesi è stata contestata e in gran parte confutata da David Rokeah, 2005, «Les amei-ha-aretz, les premiers hasidim, Jésus et les chrétiens», in Y. SUSSMANN e D. ROSENTHAL ed., Mehqerei Talmud. Recueil d’essais talmudiques et de domaines connexes offerts en souvenir du prof. Ephraim E. Urbach, vol. 3, Gerusalemme, Magnes, pag. 876-903 (in ebraico); e da D. JAFFÉ, 2009, «L'identification de Jésus au modèle du hasid charismatique galiléen: les thèses de Geza Vermes et de Shmuel Safrai revisitées», New Testament Studies 55, pag. 218-246. 

[10] Le principali opere di questi autori sul Gesù storico: M. BORG, 2006, Jesus: Uncovering the Life, Teachings, and Relevance of a Religious Revolutionary, New York, Harper Collins; J. D. CROSSAN, 1991, The Historical Jesus: The Life of a Mediterranean Jewish Peasant, New York, Harper Collins; id. 1994, Jesus: A Revolutionary Biography, New York, Harper Collins;  R. W. FUNK, 2002, A credible Jesus: fragments of a vision, Santa Rosa, Polebridge Press ; J. P. MEIER, 2004, Un certain Juif, Jésus, Paris, Éd du Cerf; E. P. SANDERS, 1993, The Historical Figure of Jesus, London, Penguin Books; N. T. WRIGHT, 2011, Simply Jesus: A New Vision of Who He Was, What He Did, and Why He Matters, New York, Harper One.

[11] Matteo 24:2. Salvo diversa indicazione, la traduzione dei vangeli è quella di Louis Segond. 

[12] Matteo 24:21. Si vedano i testi paralleli in Marco e Luca.

[13] Pesahim 88b ricorda l'influenza di rabbì Gamaliele su Agrippa I° e sua moglie; Pesahim 107b dà il re Agrippa I° come esempio di una buona condotta halachica (nella sua osservanza dell'ora dei pasti); Yoma 20b sottolinea il suo comportamento virtuoso quando inviò doni al banditore del Tempio; Ketubot 17a evoca un aneddoto secondo il quale il re Agrippa I° cedette il passo a un corteo nuziale, «e i Saggi», conclude il Talmud, «lo lodarono».

[14] Rituale ispirato a Deuteronomio 31:10-13 e a 2 Cronache 34:29-31. 

[15] Sota 7, 8. 

[16] FLAVIO GIUSEPPE, Guerra Giudaica 2, 75 e Antichità Giudaiche 17, 295. 

[17] Atti 5:36-37; Antichità Giudaiche 20, 97-98 e 102.

[18] Guerra Giudaica 2, 253. 

[19] Guerra Giudaica 2, 306-308. 

[20] Si veda Guerra Giudaica 2, 55-79 e Antichità Giudaiche 17, 271-298. Si nomina questo episodio la «guerra di Varo». I pretendenti alla regalità messianica elencati da Giuseppe sono: Giuda di Galilea, figlio di Ezechia; Simone, l'ex schiavo, è anche menzionato da Tacito («post mortem Herodis, Simo quidam regium nomen invaserat», Historiae 5:9); il pastore Atronge e i suoi fratelli.


[21] Historiae Romanae 60, 6: τούς τε Ἰουδαίους πλεονάσαντας αὖθις, ὥστε χαλεπῶς ἂν ἄνευ ταραχῆς ὑπὸ τοῦ ὄχλου σφῶν τῆς πόλεως εἰρχθῆναι «I Giudei, di nuovo troppo numerosi perché si potesse, tenuto conto della loro moltitudine, espellerli da Roma senza causare disordini»

[22] Antichità Giudaiche 20, 97-98. Questo racconto trova un'eco negli Atti 5:36, dove questo stesso Teuda è menzionato nel Sinedrio di Gerusalemme.

[23] Antichità Giudaiche 20, 169-171. 

[24] Si veda inter alia Sanhedrin 104b e Shabbat 67a. 

[25] Si vede ancora l'amministrazione romana confondere ebrei e cristiani sotto il regno di Traiano (98-117), come testimonia l'arresto di rabbì Eliezer riportato nel Talmud di Babilonia (Abodah Zarah 16b).

[26] Si veda di Francis Schmidt l'ancora fondamentale La pensée du Temple . De Jérusalem à Qoumrân, Paris, Seuil, 1994.

[27] D. BOYARIN, Border Lines: The Partition of Judaeo-Christianity, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2004. La partition du judaïsme et du christianisme, Paris, Éd du Cerf, giugno 2011). 

[28] S. C. MIMOUNI, Le judaïsme ancien du VI° siècle avant notre ère au III° siècle de notre ère. Des prêtres aux rabbins, Paris, PUF, 2012.

[29] Auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat. «Christus da cui ricavano il loro nome, era stato suppliziato dal procuratore Ponzio Pilato sotto il principato di Tiberio». Tacito è in questo passo il primo storico latino a riprendere (dalle stesse fonti?) la tesi secondo cui Nerone avrebbe preso di mira specificamente i cristiani al momento dell'incendio del 64. 

[30] Genus hominum superstitionis nouae ac maleficae. Anche Svetonio segue Tacito sulla persecuzione dei cristiani da parte di Nerone. 

1 commento:

Dieg ha detto...

È possibile che il Cristo dei vangeli sia fusione di più personaggi... Penso non si possa escludere nulla con certezza.
Secondo me c'era davvero uno fra questi che compiva prodigi, che però non è lo stesso che è finito in croce o che citava continuamente la Torah.