venerdì 9 novembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»Le Apocalissi (168 A.E.C. — 40 E.C.) (VII): Elementi di cristianesimo

LE APOCALISSI
(168 A.E.C. — 40 E.C.)

VII

ELEMENTI DI CRISTIANESIMO

Il cristianesimo nacque dal travaglio dei giorni di Giovanni. Il Battista gli fornì due talismani con i quali legare le anime: l'avvento dell'Uomo Celeste in un cataclisma universale, e il rito del battesimo che permetteva agli iniziati di aspettare, senza apprensione, la Venuta del Giudice. All'inizio è solo l'insegnamento di Giovanni che si diffonde come un incendio — ma l'insegnamento da solo senza il nome di Giovanni. 

Non fu molto tempo prima che la dottrina diventò arricchita di aggiunte impressionanti di vario genere. Innanzitutto si trovarono nuovi nomi per l'Uomo Celeste. Quelli furono Signore, Cristo, e Gesù.

Il titolo di Signore si trovò in un salmo, uno ricolmo di un significato segreto, in cui il re Davide chiama “mio signore” un personaggio su un trono nel cielo — il salmo 110:1 :
Il Signore ha detto al mio Signore:
Siedi alla mia destra
finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi.
[1]
A chi poteva essere stato rivolto questo? Sicuramente non al Messia, il Figlio di Davide, atteso dai farisei. Davide non avrebbe chiamato suo figlio “mio Signore”. Dev'essere stato al Figlio dell'Uomo che, secondo la Rivelazione di Enoc, fu collocato sul trono della sua gloria da Dio Stesso. Davide, profeta inspirato, ci rende certi che il Figlio dell'Uomo (come ora lo chiamavano quei fedeli che parlavano greco) è intronizzato alla destra di Dio. Egli lo chiama Signore. Seguendo questo esempio noi, pure, possiamo chiamarlo nostro Signore.

Cristo, Christos, è una traduzione alquanto barbarica della parola ebraica che significa consacrato mediante unzione, Messia. Ora il Figlio dell'Uomo, nostro Signore, fu consacrato mediante unzione. Egli è colui, come spiega Enoc, che dice in Isaia:
Lo spirito del Signore Dio è su di me
perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati...

(Isaia 61:1, citato in Enoc).
L'Uomo Celeste è l'Unto, il Cristo, per adempiere per gli eletti una funzione benefica e gentile. Così il titolo “Figlio dell'Uomo” indica il giudice e vendicatore, mentre quello di “Cristo” richiama le sue funzioni più buone. Questo è il nome da loro preferito, e da cui derivano il loro soprannome, christiani, il popolo di Cristo; poiché il suo nome è sempre sulle loro labbra. Il titolo diventa un nome proprio di cui essi soli possono apprezzare il fascino tenero e mistico, laddove per i farisei il Cristo o Messia è semplicemente un uomo, un figlio di Davide, un re guerriero e vano, il cui regno è solo di questo mondo.

Il Signore Cristo possiede, comunque, un nome suo personale. Questo Nome Segreto fu emesso, secondo la Rivelazione di Enoc, da Dio al momento in cui egli lo invocò dal suo luogo di dimora eterno per conferirgli la sua missione. Enoc non lo rivelò. Ma un esame attento delle scritture che sono oscuri misteri di Dio non mancherà di portarlo alla luce. 

E non mancò. Si notò un passo nel libro dell'Esodo dove Dio per bocca di Mosè disse al popolo (Septuagina 23:20-21):
Ecco, io mando un mio Messaggero davanti a te
per custodirti sul cammino
e per farti entrare nel luogo che ho preparato.
Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce
e non ribellarti a lui;
lui non ti abbandonerà
perché il mio nome è in lui.
Il mio Nome è in lui. Chi, allora, è il messaggero che condurrà il popolo alla regione preparata per loro? È Giosuè, prima chiamato Osea (Numeri 13:17, Septuaginta 13:16, Versione Riveduta). Mosè chiamò Osea Giosuè, che significa Jahvè salva. Quando dice di Osea “Il mio Nome è in lui” Jahvè intende che uno dei nomi di Dio è Jahvè salva. Questo nome non fu rivelato ad Abramo e neppure a Giacobbe. Al giusto tempo fu compreso (per questo ragionamento mistico si veda Giustino, Dialogo 75:1-2). Giosuè in ebraico, Iesous in greco, Jesus in latino, è il nome personale del Figlio dell'Uomo, del Cristo, nostro Signore. È il nome “che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Filippesi 2:9-10).

Questo nome è il talismano dei cristiani. Colui che conosce il nome ha a sua disposizione un potere illimitato. Nel nome di Gesù il cristiano può cacciare demoni, calpestare serpenti e scorpioni, guarire i malati, ecc. Egli diventa l'invidia dell'esorcista ebreo, che perfino si cimentò nel suo potere, poiché leggiamo in Luca 9:49-50 (Marco 9:38-40) di come uno cacciasse demoni “nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri” — vale a dire, egli non era un cristiano; e in Atti 19:13-17 di come “alcuni esorcisti ambulanti giudei si provarono a invocare anch'essi il nome del Signore Gesù sopra quanti avevano spiriti cattivi”. Inoltre, nel Talmud è scritto come un Giacobbe di Kefar Sekanya cercò di curare nel nome di Gesù un nipote di un rabbino che era stato morso da un serpente. [2

È una cosa straordinaria che il nome Gesù dovesse essere stato accettato nella sua forma e non fosse mai riferito nella espressione ebraica. Questo mostra il grande ruolo giocato nello sviluppo della Chiesa da ebrei di lingua greca. Il Signore Gesù Cristo fu il pieno titolo dato al Figlio dell'Uomo. Quei tre nomi, assieme o singolarmente, servirono ad invocarlo.

In altre direzioni si sviluppò l'insegnamento di Enoc e di Giovanni il Battezzatore. Appena si leggevano i versi di Isaia che cantavano del Servo di Jahvè, la Luce del Mondo, identificato da Enoc con l'Uomo Celeste, gli ascoltatori udivano con intenso orrore il passo incredibile in cui si descrive la morte espiatoria del Servo. Ogni parola cadeva alle orecchie dei fedeli come un rintocco funebre riverberante di dolore e come un chiaro invito, una promessa di salvezza.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.

 Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.

Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.

Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l'iniquità di noi tutti.

Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori.
 
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte.

Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.

... il giusto Mio Servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,

perché ha consegnato se stesso alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori.
[3]
Quei bei versi diventarono la Carta cristiana. Si accettò che il Servo di Dio, il Signore Gesù Cristo, avesse portato il fardello dei nostri peccati e avesse sofferto una morte nella maniera di un sacrificio espiatorio per i peccati di tutti. La rivelazione di Isaia completò quella di Enoc. Prima di venire esaltato al cielo e chiamato con solennità, l'Uomo Celeste, il Servo di Dio, aveva sofferto una morte (si veda il passo famoso di Filippesi 2:6-11, in cui appare lo stesso ordine — morte sulla croce, il conferimento del nome).

In quale terra egli fu ucciso? Da chi? In quale tempo? In quale maniera? Il testo era profondamente misterioso. Certe frasi colpiscono l'immaginazione, e suggerirono il Signore Gesù, nella forma di un Agnello Pasquale Celeste, sacrificato prima della creazione del mondo (vide Apocalisse 5:6; 13:8; e si veda 1 Corinzi 5:7, “E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!”). Poi, di nuovo, la sua tomba tra le empi e la sua morte tra i corrotti suggerirono altre visioni mistiche. San Paolo e Giovanni di Patmos raffigureranno ritratti davvero diversi della morte redentrice. Ma tutti erano d'accordo sul fatto che egli morì per i nostri peccati e che egli fu risorto il terzo giorno secondo la profezia di Osea (6:2):
Dopo due giorni ci ridarà la vita
e il terzo ci farà rialzare.
Si associa un nuovo significato al battesimo; esso purificava gli uomini dai loro peccati in virtù della redenzione della Morte Divina. 

“Il mio eletto di cui mi compiaccio” (Isaia 43:1), il Cristo Risorto, l'Unto che condivide con Dio il titolo di Signore, è presto identificato come il Figlio di Dio, poiché cantò il salmista (Salmo 2:7):
Il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio,
io oggi ti ho generato.
Il giorno della sua generazione è il giorno della sua resurrezione. Questo non è un giorno di un calendario umano, nessun periodo di un tempo terreno, ma appartiene alla mistica dimensione spirituale. 

Dio stesso aveva confermato perciò la fede nel Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. I fedeli si esaltavano per l'essere meraviglioso da cui dipendeva la loro salvezza. Aspettativa, apprensione, adorazione furono elevati all'estasi. Il Signore Gesù Cristo fece la sua apparizione. Ad un uomo per prima — grande fu la sua gloria e l'autorità che gli concesse! — poi a parecchi in una sola volta. Quelle apparizioni, debitamente testimoniate, divennero dimostrazioni inconfutabili e un fondamento incrollabile della fede.

San Paolo ci offre il sommario più antico del credo cristiano quando egli rammenta ai Corinzi la dottrina che aveva insegnato loro (1 Corinzi 15:3-8):
Poiché vi ho prima di tutto trasmesso
che Cristo morì per i nostri peccati,
che fu seppellito;
che resuscitò il terzo giorno.
[4]
E che apparve a Cefa,
poi ai dodici.
Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta,
dei quali la maggior parte rimane ancora in vita
e alcuni sono morti.  
Poi apparve a Giacomo,
poi a tutti gli apostoli;
e, ultimo di tutti, apparve anche a me,
come a un aborto.

In tale forma vi emergono dal buio alcuni profili, alcuni gruppi di primi cristiani, di cui non si sa poco più se non da leggende di una data successiva e di ovvia manipolazione. Questo Cefa o Pietro (Petros), questo Giacomo (Jacob) — Paolo li incontrò a Gerusalemme dove essi erano “pilastri” della setta (si veda Galati 2:2, 9). Essi devono aver dovuto la loro posizione prominente alle apparizioni che avevano visto. Giovanni, il terzo “pilastro”, non era stato ancora onorato, al momento in cui Paolo stava scrivendo, da una visione di Gesù Cristo. Egli doveva riceverla più tardi, una visione che egli doveva descrivere in frasi grandiose nel suo Libro dell'Apocalisse. Questo libro ci offre lo scenario migliore dei credi dei primi cristiani. Non sappiamo nulla delle visioni di Pietro e di Giacomo. La visione di quest'ultimo fu probabilmente di una natura abbastanza  intima da giustificare il titolo di “fratello”, poiché una tradizione gli conferisce il titolo di “fratello del Signore”, proprio come Abramo fu l'“amico di Dio”. [5] I suoi fratelli reali potrebbero aver condiviso con lui il titolo. [6

I “Dodici”, i cui nomi non sono dati né da Paolo e neppure da Giovanni, formarono un gruppo che videro assieme il Signore, il primo a fare così dopo Cefa. Questo diede loro prestigio e onore. I cinquecento fratelli sono probabilmente tutti coloro che seguirono i primi visionari, Cefa e i Dodici, ed esperirono con successo l'impresa straordinaria di una grande visione collettiva del Signore Gesù. Questo indica in quale intensa effervescenza mentale fu generata la fede. Paolo pone enfasi sul vasto numero di testimoni che erano ancora vivi. Gli  apostoli a cui era stata data una visione comune furono i missionari che si recarono nel mondo dovunque ci fossero degli ebrei per rendere conosciuto il potere del nome di Gesù. Paolo, il più audace degli apostoli, con l'“orgoglio che simula umiltà” comunica di come egli fosse stato l'ultimo a guardare Cristo Gesù. 

La differenza tra la dottrina di Giovanni il Battezzatore e quella dei cristiani risiede nella conoscenza dei nomi di Dio, nella morte di Cristo, e nell'apparizione di Cristo. Perciò il cristianesimo fu uno scisma dall'insegnamento di Giovanni che capitò con una piccola indignazione.

Le comunità del Battezzatore, dopo l'assassinio del loro profeta, continuarono la loro attesa in preghiera e digiuno e ottennero nuovi convertiti col battesimo. Essi sciamarono al di fuori della Palestina. Alcune delle comunità accettarono i dogmi cristiani e prepararono la via per il cristianesimo. Un adepto alessandrino, l'eloquente Apollo, insegnava “insegnava accuratamente le cose relative a Gesù, benché avesse conoscenza soltanto del battesimo di Giovanni” (Atti 18:25). In questo senso Giovanni fu il precursore di Cristo. In altri luoghi i seguaci di Giovanni si opposero ai cristiani. A Efeso essi furono abbastanza forti da rivaleggiare con l'autore del quarto vangelo.

Generalmente il progresso del cristianesimo equivalse al declino dell'insegnamento di Giovanni. Inoltre, esso divenne permeato di gnosticismo, e, come mandeismo, doveva durare attraverso i secoli preservando una tradizione di inni sacri in aramaico. [7] Non lontano da Basra vi dimorano ancora qualche centinaio di quei mandei, che si tengono separati dagli arabi.

Quanto ai cristiani, essi sono al principio della loro strada prodigiosa. Non più legati alle parole di un profeta morto, essi sono diventati profeti loro stessi, e predicano per tutto il mondo antico le “buone nuove” della venuta imminente di Cristo Gesù. 

NOTE

[1] Per l'interpretazione cristiana si veda Luca 20:41-44.

[2] J. Klausner, Jesus of Nazareth; Londra, 1925, pag. 286 (dove si danno i riferimenti).

[3] Isaia 53:3–12. Il testo è stato mutilato. Sono state seguite le traduzioni, di A. Condamin, Le Livre d’Isaïe; Parigi, 1905, e di A. Loisy, La Consolation d’Israel; Parigi, 1927.

[4] Il testo marcionita. La Versione Riveduta aggiunge dopo “prima di tutto”, “ciò che anch'io ho ricevuto”, e dopo “morì per i nostri peccati” e di nuovo dopo “resuscitò il terzo giorno”, “secondo le scritture”.

[5] Secondo il vangelo degli Ebrei, Giacomo, avendo bevuto dalla coppa del Signore, giurò che non avrebbe mai più consumato cibo di nuovo finché non avesse visto il Signore risorgere dai morti. Il Signore apparsogli disse, “Portate la tavola e il cibo!”, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e diede a Giacomo il Giusto, dicendo: Fratello mio, mangia il tuo pane, poiché il Figlio dell'Uomo è risorto dai dormienti” (In Girolamo, De Viris. illust., 2).

[6] Galati 1:19, “Giacomo, il fratello del Signore”. Quelle parole sono mancanti nella versione marcionita. Il nome di “fratelli del Signore” si diede ad un gruppo che aveva probabilmente ricevuto la medesima grazia di Giacomo (si veda 1 Corinzi 9:5: “altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa” che apparentemente presero le loro mogli con loro in missione).

[7] Tradotti in tedesco da Mark Lidzbarski, Das Johannesbuch der Mandāer; Giessen, 1915; Ginza, Der Schatz oder das grosse Buch der Mandāer; Gottinga e Leipzig, 1925. Lietzmann e Loisy hanno negato ogni connessione storica tra il culto di Giovanni il Battezzatore e il mandeismo. Essi non offrono nessuna spiegazione delle caratteristiche peculiari a entrambi e neppure del nome Nazoreo utilizzato sia dai mandei che dai discepoli di Giovanni. Nuovi documenti manichei del Fayum provano l'antichità del mandeismo (H. C. Puech).

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