mercoledì 4 luglio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Il Vangelo Primitivo (VIII) — La Sua Natura Generale

(segue da qui)
CAPITOLO VIII

IL VANGELO PRIMITIVO

1. LA SUA NATURA GENERALE

Finché arriviamo ad un vangelo — che equivale a dire, al più presto fino al termine del primo secolo non troviamo nei documenti cristiani nessuna conoscenza apparente degli atti o detti dell'uomo Gesù, ma tantissimo riguardante la morte e la resurrezione di un Cristo divino. E non c'è nulla a indicare che questa morte avesse qualche legame ad un evento storico. La Resurrezione, inoltre, è di importanza più grande della morte. Non c'è nessuna giustificazione dell'opinione che la fede nella resurrezione di Gesù fosse la causa della fede nella sua divinità. La Resurrezione non avrebbe potuto avere il valore dogmatico che vi si associa in questa letteratura antica a meno che il Cristo che era risorto fosse stato già considerato un essere divino. Nessuna prova della realtà della Resurrezione è disponibile — dato che 1 Corinzi 15:1-8 è posteriore ad un vangelo —, essa costituisce un articolo di fede religiosa; Cristo deve essere risorto, poiché, se non lo è, non esiste nessuna possibilità di una resurrezione per nessuno. Quella è la sola ragione per credervi che può offrire lo scrittore di 1 Corinzi 15:12 ss. [1] Gli scrittori delle epistole paoline più antiche “predicano Cristo crocifisso” — ovviamente un dogma; un'espressione del genere non si sarebbe utilizzata  a proposito di un evento storico conosciuto. Il dogma è una “pietra d'inciampo” per gli ebrei, ma solo in un passo è implicato anche che gli ebrei fossero responsabili della Crocifissione, e Pilato non è per nulla menzionato. In 1 Tessalonicesi 2:15, è detto che gli ebrei “uccisero il Signore Gesù”; ma dal momento che nel verso successivo al lettore si rammenta che “ormai li ha raggiunti l'ira finale” il passo dev'essere stato scritto più tardi dell'anno 70.
Nelle pagine precedenti è stata data una prova abbondante della predilezione gnostica per l'allegoria. Lo gnostico Giustino espose le sue opinioni teosofiche in un'allegoria che verte attorno un Gesù pastore. Il numero di esseri soprannaturali introdotti in questo testo impedisce che venga scambiato erroneamente per un ricordo di eventi reali; ma uno gnostico abile la cui fantasia fosse più controllata avrebbe potuto produrre, a dispetto della natura soprannaturale della sua narrazione, l'impressione che il suo libro avesse in realtà qualche fondamento. Il quarto vangelo, che non può essere vero se i sinottici sono veri, si potrebbe offrire come un esempio. E se dobbiamo decidere se questo vangelo sia finzione pura e semplice oppure allegoria non c'è nessuna ragione per esitare. Sono stati presentati esempi del metodo allegorico di Giovanni. Ma se la storia di Gesù di Giustino e la storia di Gesù di Giovanni sono allegorie perché il vangelo di Marco non dovrebbe essere un'allegoria? Illustrare la sua concezione del Cristo in quella maniera è proprio quel che avrebbe fatto probabilmente uno gnostico in possesso dell'abilità letteraria richiesta. L'ipotesi che quello è ciò che accadde è del tutto coerente col fatto che prima dell'apparizione di un vangelo non c'è nessuna prova che fosse nota qualunque cosa riguardante la storia della vita di Gesù. La natura simbolica del vangelo di Marco è stata dimostrata da W. B. Smith. [2] Il testo stesso non pretende di essere la storia di un uomo. Il suo soggetto è annunciato come “La buona novella di Gesù Cristo, il Figlio di Dio”; e il Gesù Cristo di questo vangelo non è “Figlio di Dio” alla maniera in cui un sant'uomo potrebbe essere stato definito un figlio di Dio; egli è Figlio di Dio in qualche maniera che è davvero reale e unica. Credeva lo scrittore originale che qualche mortale fosse mai stato, oppure avrebbe potuto essere, Figlio di Dio in quel senso, oppure il suo Gesù Cristo non era piuttosto un'individualizzazione di qualche simile essere metafisico come il Figlio di Dio delle Odi di Salomone, proprio come il Gesù Cristo di Giovanni è la Parola individualizzata? L'intera natura del vangelo va a dimostrare che quest'ultima ipotesi è quella vera. Lo scrittore, a dispetto di qualche rozzezza nella sua dizione, fu un grande artista letterario, e mediante tocchi grafici egli ha prodotto una parvenza di realtà che ha ingannato parecchie generazioni di lettori; ma un freddo giudizio critico deve pronunciare con Wellhausen che “non si ricava mai l'impressione che fosse stato fatto un tentativo da parte di coloro che avevano mangiato e bevuto con Gesù di offrire ad altri un'idea della sua personalità”; e col dottor W. B. Bacon che “a dispetto di uno stile grafico e di un interesse in dettagli esteriori assai più manifesto che in Matteo o Luca, il nostro evangelista è cospicuamente privo di una concezione realmente storica della carriera di Gesù”. Chiunque che può paragonare senza pregiudizio questo vangelo con qualche bozza biografica deve rendersi conto di avervi una letteratura di un'ordine del tutto diverso, e anche questo non solo in ragione della sua natura soprannaturale. Se vi fosse mai stato dietro il vangelo un personaggio conosciuto, devono aver fatto la loro apparizione alcuni di quei ricordi intimi derivati da un'esperienza privata che si trovano in tutte le biografie. I tocchi grafici sono della natura superficiale e artificiale che un consumato scrittore di storie inventate sa come fornire. “La scarsità della tradizione”, scrisse Wellhausen in altra sede, “è notevole”. E questo scarso residuo non è realmente noto per essere “tradizione”; si tratta del residuo irriducibile che fino al presente ha resistito agli attacchi di una critica moderna, e ci sono critici che accettano anche meno di quanto accetta Wellhausen. Il prof. R. Bultmann, in una monografia su Gesù scritta nel 1926, disse che a sua opinione praticamente nulla più si può apprendere della vita e della personalità di Gesù, perché le fonti cristiane non si sono interessate di ciò. “Ciò che è stato scritto”, egli continua, “durante centocinquanta anni sulla vita di Gesù, la sua personalità, il suo sviluppo interiore, e così via, — nella misura in cui non è un'investigazione critica — è fantastico e romantico”. E il risultato finale dell'investigazione critica è una distruzione progressiva dei documenti. Ma il vangelo, al pari di quello di Giovanni, non è storia inventata, è allegoria. [3]
Si potrebbe sostenere che dal momento che lo scrittore stava intendendo raccontare gli atti del Figlio di Dio egli avrebbe omesso deliberatamente ogni dettaglio che indicasse la semplice umanità del suo Gesù. L'obiezione comporta l'ipotesi improbabile del credo dello scrittore nel fatto che un uomo conosciuto fosse stato l'unico Figlio di Dio. E, se l'intenzione dello scrittore fosse raffigurare il Figlio di Dio, di che valore è il suo vangelo come prova della reale esistenza di un uomo? L'ipotesi secondo cui egli respinse deliberatamente fatti conosciuti che sarebbero stati incoerenti colla sua presentazione del Cristo comporta anche la conclusione che egli era completamente divorziato dalla tradizione; e sulla roccia di quella conclusione è naufragata senza speranza la tesi di Schmiedel dei Nove Pilastri. [4] Coloro che attribuiscono un peso all'argomento di Schmiedel sono affrontati così da questo dilemma. Se Marco fosse stato consapevole di dettagli intimi che si rifiutò di ricordare egli non era legato ad una tradizione; se egli non aveva alcuna conoscenza di alcuno di questi dettagli si potrebbe ragionevolmente mettere in dubbio l'esistenza di qualunque tradizione. [5]
Papia dichiara che ogni volta che incontrava qualcuno che aveva visto un apostolo, egli si preoccupava di indagare ciò che aveva detto l'apostolo. Ognuno pensi quale abbondanza di ricordi personali nel caso di ogni personaggio storico degno di nota sarebbe stata trasmessa così. E tuttavia noi potremmo ricavare con fiducia dal silenzio degli scrittori antichi che furono a conoscenza delle opere di Papia il fatto che egli non avesse appreso per nulla affatto qualche dettaglio biografico in questa maniera. Papia menziona “apostoli”, ma non c'è nessuna ragione di credere che ognuno di quelli apostoli fosse stato personalmente a conoscenza di Gesù. Ireneo, quand'era giovane, aveva conversato con Policarpo, il quale aveva conosciuto gli apostoli e aveva appreso ciò che poteva da loro. Fu Ireneo altrettanto indifferente riguardo i dettagli della vita di Gesù come lo fu Paolo? Ciò è difficile da credere, se l'esistenza reale di Gesù significò per lui ciò che significa per i teologi moderni. In ogni caso l'assoluta non-esistenza di ogni aneddoto o reminiscenza personale è più significativa date le circostanze. La conclusione critica che sarebbe derivata da  parte di uno storico secolare da un simile stato di cose è che non ci fu nessuna tradizione relativa ad un Gesù “storico”. Quando nient'acqua fuoriesce dall'estremità inferiore aperta di un tubo connesso ad una cisterna noi concludiamo che la cisterna è vuota. Ireneo, è vero, ricorda una “tradizione”, e potremmo essere abbastanza sicuri del fatto che egli avrebbe ricordato altre se avesse potuto. Ma la tradizione da lui ricordata è che Gesù visse fino a diventare abbastanza vecchio! [6] L'analisi distruttiva della critica moderna ha lasciato ai vangeli un residuo estremamente minuscolo di una “tradizione”. Al di fuori dei vangeli, perfino in un numero di punti dove potremmo aspettarci ragionevolmente di trovare qualcosa, siamo accolti da un vuoto perfetto. Sarebbe assurdo sostenere che gli evangelisti avessero setacciato così completamente il campo della tradizione da non lasciare nient'altro da riportare da qualcun altro.
L'affinità tra la parte conclusiva di Marco [16:1-8] e la parte corrispondente del Vangelo di Pietro è così stretta che o uno di loro è dipendente sull'altro oppure entrambi sono dipendenti su un originale comune. Ed è mostrato altrove in questo libro che in questa porzione della narrazione il Vangelo di Pietro ha preservato nel complesso la forma più antica. Un'edizione davvero antica del vangelo su cui sono basati i sinottici sembra essersi conclusa con le parole, “Allora le donne fuggirono terrorizzate”, così da non contenere nessun'apparizione di Gesù dopo la Resurrezione. La parte che segue nel Vangelo di Pietro sembra simile ad un'aggiunta successiva, com'è risaputo esserla Marco 16:9-10. Ora, nel vangelo apocrifo l'angelo dice alle donne riguardo Gesù: “È infatti risorto e se n'è andato là donde era stato mandato” — implicando che all'inizio la Resurrezione e Ascensione non erano separate da un intervallo di tempo. Al posto della dichiarazione di sopra vi è stata sostituita in Marco la dichiarazione che Gesù si era recato in Galilea. Non ci può essere sicuramente nessun dubbio riguardo a quale dichiarazione sia la più antica. [7] Noi potremmo concludere che nel Vangelo Primitivo Gesù discese direttamente dal Cielo, donde era stato mandato. E la conclusione è confermata decisamente dal paragrafo di apertura di Marco. I critici migliori concordano che le storie della nascita in Matteo e Luca sono posteriori e non-storiche. [8] Lo scrittore del Vangelo Primitivo non aveva niente da dire sul soggetto, non perché tutte le circostanze rilevanti siano state completamente dimenticate, il che è improbabile; e neppure per la ragione ancor più improbabile che né lui e neppure i suoi lettori avessero qualche interesse nell'origine di un personaggio così importante e notevole; ma perché non si poteva immaginare che il Figlio di Dio avesse avuto un'infanzia e una giovinezza sulla terra.

NOTE

[1] Per una dimostrazione che 1 Corinzi 15:1-8 è un'interpolazione posteriore, si veda Steck, Der Galaterbrief, pag. 182 seq. W. B. Smith, Ecce Deus, pag. 153.

[2] Ecce Deus, pag. 110 seq.

[3] Potremmo ricavare dall'umanizzazione cristiana del Logos Simone l'esistenza di un'allegoria simoniana di cui egli costituiva il soggetto.

[4] Per una confutazione dettagliata della tesi di Schmiedel, si veda Ecce Deus, pag. 177-207.

[5] Alcuni apologeti — ad esempio A. Richardson, opera citata, pag. 45 seq. — che sono abbastanza consapevoli della natura non-biografica del vangelo di Marco, la spiegano dicendo che i primi cristiani non erano interessati ai dettagli della vita di Gesù (!) e che “la pretesa della Resurrezione costituiva l'intero contenuto della predicazione più antica”. In altre parole, la fondazione del cristianesimo non è l'opera dell'esistenza di un uomo carismatico, ma un dogma. La spiegazione offerta implica che proprio fin dall'inizio i cristiani non avevano interesse in Gesù come un uomo. Che cosa diventa allora dell'argomento della “personalità”?

[6] Aetatem seniorem (Contra Haer., 2:22).

[7] C'è una prova nell'epistola di Barnaba, capitolo 16, del fatto che in origine la Resurrezione e Ascensione erano credute esser accadute allo stesso giorno.

[8] Ha scritto Guignebert: “Nessuno di quei due resoconti della Natività reggerà ad un esame critico, ed è ovvio che nessuno dei due si fonda su un'autentica tradizione originale”. Jesus, pag. 93.

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