domenica 3 settembre 2017

Cristo: Mito o Realtà ? (XXIV)

(continua da qui)
Cosa Dovremmo Fare Della Biografia di Gesù?
Küng respinge il dogma dell'immacolata concezione. Egli formula la sua tesi in modo cauto, in modo indiretto: “Nessuno è obbligato a credere nel fatto biologico dell'immacolata concezione oppure della nascita” di Gesù (pag. 447). La Chiesa dovrebbe riconoscere il suo errore su questo punto? No, dice Küng, al dogma dell'immacolata concezione si dovrebbe dare un'“interpretazione cristologico-teologica, non un'interpretazione biologico-ontologica” (pag. 446). Il fatto che i vangeli di Matteo e di Luca parlano dell'immacolata concezione e della nascita di Gesù non pone nessuna difficoltà qui, perché non sono l'essenza, l'idea principale dell'insegnamento evangelico. Nulla è detto circa l'immacolata concezione nei vangeli di Marco e Giovanni o nelle epistole di Paolo. Non è anche necessario mantenere il silenzio su questo punto. Si dovrebbe infatti parlare di esso, ma “onestamente e in modo differenziato”, e nello stesso tempo ricordare che abbiamo bisogno di “marcare i confini della demittizzazione” (pag. 447). E dove sono quei confini? Küng non dice nulla di definito su questa questione.

A giudicare dai vangeli, l'attività di Gesù prese due forme: egli predicò e operò miracoli. Si può, ricorrendo a mezzi sofisticati, spiegare le contraddizioni nelle prediche di Gesù e dare a quei sermoni una certa unità. Le cose sono più complicate per quanto riguarda i miracoli. Küng sottolinea più volte che il credo nei miracoli è inaccettabile per l'uomo moderno e, se la Chiesa dovesse continuare ad insistere su tale credo, corre un grave rischio: i credenti potrebbero cessare di prendere sul serio gli insegnamenti della Chiesa. Questo problema “inconveniente” e “spiacevole” dovrebbe essere affrontato in qualche modo.

Küng comincia la sua analisi del problema con una franca ammissione: uno dei paragrafi nel suo libro che tratta questo argomento si intitola “Mascherare una situazione difficile”. Il concetto stesso di “miracolo” è indefinito e vago, ma questo, dice Küng alquanto ironicamente, è una buona cosa per i teologi (compreso lui stesso). Utilizzandolo correttamente i teologi hanno “mascherato elegantemente” l'intero problema dei miracoli del Nuovo Testamento (pag. 217). Küng esamina vari approcci a questo problema e li trova tutti insoddisfacenti. Che cosa ha da dire Küng stesso sul soggetto? In realtà Küng non riesce a venire a capo del problema e non possiede alcuna soluzione specifica da offrire.

Küng formula il problema in modo abbastanza semplice. I vangeli sono abbastanza specifici circa i miracoli eseguiti da Gesù: guarire i malati, cacciare i demoni, tre casi di restaurazione dei morti alla vita, e sette miracoli “naturali” tra cui placare il vento e la tempesta e trasformare l'acqua in vino. Non c'è niente di vago intorno a loro, e l'unica domanda è se qualcuno in qualche momento potesse averli eseguiti in contrasto alle leggi di natura. Infatti tutta la verbosità di Küng e di altri, per quella materia, che hanno tentato di definire la parola “miracolo”, il problema diventa più confuso invece di essere risolto. Le narrazionie evangeliche sui miracoli eseguiti da Gesù Cristo permettono solo un'interpretazione: sono quello che essi sono detti essere, cioè, atti ed eventi che contraddicono le leggi della natura. È possibile questo?

Küng non ha nessuna risposta a questa domanda.

Alcuni dettagli riguardanti i miracoli, dice Küng, possono ben riflettere ciò che avvenne realmente. Così, quando noi consideriamo le storie di Gesù che guarisce i malati noi dovremmo tener presente la possibilità di una psicoterapia. Infatti molte malattie sono di natura psicogena e in alcuni casi una psicoterapia poteva effettivamente essere efficace. Ma cosa sui miracoli che non sono collegati alle malattie? Anche in questo caso, dice Küng, potrebbero esserci state “circostanze” che dettero origine alle leggende. Ad esempio, la storia di Gesù che calma una tempesta sul mare potrebbe essere basata su un vero incidente in cui le persone pregavano Dio per salvarle dall'annegamento e il pericolo svanì per coincidenza. Tali coincidenze potrebbero offrire  le “circostanze storiche” che dettero origine alle storie evangeliche circa i miracoli eseguiti da Gesù. Ma in quel caso non è lasciato nulla dell'insegnamento religioso secondo cui un miracolo è un evento soprannaturale che si verifica contrariamente alle leggi di natura.

 Küng rifiuta praticamente anche l'insegnamento circa il miracolo più importante della vita di Gesù: la sua resurrezione. Il credo in questo miracolo è fondamentale alla fede cristiana, perché San Paolo disse:
Ma se Cristo non è risuscitato, è dunque vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede (1 Corinzi 15:14). Come affronta Küng la difficoltà sollevata da questa dichiarazione?

Qui abbiamo un esempio classico di discorso teologico casistico che è quasi privo di ogni significato ma che ha una parvenza non solo di devozione ma anche di un pensiero profondo. Ci fu una resurrezione, tuttavia non ci fu nessuna resurrezione. E viceversa: una resurrezione non avvenne, tuttavia avvenne. Ciò che è asserito in una pagina è confutato nella successiva, e l'intero esercizio continua per decine di pagine.

Nella letteratura teologica tedesca gli eventi connessi alla resurrezione e all'ascensione di Cristo sono indicati dalla parola Ostergeschichte, o “racconto pasquale”, e il credo nella resurrezione di Cristo è legato all'idea del “sepolcro vuoto”. Küng gioca su queste nozioni, ma in modo tale che siano spogliate da ogni significato. E sarebbe piuttosto corretto dire che lui le ha escluse dal dogma cristiano. Lui fa questo, comunque, in un modo estremamente “elegante”, per usare la sua stessa espressione. Egli comincia sostituendo il concetto di resurrezione dai morti col concetto di resurrezione. Cristo non fu resuscitato per suo mezzo; egli fu resuscitato dai morti  da parte di Dio. Ma è un fatto storico la “resurrezione dai morti”? La risposta di Küng a questa domanda si potrebbe vedere nel seguente passo: “Se consideriamo la resurrezione dai morti un atto di Dio, non si può dubitare del suo possesso di un significato rigorosamente storico e della possibilità di stabilire questo significato con l'aiuto della scienza storica e di metodi storici. La resurrezione dai morti non è un miracolo che contraddice le leggi di natura ed è verificato dal mondo interiore, che può essere localizzato e datato come un'intrusione soprannaturale nello spazio e nel tempo” (pag. 338). Poi segue un attacco alle scienze (storia, biologia e così via, inclusa la teologia) che “vedono solo un aspetto di una realtà multiforme”. Ma se guardiamo tutti gli aspetti del racconto della resurrezione, troviamo che in entrambi i casi  della resurrezione e della resurrezione dai morti “è una materia di termini metaforici, figurativi” (pag. 339). L'immagine della resurrezione è basata sull'idea di risorgere, risvegliare dal sonno e ritornare ad uno stato precedente, a una vita terrena e mortale. Nel caso di Gesù, tuttavia, è un Gesù risorto che entra in uno stato completamente diverso, che non è la vita terrena e mortale, ma qualcos'altro del tutto. Per rendere il suo punto Küng usa anche una frase latina — totaliter aliter — completamente diverso. Ma che cos'è esattamente? 

Di nuovo Küng ricorre al suo metodo preferito: la resurrezione di Cristo non è questo o quello, ma è questo e quello. Essa è “non un fantasma e tuttavia non è tangibile; è visibile e invisibile, è materiale e immateriale, è su questo lato di tempo e spazio e al di là di loro” (pag. 340). Dato questo, non è sorprendente apprendere che la resurrezione di Cristo è sia di natura corporea che incorporea. La resurrezione non accadde se il corpo (der Leib) è “rozzamente interpretato” come identico al corpo (der Korper) (pag. 340). 

Se vogliamo trarre senso da questo, è che la resurrezione di Cristo come la compresero gli evangelisti non avvenne.
 
Le cose non funzionano così bene con l'idea del “sepolcro vuoto”: Küng dedica molte pagine al soggetto, ma non lo affronta mai direttamente. Risulta che l'insegnamento sul sepolcro vuoto non è così importante dopotutto: “Non è né un dogma della religione cristiana, un principio fondamentale, né un oggetto di fede nella Pasqua” (pag. 355), qui Küng deve riconoscere che “la critica storica e le scienze naturali”, che egli attaccò in precedenza, guardano criticamente all'idea di un “sepolcro vuoto”. E decide che non c'è bisogno di impegnarsi ad “accettare la concezione fisiologica della  resurrezione”. 

Küng tratta con altre parti del raconto pasquale in una maniera simile, in particolare con l'ascensione di Cristo dopo quaranta giorni di permanenza sulla terra. Ancora una volta Küng trova spazio di manovra. Che cos'è veramente il cielo? Naturalmente non può essere un edificio a sette piani dove Gesù Cristo è seduto sul trono alla destra di Dio-Padre. “Il cielo della fede non è il cielo degli astronauti”, dice Küng. Non è un firmamento, né è in generale un concetto spaziale. È “non un luogo, ma una forma di esistenza”. Così, “è ragionevole che Gesù non intraprese alcun viaggio nello spazio”. Egli si recò semplicemente in “un misterioso Regno invisibile di Dio che è al di là di comprensione”, per cui è diventato “parte della magnificenza del Padre” (pag. 342). E se non accettiamo l'idea che il cielo su cui si recò Gesù sia un luogo misterioso, invisibile e insondabile, allora avremo qualcosa di cui ci sono molti precedenti nella storia della religione e della mitologia. Quando parla dell'ascensione di Cristo, Küng ricorda Elia ed Enoc dell'Antico Testamento ed Eracle, Empedocle, Alessandro Magno e Apollonio di Tiana. Voi come cristiani, Küng sembra domandare, credete anche in quelle divinità? 

Ma se scartiamo tutto dal raconto neotestamentario della vita di Gesù salvo che una nebbia di qualcosa di astratto, elusivo e mistico, cos'è che nutre la fede dei cristiani comuni, non sofisticati? Perché la loro fede si basa su un'immagine concreta di Cristo, una che è comprensibile per loro. Tutto ciò che Küng ha da offrire è: Gesù visse e, ciò che è più importante, fu crocifisso. In un riassunto Küng evita di menzionare la resurrezione e altre cose fantastiche, e pone l'enfasi principale sul fatto della crocifissione. 

Quindi, niente è rimasto del Gesù del Nuovo Testamento, del dogma della Chiesa, del Primo Concilio di Nicea e del Primo Concilio di Costantinopoli. Ed è chiaro che Küng procede attraverso un'impresa così dolorosa non a partire da qualche impegno appassionato alla sincerità, ma solo perché “la fede nella Pasqua” sta diventando sempre più insostenibile.

Sarebbe possibile, pensa Küng, ignorare i miracoli e tentare di ricostruire la biografia dell'uomo Gesù. Ci sono stati parecchi di tentativi simili, ma sono tutti falliti. Perché “è impossibile scrivere una vita di Gesù di Nazaret” (pag. 142) principalmente a causa della scarsità delle fonti originarie. L'unica fonte è i vangeli, e si dimostra una fonte non affidabile. Küng parla rispettosamente degli evangelisti come “teologi originali” ciascuno dei quali aveva la propria concezione e non aveva intenzione di compilare “un ricordo stenografico”. Ma questo è ciò che rende inaffidabile la loro informazione. Gli evangelisti furono testimoni “impegnati” che “dall'inizio alla fine tentarono di rappresentare Gesù alla luce della sua resurrezione come il Messia, Cristo, il Signore, il Figlio di Dio” (pag. 145). La loro informazione non può servire da base per la scrittura di una biografia di Gesù, né addirittura per costruire “un'immagine generalmente limitata di lui, se tradizionale, speculative, liberale o coerentemente escatologica” (pag. 151). 

Le osservazioni sprezzanti di Küng sulla veracità storica non sono altro che l'uva acerba della nota favola. “Restaurazione, ricostruzione [della verità storica — I. K.] sono le parole sbagliate. Per la storiografia positivista è necessario stabilire fatti” (pag. 151), laddove per la fede cristiana è necessario avere ... fede.

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