martedì 16 agosto 2022

L'APOSTOLO DI FRONTE AGLI APOSTOLIDA PAPIA A GIUSTINO

(Questo è l'epilogo della traduzione italiana di un libro di Édouard Dujardin, «L'Apôtre en face des apôtres (Histoire ancienne du Dieu Jésus, IV)». Per leggere il testo precedente, segui questo link)



INDICE










DA PAPIA A GIUSTINO


III

DA PAPIA A GIUSTINO

Lo pietra d'inciampo su cui si scontrano gli storici del cristianesimo primitivo è che i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento non sono datati. Neppure lo sono i libri che fanno loro seguito, come la maggior parte dei Padri Apostolici. Le epistole di Barnaba, d'Ignazio, di Policarpo, di Clemente di Roma sono concepite e scritte sul modello delle epistole canoniche; non appena si contesta la loro autenticità, si mette in discussione la loro datazione e diventa altrettanto difficile ricavarne la minima informazione cronologica come dalle opere canoniche stesse. 

Si avrà dunque il maggior profitto, per fare la storia delle origini cristiane, a studiare molto da vicino alcuni scritti cristiani che certamente sono molto meno famosi, ma che, non essendo libri sacri, hanno il duplice vantaggio: primo, di darsi per quello che sono, vale a dire per semplici opere umane, e, secundo, di essere datati in modo pressappoco certo, di pochi anni circa beninteso. Alcuni, come le Esegesi di Papia, sono una sorta di annali, di memorie, di ricerche quasi scientifiche; nessuno pretende un carattere sacro; sono opere essenzialmente umane, che sono ciò che vogliono essere, che hanno l'autore che pretendono, la data che mostrano. Così si può quindi dire che segnano, con i loro dati precisi, il percorso arduo che lo storico deve seguire attraverso i libri sacri. Papia e Giustino, a vent'anni l'uno dall'altro, e gli Apologeti minori che li fanno seguito, forniscono dati precisi sullo stato del cristianesimo nel paese stesso dove si è prodotto il suo maggiore sviluppo, vogliamo dire in Asia Minore. Sono testimoni storici, testimoni la cui testimonianza sembra pressappoco inconfutabile.

Contrariamente all'ordine cronologico, cominceremo dall'ultimo, che è Giustino, andando così dal più noto e meno difficile al meno noto.


Giustino. — Egli è nato, intorno all'anno 100, da una famiglia pagana, in Palestina, nell'antica Sichem divenuta colonia greco-romana sotto il nome di Flavia Neapolis. Non abbiamo in questo capitolo da insistere sulla sua maggiore o minore conoscenza della Palestina; abbiamo trattato altrove la questione. Abbiamo da occuparci qui di Giustino solo dopo la sua conversione.

Giustino è, di professione, un «filosofo». Racconta (Dialogo 2-8) che fu educato nella cultura ellenica, cosa che fino ad allora era generalmente mancata ai cristiani, e che frequentò di volta in volta diverse scuole filosofiche fino al giorno in cui, all'età di trenta o trentacinque anni, conobbe il cristianesimo. Questo evento ebbe luogo, infatti, intorno al 133 o 135, in Asia Minore a Efeso, uno dei centri principali del mondo e anche uno dei principali focolai del cristianesimo; qualunque sia la data esatta della sua conversione, lo troviamo a Efeso nel 135, completandovi la sua iniziazione. (Data e luogo dati da Eusebio, Storia Ecclesiastica 4:18, 6).

Si accinge presto, nel 140, a propagare la nuova religione con le armi della filosofia. Questo doveva essere un evento considerevole: fino ad allora il cristianesimo era stato poco più di una dottrina, in parte religiosa, in parte sociale; con Giustino diventa una dottrina filosofica; l'epoca dei Padri della Chiesa comincia.

Giustino conduce la stessa vita dei precedenti propagandisti: va di città in città, predicando la nuova religione. Ma, mentre gli altri avevano avuto preoccupazione solo di fare la loro propaganda negli ambienti popolari, [1] Giustino predica alla maniera degli stoici, da filosofo; al posto di andare da circolo in circolo, va da scuola in scuola.

Questo è ciò che esprime Eusebio, Storia Ecclesiastica 4:11, 8, senza sembrar notarne l'originalità:

«In quell'epoca (metà del II° secolo) brillò Giustino. Egli predicava la parola divina sotto l'abito di filosofo, e difendeva la fede nei suoi scritti».

Sembra essersi due volte stabilito a Roma, dove Eusebio, Storia Ecclesiastica 4:3, 11, dice che viveva quando fece la sua apologia. A Roma affluivano sempre più gli innovatori che venivano a difendervi le loro idee. Marcione vi era arrivato nel 144; respinto dalla chiesa costituita, vi fondò una chiesa dissidente.

Questo evento (parlo della scomunica di Marcione) è la prima grande affermazione di cattolicità della Chiesa cristiana. Fino ad allora, in effetti, il cristianesimo è una contesa, quasi un'accozzaglia di tradizioni diverse, in cui l'ordine si stabilisce a poco a poco, e difficilmente. Scomunicando Marcione nel 144 d.C., la Chiesa dice ufficialmente per la prima volta: questo è il cristianesimo, quello non lo è.

Giustino assistette a questo grande evento e le sue opere sono permeate dal sentimento che esiste una verità cattolica ufficiale, la quale si oppone sovranamente all'errore dei dissidenti.

Una delle sue prime opere fu un libro di polemica contro un certo numero di questi capi di partito, quelli che si chiamavano allora gli eretici, ma nel senso originale del termine, vale a dire i capi di scuole, i capi di sette dottrinali.

Intorno al 150 pubblica la sua prima Apologia, dove si scaglia contro il mondo pagano. Intorno al 155-160, il suo Dialogo, altra apologetica, ma rivolta al mondo ebraico.

Egli passa per essere martire tra il 163-167 (prefettura di Giunio Rustico).

Dallo studio delle Apologie e del Dialogo risulta che, per Giustino:

La dottrina cristiana è pressappoco fissata nelle sue grandi linee, come è espressa nel quarto vangelo;

la carriera umana di Gesù è presentata con numerose varianti;

per contro, i libri del Nuovo Testamento sono ancora in un periodo nebuloso.

Prendiamo questi tre punti uno dopo l'altro.

Come abbiamo appena detto, la dottrina cristiana è pressappoco fissata come è espressa nel quarto vangelo.

Non abbiamo da determinare qui le diversissime tradizioni che si erano divise il cristianesimo primitivo; ricordiamo le principali:

la tradizione transgiordana, quella dei cristiani stabiliti attorno a Cocaba, tradizione giudeo-cristiana, che è espressa dal Matteo aramaico;

la tradizione di Gerapoli, dove Gesù è rappresentato sotto la forma di un agnello, e che è espressa dalla maggior parte dell'Apocalisse;

la tradizione di Efeso, dove Gesù è rappresentato come un Figlio d'Uomo soprannaturale, che è espressa nelle sette lettere dell'Apocalisse;

quella delle comunità paoline, come Tessalonica e Corinto;

quella di Roma, dove nasce, sotto il nome di Marco, la tradizione sinottica...

Qualunque ne sia di tutte queste tradizioni che, in un momento determinato, si combattono l'un l'altra e si anatemizzano — ad esempio, l'anatema scagliato al paolinismo dalle Sette Lettere, l'anatema scagliato ai giudeo-cristiani dai paolinisti — la loro conciliazione, La loro fusione sembra essere l'opera della scuola che si è espressa nel quarto vangelo, il quale, come ha provato Maurice Vernes, è alla volta derivato dal paolinismo e dalla tradizione sinottica, e che raccoglie similmente la concezione frigia dell'Agnello e la concezione giudeo-cristiana del Dio venuto nella carne. Siamo qui d'accordo con la maggioranza dei critici nel situare quella scuola — la scuola del quarto vangelo — a Efeso durante il secondo quarto del primo secolo; ed è di quella datazione e di quella collocazione che troviamo proprio la conferma in Giustino.

La conciliazione, la fusione delle diverse tradizioni cristiane antiche appare, infatti, in Giustino come una cosa fatta, e assolutamente fatta. Il quarto vangelo stesso è scritto nel momento in cui Giustino è a Efeso? Questo è un altro affare. Ma, che il quarto vangelo sia o no scritto, la sua dottrina è fissata; Gesù è il secondo dio, fatto uomo per mezzo dell'incarnazione; ma pur essendo il secondo dio, egli si confonde con il primo (Dialogo); ciò non è detto benissimo dallo scrittore; la tesi non è espressa chiarissimamente, ma c'è.

La tradizione della carriera umana di Gesù è presentata con numerose varianti.

Alfred Loisy ha rilevato queste varianti, che non sono senza importanza, nell'introduzione dei suoi Evangiles Synoptiques, a pagina 56:

Quirino è il primo procuratore di Giudea;

Maria è della razza di Davide;

Gesù è nato in una grotta;

i Magi vengono dall'Arabia (Dialogo, nove volte);

arrivano subito dopo la nascita (Dialogo, quattro volte);

durante il battesimo di Gesù, un fuoco appare sul Giordano;

Gesù, essendo carpentiere, fabbricava aratri e gioghi;

L'asino di Gesù era legato ad una vite;

Pilato invia a Erode Gesù in catene;

Gesù è crocifisso dai giudei, di comune accordo tra Erode e Pilato;

I giudei fanno sedere Gesù sul tribunale di Pilato e gli dicono: Giudicaci;

Gesù è inchiodato alla croce, cosa che non è in nessun vangelo, salvo incidentalmente nel quarto (episodio di Tommaso);

i giudei, non i romani, si dividono le sue vesti;

tutti gli amici di Gesù lo rinnegano e si disperdono;

dopo la morte di Gesù, i giudei inviano degli emissari per diffondere la voce che il suo cadavere è stato portato via dai discepoli;

Giustino cita infine parole di Gesù che non si trovano in nessuno dei quattro vangeli, o modifica alcune di quelle che vi leggiamo.

È quindi certo che, se conosce la tradizione della carriera umana di Gesù, la conosce con tratti presi da altri vangeli che non possediamo più, in particolare il vangelo di Pietro e il Protevangelo di Giacomo.

Per contro, non cita da nessuna parte i quattro vangeli canonici né alcuno dei loro autori; dice:

le «memorie degli apostoli»;

aggiunge una volta «le memorie fatte dagli apostoli e che si chiamano vangeli»;

sa che li si legge nelle assemblee, ma non attribuisce loro il carattere sacro che riconosce all'Antico Testamento;

nomina una sola volta le memorie di Pietro; mai Marco, Luca o Matteo;

conosce e cita Paolo, ma sempre senza nominarlo; 

del Nuovo Testamento nomina solo l'Apocalisse;

infine, non ha la nozione del Canone.

Insomma, se possiede una tradizione quasi fissata sulla dottrina e abbastanza esatta (salvo i dettagli) sulla carriera umana di Gesù, ne possiede solo una vaghissima sui libri sacri. Ciò che dice dell'Apocalisse conferma i nostri dati sulla tradizione di Efeso.

Notiamo, di passaggio, che Giustino ha coscienza delle rassomiglianze del cristianesimo con le altre religioni orientali;

Gesù ha sofferto ed è stato crocifisso come i figli di Zeus (1 Apologia 22:3).

egli è il Verbo come Ermes (id. 22:2);

è nato da una vergine come Perseo (id. e 5) e come Atena (64);

è guaritore come Asclepio (id. 22:6).

Lo stesso per il culto;

i cristiani praticano il battesimo come gli ebrei (id. 62-60);

hanno l'Eucarestia come Mitra (id. 66).

Nel Dialogo 69 riprende le stesse cose e fa dire a Trifone;

 Voi dovreste vergognarvi di dire le stesse cose dei pagani.

Al che risponde: 

 Queste rassomiglianze sono l'opera dei demoni che imitano il cristianesimo (... che lo imitano in anticipo!).

Ricordiamo ora la data della testimonianza di Giustino. Giustino scrive le sue due opere tra il 150 e il 160; ma la sua conversione risale al 133-135 e, in ogni caso, è intorno al 135 che finisce di istruirsi a Efeso. Ora, dal modo in cui scrive nel 150-160, si riconosce che la dottrina non ha subito alcuna variazione importante dall'epoca in cui egli è stato iniziato, vale a dire dal 135; salvo forse per alcuni sviluppi teologici o storici, Giustino non ha assistito ad alcuna evoluzione importante; il cristianesimo è, agli occhi di Giustino, nel 150-160, ciò che era nel 135. Tra il 135 e il 150-160, alcuni punti sulla vita umana di Gesù, alcune nozioni sulla sua essenza hanno potuto svilupparsi da parte di Giustino stesso o da terzi; ma la sostanza era acquisita già nel 135; e non c'è nell'opera di Giustino alcuna traccia che egli abbia assistito ad una evoluzione manifesta della fede. E non solo l'opera di Giustino prova che non c'è stata un'evoluzione importante da quando è cristiano, ma prova che lui, Giustino, considera quella fede molto più antica e risalente a Gesù stesso.

Nulla dunque che rassomigli, nel 135, ad uno stato anarchico analogo a quello che si rivela ad una data precedente. Giustino conosce i dissidenti, ma non esita sul loro conto; sono i condannati, sono gli eretici. Giustino non ne è turbato. L'idea di un'inchiesta per verificare la dottrina non gli viene in mente. Tutto è per lui chiaro, risolto, definitivo.

Vedremo quanto diversa fosse stata la situazione nel 115, con Papia.

Notiamo che la fissazione della dottrina giovannea verso il 135 fornisce una presunzione per la fissazione verso il 115 della dottrina sinottica. I critici sono d'accordo, infatti, che la dottrina del quarto vangelo suppone che quella degli altri vangeli sia precedentemente stabilita e richieda tra loro ed esso la durata approssimativa di una generazione. Ne consegue che, se nel 135 Giustino trova quest'ultima fissata all'ingrosso, è perché quelle altre risalgono almeno al 115 circa... Questo ragionamento implica solo una probabilità; ma quella probabilità aumenta quando la si vede concordare con gli altri. Così, prima di andare più oltre, è utile constatare l'accordo delle conclusioni tratte da Papia e da Giustino con quelle tratte da altri scrittori meno importanti, ma la cui testimonianza conta.


Aristone, Aristide, Quadrato. — Prima di ridiscendere a Papia, diciamo qualche parola sui tre apologeti minori, di cui due si collocano all'epoca di Giustino e uno un po' precedentemente; ci soffermeremo tuttavia poco tempo su Aristone, la cui testimonianza riguarda piuttosto la Transgiordania ed è peraltro poco istruttiva.

L'epoca di Aristone di Pella può essere fissata solo approssimativamente; Eusebio, Storia Ecclesiastica 4:6, lo colloca dopo la guerra di Bar Kokhba; Harnack conclude intorno al 140; questa è pressappoco l'epoca di Giustino.

Aristone era un giudeo-cristiano di Pella, in Palestina; pubblicò, si legge in Origene (Contro Celso 4:51), sotto il titolo di Dialogo di Giasone e di Papisco concernente il Cristo, un'apologia di cui Celso avrebbe detto, un quarto di secolo più tardi: — «È un'opera che sarebbe ridicola se non fosse pietosa e odiosa». Ne possediamo, da una parte, alcuni frammenti e, d'altra parte, una sorta di adattamento fatta nel quinto secolo, l'Altercatio Simonis judaei et Theophili christiani. Ma non sappiamo fino a che punto le traduzioni o adattamenti del libro di Aristone siano accurati per trarne conclusioni diverse da quella molto generale di un accordo con il programma di Matteo. Aristone ha per scopo di provare che Gesù ha adempiuto le profezie messianiche.

Ne risulta che la tradizione particolare di Matteo era stabilita in Siria intorno al 140; questo è tutto ciò che se ne può ricavare.


Marciano Aristeide è un filosofo ateniese che compose anche un'apologia del cristianesimo, il cui testo è stato recentemente ritrovato.

Eusebio, Storia Ecclesiastica 4:3, afferma che la dedicò all'imperatore Adriano nello stesso tempo di Quadrato, vale a dire nel 125-126; ma il testo reca al contrario il nome dell'imperatore Antonino, il che lo daterebbe a dopo il 138; Harnack crede al 138-147; sarebbe dunque anch'esso posteriore alla data della conversione di Giustino.

Quell'opera, di cui san Girolamo disse un gran bene, è delle più mediocri. Esordisce con una confutazione delle filosofie e teologie pagane; ma queste filosofie e teologie sono così male e soprattutto così vilmente e piattamente, diciamo pure così ridicolmente comprese, che giustifica pienamente il disprezzo di Celso, 7:62.

Quanto all'esposizione della dottrina cristiana, egli è poco brillante, ma ci documenta. 

La dottrina è costituita: Gesù è figlio di Dio; si è incarnato nel seno di una vergine ebrea, di nome Maria, per l'opera dello Spirito Santo; è morto volontariamente sulla croce, è risorto ed è asceso al cielo. Ha avuto dodici discepoli.

Questa è la dottrina stessa dei Sinottici. Non si parla del Logos, il quale è proprio del quarto vangelo. Ed ecco che conferma che l'apologia di Marciano è anteriore a Giustino.

I principali precetti sono riportati, ma in termini che non hanno alcun legame letterario con i vangeli e si avvicinano piuttosto alla Didaché e a Barnaba.

I cristiani vi sono presentati come pia gente che pratica tutti questi precetti.

Marciano parla una volta degli «scritti dei cristiani» e una volta dello «scritto chiamato vangelo», senza dirne nulla e senza mai citarne nulla...

La testimonianza di Marciano concorda dunque con le precedenti. Nel 125 (o 138) Gesù è il Gesù dei Sinottici; non è quello del quarto vangelo.

La dottrina cristiana è chiarita; il canone dei libri cristiani non è ancora fissato.


Il cristianesimo primitivo ha due personaggi che recano il nome di Codrato o Quadrato.

Codrato il Vecchio è contemporaneo di Ignazio e delle figlie di Filippo e vive in Asia Minore, Storia Ecclesiastica 3:27, 1, e 5:17, 2-4; 

e Codrato l'Apologeta, ad Atene, Storia Ecclesiastica 4:3, che san Girolamo e la tradizione identificano con il vescovo di Atene con questo nome di cui parla Eusebio, Storia Ecclesiastica 4:23, 3 (170 circa), san Quadrato.

Quadrato l'Apologeta ci è noto da Eusebio, Storia Ecclesiastica 4:3 e Chronicon 2:166, così come da san Girolamo, De Viris 19 e Epistole 83; Eusebio (Chronicon, ibid.) lo presenta come un discepolo degli apostoli.

Sembra essere stato ateniese e passa per il primo in ordine di tempo degli Apologeti.

Secondo Eusebio, Storia Ecclesiastica 4:3, egli «dedicò e fece rimettere all'imperatore Adriano, al momento del passaggio di costui ad Atene, intorno al 125-126, un'apologia della religione».

Alcuni critici, come Harris, credono che essa fu presentata solo ad Antonino e sarebbe posteriore di una decina d'anni; ma non adducono alcuna ragione, per quanto poco convincente, che ci obblighi a respingere la testimonianza di Eusebio. Ammettiamo quindi, con Harnack, che l'Apologia di Quadrato risalga al 125-126.

Eusebio ne cita (ibidem) il passo seguente:

«Le opere di nostro Salvatore, perché erano vere, sono state sempre presenti. Quelli che ha guariti, quelli che ha resuscitato dai morti, non sono stati visti solo al momento in cui erano guariti dai loro mali o richiamati alla vita; essi hanno continuato ad esistere durante la vita del Cristo e sono sopravvissuti alla sua morte per abbastanza lunghi anni, così bene che alcuni di loro sono venuti fino ai nostri giorni»

Quest'informazione concorda con la testimonianza di Flegonte. Si sa che Flegonte era uno scrittore greco, nato a Tralle in Asia Minore, che fu il liberto e il segretario dell'imperatore Adriano. Le sue opere sono:

Le Olimpiadi, compendio storico in 16 libri, dalla 1° alla 229ª Olimpiade (776 A.E.C.-137 E.C.); solo alcuni capitoli sono stati conservati da Fozio e Sincello;

i Prodigi, «ridicole storie sugli spiriti, sulle profezie e sulle nascite mostruose»; ma che sono documenti sulle antiche superstizioni;

la Longevità, lista di italiani che avevano superato i cento anni;

Descrizione della Sicilia;

le Feste romane;

Topografia di Roma.

Queste ultime tre opere sono citate da Suda. [2]

Ora, leggiamo nel Contro Celso 2:14, 33, 59 che, nel suo libro sui Prodigi, Flegonte menziona i miracoli di Gesù. Poiché avendo Flegonte accompagnato Adriano nel suo viaggio del 125-126 ad Atene, non sembra esserci alcun dubbio che egli vi abbia letto l'Apologia di Quadrato e che sia da questo libro che ha compilato il suo resoconto sui miracoli di Gesù.

Così corroborata da Flegonte, la testimonianza di Quadrato ci mostra dunque l'esistenza, nel 125-126, di una tradizione sui miracoli del «Salvatore». Ma prova che quella tradizione era ancora mal collegata con le altre tradizioni relative alla carriera umana di Gesù. 

Il vangelo di Marco dà come datazione alla carriera e alla morte di Gesù l'epoca del  procuratorato di Pilato e del pontificato di Caifa; il vangelo di Luca e quello di Matteo accentuano il sincronismo collocando la nascita di Gesù all'epoca di Erode. Ne risulta che Marco, Luca e Matteo situavano verso l'anno 27 la carriera umana e la morte di Gesù. Vi è là un fatto acquisito nella tradizione sinottica.

Ora, l'apologia di Quadrato è posteriore di circa novantacinque anni all'anno 27, — forse di più, — sicuramente non di meno. Quale età, in effetti, avrebbero avuto i miracolati ancora in vita?

I più giovani miracolati di Gesù sono, secondo i Sinottici, sono:

il figlio della vedova di Nain, in Luca soltanto, 7:11-17, che è un giovane, νεανίσκος;

la figlia di Giairo, in tutti e tre; Matteo la chiama ragazza θυγάτριον, 5:23. Luca dice che ha dodici anni, 8:42;

la figlia della cananea, in Marco che la chiama anche θυγάτριον, ragazza, 7:25, e Matteo;

la bambina epilettica, in tutti e tre; Matteo la chiama bambina, παῖς, 17:18, così come Luca 9:42; il passo di Marco, che precisa che è epilettica fin dall'infanzia, implica un'età analoga a quella delle ragazze.

Così, la più giovane età che danno i Sinottici ai miracolati di Gesù è una decina anni.

All'epoca di Quadrato, essi avrebbero per lo meno 107 o 108 anni. E sono più ad avere quest'età — τίνες, dice Quadrato!

Per dire che alcuni dei miracolati di Gesù sono ancora vivi alla sua epoca, Quadrato doveva avere solo dati piuttosto vaghi sulla tradizione sinottica. Non diciamo che la ignorasse; diciamo che non aveva ancora per lui la forma precisa e fissata che ha nei Sinottici.

Non si obietti che quest'ultimi non avevano la preoccupazione delle date. Ci si ricordi la loro preoccupazione minuziosa di rendere plausibile l'età dell'apostolo Giovanni, discepolo del Signore, che si è dovuto fare un centenario per identificarlo a Giovanni l'Anziano di Efeso.

Concludiamo quindi. Per Quadrato, vale a dire intorno all'anno 125, la tradizione del Gesù dei Sinottici è ancora fluttuante.


Papia. — Egli è nato intorno all'85, in Asia Minore, probabilmente da genitori pagani.

Convertito al cristianesimo, divenne vescovo di Gerapoli in Frigia, probabilmente dopo la morte di Ignazio, nel 115. 

Intraprende una serie di ricerche sul cristianesimo e le consegna in un'opera intitolata Esegesi delle parole del Signore, che scrive intorno al 145-160 (Harnack), intorno al 150 (Batiffol), intorno al 130 (Schmiedel).

Morì, dice la tradizione, martire a Pergamo, nella stessa epoca del suo più anziano Policarpo, vescovo di Smirne, tra il 161-163 o il 165-167.

Il libro delle Esegesi è andato perduto; ne sussiste solo ciò che ci raccontano Ireneo ed Eusebio e i frammenti che ne citano. Il tutto sta ben in due pagine, ma queste due pagine sono del più notevole interesse.

In una prefazione, Papia spiega che se ha intrapreso l'indagine che ha portato al suo libro è perché «troppi bei parlatori alterarono l'insegnamento del Signore e riportarono precetti estranei». Così ha voluto conoscere la verità.

Cosa ha fatto?

Ha interrogato coloro che hanno conosciuto i discepoli — o i discepoli dei discepoli; e ha creduto che la tradizione orale valesse meglio di quella dei libri, alla condizione di provenire di veri discepoli. E nomina coloro i cui detti gli sono stati riportati:  

Aristone e Giovanni l'Anziano, di cui, con Policarpo, suo compagno ma più anziano di lui di una quindicina d'anni, sarebbe stato l'uditore diretto nella sua prima giovinezza; infatti Aristone e Giovanni l'Anziano erano morti quando Papia cominciò la sua inchiesta;

Le figlie di Filippo, che egli vide a Gerapoli, essendo molto giovani, infatti erano scomparse nei primi anni del secondo secolo;

poi, anteriormente ad Aristone, a Giovanni l'Anziano e alle figlie di Filippo, gli apostoli in persona, Andrea, Pietro, Filippo stesso, Tommaso, Giacomo, Giovanni l'Apostolo, Matteo e altri.

Non si tratta, ricordiamo, di questi personaggi in sé, i quali erano morti quando Papia cominciò la sua inchiesta, ma dei discepoli che li avrebbero conosciuti e ascoltati; i loro racconti sono le fonti di Papia.

Il sentimento che spinge Papia a indagare è, abbiamo detto, la diffidenza contro ciò che sente intorno a sé all'epoca in cui è diventato vescovo, vale a dire verso il 115; sente cose che lo turbano; vuole sapere di cosa si tratta e si sforza di risalire all'origine delle tradizioni. 

Ciò esposto in guisa di prefazione, il libro dà i risultati dell'inchiesta. Secondo le analisi e i frammenti a noi pervenuti, vi troviamo

tradizioni e informazioni sulla composizione dei vangeli secondo Marco e Matteo, che Papia conosce sotto una forma che doveva rassomigliare a quella pervenuta fino a noi, ma nulla su Giovanni né su Luca;

tradizioni messianiche, come il regno del Cristo per mille anni, — tradizioni poi riprovate dalla Chiesa, favole ridicole come i miracoli di Barsaba e di Giuda, tutte cose che hanno fatto dire a Eusebio, duecento anni più tardi, che Papia era uno mente molto mediocre. 

Ecco delle tradizioni ben discordanti. E Papia afferma nella sua prefazione che ha respinto quelle dei bei parlatori, quelle della gente che altera l'insegnamento del Cristo, che ha diffidato dei libri e si è riportato solo ai discepoli degli apostoli... Cosa leggeremmo se non le avesse respinte?...

Ci si domanda quali siano questi bei parlatori.  Senza esitazione, gli ortodossi rispondono: gli eretici. È presto detto; ma «eretico» non significa nel 115 ciò che significherà più tardi; all'epoca di Papia, l'eretico è semplicemente un caposcuola; l'eresia è un'opinione, una tradizione accanto ad altre tradizioni. Nessuno poteva prevedere nell'anno 100 chi avrebbe ragione, Cerinto o Giovanni; entrambi sono capiscuola; è più tardi che colui che ha successo, Giovanni, è diventato cattolico, l'altro, dissidente. Paolo ha mancato di esserlo...

La dottrina di Papia è piuttosto difficile da precisare, dato i pochi frammenti che sussistono; quella dottrina, in ogni caso, è in parte influenzata da quella di Marco e di Matteo; ed è per noi l'essenziale. 

Quale conoscenza aveva dei libri cristiani?

Parla, abbiamo detto, di Marco e di Matteo; niente su Luca, né Giovanni... Li ignorava? Ne parlava in altri passi?

Stessa questione quanto alle epistole di Paolo, di cui non emette parola.

In compenso, parla di un'epistola di Pietro e di una di Giovanni, di un vangelo, poi respinto, quello degli Ebrei...

La data della testimonianza di Papia non può essere precisata entro pochi anni. Sembra, da una parte, che abbia scritto il suo libro piuttosto tardi e, d'altra parte, che l'inchiesta di cui dà i risultati, l'abbia fatta piuttosto molto tempo prima, dopo la morte di Aristone, di Giovanni e delle figlie di Filippo, ma non molto tempo dopo, in un'epoca in cui all'insegnamento di questi vennero a mescolarsi insegnamenti nuovi; — il che ci riporta intorno all'anno 115. 

La mia conclusione è che nel 115 la situazione è ancora estremamente confusa; le tradizioni si scontrano; la verità cattolica non è ancora stabilita.

Il poco che sappiamo di Quadrato e di Aristide conferma quella conclusione.

Al contrario, vent'anni dopo l'epoca in cui Papia comincia la sua inchiesta, vale a dire verso il 135, Giustino si trova di fronte ad un'ortodossia stabilita; la dottrina del quarto vangelo ha creato l'unità nella Chiesa; la Chiesa cattolica esiste; la scomunica di Marcione nel 144 ne sarà la prova.

La prova di ciò è ancora nella differenza delle concezioni che Papia e Giustino si fanno dei dissidenti. Per Papia c'è esitazione; non sa con certezza chi siano i dissidenti e chi siano gli ortodossi; la dottrina non è quindi fissata. Per Giustino non c'è esitazione; la rottura è fatta, la dottrina è fissata.

Riprendiamo quindi il seguito degli eventi. Mi si perdonerà di fare qui, già al presente, un primo tentativo di sintesi. 


Da Papia a Giustino, cronologicamente. — Con Papia, come con Giustino, siamo in Asia Minore occidentale. Nel 100 o 105, forse nel 110, un giovane di Gerapoli in Frigia, Papia, si fa cristiano... È stato convertito dalle profetesse che vi sono venute a fare della propaganda, le figlie di Filippo? Forse... Presto lo troviamo a Efeso; si è fatto ricevere nell'importante gruppo cristiano dove regnano due vegliardi, Aristone e Giovanni l'Anziano; si lega d'amicizia con un correligionario, Policarpo, più vecchio di lui di una quindicina d'anni, e insieme seguono gli insegnamenti dei due maestri...

Cosa insegnano costoro? Insegnano il Gesù Messia divino di cui si attende l'avvento miracoloso; è, più o meno, il Gesù dell'Apocalisse, quello di cui nessuna carriera umana è presunta, il Gesù che si presenta sotto due forme: l'agnello divino e l'angelo delle Sette Lettere, e che non ha nulla in comune con quello dei vangeli sinottici.

La dottrina delle epistole paoline è poco in favore nei gruppi; basta ricordare l'ostilità delle Sette Lettere. Essa regna forse in altri gruppi, a Tessalonica, a Corinto, per esempio; ma a Efeso e a Gerapoli, Aristone e Giovanni l'Anziano sono anti-paolini. Così, in ciò che ci resta di Papia, nessuna traccia di Paolo o del paolinismo è visibile.

Comunque, uno dopo l'altro, carichi di anni, muoiono Aristone e Giovanni; morte sono le figlie di Filippo; alcuni dei discepoli prendono la direzione; Policarpo stesso sale di grado; eccolo vescovo di Smirne; senza dubbio Papia è ritornato nella sua città di Gerapoli; è a circa duecento chilometri di strada da Efeso, il grande centro, a duecentocinquanta chilometri da Smirne, dove regna il suo amico Policarpo; diventa a poco a poco un personaggio nel gruppo di Gerapoli, e infine ne è il vescovo.

Gli anni passano. Eccoci nel 115, al momento in cui il vescovo di Antiochia, Ignazio, attraversa il paese, andando al martirio. Con Ignazio sono venuti uomini da Antiochia. Sono loro che hanno introdotto tradizioni speciali ad Antiochia?... Sono altri itineranti venuti da Roma, dall'Acaia o da Alessandria?... Sempre accade che delle tradizioni si diffondono, che sono nuove per la gente di Efeso e di Gerapoli...

Si racconta ora che Gesù non è il dio morto e risorto predicato da Giovanni e Aristone, predicato anche (benché con forti sfumature) dai paolini, ma che ha avuto una carriera umana, avventure umane, che ha dato un insegnamento; e quella novità si ripara nel contempo col nome di Marco, il discepolo dei grandi fondatori, e di Matteo, uno degli apostoli che avrebbe avuti il dio fatto uomo.

Oh! Questo Gesù venuto nella carne, questo Gesù insegnante, non contraddice il Gesù escatologico; si può ammettere che il messia divino abbia assunto una forma umana per morire e per risorgere; i paolinisti non lo insegnano già? Si può ammettere anche che, prima di morire e di risorgere, abbia vissuto qualche mese, qualche anno, tra gli uomini. Le immagini che si sono fatte di lui seducono le menti e i cuori, e quanto alla dottrina, essa risponde così profondamente ai bisogni! Ma accade ciò che accade sempre in questi casi; alcuni esagerano, i violenti, i passionali, i mistici... Come Cerinto, che osa pretendere che, lungi dall'essere un dio che ha assunto forma umana, egli non fu che un uomo, nato come gli altri uomini, e che Dio glorificò...

Contro tali affermazioni, gli anziani di Efeso si rivoltano. Le polemiche si esasperano. Le discussioni lacerano la comunità.

Allora, nell'animo del buon Papia, nasce un gran turbamento. Dov'è la verità? Crudele, crudelissima incertezza!... Un bel giorno, prende una decisione; farà un'inchiesta; ed eccolo che parte per interrogare coloro che hanno conosciuto gli Anziani. Diffida dei libri come dei dottori dal bel linguaggio; vuole sapere. 

Tale è la testimonianza di Papia.

Ma, a poco a poco, tutto si calma; a poco a poco la conciliazione si fa tra le principali delle tradizioni che si scontravano; essa si fa sotto la forma di una nuova dottrina che riconcilia le precedenti.

Quella nuova dottrina, che unisce la tradizione di Marco e di Matteo a quella di Paolo come a quella dell'Apocalisse, è quella che doveva trovare la sua geniale espressione nel quarto vangelo.

Questo nuovo e ultimo vangelo era in formazione, oppure era già scritto nel 135? Non lo sappiamo; in ogni caso, la dottrina era nata e aveva creato nel cuore dei suoi adepti una meravigliosa unione degli elementi antichi. Senza dubbio aveva i suoi avversari; ma a coloro che avevano aderito essa apparve come la luce, la verità e la vita; tutto era spiegato, riconciliato, armonizzato. 

È in questo momento, nel 135, che arriva a Efeso Giustino, il filosofo assetato di sapere; ascolta ed è preso, affascinato, abbagliato. Nessuna delle esitazioni di Papia esiste per lui; tutto per lui è evidenza, evidenza eterna, e l'idea non gli viene nemmeno che non sia sempre stato così.

Una dottrina assoluta, indiscussa, evidente, eccola, nel 135, la testimonianza di Giustino.

Tale è il progresso compiuto dal 115, data di Papia, dove regnano le tradizioni sinottiche, al 135, data di Giustino, dove trionfa l'armonizzazione giovannea. 


NOTE

[1] La predicazione di Paolo davanti all'Areopago, che sembra fare eccezione a questo fatto generale, appartiene ad una delle fonti meno sicure degli Atti, come abbiamo spiegato. 

[2] I frammenti sono stati riuniti da Müller; Frag. hist. graec. 3.

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