lunedì 13 ottobre 2025

Gerard Bolland: IL VANGELO — Un ‘rinnovato’ tentativo di indicare l’origine del cristianesimo 1:5

 (segue da qui)


Si pone allora la domanda: fino a che punto l’incarnazione di Dio, che richiama alla mente speculazioni e credenze popolari indiane, può già dirsi dottrina alessandrina di Filone? Che qualcosa dall’India sia confluito nei nostri racconti evangelici è probabile, e un secolo e mezzo più tardi risulta noto anche il Buddha a Clemente Alessandrino. Comunque sia, abbiamo visto che Mosè non aveva ancora potuto condurre il popolo di Dio dove esso doveva giungere, e che a ciò era risultato guida autentica soltanto Gesù. Oppure doveva egli, ai tempi di Filone, ancora venire: il Popolo di Dio aveva ancora da aspettarselo da Dio come “uomo disceso dal cielo” (Giovanni 3:13; 6:62; 1 Corinzi 15:47)? “Marana tha! Vieni, Signore”, si gridava ancora nel 2° secolo della nostra era (Didaché 10:3; 1 Corinzi 16:22). “Se Gesù infatti”, dice lo scrittore alessandrino agli Ebrei (4:8), li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno!” Proprio per questo, secondo lui, si è già giunti al vero Giosuè come al “mediatore di una nuova alleanza” (Ebrei 9:15; 12:24). L'“altro giorno” è naturalmente il giorno di Dio annunciato dai profeti (Amos 5:18 e altrove), che persino in Isaia 49:22-23 era stato prospettato al popolo come giorno di grandissima soddisfazione “nazionale” e che sembra ancora atteso fino ad Apocalisse 22:20; si confronti anche Salmi di Salomone 17:21-33 e il “Figlio di Davide” che vi compare con il “Figlio di Davide” di Matteo 22:42. In Ebrei 4:8 i nostri traduttori di Stato dicono: “Benché la terra di Canaan fosse per gli Israeliti anch’essa un luogo di riposo, tuttavia in essa non consisteva il loro sommo bene; essa era soltanto un’ombra di quel riposo ultimo e spirituale, e perciò essi dovevano mostrare sollecitudine per giungervi mediante la fede”. In altri termini: là dove il popolo di Dio doveva ancora giungere, doveva giungervi nello spirito, e nello spirito doveva esservi condotto, in quel senso in cui più tardi i veri o chrestiani Giosuani furono detti dal Padre liberati dal potere delle tenebre – trasportati nel regno del Figlio del suo amore (Colossesi 1:13). A Mosè il Kyrios aveva detto: Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole (Deuteronomio 18:18; cfr. Atti 7:37). Era forse il Giosuè, Jesua o Gesù del racconto giudaico già il compimento di quell’annuncio, o era piuttosto soltanto segno e prefigurazione, presagio del vero Gesù, Jesua o Giosuè, il Giosuè che doveva ancora portare al popolo di Dio la redenzione autentica e celeste? E chi era in realtà questo vero Giosuè, Jesua o Gesù? “Nel secondo libro di Mosè”, scrive più tardi, a conversione dei giudei increduli, Giustino martire, “è annunciato in mistero, mistero che noi abbiamo compreso, che il nome di Dio stesso era anche quello di Gesù, che dice di non aver rivelato né ad Abramo né a Giacobbe. Dice così: Il Signore disse a Mosè: Dì a questo popolo: Ecco io mando il mio angelo davanti a te, affinché ti custodisca nel cammino e perché ti faccia entrare nella terra che ti ho promesso. Sta' attento a lui, ascoltato e non disubbidirgli. Egli infatti non ti abbandonerà perché il mio nome è su di lui (Esodo 23:20-21). Chi dunque ha fatto entrare i vostri padri nella terra promessa? Capite bene che è stato colui cui era stato imposto il nome appunto di Gesù e che prima si chiamava Auses. Una volta capito questo riconoscerete anche che Gesù stesso era il nome di colui che ha detto a Mosè: Il mio nome è su di lui (Dial. c. Tryph. 75). Che l’esito ottenuto da Giosuè, Jesua o Gesù ai giorni immediatamente successivi a Mosè non fosse ancora liberazione dal male vero e proprio, e che come immagine della “chrestótēs”, cioè della bontà, della filantropia o della benevolenza di Dio (Sapienza 7:26; 2 Corinzi 4:4; Colossesi 1:15; Tito 3:4), si dovesse ancora attendere un altro Gesù, Jesua o Giosuè, era in un certo senso evidente; vediamo però che quell’altro e vero Giosuè faceva pensare a Dio stesso. In un papiro magico conservato a Parigi si scongiura infatti “per il Dio degli Ebrei Gesù”; lo scriba alessandrino Apollo(nio) (Atti 18:25) aveva insegnato ottimamente riguardo a Gesù, pur non conoscendo altro che il battesimo di Giovanni; e in un’omelia ellenistica della metà del 2° secolo (2 Clemente 1:1), che sembra essere stata scritta ancora indipendentemente dai ‘nostri’ racconti evangelici, si raccomanda anzitutto ai fratelli che pensino a Gesù come a un Dio. “Prima spirito”, si legge in quella esortazione all’abnegazione (2 Clemente 9), “si è fatto carne”. “Essendo egli stesso Dio”, afferma Giustino (Dialogo 48), “si è fatto uomo”. E il suo discepolo Taziano scrive: “Noi annunciamo che Dio è stato qui in forma umana” (Ad Gr. 21). “Dio si è fatto uomo”, ripete Ireneo di Lione (3:21,1), “e lo stesso Signore ci ha redenti”. In questo senso Gesù è chiamato in Atti 4:12, com’è naturale, l’unico nome nel quale dobbiamo essere salvati.

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