II
LA PASQUA NELLA MITOLOGIA DEL NUOVO TESTAMENTO: I VANGELI
Il vangelo secondo Giovanni contiene alcuni tratti che sembrano rivelare l'origine pasquale del culto cristiano.
Senza dubbio bisogna diffidare di uno scritto composto proprio allo scopo di paragonare il sacrificio di Gesù a quello che liberò gli ebrei dal giogo egiziano; ma, quando l'accostamento non è affatto intenzionale, non c’è ragione di sospettarne il valore.
Quella condizione s trova soddisfatta nel capitolo 6. L'autore racconta l'episodio in cui Gesù, dopo aver saziato cinquemila uomini con cinque pani, espone la dottrina del pane disceso dal cielo. Il significato appare chiaramente: Dio procura agli uomini il cibo terreno, ma riserva loro anche, per mezzo del suo servo, il cibo sacro, che dà la vita. Si tratta della trascrizione mitologica del sacramento dell'eucarestia.
Ma per una strana coincidenza, Giovanni assegna a questo discorso relativo ad un pasto che rassomiglia tanto alla festa pasquale una data ben compromettente:
La Pasqua, giorno di festa dei giudei, era vicina. [1]
L'autore dà questo dettaglio incidentalmente, senza sembrare attribuirvi il minimo interesse, senza farne derivare alcuna conseguenza. Se aveva intenzione di associare alla Pasqua la moltiplicazione dei pani, doveva dire, ad esempio, che Gesù, incontrando una carovana che andava a celebrare a Gerusalemme quella solennità, la distolse dal suo cammino per insegnarle ciò che era la vera Pasqua. Soprattutto non avrebbe mancato di situare l'evento nel giorno stesso della festa ebraica, come fa per la morte di Gesù, che ha luogo, secondo la sua versione, esattamente all'ora dell'immolazione degli agnelli. In generale, i primi cristiani non hanno mai paragonato l'eucarestia alla Pasqua: non è il rito comunitario, ma il mito della passione che suscitò l'idea di rassomiglianza tra l'antica e la nuova alleanza. Quell'osservazione colpisce particolarmente il quarto evangelista che, al contrario dei sinottici, non parla nemmeno dell'istituzione della Cena. L'accostamento che fa, in occasione del discorso sul pane della vita, non ha dunque per scopo che di seguire ciecamente la tradizione.
Nei loro racconti corrispondenti, i sinottici non fanno affatto allusione alla Pasqua; però, come osserva padre Saintyves, [2] Marco [3] racconta che Gesù fece sedere la folla sull'erba verde. La tradizione voleva quindi che questo episodio si verificasse in primavera. Inoltre, la moltiplicazione dei pani ha luogo, in Giovanni, lo stesso giorno del cammino sulle acque. replica del passaggio del Mar Rosso e dell'attraversamento del Giordano, che ebbero luogo proprio all'epoca della Pasqua.
Giovanni non dice a che ora avvennero questi avvenimenti: ma i sinottici sono espliciti: [4] il pasto miracoloso comincia al calar della notte e Gesù raccomanda ai suoi discepoli di raccogliere le spoglie, affinché nulla si perda. [5] Questi due dettagli appartengono anche al cerimoniale della Pasqua.
È vero che la moltiplicazione dei pani si ispira chiaramente al passo dell'Esodo relativo alla manna del deserto, che a sua volta cadeva tra i due vespri e doveva essere accuratamente raccolta. [6] Ma questo racconto si presenta esso stesso come una trasposizione mitologica della Pasqua. Se non è la carne d'agnello che discende dal cielo, è perché questo fatto sarebbe ripugnante a descriverlo; ci vuole una carne capace di mostrarsi nell'aria, vale a dire gli uccelli. Ed ecco che dopo l'evaporazione della rugiada, appare sulla terra una cosa piccola e rotonda, simile a gelatina bianca: questa è l'esatta descrizione del pane azzimo.
Nel racconto delle nozze di Cana, interpretazione simbolica dell'eucarestia del sangue, ritroviamo lo stesso accostamento inconscio, quantunque un po' meno visibile: lo sposo di cui si tratta è evidentemente uno sposo mistico e il vino servito ai convitati non è ordinario:
Tu hai conservato il buon vino per ora. [7]
Tre versetti più oltre apprendiamo che la Pasqua dei giudei era vicina. D'altra parte numerose leggende agiografiche hanno conservato la tradizione che la trasformazione dell'acqua in vino si compiva all'epoca di quella festa. [8]
Ma è il racconto della passione che racchiude le sopravvivenze più certe del culto pasquale.
Se i Vangeli non indicano esplicitamente il giorno in cui Gesù entrò a Gerusalemme, è facile calcolarlo:
«...Gesù entrò in Gerusalemme», dice Marco, [9] «e andò al Tempio; e dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici diretto a Betània.
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame».
Ciò fa due giorni. Un po' più oltre siamo al terzo giorno:
«Venuta la sera, Gesù uscì dalla città.
E la mattina, mentre passavano...» [10]
Infine apprendiamo che
«la festa di Pasqua e degli Azzimi doveva aver luogo due giorni dopo». [11]
Ecco in tutto cinque giorni, ivi compreso il 14 nisan; detto altrimenti Gesù entra a Gerusalemme il 10 nisan, esattamente come gli agnelli che che i pellegrini portavano al Tempio, per metterli in guardia per quattro giorni, in maniera da renderli tabù. [12]
Ecco perché, la sera, l'Agnello divino si ritira a Betania, invece di dimorare nella vicinanza della grande città.
Si può fare lo stesso calcolo con gli altri vangeli, tranne quello di Luca, che non dà precisazioni. [13]
Che Giovanni abbia fissato al 10 nisan l'arrivo a Gerusalemme dell'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo non ci sarebbe motivo di stupirsene; ma i sinottici non sono affatto dominati, come questo autore, dall'idea di paragonare il loro dio alla Pasqua. Non riscontriamo la minima allusione di questo genere nel corso di queste opere. L'accostamento è talmente inconscio che non si prendono nemmeno cura di indicare all'intelligenza del lettore una data, che noi dobbiamo calcolare, per riconoscerne il simbolismo. Una siffatta negligenza rimuove ogni sospetto di assimilazione artificiale, per i bisogni di una causa.
La morte di Gesù sopravviene ugualmente in occasione della festa di Pasqua; ma vi è una differenza di un giorno tra la versione dei sinottici e quella di Giovanni. Mentre i primi fanno partecipare Gesù al pasto solenne del 14 nisan, per permettergli di istituire la comunione eucaristica, di modo che il supplizio possa aver luogo solo il mattino successivo, Giovanni, spingendo ulteriormente l'assimilazione al rito ebraico, preferisce che il suo dio non istituisca l'eucarestia, in maniera da farlo morire proprio nell'ora in cui si sacrificavano gli agnelli.
L'esegesi antica pensava che la carriera di Gesù avrebbe potuto concludersi in un momento diverso da quello della Pasqua, ad esempio tra il 17 e il 19 dicembre, al momneto dei Saturnalia, [14] oppure nel mese di adar, durante la celebrazione del Purim. [15] Dinanzi alle difficoltà sollevate dalle tesi di questo tipo, gli storici contemporanei riconoscono unanimemente che, se Gesù non è morto intorno alla Pasqua, l'unica conclusione legittima sarebbe che questo personaggio appartiene interamente alla mitologia. Ma invece di adottare la data dei sinottici, essi pensano che il quarto evangelista, il quale però scelse il 14 nisan unicamente per una ragione teologica, si troverebbe, per una singolare ironia della sorte, d'accordo con la storia vera, al contrario dei narratori primitivi! Maniera indiretta di ammettere che alla base della tradizione cosiddetta storica si trova in realtà una teologia.
Gli evangelisti sinottici avrebbero voluto, situando il dramma della passione intorno a questo periodo, fare un accostamento tra la nuova e l'antica alleanza? Ma bisogna ammettere che questi cosiddetti simbolisti eccellono ben poco nella loro arte: essi fanno riunire gli Apostoli attorno alla tavola pasquale, eppure Gesù non proferisce alcuna parola per insegnare ai convitati che ormai la Pasqua ebraica è finita e che egli si offre lui stesso come la vera Pasqua. Per giunta, il pasto che descrivono non è che una caricatura del pasto pasquale. Marco fa spezzare il pane prima della distribuzione del calice, non parla che di una sola coppa e si dimentica persino dell'agnello! Al punto che molti esegeti, colpiti da un simile sconvolgimento delle regole liturgiche, hanno potuto credere che non si trattasse di un pasto pasquale, ma di un semplice Kiddusch. [16] È un procedimento naturale, per degli scrittori preoccupati di stabilire un accostamento simbolico, trattare con estrema negligenza uno dei termini del paragone? Se essi parlano della Pasqua, ciò accade visibilmente senza disegno preconcetto, unicamente perché la tradizione primitiva impone loro questo fatto.
I sinottici sanno così poco liberarsi dal potere oscuro che li guida che, per obbedirgli, sacrificano la plausibilità e perfino il buon senso. Con quanta rapidità fanno perire Gesù, dopo l'istituzione dell'eucarestia! Costretto ad ammettere che lui presiedette al pasto pasquale, è impossibile che fosse già morto a quel momento lì; ma, per scusarsi di quella deviazione dalla tradizione, affrettano gli eventi affinché la crocifissione sia avvicinata il più possibile al giorno fatale. Appena terminato il pasto, dopo una breve preghiera per la veglia funebre, Gesù è arrestato, portato dinanzi al Sinedrio, poi dinanzi a Pilato, inviato al supplizio ed esposto su una croce, dove morì quasi immediatamente. [17] Per giunta, il 14 nisan, Gesù non è ancora morto quando già dà da mangiare il suo corpo e il suo sangue:
prima della formazione di una storia umana, l'agnello Giosuè, sacrificato tra i due vespri, si dava in seguito da cibo ai fedeli. Divenuto uomo, il dio doveva continuare ad figurare al pasto. Bisognava allora immaginare una trasposizione: invece di servire da cibo, egli divenne il presidente della solennità e, benedicendo le specie del pane e del vino, le cambiava nella propria sostanza. Ma, in queste condizioni, la sua immolazione non poteva più aver avuto luogo poche ore prima, come continuavano a imporre i racconti primitivi. Ne risultò una contraddizione irriducibile. L'evemerizzazione del mito pasquale sdoppiava naturalmente la tradizione. Gli uni, come Giovanni, fecero perire Gesù il 14 nisan e dovettero passare sotto silenzio l'istituzione dell'eucarestia; i sinottici, adottando l'altro ramo della leggenda, descrissero l'istituzione dell'eucarestia, ma si trovarono così nell'obbligo di rinviare la crocifissione all'indomani della festa. Il fatto di una discrepanza di data nel racconto della passione prova che gli evangelisti erano schiavi della tradizione pasquale, al punto da condurre ad una contraddizione inevitabile.
NOTE
[1] Giovanni 6:4.
[2] Essai de folklore biblique, Magie et miracles dans l'Ancien et le Nouveau Testament, pag. 342, Parigi, Emile Nourry, 1922.
[3] Marco 6:39.
[4] Marco 6:35; Matteo 14:15; Luca 9:12.
[5] Marco 6:43; Matteo 14:20; Luca 9:17; Giovanni 6:12.
[6] Esodo 16:6, 8, 12, 19.
[7] Giovanni 2:10.
[8] P. Saintyves, Ibidem, pag. 222 e seguenti.
[9] Marco 11:11-12.
[10] Marco 11:19-20.
[11] Marco 14:1.
[12] Esodo 12.3, 6.
[13] Matteo 21:10, 18; 26:2; Giovanni 12:1, 12.
[14] P. Wendland, Jesus als Saturnalien-Konig, in Hermès, Zeitschrift für classische Philologie, volume 33, 1898, pag. 175-179, Berlino. Weidmannsche Buchhandlung. Théodore Reinach, La Fête de Pâques, pag. 14-15, Parigi, Ernest Leroux, 1906.
[15] James-George Frazer, Il Ramo d'oro, volume 3, pag. 448, Parigi, Schleicher frères et Cie, 1911.
[16] E. Mangenot, Les soi-disant antécédents juifs de l'Eucharistie, nella Revue du Clergé français, 15 febbraio 1909, pag. 385-391, Parigi, Letouzey et Ané.
[17] I crocifissi restavano generalmente più giorni vivi sull'albero di tortura.
Nessun commento:
Posta un commento