lunedì 6 gennaio 2025

GESÙ DIO DELLA PASQUA — La leggenda di Gesù

(segue da qui)

 IV

LA LEGGENDA DI GESÙ


La leggenda di Gesù, così come si presenta, nel cristianesimo definitivamente organizzato, comporta anzitutto il credo in un messia disceso sulla terra per predicare la venuta del Regno, poi il sacrificio espiatorio di questo messia in vista della salvezza dei fedeli, la sua sospensione all'albero della croce, la sua morte nelle sofferenze e la sua resurrezione gloriosa. Come ha potuto l'evoluzione del culto pasquale formare questi diversi elementi?

La morte del dio si spiega facilmente con una trasposizione mitica dello sgozzamento dell'agnello salvifico, divenuto a poco a poco, sotto l'influenza del culto nazionale, il dio Giosuè. La passione e la resurrezione corrispondono alle fasi del lutto e della gioia, che riproducevano la morte della vegetazione e il suo rinnovamento.

Ma perché Gesù porta il titolo di Messia, quando la grande speranza ebraica gioca nel suo culto solo un ruolo puramente simbolico, per designare la salvezza dell'anima individuale, il lievito della fede o anche semplicemente la comunità dei fedeli? Un'assimilazione così poco necessaria, che si impose però con insistenza, anche tra gli ellenizzanti, non lascia che stupire, in una religione spogliata di ogni nazionalismo.

Gli esegeti storicisti non hanno mancato di sfruttare quella apparente anomalia. [1] Mal si comprende, infatti, che un dio misterico, creato spontaneamente dall'immaginazione popolare per donare l’immortalità alle anime, abbia potuto divenire in seguito un Messia nazionale, vale a dire un essere preoccupato di instaurare l’egemonia ebraica. Al contrario, è perfettamente ammissibile che un predicatore ebreo, annunciando la venuta imminente del Regno, abbia perduto a poco a poco, sotto l'influsso del misticismo ellenico, il suo carattere originario, per divenire un Salvatore di anime. Un Messia è di casa invece in Palestina. Non ha più alcun senso in un culto misterico. La sopravvivenza, nel cristianesimo, della speranza di Israele garantirebbe la storicità di Gesù.

Quella difficoltà rientra nell'ipotesi di Gesù, dio della Pasqua. Il messianismo, infatti, si trova interamente contenuto in questo rito. [2] Al momento dell'uscita dall'Egitto, gli ebrei attendevano il passaggio del Distruttore, come dovevano attendere più tardi il Messia, nell'atteggiamento del viaggiatore sempre pronto: i fianchi cinti, i calzari ai piedi e il bastone in mano. Questo Distruttore, che viene a sorvolare le case, colpendo gli Egiziani, rassomiglia stranamente al Gesù dell'Apocalisse, a questo cavaliere, — assimilato a sua volta a un agnello sgozzato, — che si lancia sulle nazioni per devastarle con una verga di ferro.

L'idea di un Liberatore è così insita nel rito pasquale, ne esprime così bene l'essenza, che ogni volta che Israele è stato salvato da un pericolo o ha vissuto un giorno memorabile, la tradizione ha voluto fissare la data di questo evento a un giorno di Pasqua. La Haggada ricorda ancora oggi quella alleanza misteriosa:

Ma voi direte: questo è il sacrificio di Pasqua.

La tua potenza ha fatto meraviglia in occasione della Pasqua.

Al primo posto delle nostre solennità tu hai collocato quella di Pasqua.

Tu hai rivelato ad Abramo gli avvenimenti della notte di Pasqua. 

Voi direte: Questo è il sacrificio di Pasqua. 

Tu vieni a visitarlo [3] durante la calura del giorno, verso la Pasqua.

Egli servì agli angeli focacce azzime, il giorno di Pasqua.

Si affrettò a offrire un vitello in memoria della vittima di Pasqua. 

Voi direte: Questo è il sacrificio di Pasqua. 

Gli empi abitanti di Sodoma furono consumati dalla tua ira, il giorno di Pasqua. 

Lot, salvato dalla loro rovina, fece cuocere i pani azzimi alla fine di Pasqua. 

Tu hai epurato le province egiziane, percorrendole la notte di Pasqua. 

Voi direte: Questo è il sacrificio di Pasqua. 

Signore! Tu colpisti i primogeniti, nella notte memorabile di Pasqua. 

Ma i tuoi primogeniti tu li risparmiasti per il sangue della Pasqua; 

E tu non permetti al distruttore di penetrare da noi nella notte di Pasqua. 

Voi direte: Questo è il sacrificio di Pasqua. 

La città chiusa (Gerico) si arrese durante la Pasqua. 

Madian fu distrutta secondo il presagio della pagnotta d'orzo della Pasqua. [4]

I potenti guerrieri d'Assiria furono consumati dal fuoco a Pasqua.

Voi direte: Questo è il sacrificio di Pasqua. 

Sennacherib si fermò ancora un giorno a Nob, attendendo il momento della Pasqua. 

Una mano invisibile scrisse la perdita di Babilonia, la notte di Pasqua. 

Il profeta predisse l'esito della festa [5] celebrata a Pasqua. 

Voi direte: Questo è il sacrificio di Pasqua. 

Ester convocò la comunità per un digiuno di tre giorni, a Pasqua. 

Il capo di una famiglia empia [6] perì sul patibolo a Pasqua. 

Tu colpirai l'Idumeo con le stesse disgrazie, un giorno di Pasqua. 

Fai un segnale con la mano e leva la tua destra come in quella notte in cui fu inaugurata la Pasqua. 

Voi direte: Questo è il sacrificio di Pasqua. [7]

Allo stesso modo, quando gli scrittori cristiani parleranno dell’attesa del Messia Gesù, è un’immagine pasquale che sorgerà naturalmente:

«Vigilate sulla vostra vita», si legge nella Didaché; [8] «non spegnete le vostre fiaccole e non sciogliete le cinture dai vostri fianchi, ma state preparati perché non sapete l'ora in cui il nostro Signore viene».

«I vostri lombi siano cinti e le vostre lampade accese», dice Gesù secondo Luca... [9]

«Beati quei servi che il Padrone troverà svegli quando arriverà; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli».

E nella prima epistola di Pietro:

«Avendo cinti i lombi della vostra mente, siate vigilanti, e riponete piena speranza nella grazia che vi sarà conferita nella rivelazione di Gesù Cristo». [10]

Il Regno di Dio, come lo sognavano i primi cristiani, cos'era in sé, se non una grande Pasqua, l'ultima di tutte, un banchetto celeste offerto da Dio ai suoi eletti? [11]

Gesù è un messia che presenta la particolarità di offrirsi in sacrificio espiatorio. L’idea di un esecutore onnipotente delle vie divine unita a quella di sofferenza e di morte per il riscatto dei peccati sembrava una antinomia mostruosa al giudaismo ortodosso. Questi due caratteri si rivelano al contrario profondamente uniti nella Pasqua: il dio-messia Giosuè, una volta assimilato all'agnello, doveva partecipare necessariamente alla sua natura espiatoria.

Alcuni autori, però, contestano a questo rito una virtù di redenzione:

L'agnello pasquale, dice Henry Barbier, [12] non era in alcun caso una «propiziazione». Non si poteva dire che esso «togliesse i peccati di Israele». Per l'israelita la remissione dei peccati si opera soltanto per mezzo dell'effusione del sangue; è per mezzo della sua morte, per mezzo del suo sangue versato che Gesù salva il mondo.

Ma lo spargimento del sangue non era una pratica estranea al rito della Pasqua. Nella leggenda primitiva, esso svolge addirittura il ruolo principale: è grazie al sangue versato sullo stipite delle porte che Jahvé accorda la salvezza alle famiglie degli Ebrei. Nel Talmud di Gerusalemme [13] noi leggiamo:

Fa' che noi mangiamo sacrifici pacifici e l'agnello pasquale, il cui sangue sarà stato asperso sui tuoi altari, per compiacerti.

Per rafforzare quell'idea, si sacrificava un capro espiatorio in ciascuno dei sette giorni dei pani azzimi. [14]

Se la festa nazionalizzata non aveva più lo scopo di cancellare i peccati di Israele, almeno il racconto dell'Esodo ha conservato le tracce di questo carattere: il Distruttore voleva uccidere tutti i primogeniti, ma l'agnello fu scelto per distogliere la sua ira. La mitologia pasquale era quindi proprio della stessa natura della leggenda cristiana della passione.

Il supplizio sull'albero di tortura è una conseguenza naturale della evemerizzazione progressiva del sacrificio espiatorio dell'agnello.

Si è preteso che il simbolismo del segno della croce abbia determinato l'idea del dio crocifisso. Arthur Drews [15] invoca a favore di quella tesi l'ode 42 di Salomone:

Io ho steso le mani e mi sono consacrato al Signore. Perché stendere le mani è segno di consacrazione.

In più l'Esodo [16] riporta che Mosè, vedendo il suo popolo alle prese con gli Amaleciti, stese le braccia in forma di croce, per implorare il Signore, e ogni volta che le teneva così, il popolo riprendeva il vantaggio, mentre perdeva terreno, se il profeta venisse a indebolirsi. Aronne e Ur presero allora la decisione di sostenergli le mani. 

Drews fa anche osservare che la croce è un simbolo solare. Questo astro, infatti, forma questo segno quando attraversa l'equatore nell'equinozio di primavera, recando così la vittoria della luce.

Lo scrittore cristiano Henri Leclercq [17] considera la croce ansata degli Egiziani come la sopravvivenza di un'oscura rivelazione interiore. Essa significava, infatti, la vita futura, proprio come la crocifissione di Gesù prometteva l'immortalità beata. [18]

Giustino [19] rappresenta l'agnello pasquale, dopo la sua immolazione, attraversato da due aste di legno di melograno, una disposta longitudinalmente, e la seconda da una spalla all'altra, raffigurando così l'immagine della croce. L'autore, che conosceva bene le usanze ebraiche, non avrebbe certamente fornito informazioni false, di cui i suoi nemici avrebbero approfittato.

Malgrado tutti questi interessanti tentativi, ci sembra dubbio che l'idea della crocifissione di Gesù ricavi la sua origine da un elevato simbolismo. In questo caso, infatti, la leggenda sarebbe probabilmente antichissima: ma essa si presenta al contrario come l'ultima tappa dell'evemerizzazione del dio: l'Apocalisse giovannea, seppure scritto arcaico ed essenzialmente simbolico, non conosce affatto ancora il sacrificio del redentore se non sotto la forma di un agnello immolato.

Salomon Reinach [20] sostiene che l'idea della croce è stata suggerita dal versetto 17 del salmo 22, dove il Giusto dice:

«Essi trafissero le mie mani e i miei piedi». 

Si è obiettato che quella frase, ammettendone l'autenticità, non evoca per nulla l'idea della croce, più propriamente espressa da quella dell'impiccagione o dell'esposizione. [21]

Ma se il cristianesimo si è costituito attorno al sacrificio di un agnello che, gravato dei peccati della setta, incorse al suo posto nella maledizione divina, [22] la leggenda, evemerizzandosi, doveva naturalmente far perire il Messia nella maniera umana corrispondente, vale a dire col supplizio più ignominioso. Il Deuteronomio indica questo genere di supplizio:

Quando un uomo, avrà commesso qualche peccato degno di morte, lo si farà morire e tu lo appenderai al legno, [23] il suo cadavere non rimarrà la notte sul legno, ma non mancherai di seppellirlo lo stesso giorno, perché maledetto colui che è appeso al legno. [24]

Questo testo che, per gli ebrei ortodossi, come per gli esegeti storicisti, gli uni e gli altri poco comprensivi di una religione misterica, costituiva l'ostacolo fondamentale al credo che un crocifisso potesse essere il Messia, è proprio quello stesso che suscitò la leggenda della crocifissione.

Con quell'ultima trasposizione il mito di Gesù entrava nella sua fase definitiva.


NOTE

[1] Charles Guignebert, in Jésus et la conscience moderne (Conférences contradictoires données à l'Union de libres penseurs et de libres croyants pour la culture morale), pag. 14, Parigi, Fischbacher, 1928. 

[2] L'idea che il messianismo si trova implicito nel rito della Pasqua mi è stata suggerita dal signor dr. Paul-Louis Couchoud. 

[3] (Abramo). Genesi 18:1.

[4] Giudici 7:13 e seguenti.

[5] Di Baldassàr.

[6] Aman.

[7] La Haggada o Cérémonies des deux premières soirées de Pâque, à l'usage des Israélites des rites allemand et portugais, Traduzione di L. Blum, riveduta da M. L. Wogue, rabbino capo, pag. 123-125, Parigi, Durlacher, Léon Kann, editore, 6° edizione, 1907.

[8] Didaché 16:1.

[9] Luca 12:35. 37.

[10] 1 Pietro 1:13.

[11] Luca 12:35; 14:15, Matteo 22:2, Apocalisse 19:9, ecc. Proprio come il cristiano credeva a una Pasqua primitiva così come a una Pasqua definitiva, nel giorno del Giudizio, parallelamente la mitologia del mistero di Mitra ruotava attorno a due riti sacrificali, seguiti da un pasto: l'immolazione del toro primordiale aveva creato la vita nel mondo, e il rinnovamento di questo atto, alla fine dei tempi, avrebbe inaugurato il regime dell’immortalità. Il grasso della vittima, mescolato al seme dell'haoma bianco, sarebbe per gli eletti la bevanda della vita eterna (Alfred Loisy: Les Mystères païens et le mystique chrétien, pag. 192, 196-197, Parigi: Emile Nourry, 1919). Il sacrificio del toro era intimamente legato ai pasti sacri degli iniziati. Come nella Pasqua cristiana, la vittima animale, invece di essere consumata realmente, si trovava raffigurata da altre specie: la focaccia di pane era il grano estratto dalla ferita del toro e il calice d'acqua il suo seme (Alfred Loisy, Ibidem, pag. 199-200). 

[12] Essai historique sur la signification primitive de la Sainte-Cène, pag. 45, Neuchâtel, impr. de Attinger frères, 1911.

[13] Traduzione di Moïse Schwab, trattato Pesahim 10:5, volume 5, pag. 152, Parigi, Maisonneuve et Cie, 1882. 

[14] Numeri 28:19 e seguenti.

[15] Le Mythe de Jésus, traduzione di Robert Stahl, pag. 68-69, Parigi, Payot, 1926.

[16] Esodo 17:11-12.

[17] Articolo Croix del Dictonnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie di don Fernand Cabrol e Henri Leclercq, colonna 3122, Parigi, Letouzey et Ané, 1913.

[18] Si veda anche Gabriel de Mortillet, Le Signe de la Croix avant le christianisme, Parigi, Reinwald, 1866.

Abate Etienne Ansault, La Croix avant Jésus-Christ, Parigi, V. Retaux e figli, 1894. 

C. de Harlez, Le Culte de la croix avaint le christianisme, nella rivista La Science catholique, 15 febbraio 1890.

P. Saintyves, Le Mystère des Evangiles, Lettres à un ami sur la mythologie évangélique, pag. 19, Parigi, Emile Nourry, 1916.

Goblet d'Alviella, Archéologie de la Croix, in Croyances, Rites, Institutions, volume 1, pag. 63-81, Parigi, Paul Geuthner, 1911.

Platone, Repubblica 1, 2, 361.

[19] Dialogo con Trifone 40:3, traduzione di Georges Archambault, volume 1, pag. 81, Parigi, Alphonse Picard et Fils, 1909.

[20] Le Verset 17 du Psaume XXII, nella Revue de l'histoire des religions, volume 3, 1905, pag. 260-266. Parigi, Ernest Leroux, e in Cultes, mythes et religions, volume 2, pag. 437-442, stesso editore, 1906.

[21] Maurice Goguel, Jésus de Nazareth mythe ou histoire? pag. 219, Parigi, Payot, 1925.

[22] Galati 3:13.

[23] L'ebraico non avendo un termine specifico per significare crocifiggere, impiegava l'espressione appendere al legno. 

[24] Deuteronomio 21:22-23.

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