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ALTRI PAGANI: OSSERVAZIONI FINALI
Le allusioni di Svetonio ai cristiani sono le seguenti: “Judaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit” (Claudio 25). “Afflicti suppliciis Christiani, genus hominum superstitionis novae et maleficae” (Nerone 16). Entrambe le affermazioni appaiono troppo scarne per fondarvi un giudizio.
Si noterà che non c'è alcun riferimento al Fondatore del cristianesimo. La forza probatoria dell'impulsore Chresto è incerta. Potrebbe riferirsi a qualche ebreo romano di nome Cresto, che incitò i suoi compatrioti alla sommossa, oppure potrebbe riferirsi all'agitazione messianica tra il popolo ebraico, alle loro dispute tra di loro circa il Messia, il Cresto. Comunque sia, qui non c'è nessun indizio della vita e della morte in Galilea e in Giudea. Dione Cassio, però, dice (9:6) che egli “non li ha cacciati”, ma proibì loro di riunirsi e sciolse le loro associazioni autorizzate da Caligola. D'altra parte Atti 18:2 menziona la presenza a Corinto di Aquila e Priscilla per questo decreto di Claudio che espulse “da Roma tutti i Giudei”: un'affermazione quasi certamente esagerata.
La seconda menzione ricorre in un elenco di severe norme emanate al tempo di Nerone. Se fosse autentica, dimostrerebbe semplicemente che i “Cristiani” furono noti già al tempo di Nerone, il che non aggiungerebbe nulla alla nostra conoscenza, e che in alcune occasioni furono puniti crudelmente. Forse la nota di Tacito è semplicemente un'espansione del breve resoconto di Svetonio. Una causa molto più probabile delle “punizioni” sarebbero alcuni disordini come quelli che si verificarono sotto Claudio impulsore Chresto, o che indussero Tiberio a espellere gli ebrei da Roma (Svetonio, Tiberio 36). Tra questi ultimi furono inclusi i similia sectantes, che pure Tiberio Urbe submovit sub poena perpetuae servitutis, nisi obtemperassent. I sectantes sono ritenuti i convertiti al giudaismo; forse erano non ancora cristiani. Le parole nisi obtemperassent sembrano indicare una grande turbolenza o agitazione tra gli ebrei sotto Tiberio, in prossimità della data presunta della crocifissione. Ciò sembra intrinsecamente molto probabile, almeno per noi che consideriamo l'intero movimento cristiano il risultato di generazioni, persino di secoli, di agitazione tra ebrei e i loro proseliti. La separazione netta tra ebrei e cristiani non sembra possibile fino al secondo secolo, in particolare all'epoca di Bar Kochba.
A questo proposito si può citare pure la lettera di Plinio a Traiano. Essa non dice nulla dell'origine o del Fondatore del cristianesimo; al più racconta solo delle pratiche dei cristiani in Bitinia intorno al 110 E.C. Non c'è alcun indizio, neppure minimo, che tocchi la realtà puramente umana del Cristo o di Gesù. Se questa corrispondenza tra Traiano e Plinio sia autentica o meno è quindi del tutto indifferente ai fini della presente discussione. Ogni indagine in merito sarebbe intuile in questa fase dell'argomentazione. Luciano (120-200 E.C.), nel suo De Morte Peregrini 11:41, in Alessandro 25:31, e nell'opera spuria [1] Filopatride 12, fa menzione di “Cristiani” e del “sofista impalato in Palestina”, ma solo sotto gli Antonini; anche Dione Cassio, ma nel 220 E.C.
Con ciò si esauriscono i riferimenti al cristianesimo nella letteratura pagana prima del 150 E.C.. Dopo quella data la storia evangelica ha certamente preso forma definitiva; è diffusa tra i cristiani, che sono a loro volta numerosi in tutto l'impero; ha certamente raggiunto le orecchie dei pagani, e ogni numero di allusioni negli scrittori profani attesterebbe semplicemente la diffusione della storia evangelica, ma non fornirebbe alcuna testimonianza della sua autenticità. Sembra quindi inutile citare ulteriormente questa letteratura. Chiudiamo quindi questo esame con questo risultato, già annunciato: La storia profana non fornisce alcuna testimonianza del carattere puramente umano di Gesù.
Al fine di valutare adeguatamente il valore di quest'argomentazione del silenzio, noi dobbiamo ricordare che, a quanto pare, gli scrittori profani non poterono avere alcun motivo per sopprimere le informazioni, se le possedettero. Il cristianesimo era per loro solo una perniciosa e spregevole superstizione; [2] essi sarebbero stati piuttosto compiaciuti di ricondurlo a un criminale crocifisso a Gerusalemme. D'altra parte, è improbabile che ogni riferimento da parte dei pagani sarebbe stato lasciato sparire dai cristiani. Questi ultimi furono gelosissimi di tutto questo materiale dal possibile valore probatorio e lo custodirono, come mostra chiaramente il fatto che ne inventarono persino di sana pianta.
È possibile che i pagani abbiano provato poco interesse per la crocifissione, i suoi antefatti e le sue conseguenze; ma non si può dire lo stesso di Giuseppe. In quanto ebreo palestinese, uno storico di professione e un cronista, sembra del tutto impossibile che non abbia conosciuto o sentito parlare della vita e della morte di Gesù. Egli ci racconta abbastanza minuziosamente, anche se alquanto oscuramente, di Giovanni il Battista (Antichità 18:5, 2), ma Giovanni non fu in alcun modo paragonabile a Gesù. Anzi, egli riempie le sue pagine di eventi del tutto banali rispetto alle parole e alle azioni del Nazareno. Non è solo a noi, a 1900 anni di distanza, nella prospettiva della Storia, che gli eventi appaiono in un significato così relativo. Non c'era nulla nella vicenda di Giovanni che potesse eguagliare l'esecuzione sul Calvario; nulla che potesse essere accostato alle opere di Gesù, per quanto tu possa minimizzarle. Se Gesù fosse puramente umano, allora sarebbe stata una personalità carismatica; nel nome e nella fama il Battista dovette essere stato relativamente insignificante. Considera, inoltre, quanto fossero strettamente legati i due, il Precursore e il Messia. Che l'annalista pettegolo sapesse di Giovanni, ma non di Gesù, sarebbe come se lo storico contemporaneo della Riforma sapesse di Zwingli, ma non di Lutero.
Scartiamo, quindi, come del tutto impossibile l'ipotesi che Giuseppe ignorasse il Cristo, se quest'ultimo fu puramente umano. Ma, sapendo di lui, potrebbe averlo ignorato intenzionalmente? Sembra difficilmente possibile. Se Giuseppe fu un cristiano (in segreto), sicuramente non si sarebbe lasciato sfuggire un'occasione simile per rendere un servizio inestimabile alla sua fede. Se fu sinceramente un ebreo ortodosso (come quasi certamente fu, così attestano gli stessi scrittori cristiani), dovette aver creduto che i suoi compatrioti avessero fatto bene a respingere il pretendente; dovette aver gioito della loro azione. Perché, allora, sopprimerla? O anche se fosse stato incerto nelle intenzioni, allora avrebbe dovuto ponderare la vicenda, avrebbe dovuto considerarla di grande importanza; e, dato che essa occupò i suoi pensieri, perché si astenne da ogni espressione? No! Non possiamo capire il silenzio dello storico, se non sull'ipotesi che Gesù gli fosse storicamente ignoto. Fu proprio questa circostanza a lasciare perplessi gli stessi cristiani dei primi secoli e a indurre uno di loro a tagliare il nodo gordiano interpolando il Paragrafo 3. In effetti, ci sarebbe da meravigliarsi se qualcuno non avesse fatto proprio questa interpolazione. Come già osservato, siffatto inserimento di materiale appropriato in punti appropriati fu una manifestazione preferita di quella logica primitiva.
Il vescovo Lightfoot ammette, con apparente irritazione, che Giuseppe ha mantenuto uno “stupido silenzio intorno al cristianesimo”, ma ritiene che ciò “non possa essere dovuto all'ignoranza; perché una setta che era stata individuata per anni prima che egli scrivesse, come bersaglio della vendetta imperiale a Roma, doveva essere stata fin troppo nota in Giudea”. Naturalmente l'allusione è alla persecuzione neroniana e il ragionamento suona plausibile. Ma abbiamo appena visto che questa persecuzione è fonte di gravissimi dubbi. Inoltre, non vediamo alcuna ragione per cui gli agitatori messianici a Roma dovessero prendere le mosse dalla Palestina, o perché il nome “Cristiano” non fosse conosciuto a Roma ancor prima che in Palestina. In effetti, il nome non era palestinese, se possiamo credere ad Atti 11:26; [3] esso fu assegnato ai discepoli di Antiochia, e per un periodo incerto fu solo sulle labbra dei nemici (non, però, Cristiani, ma Crestiani). [4] Non vediamo, anzi, alcuna ragione per cui un tale movimento non possa essere iniziato indipendentemente in vari luoghi e quasi contemporaneamente. Che ci fosse originariamente una qualche unità o dipendenza centrale nella propaganda è decisamente negato dagli Atti in più di un punto, come già esposto in Der vorchristliche Jesus. Sembra indiscutibile che nelle prime comunità prevalesse la più grande varietà di fedi; [5] da Roma a Gerusalemme non è lecita nessuna inferenza.
Inoltre, non solo il fatto che i gentili chiamassero i gruppi della nuova fede con il nome sprezzante di “Crestiani” non implica affatto che questi riconoscessero il nome e si considerassero distinti dagli ebrei e dai proseliti, ma il contrario sembra attestato da Atti 21:20, dove è detto a Paolo: “Tu vedi, o fratello, quante migliaia di Giudei sono venuti alla fede e tutti sono gelosamente attaccati alla legge”. Questi, dunque, non si erano affatto separati dalla fede dei loro padri; erano ancora parte del popolo.
Se, dunque, Giuseppe conobbe il cristianesimo in Palestina, come è probabile, lo conobbe come una delle tante varianti dell'entusiasmo o del credo religioso, che non si era staccata dalla massa generale, che non aveva ancora preso forma e contorni definiti. In quanto così incoerente e nebulosa, oppure confusa con gli Esseni, può essergli apparsa di scarso significato e facilmente essere passata inosservata quando egli trattò delle principali sette di filosofia ebraica (Guerra Giudaica 2:8, Antichità 18:1). È solo quando assumiamo l'ipotesi corrente relativa all'origine del cristianesimo che il silenzio di Giuseppe appare strano e “freddo”. Ma se esso arrivò “non in modo da attirare l'attenzione”, così che si potesse dire: “Eccolo qui!”; se la sua venuta fosse stata come un dolce gioco di lampi estivi, che illuminano l'intero bacino del Mediterraneo, risplendendo tutt'intorno quasi simultaneamente, può benissimo essere sfuggito a lungo all'identificazione come fenomeno distinto. Soprattutto se, come sembra ora provato in modo decisivo, [6] si fosse trattata in larga misura di una religione misterica propagata in gran segreto, se fosse stata prima sussurrata all'orecchio e solo molto più tardi proclamata sui tetti, [7] se il “bel deposito” [8] della dottrina fosse stato affidato agli iniziati in circostanze gravi e solenne, e solo dopo che “la bella confessione” fosse stata fatta sotto l'imposizione delle mani “davanti a molti testimoni”, [9] allora un culto così segreto, accuratamente “custodito”, sarebbe potuto sfuggire a lungo all'attenzione, o almeno all'attenzione interessata, di un Giuseppe. Queste riflessioni sembrano infrangere completamente la forza dell'argomentazione del grande Vescovo, il cui nocciolo risiede nella tacita assunzione di tutta quella tesi sugli inizi del cristianesimo che ci siamo proposti di confutare.
Come riassumeremo allora la situazione? Così:
(a) È moralmente certo che il brano iosefiano (Antichità 18:3, 3) sia un'interpolazione cristiana.
(b) Il passo iosefiano relativo a Giacomo (Antichità 20:9, 1) è stato certamente alterato da mani cristiane e, come si legge ora, è quasi sicuramente un'interpolazione.
(c) Il capitolo di Tacito è oggetto di gravissimi sospetti.
(d) Le frasi di Svetonio possono essere autentiche, ma non attestano nulla di strettamente rilevante. Lo stesso si può dire della corrispondenza tra Plinio e Traiano.
(e) Anche se si concedesse il massimo valore a queste autorità pagane, esse testimonierebbero solo due cose: (1) che già al tempo di Nerone ci furono a Roma cosiddetti Cristiani o Crestiani, e che essi caddero sotto l'estrema avversione di quell'imperatore. (2) Che già forse nel 117 E.C. l'origine del culto cristiano fu riferita a un Cristo che si diceva fosse stato crocifisso in Giudea da Ponzio Pilato (diciamo il 30 E.C.) ottanta o novanta anni prima, ossia quasi tre generazioni prima.
Più in là di così queste deposizioni profane non vanno. Si vede subito che non toccano il vero punto in questione, e possiamo ora ridichiarare pienamente provata la nostra prima tesi: la letteratura profana esistente è muta sulla vita, sulla vicenda e sulla morte di un Fondatore del Cristianesimo puramente umano.
Ma non potrebbero esistere testimonianze profane non più esistenti, sulle quali si è posato l'oblio dei secoli? Impossibile! Perché ricorda che i cristiani furono accorti e numerosi; che si furono nutriti di controversie secolari; che ebbero tutte le ragioni, gli incentivi e le opportunità per preservare qualunque testimonianza profana dell'origine tradizionale del loro credo, che sarebbe stata preziosa nel loro dibattito con i non credenti. Uomini come Giustino, che scrutarono ogni anfratto e fessura delle Scritture per trovare conferme alla loro storia, come Clemente e gli apologeti che saccheggiarono ogni angolo della letteratura pagana alla ricerca di materiale probatorio, come Melitone e Tertulliano e l'intero alveare laborioso di interpolatori e di falsi nomi che inventarono Storia e scritture di sana pianta a seconda delle necessità — non sei generazioni di costoro, ma tutte quante loro, avrebbero trascurato o tralasciato ogni testimonianza profana a loro favore, quando anche una sola sarebbe stata la fine della controversia?
No! Il fatto che nessuno scrittore cristiano citi una siffatta testimonianza è una prova decisiva del fatto che non ci fosse nessuna testimonianza da citare; e possiamo finalmente affermare che la testimonianza esterna negativa, della storia e della letteratura contemporanee, è tanto chiara, tanto forte, tanto completa e tanto conclusiva quanto, nella natura del caso, sia possibile per una tale testimonianza. La testimonianza interna negativa del Nuovo Testamento stesso è già stata trovata eloquente e inequivocabile. Le controprove positive, in gran numero e varietà, convergono tutte come meridiani sulla stessa tesi. In una parola, il Gesù puramente umano dei critici è negato e il Gesù Divino del proto-cristianesimo è affermato da ogni forma di considerazione che sia stata finora addotta. Di cos'altro c'è bisogno per formare il giudizio di una ragione imparziale?
NOTE
[1] Nel suo articolo “Le Christianisme à Byzance” (Rev. Arché, 1902, I, pag. 79-110), ripubblicato in Cultes, Mythes, et Religions, I, pag. 363-394, S. Reinach riassume il lavoro di molti dotti predecessori e mostra chiaramente che Filopatride è la produzione di “un greco cristiano anti-umanistico” verso la fine del decimo secolo.
[2] I termini usati da Tacito, da Plinio e da Svetonio sono straordinariamente simili e suggeriscono, ma non provano, qualche sorta di interdipendenza o dipendenza comune: Exitiabilis superstitio, superstitionem pravam et immodicam, superstitionis novae et maleficae.
[3] Cfr. 26:28; 1 Pietro 4:16.
[4] Da Χρηστός = Χριστός, Blass, Gram. N. T. Gr., pag. 8, 63.
[5] “Les sectes, si nombreuses dès les premiers temps du Christianisme” (Reinach, Cultes, Mythes, et Religions, i, 397).
[6] Nel presente volume.
[7] Matteo 10:27; Luca 12:3.
[8] παραθήκη, 1 Timoteo 6:20; 2 Timoteo 1:12, 14.
[9] 1 Timoteo 6:12, 13.
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