giovedì 10 ottobre 2024

ECCE DEUS — ADDENDUM I.

 (segue da qui)

ADDENDUM I. 

Il lettore potrebbe non innaturalmente chiedersi: “Ma cos'ha da dire su questo argomento l'illustre Guglielmo Ferrero?” Il suo lavoro notevole sulla Grandezza e Decadenza di Roma verte fino al 14 E.C., appena mezzo secolo prima dell'Incendio; ma altrove, come nella sua opera su Nerone (Characters and Events of Roman History, pag. 103-141), egli esamina l'incendio, anche se non con occhio severamente critico. “La storia della famiglia di Cesare, come è stata raccontata da Tacito e da Svetonio”, egli la considera espressamente un mero “romanzo sensazionale, una leggenda che non contiene molta più verità della leggenda degli Atridi” (pag. 138); eppure, strano a dirsi, proprio dove questo romanzo è meno credibile, dove cessa persino di essere intelligibile, e dove l'attestazione apparente è ridotta della metà, essendo quella del solo Tacito, non supportata da Svetonio, proprio lì lo riconosce avidamente, non solo ad un valore pari, ma persino ad un valore maggiore, e senza il minimo grano di sale critico a salvarlo. Lo testimoniano le seguenti citazioni: 

“Fu ordinata un'inchiesta sulle cause dell'incendio. L'inchiesta giunse a una strana conclusione. Il fuoco era stato appiccato da una piccola setta religiosa...... di cui la maggior parte del popolo aveva appreso il nome per la prima volta: i Cristiani”. 

“Come fecero le autorità romane a giungere a tale conclusione? Questo è uno dei più grandi misteri della storia universale e nessuno sarà mai in grado di chiarirlo. Se la spiegazione della catastrofe accettata dal popolo era assurda, la spiegazione ufficiale lo era ancora di più” (pag. 131).

E ancora: “......ma non furono certo considerazioni filosofiche di questo tipo a portare le autorità romane a infierire sui Cristiani. Il problema, ripeto, è insolubile. Comunque sia, i Cristiani furono dichiarati responsabili dell'incendio; un gran numero fu preso in custodia, condannato a morte, giustiziato in vari modi, durante le festività che Nerone offrì al popolo per placarlo. Forse Paolo stesso fu una delle vittime di questa persecuzione” (pag. 133). 

“Ecco quanto un piccolo fuoco quante legna incendia!” Quanto Ferrero sa di più, circa questa “inchiesta” e questa “indagine”, rispetto a Tacito, eppure Tacito è l'unica autorità di Ferrero, e per di più un'autorità già enfaticamente screditata come “un romanzo sensazionale”! La pianta della Storia sembra portare una difficile annata, e a volte può essere paragonata a un granello di senape. È interessante sorprenderla di tanto in tanto mentre cresce. 

Ma il punto importante è che il brillante italiano dichiara chiaramente e ripetutamente che “il problema è insolubile”. E fa bene. Infatti, anche se nessuno metterà in dubbio l'acutezza della sua facoltà analitica o il vigore della sua capacità di ricostruzione, tuttavia anche questi e altri elementi non sono sufficienti a chiarire la riprovazione generale nei confronti di quei pochi “pii idealisti” che “il popolo soleva chiamare Cristiani”, mentre lo stesso nome non era mai stato sentito “dalla maggior parte del popolo”; o a spiegare come “un gran numero” (in senso stretto “un'immensa moltitudine” — come traducono Church e Brodrib) potesse essere condannato e giustiziato a partire da “una piccola e pacifica comunità”. 

Gibbon, e soprattutto Schiller, hanno sostenuto che furono gli ebrei a essere massacrati in tale numero e tra tali tormenti. Impossibile, come abbiamo visto; perché in tal caso Giuseppe avrebbe saputo e fatto menzione di una tale sciagura sui suoi compatrioti. E perché Tacito dovrebbe commettere l'errore di sostituire i quasi ignoti Cristiani ai famigerati ebrei? Altri hanno ipotizzato che gli ebrei, sotto il patrocinio di Poppea, incitassero Nerone contro i Cristiani: i loro stessi connazionali! Ma questa congettura non solo è una calunnia del tutto gratuita nei confronti degli ebrei, ma presuppone un odio acerrimo e un antico rancore degli ebrei nei confronti dei loro fratelli cristiani, come era irreale e impossibile a quel tempo persino a Gerusalemme, e ancor più tra gli ebrei liberali della Diaspora (confronta Atti 21:20; 28:17-25). Inoltre, se gli ebrei avessero calunniato i cristiani in modo così infame e rovinoso, perché nemmeno uno tra tanti autori cristiani, che avrebbero tutti sfruttato avidamente un fatto del genere o una diceria del genere, avrebbe fatto qualche menzione o dato qualche accenno a una tale prodigiosa iniquità? No! Ferrero ha ragione, e la sua ammissione è significativa: è del tutto impossibile comprendere il “mistero” del brano tacitiano considerato autentico; “nessuno sarà mai in grado di chiarirlo”. Quale è dunque l'ovvio suggerimento? Non è forse che l'incomprensibile capitolo sia spurio, o almeno alterato in modo irriconoscibile da un originale ignoto? 

La tentazione di azzardare qualche congettura sulla genesi di questo capitolo (44) e di legarla alla strana sorte degli Annali, preservati nei due unici manoscritti medicei, è grande; però non ci avventureremo in un simile mare di congetture, ma ci fermeremo sulla riva sicura della confessione di Ferrero secondo cui la presunta “autenticità del passo di Tacito” — lungi dall'essere “non soggetta a ragionevoli dubbi” — ci pone di fronte a un enigma insolubile, “uno dei più grandi misteri della storia universale”.

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