sabato 13 aprile 2024

Gli scritti di San Paolo — PRIMA EPISTOLA AI TESSALONICESI (Attacco obliquo contro i predicatori ciarlatani)

 (segue da qui)

IIII

VERSIONE CATTOLICA

1. Attacco obliquo contro i predicatori ciarlatani.

In 2:1-12 Paolo smaschera il male che ha avuto cura di evitare nel corso del suo apostolato tra i Tessalonicesi, e il bene che ha praticato. Non ha fatto per nulla della predicazione un mestiere per arricchirsi, non ha voluto essere a carico di nessuno, ha anche evitato le adulazioni e non ha affatto obbedito alle preoccupazioni di vana gloria: per dirla tutta, la sua predicazione non si è affatto basata sulla ciarlataneria e sull'astuzia. No, ma mentre predicava il vangelo egli ha lavorato notte e giorno per provvedere alla propria sussistenza; la sua condotta è stata quella di un padre, di una madre; la sua vita è stata pura, al riparo da ogni rimprovero. 

Di solito le difese vengono in seguito ad un'accusa e sono destinate a rispondervi. Qualche volta però esse non sono state precedute da alcun rimprovero e le loro formule difensive servono in realtà a mascherare un'offensiva contro avversari che non sono nominati. Il panegirico che Paolo fa qui del suo apostolato è una difesa? È un attacco? La prima ipotesi è incompatibile con l'affetto che Paolo ha per la comunità di Tessalonica, che la comunità di Tessalonica ha per Paolo. I Tessalonicesi così attaccati all'apostolo non avrebbero mai tollerato un'accusa intesa a presentare il loro padre spirituale come un ciarlatano; essi avrebbero immediatamente soppresso quella calunnia e non le avrebbero lasciata prendere forma. Mai, dal canto suo, Paolo avrebbe intrattenuto rapporti con una chiesa nella quale il suo ministero sarebbe stato così indegnamente travestito.

D'altronde, supponiamo per un momento che egli sia stato ridotto a giustificarsi contro infamanti menzogne, egli non avrebbe certo risparmiato i suoi accusatori; la sua risposta vigorosa e perfino violenta non avrebbe avuto nulla in comune con l'apologia paterna che noi leggiamo in 2:1-12. 

Questo brano non è quindi una difesa. È un attacco? Basta esporre l'ipotesi per mostrarne le improbabilità. Essa suppone che i predicatori si siano introdotti nella comunità cristiana di Tessalonica dopo la partenza di Paolo. Questi presunti apostoli hanno cominciato col guadagnarsi la fiducia dei fedeli adulandoli ed impiegando vari procedimenti ciarlataneschi; hanno in seguito estorto denaro agli ingenui; si sono organizzati in maniera tale di vivere a spese della comunità; conducono una vita scandalosa; Paolo informato sul loro conto da Timoteo li denuncia; ma non osando attaccarli apertamente, prende una via obliqua; fa della sua condotta un'apologia il cui significato nascosto è questo: «Io non mi sono arricchito da voi come questi individui a cui date la vostra fiducia, non sono stato a vostro carico come essi lo sono, non vi ho sfruttati come loro...». É proprio lì il ​​significato dell'apologia che è messa sotto i nostri occhi, ma questo significato è nascosto perché Paolo ci tiene a lasciare ai Tessalonicesi la cura di concludere. 

Questa è l'ipotesi. Si vede Paolo che non osa affrontare i suoi avversari e che li colpisce indirettamente? Questo Paolo timido e riservato non è proprio colui che ci si mostra nell'epistola ai Galati. E poi non dimentichiamo che la prima epistola ai Tessalonicesi ha seguìto appena un anno il giorno in cui l'apostolo ha lasciato Tessalonica. I predicatori denunciati qui ci hanno quindi messo un anno a realizzare le loro imprese. Non hanno davvero perso tempo!

Tutto ciò è improbabile. Paolo non ha potuto scrivere l'apologia di 2:1-12 né per difendersi dalle accuse dirette contro di lui, né per attaccare subdolamente gli avversari. La suddetta apologia non è l'opera di Paolo. Occorre cercare altrove la sua origine. Ma prima di ogni ricerca una osservazione preliminare si impone. Fintanto noi credevamo di ascoltare Paolo stesso fare l'elogio del suo ministero, ci era impossibile decidere a priori se questo elogio fosse una risposta alle accuse o un attacco, e dovevamo lasciare la porta aperta ad entrambe le ipotesi. Ora che il Paolo storico è scartato e che siamo in presenza di un Paolo fittizio, non c'è più spazio per un'alternativa. L'apostolo che occupa qui fittiziamente la scena non si difende contro accuse infamanti, prende obliquamente l'offensiva contro avversari misteriosi. 

Non si tratta più per noi di scoprire gli avversari. La segnalazione di cui disponiamo è la seguente: questi uomini predicano il vangelo esattamente, perché nessuna eresia è loro imputata; ma seducono il popolo con procedimenti ciarlataneschi; per giunta fanno dell'apostolato una fonte di reddito, sono a carico delle comunità e conducono una vita scandalosa.

I marcioniti non hanno nulla in comune con questo ritratto; è quindi in un altra direzione che dobbiamo andare. Un polemista del secondo secolo, Apollonio, disse parlando di Montano (Eusebio, Historia ecclesiastica 5:18, 2-11): 

Egli ha stabilito esattori di denaro; sotto il nome di offerte ha organizzato la raccolta delle donazioni; ha assicurato stipendi ai predicatori della dottrina per procurare all'insegnamento della religione il sostegno della buona cura... Non è chiaro che la Scrittura proibisce al profeta di ricevere doni e denaro? Quando dunque io vedo la profetessa accettare l'oro, il denaro, le vesti lussuose, come potrei non rifiutarla?... Quelli che tra loro sono chiamati profeti e martiri, ricevono sussidi non solo dai ricchi, ma anche dai poveri, dagli orfani e dalle vedove... Bisogna apprezzare i frutti del profeta, perché è dal frutto che si riconosce l'albero.., Ditemi, un profeta frequenta le terme? Un profeta si trucca? Un profeta ama gli ornamenti? Un profeta gioca a dadi? Un profeta si fa banchiere? 


Un altro polemista anonimo della stessa epoca (Eusebio, loc. cit., 5:8) dice che Montano seduceva il popolo con parole lusinghiere hupokoristikon kaï laoplanon pneuma. Egli segnala anche un altro mezzo di seduzione impiegato da questo personaggio, mezzo che consisteva (7) a provare trasporti disordinati e a parlare in estasi. Montano e i suoi collaboratori corrispondono esattamente alle informazioni che ci fornisce l'istruzione 2:1-12 della prima epistola ai Tessalonicesi. Questo brano che, sotto la penna di Paolo, non offre alcun significato, diventa comprensibile quando lo si attribuisce a un cattolico del 165 circa che censura le pratiche montaniste e che, per dare più peso alla sua condanna, fa esporre da Paolo sotto la forma di un'apologia personale il codice del perfetto missionario.

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