venerdì 12 aprile 2024

Gli scritti di San Paolo — PRIMA EPISTOLA AI TESSALONICESI (VERSIONE MARCIONITA)

 (segue da qui)

II

VERSIONE MARCIONITA

Il brano 4:1-8 contiene una lezione di morale della quale quella di 4:9-12, di cui si è parlato più sopra, sarebbe una ripetizione, se non ci fossero due differenze profonde a separarle. Una di queste differenze verte sul fondamento stesso della morale. In 4:1-8 ciò che è proposto è la volontà di Dio il cui oggetto, ci viene detto, è la santificazione del cristiano: siamo di fronte ad una morale mistica. In 4:9-12 i Tessalonicesi devono comportarsi bene a causa di «quelli di fuori»: questo è ciò che si chiama oggi la morale dell'onore. Un'altra differenza deriva dall'atteggiamento di Paolo. In 4:1-8 l'apostolo dice e ridice che, durante il suo soggiorno tra i Tessalonicesi, egli ha insegnato loro cosa dovevano fare per piacere a Dio. In 4:9-12 è da Dio stesso, vale a dire dalla Bibbia, che i Tessalonicesi hanno appreso a comportarsi onorevolmente. Le nostre due lezioni di morale non hanno la stessa origine. Abbiamo visto che 4:9-12 è l'opera di Paolo; il brano 4:1-8 non è suo. La morale mistica che vi è predicata, lo Spirito Santo che vi è presentato come dato da Dio e che ci riporta alla nascita per mezzo dello Spirito del Quarto vangelo 3:6, ci invita ad assegnargli un'origine marcionita. 


L'istruzione 4:13-18 sembra appartenere a 5:1-11 che la segue e di cui ho parlato più sopra (pag. 35). In realtà gli è totalmente estranea. In 5:1-11 si parla del massacro al quale i credenti saranno i soli a sfuggire, quando il Cristo verrà a fondare il regno, ma nessun cristiano è morto. Il brano 4:13-18 (ad esclusione dei versetti 15-16 che sono lì in sovraccarico) conosce i cristiani che sono morti; spiega che questi cristiani morti sono, sin d'ora, con il Cristo e, di conseguenza, risiedono in cielo; aggiunge che i vivi andranno a unirsi a loro prossimamente.

Se crediamo che Gesù è morto ed è risorto, allora Dio porterà per mezzo di Gesù e con lui quelli che sono morti. In seguito noi vivi che restiamo ascenderemo tutti insieme con loro sulle nubi incontro al Signore nell'aria e così saremo sempre con il Signore. 

La dottrina insegnata qui è quella che scatenava l'indignazione di Giustino e di Ireneo, vale a dire la dottrina della vita futura senza la resurrezione. Essa manda immediatamente dopo la morte le anime dei cristiani in cielo. Essa aspetta da un momento all'altro il giorno del Signore che Paolo ha introdotto nella dogmatica cristiana, ma lo sublima. Il suo giorno del Signore, che non ha nulla in comune con quello di Paolo, è il giorno in cui il corso del mondo attuale cesserà e in cui gli uomini riceveranno il loro alloggio definitivo. Non ci viene detto ciò che diventeranno i cattivi, ma ci viene insegnato che i buoni cristiani si eleveranno nell'aria verso il Signore Gesù che ha già in sua compagnia le anime dei cristiani morti. Questa è la dottrina di Marcione. 

I versetti 15-16 ci mostrano morti che risorgono, dunque che escono dalla tomba e che devono ascendere dalla terra al cielo. Ciò è in opposizione con 14 dove i morti sono portati con Gesù che è in cielo. Questi due versetti sono un'interpolazione cattolica designata a introdurre nell'istruzione la dottrina della resurrezione. L'autore ha nascosto il suo ritocco attingendo dalla prima versione l'espressione «Noi vivi che restiamo». Ecco ciò che spiega perché la suddetta espressione appare due volte (è 15 che attinge da 17).

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