giovedì 11 aprile 2024

Gli scritti di San Paolo — PRIMA EPISTOLA AI TESSALONICESI (VERSIONE PAOLINA)

 (segue da qui)

PRIMA EPISTOLA AI TESSALONICESI

Tessalonica, grande città della Macedonia, fu evangelizzata da Paolo intorno al 49. Alcuni ebrei e diversi pagani iniziati al giudaismo diedero la loro adesione al predicatore che dimostrava per mezzo degli oracoli dei profeti che il Messia, vale a dire l'uomo incaricato da Dio di restaurare il regno d'Israele, doveva passare preliminarmente per la morte prima di eseguire il suo programma (Atti 17:3-4). Il raccolto si annunciava buono. Ma Paolo non tardò ad essere accusato dinanzi ai magistrati di fare la propaganda per «un altro imperatore, Gesù» (ib., 7). Dovette partire precipitosamente. Si domandò allora con preoccupazione se il suo allontanamento non sarebbe stato fatale ai frutti che il suo apostolato aveva raccolto a Tessalonica. Così, non appena l'occasione si presentò, incaricò Timoteo di andare a informarsi. Timoteo riportò buone notizie. Allora Paolo felice scrisse una lettera che, nel corso del secondo secolo, ha ricevuto importanti aggiunte. Prendiamo dapprima conoscenza di ciò che appartiene a Paolo.

I

VERSIONE PAOLINA

La versione paolina comprende il capitolo primo; il brano che va da 2:17 a 3:13; le istruzioni 4:9-12 e 5:1-11 sotto sottrazione di 5:10; infine il versetto 5:26.

Nel capitolo 1 Paolo colma di elogi i Tessalonicesi. La fede di cui parla il versetto 3 è la credenza nella regalità di Gesù. La speranza è l'attesa della sua venuta per inaugurare il regno. La carità è la buona armonia che deve regnare tra i membri della comunità cristiana. La carità è anteposta alla speranza il cui oggetto è situato nel futuro, mentre l'oggetto della carità appartiene invece alla vita presente. Paolo ha posto le fondamenta per l'edificazione delle virtù teologali. 

I Tessalonicesi hanno imitato Paolo nel senso che, come Paolo, hanno creduto nella regalità di Gesù. In 9 leggiamo che i Tessalonicesi si sono «allontanati dagli idoli». Notiamo che Paolo ha portato alla fede cristiana dei «timorati di Dio», vale a dire uomini che frequentavano la sinagoga e praticavano la religione giudaica. Il suo apostolato presso di loro non è dunque affatto consistito nell'allontanarli dagli idoli, perché ciò era già fatto. Egli si è limitato ad istruirli sulle modalità della restaurazione del regno d'Israele che tutti aspettavano, per spiegare loro che il restauratore doveva morire prima di inaugurare il regno. Il versetto 9 contiene quindi una distorsione dei fatti; ma quella distorsione è voluta. Paolo, che esecra gli ebrei, finge di dimenticare che gli ex pagani ai quali si rivolge avevano già rinunciato agli idoli quando è venuto da loro, e che la loro conversione al culto del vero Dio era proprio l'opera del giudaismo. Esagera per partito preso la portata del suo apostolato. 

Quanto a 10, «l'ira imminente» di cui parla deve colpire tutti coloro che, mettendo Gesù a morte, hanno preteso di impedire di fondare il regno, anche tutti coloro che rifiutano di riconoscere la regalità di Gesù, che non credono che Gesù risorto dai morti ritornerà a fondare il regno. Quell'ira è un adattamento di quella con cui i profeti dell'Antico Testamento (Isaia 13:9; 63:3; Sofonia 1:15, ecc.) minacciano i nemici di Jahvé. [1] Ma è Paolo che è andato a prenderla negli scritti dei profeti e che l'ha adattata al programma messianico di Gesù. 

Nel brano 2:17-3:13 Paolo spiega di aver tentato due volte di ravvedere i Tessalonicesi e che, impedito da «satana» a realizzare il suo progetto, ha inviato al suo posto Timoteo. Il «satana» di cui parla è probabilmente l'autorità romana che, prestando il suo sostegno agli ebrei, intralciava Paolo. In ogni caso questo termine è inteso nel senso che gli dà l'Antico Testamento, dove designa qualsiasi uomo che sia avversario di un altro. È così che, in 1 Re 5:18 (nella Vulgata 3 Re 5:4) Salomone disse: «Ora Jahvé il mio dio mi ha dato riposo da ogni parte; non vi è più satana, non vi sono più calamità» (si veda il Thesaurus di Gesenius). Si deve quindi leggere 2:18 come se avesse: «L'avversario ci ha impedito». È così l'autorità romana a costituire il tentatore di 3:5. Inutile dire che questi due termini misteriosi sono stati suggeriti a Paolo da un senso di prudenza molto naturale. Sono come password che gli iniziati soli potevano capire.


Senza far entrare nel suo programma le preoccupazioni morali nel suo programma, Paolo non voleva nemmeno che il piccolo gruppo di cui era il capo fosse, per quelli «di fuori», un oggetto di disprezzo e di derisione. Da lì gli avvertimenti raggruppati in 4:9-12. La lezione di buona condotta è data con molta delicatezza, ma è data. E si vede che l'affidabilità dei cristiani di Tessalonica non era perfetta. Gli insegnamenti forniti da Dio relativamente all'amore fraterno di cui parla 4:9 sono quelli che si leggono nell'Antico Testamento. Si veda Deuteronomio 15:2, 7; 22:1; Levitico 19:16-18, ecc.


Quanto all'istruzione 5:1-11, il «giorno del Signore» di cui tratta è il giorno in cui Gesù inaugurerà il suo regno. L'inaugurazione consisterà nella manifestazione dell'«ira» di cui parla 1:10, vale a dire del massacro di tutti i miscredenti. Quando il terreno sarà sgombrato, il Cristo fonderà a Gerusalemme il suo regno di cui faranno parte i credenti che sono i veri figli di Abramo. Ma Paolo, che ha colmato i Tessalonicesi di complimenti, non ha potuto però nascondere che la loro fede era vacillante poiché, in 3:10, dà al suo progetto un principio di esecuzione nella lezione 5:1-11 il cui vero significato mascherato da un artificio di linguaggio è questo: «Voi avete torto a dubitare delle mie predizioni col pretesto che nulla sia ancora venuto, che nulla annunci neppure uno sconvolgimento imminente. Il giorno del Signore verrà come il ladro durante la notte. Egli verrà all'improvviso, nel momento in cui nessuno lo ascolterà. Gli infedeli saranno tutti sterminati, nemmeno uno sfuggirà. Ma noi, noi saremo risparmiati se siamo rivestiti della corazza della fede e della carità, e se abbiamo la speranza come elmo salvatore (reminiscenza di Isaia 59:17)». 

NOTE

[1] Si veda l'Epître aux Romains, pag. 18. 

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