mercoledì 10 aprile 2024

Gli scritti di San Paolo — EPISTOLA AI FILIPPESI (VERSIONE CATTOLICA )

 (segue da qui)

III. — VERSIONE CATTOLICA 

Ritorniamo all'oracolo 2:1-11. Esso parla della venuta del Cristo sulla terra, e si è visto in quali termini ne parla. Ma tratta anche del soggiorno del Cristo in cielo, del soggiorno che precedette la venuta in mezzo agli uomini, del soggiorno che seguì la morte sul calvario. Prima di discendere sulla terra, il Cristo «era nella forma di Dio» e possedeva «l'uguaglianza con Dio». Quando il Cristo è ritornato al cielo dopo la sua morte sulla croce, «Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome al di sopra di ogni nome», così che «Gesù Cristo è signore». Fermiamoci davanti a queste formule. Le prime due sono singolarmente contorte. Se l'autore crede che il Cristo, prima di venire sulla terra, possedeva la divinità, perché non dice semplicemente che il Cristo era Dio? Le espressioni contorte di cui si serve sono di natura tale da risvegliare i nostri sospetti. Sospetti che non tardano a divenire certezze. Apprendiamo che il Cristo, dopo il suo ritorno al cielo, è stato «esaltato» da Dio che gli ha donato il titolo e la funzione di «signore», vale a dire di padrone del mondo. L'Essere supremo non può salire nella scala delle perfezioni, poiché le possiede tutte; e non può essere promosso alla dignità di «signore» o padrone del mondo, poiché il mondo è opera sua. Il Cristo che, al momento del suo ritorno al cielo, è stato «esaltato» da Dio, che, in ricompensa per la sua devozione, ha ricevuto l'impero del mondo, è senza dubbio un personaggio molto augusto, ma non possiede la divinità. Poiché non possiede la divinità dopo il suo ritorno al cielo, non la possedeva nemmeno prima di venire sulla terra. La «forma» di Dio, nella quale era allora, deve quindi essere intesa nel senso di una maniera di essere, che gli conferiva le apparenze esteriori della divinità senza dargliene la realtà. E l'«uguaglianza con Dio» di cui godeva era una uguaglianza generica analoga a quella che esiste quaggiù tra il figlio e suo padre (si veda più oltre, pag. 30). 

Il Cristo considerato durante il suo duplice soggiorno in cielo ha solo le apparenze della divinità. D'altra parte, durante il suo soggiorno sulla terra, aveva solo le apparenze dell'umanità. Ecco il risultato al quale ci ha condotto lo studio dei testi. E questo risultato ci mette di fronte un enigma la cui soluzione si trova nello stato della cristologia nel corso del secolo che va dal 130 al 240 circa. Due scuole se la contendono. Da un lato Giustino, Ireneo, Clemente d'Alessandria, Tertulliano, Origene (ai quali si deve associare l'autore agli Ebrei, si veda più oltre, pag. 122); dall'altro, Marcione e i suoi discepoli, il primo scrittore del Quarto vangelo, il primo scrittore delle Lettere Ignaziane, poi la chiesa di Roma. Nella prima scuola si è d'accordo nel professare che il Cristo è Dio; ma si insegna anche che, considerato prima della sua venuta sulla terra e al di fuori della sua natura umana, il Cristo è il subordinato del Padre dell'universo, l'esecutore delle sue volontà; talvolta gli si rifiuta addirittura l'eternità. Per dirla tutta, si ammette la divinità di Cristo solo a parole, di fatto la si respinge. [1] E questo stato d'animo si è prolungato, perché è solo con Agostino che la Chiesa cattolica è arrivata alla divinità assoluta del Cristo, vale a dire all'identità tra la natura divina del Cristo e la natura del Padre. 

Da Marcione lo spettacolo è diverso. Lì si insegna che il Cristo è lo stesso Dio buono che, volendo strappare gli uomini al giogo del Dio malvagio, è venuto sulla terra con le apparenze di un corpo umano. Il Cristo marcionita disse: «Io e il Padre siamo una cosa sola»; «Colui che ha visto me ha visto il Padre»; «Io sono nel Padre e il Padre è in me». Dal 130 circa la scuola marcionita professava la divinità assoluta del Cristo, mentre molto tempo dopo, la metà della Chiesa cattolica attaccata a un Cristo che essa proclamava dio pur rifiutandogli la divinità vera, era in un impasse da cui Agostino, per prima, mediante prodigi di sofistica, riuscì a liberarla.

Sono quindi esistite, dal 130 circa, due cristologie rivali che si disputano la coscienza cristiana. Ma diciamo che entrambe si sono ritrovate nell'oracolo 2:1-11 e che l'amalgama che ne è risultato ha imbrogliato tutto.  Se, col pensiero, le separiamo, tutto si chiarisce. Il Cristo che ha preso solo le apparenze dell'umanità, che di conseguenza è spirituale, è il Dio buono di Marcione. Il Cristo che, in ricompensa della sua dedizione per gli uomini, è stato «esaltato» e costituito padrone del mondo da Dio, è il Cristo cattolico. L'editore marcionita non ha potuto mancare di fare una professione di fede nettissima nella divinità assoluta del suo Cristo; e ha dovuto dare al testo 2:6 pressappoco il tenore che segue: 

Lui che, essendo Dio, non ha considerato la sua divinità come una preda di cui si rifiuta di privarsi.

La sua versione continuava in 7 ed 8, poi passava da lì a 12. Venuto una ventina d'anni dopo, l'editore cattolico si è dedicato sulla versione marcionita ad una duplice opera di aggiunta e di correzione. L'aggiunta è consistita nell'inserire i versetti 9-11 dove si vede il Cristo ricompensato da Dio. La correzione ha riguardato 6 la cui professione di fede primitiva è stata offuscata. Al Cristo che, essendo Dio, non ha fatto della sua divinità una preda di cui si rifiuta di privarsi, l'editore cattolico ha sostituito il Cristo che, essendo nella forma di Dio, non ha fatto della sua eguaglianza con Dio una preda. La «forma di Dio», vale a dire l'apparenza della divinità, è un'imitazione della «forma di schiavo» del Cristo marcionita che aveva l'apparenza della natura umana. Quanto all'uguaglianza con Dio, per capirla, bisogna mettersi alla scuola dei Padri greci Atanasio, Basilio, Gregorio di Nissa che insegnano che il Figlio è uguale al Padre, ma che intendono quella uguaglianza in senso generico. [2

Il commentario segnalerà un'altra interpolazione cattolica in 3:20b-21. 

In sintesi, l'epistola ai Filippesi è un corso di teologia marcionita, nel quale due o tre note di Paolo ai Filippesi sono state incorporate, e che è stato neutralizzato più tardi da tre glosse cattoliche.

NOTE

[1] Si veda Coulange, Le Christ alexandrin, in Revue d'Histoire et de Littérature religieuses, 1913, pag. 337.

[2] Coulange, Métamorphose du Consubstantiel, nella Revue d'Histoire et de Littérature religieuses, 1922, pag. 169.

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