giovedì 5 gennaio 2023

Origini Sociali del Cristianesimo«Nei giorni del re Erode»

 (segue da qui


«Nei giorni del re Erode».

Guardiamoci però dal credere che questo tradizionalismo  comportasse l'immobilismo dottrinale o culturale. La gente che si crede più conservatrice è spesso la più audace innovatrice, perché si rappresenta il passato non come avrebbe potuto vederlo, ma come lo ha sognato. Le riforme più audaci sono state fatte in nome di una presunta tradizione che si voleva restaurare. Le vecchie pratiche e i vecchi miti sono attraenti per le masse solo nella misura in cui rispondono alle sue preoccupazioni vitali. Sopravvivono in situazioni nuove solo assumendo a loro volta un nuovo significato. Si evolvono del tutto naturalmente, e di solito inconsciamente, nella stessa misura in cui si trasforma lo stato sociale nel quale sono inseriti.

Ora la situazione in Palestina si era modificata nel corso degli ultimi decenni che precedettero l'entrata in scena del cristianesimo. Il governo nazionalista e teocratico che si era costituito in reazione all'ellenismo sotto il forte impulso dei Maccabei, e che si era mantenuto e persino consolidato sotto i loro successori Asmonei, era appena crollato sotto la pressione brutale di Pompeo. [1] Ai tempi della sua potenza aveva conquistato diversi paesi vicini, in particolare l'Idumea, e vi aveva imposto con la forza il giudaismo. Fu un Idumeo, così schierato per la causa israelita, un mezzo ebreo, Antipatro, ad avere la successione. Aveva dato un soccorso molto attivo a Cesare durante la campagna d'Egitto. La ricompensa non si fece attendere, perché ricevette presto l'amministrazione della Giudea. Suo figlio Erode ebbe quella della Galilea. Vi si distinse per aver ripulito il paese dai suoi numerosi briganti. Già si affermavano in lui le qualità di capo che gli avrebbero meritato il soprannome di «Grande».

Alla morte di Antipatro, Erode raccolse l'eredità paterna. La sua politica molto flessibile gli permise di intrattenere buoni rapporti con Cassio, l'assassino di Cesare, con Antonio, vincitore di Cassio, infine con Ottaviano, quando quest'ultimo ebbe trionfato su Antonio e assunto il titolo di imperatore e di Augusto. Il suo atteggiamento deferente nei confronti di quest'ultimo gli valse la concessione della Samaria, la cui capitale ricevette il titolo di «Sebaste» e il cui porto, precedentemente chiamato «Torre di Stratone», recò da allora il nome di «Cesarea». Egli si vide attribuire anche la regione del Giordano superiore, con la città di Panea, vicino alla sorgente di questo fiume, dove fece costruire, in onore di Augusto, un magnifico tempio. A ciò vennero presto ad aggiungersi i vasti territori della Transgiordania, in ricompensa degli sforzi fortunati che aveva fatto per ristabilirvi l'ordine turbato dai briganti. Quando morì, nel 4 prima della nostra era, era il padrone di tutta la Palestina.

Così raggruppato sotto una mano vigorosa e dotato di un'abbastanza ampia autonomia, il giudaismo prese una nuova consapevolezza della propria forza. Erode stesso, che non ignorava il potere delle tradizioni religiose, si applicò a proteggerle. Per darsi, agli occhi dei veri Israeliti, la legittimità che gli mancava, aveva sposato, nel 37, la nipote del re asmoneo Ircano II, Mariamne o Maria. Nel 19, si era impegnato a ricostruire il vecchio tempio di Gerusalemme, su un piano sontuoso, con una munificenza che non si sottraeva dinanzi ad alcun sacrificio. I lavori dovettero durare a lungo. Essi intrattennero nel paese una sorta di febbre religiosa, da cui sarebbe risultata, all'inizio della nostra era, una forte ondata di misticismo. [2]

Ma Erode era soprattutto ansioso di compiacere i padroni del momento. Già al tempo di Antonio aveva fatto erigere, a nord del santuario, un'alta torre, da lui chiamata «Antonia», da cui si dominavano i sacri cortili. Più tardi, eresse, al di sopra di una porta del tempio, una grande aquila d'oro, che simboleggiava agli occhi di tutti la potenza imperiale. È nello stile ufficiale dell'epoca che fece restaurare l'intero edificio. Costruì a Gerusalemme un teatro e, in una valle vicina, un anfiteatro e un ippodromo dove furono dati giochi splendidi, simili a quelli che si celebravano in tutto l'Impero. In diverse città del regno furono costruiti, in onore di Augusto, templi magnifici. Tale fu quello di Panea, fatto di una bella pietra bianca, in un sito imponente nella gola ripida da cui nasce il fiume Giordano. Tale anche quello del porto di Cesarea, che offriva da lontano agli occhi dei marinai una statua dell'imperatore e un'altra di Roma. Non furono solo le città palestinesi a beneficiare di questi favori del sovrano. Anche Tiro, Sidone, Berita, Biblo, Tripoli, Antiochia, Rodi, Atene e Sparta ne sentirono gli effetti. Ovunque rovine riparate, santuari instaurati, monumenti eretti in onore di Cesare, proclamavano la munificenza di Erode e la sua provata fedeltà. L'accordo tra giudaismo e cultura occidentale, che diversi monarchi seleucidi avevano tentato invano, e che aveva provocato la reazione nazionalista dei Maccabei, sembrava dover effettuarsi senza urti, su iniziativa del genero ed erede di Ircano. [3] Eppure sorde resistenze ai affermavano. I tradizionalisti, già poco soddisfatti di vedersi governati da un idumeo, che era per loro solo un mezzo ebreo, si lamentavano di un tale avvicinamento, che consideravano una sorta di rinnegamento del passato di Israele. Non osavano protestare troppo apertamente, perché sapevano che le rappresaglie sarebbero state terribili. Ma attendevano solo un'occasione propizia per manifestare la loro opposizione. Un giorno, quando Erode, colpito da una malattia grave, passò per morto, l'aquila d'oro, che aveva fatto collocare su una porta del Tempio, fu abbattuta a colpi di scure in pieno giorno. Il vecchio re mostrò di essere ancora vivo. I colpevoli furono arrestati e bruciati vivi. [4

La politica filoimperiale dispiaceva tanto più in quanto gravava pesantemente sulle finanze pubbliche. Le costruzioni sontuose costavano carissimo. Provocavano un rapido aumento delle tasse. Il lusso ufficiale si accompagnava ad una grande miseria. Ne risultò un profondo malcontento delle masse che, senza limitarsi all'ambito religioso, esercitava su di esso una grande influenza. I pii ebrei chiedevano nei loro auspici un ordine nuovo, in cui Dio avrebbe regnato da padrone e vegliato sui suoi eletti.

Così la Palestina era scossa e lacerata da correnti opposte. Sottomessa ad una dominazione per metà straniera, che la spingeva ad avvicinarsi ai pagani, sembrava disposta a piegarsi alle circostanze, a darsi una cultura più ampia, una religione più libera dalle tradizioni razziste. Offesa d'altronde nel suo amor proprio e nei suoi pregiudizi, era portata a irrigidirsi in un atteggiamento difensivo, a opporsi contro ogni intrusione dall'esterno, a chiudersi in un vasto ghetto. Di questi impulsi contrari, che si rafforzavano contrapponendosi, uno doveva condurre al Vangelo, l'altro al Talmud. L'uno come l'altro risultano dal regime stabilito da Erode. Non è affatto per caso che il nome di questo re si trovi iscritto in testa al Nuovo Testamento, all'inizio del racconto della nascita del Cristo. Si può dire, oltrepassando la lettera del testo, che vi è lì una certa relazione tra causa ed effetto. È in parte dall'orientamento impresso al paese dalla politica del capo idumeo che è nato il cristianesimo. 

NOTE DEL CAPITOLO 2

[1] FLAVIO GIUSEPPE, Antichità giudaiche, libro 14.

[2] ID., ibid., 15:11.

[3] ID., ibid., 15:8 e 16:5.

[4] ID., ibid., 17:6.

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