giovedì 12 gennaio 2023

Origini Sociali del CristianesimoI Pellegrini

 (segue da qui)

I Pellegrini.

Vi erano, però, perfino in questo mondo chiuso delle correnti interne che facevano circolare una certa vita. Le feste religiose ne fornivano il nutrimento. Quelle della Pasqua e della Pentecoste, che erano celebrate con il massimo splendore, svolgevano in questo senso un ruolo eccezionale. Pii israeliti venivano allora non solo dalla Giudea, dalla Galilea, dalla Transgiordania, ma da tutto il mondo conosciuto. A lungo questi pellegrinaggi erano stati ostacolati dalle guerre incessanti che dilaniavano l'Oriente e dall'insicurezza delle strade, dove si rischiava sempre di essere assaliti dai briganti. Ma dopo le conquiste romane, che avevano messo fine alle guerre e ai saccheggi, si viaggiava molto. Gli ebrei, sparsi ai quattro venti, ci tenevano a riprendere contatto con la Terra Santa dove riposavano i loro padri. Un passo del libro degli Atti [10] fa un'enumerazione suggestiva di tutti questi ritorni. Vi si vedono sfilare «Parti, Medi, Elamiti, coloro che abitano la Mesopotamia, la Cappadocia, il Ponto, l'Asia, la Frigia, la Panfilia, l'Egitto, le parti della Libia, presso Cirene, e i pellegrini romani». Questa gente veniva per soddisfare la loro devozione ai luoghi sacri. Non erano quindi certo dei rivoluzionari. Ma portavano con sé l'aria del loro paese d'adozione, il suo spirito, i suoi costumi.

Coloro che appartenevano alla regione del Nilo avevano contratto una preoccupazione ossessiva del loro destino nell'oltretomba e del viaggio pericoloso che l'anima doveva compiere dopo la morte nelle regioni dell'aldilà. Alcuni avevano frequentato le scuole di Alessandria, avevano letto Filone, portavano nel cortile del Tempio opinioni spiritualiste che contrastavano singolarmente con il ritualismo ufficiale. Tutti leggevano la Bibbia nella traduzione greca dei Settanta, che era stata presentata un tempo da uno di loro in una pretesa «Lettera di Aristeo» come un'opera ispirata da Dio e che, grazie a quella leggenda, aveva finito per fare autorità in Palestina. Avevano, inoltre, i libri sacri di origine egiziana, per esempio la «Sapienza di Salomone», che tendeva a prendere posto nella raccolta biblica accanto ai Proverbi e all'Ecclesiastico, e i testi sibillini, la cui diffusione era già grandissima in tutto il mondo ebraico e doveva estendersi alla Chiesa cristiana. 

I pellegrini venuti dall'Eufrate portarono con sé novità di un altro genere. Vivendo in un ambiente tutto intriso di tradizioni «caldee», se ne facevano naturalmente i venditori. Secondo queste dottrine, reputate per la loro elevata antichità, gli Astri, o più precisamente i Principi dell'Aria, Angeli o Demoni, di cui essi non erano che l'immagine visibile, reggevano il corso delle vicende umane, che si trovavano così sottomesse alle leggi rigorose di una inflessibile fatalità. Il Sole, essendo il padrone supremo del cielo, era anche l'arbitro sovrano dei destini. I sette pianeti presiedevano al ciclo incessante dei sette giorni della settimana. Le dodici costellazioni dello zodiaco assicuravano la successione regolare dei dodici mesi. Quelle delle altre regioni del firmamento, senza avere la stessa potenza, esercitavano pure un'azione decisiva, talvolta buona, talvolta cattiva, su questo basso mondo. Chiunque conoscesse le posizioni rispettive di queste Virtù celesti, il carattere di ciascuna e le loro congiunzioni variabili, poteva prevedere il futuro. Molta gente non mancava di farlo e ricavava sapienti oroscopi in cui comunicava con disinvoltura la buona fortuna. Tutte queste credenze e queste pratiche avevano assunto, tra gli ebrei d'Oriente, una forma semi-ortodossa. Penetrarono con loro nella Città santa e vi diedero luogo a ogni sorta di speculazioni e di ricette magiche sul culto degli Angeli.

Non meno suggestivi per la fede ebraica erano i temi religiosi con cui i pellegrini provenienti dal nord della Siria, dalla Cappadocia, dalle montagne siriane, potevano intrattenere i loro correligionari della madrepatria. Ovunque avevano visto rappresentare, nelle piazze pubbliche, ai crocevia delle grandi vie, nelle case private, Figli di Dio dai vari nomi ma dai volti abbastanza poco dissimili, che passavano per essere vissuti una volta tra gli uomini. Avevano sentito parlare delle loro imprese miracolose e anche delle prove sopportate da loro nella loro esistenza terrena. Avevano assistito da lontano alle cerimonie annuali con le quali, intorno al tempo della Pasqua ebraica, i fedeli commemoravano la loro fine tragica. Nell'associarsi, per il banchetto pasquale, ai loro fratelli di Palestina, questa gente, nutrita di ricordi biblici, non dovette evocare spesso l'«Ebed-Jahvè», «servo» o «figlio» di Dio che, nella raccolta di Isaia, è «condotto come un agnello al macello», ma che è in seguito tanto più esaltato quanto è stato dapprima umiliato e martoriato? [11] Nel pensiero dell'autore, il testo si adattava a figura di Israele. Di buon'ora esso dovette essere preso alla lettera, come avviene in un episodio singolare del libro degli Atti [12] in cui un proselita, «venuto a Gerusalemme per adorare», se lo sente spiegare mediante il dogma cristiano del Figlio di Dio fatto uomo.

Ancora più importante era l'azione esercitata dai pellegrini di Roma. Costoro, trovandosi al centro dell'Impero, sentivano meglio di altri la grandezza e la forza di quel vasto agglomerato, che tendeva a inglobare tutto il mondo conosciuto. Vedevano meglio il posto che vi occupavano i loro correligionari sparsi in tutti gli angoli del cielo, sotto i climi più opposti, tra i popoli più diversi. Così sognavano una sorta di imperialismo religioso che avrebbe riunito la terra intera all'unico vero Dio, quello di Israele. D'altra parte, avevano acquisito nella loro nuova patria il senso della disciplina. Erano favorevoli alla accettazione leale del potere stabilito e lo sostenevano a maggior ragione perché conoscevano meglio la forza dell'Impero e i benefici della pace romana. 

Così Gerusalemme era il centro di una vita intensa e traboccante, dove le tendenze più opposte si affrontavano senza scontrarsi e finivano per armonizzarsi senza mai confondersi. Il giudaismo ufficiale vi imponeva la sua legge, valendosi di una tradizione antichissima. Ma una sorta di pre-cristianesimo vi si preparava nell'ombra, sotto la pressione di circostanze nuove e di nuovi bisogni. L'uno viveva come ripiegato su sé stesso. Voleva che il mondo intero venisse in Palestina. L'altro si apriva più ampiamente alle influenze esterne. Univa alle tradizioni di Israele quelle ben più ricche dell'Egitto e della Caldea, della Grecia e di Roma. Per questo doveva arrivare a soddisfare le tendenze più divergenti e a realizzare la conquista spirituale di una parte del mondo. 

NOTE DEL CAPITOLO 2

[10] Atti 2:9-10.

[11] Isaia 42 e 53. 

[12] Atti 9:27-35.

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