lunedì 13 settembre 2021

L'effusione dello Spirito

 (segue da qui)

IV. — L'EFFUSIONE DELLO SPIRITO

Negli Atti degli Apostoli, si legge al capitolo 19:

«Lo Spirito Santo scese su di loro (sui discepoli) e parlavano in lingue e profetavano. Erano in tutto circa dodici uomini».

Questo passo non figura, come si potrebbe crederlo, nel racconto della Pentecoste. Non si tratta dei discepoli di Gesù. Si tratta dei dodici discepoli di Giovanni il Battista.

Esiste in effetti, tra il racconto della Pentecoste (Atti 2) e quello della conversione e del battesimo dei dodici discepoli di Giovanni il Battista a Efeso, un parallelismo impressionante. È comprensibile che lo svedese STROEMHOLM, su The Hibbert Journal dell'ottobre 1926, sia stato indotto a sostenere che il resoconto della Pentecoste dipende da quello della conversione dei discepoli di Giovanni.

Questo racconto è uno di quelli che hanno più imbarazzato i teologi. L'hanno dichiarato «uno dei passi più enigmatici del Libro degli Atti», e hanno tentato di tirarsi d'impiccio ricorrendo alla facile scappatoia del «testo corrotto o rimaneggiato». [1]

La dipendenza affermata da STROEMHOLM diventa evidente quando si esamina da vicino il racconto della Pentecoste. Vi si constata una singolare contraddizione: Sotto l'azione dello Spirito Santo, i discepoli di Gesù si mettono a parlare in lingue straniere, così bene che gli stranieri che soggiornano a Gerusalemme sono sorpresi di sentirli parlare le loro stesse lingue. Ma certi concludono: «Sono ebbri di vino dolce».

Sembra innaturale che la facoltà di parlare in modo comprensibile in lingue straniere faccia sospettare qualcuno di essere in stato di ebbrezza, ma questa insinuazione si comprende perfettamente se si intende il termine «parlare in lingue» nel senso primitivo di glossolalia: proferire parole sconnesse e suoni inarticolati. Ricordiamo che secondo 1 Corinzi 14:23, i glossolali danno ai profani l'impressione di essere «folli». Questa estasi poteva quindi facilmente essere scambiata per uno stato di ebbrezza, e diventa evidente che il passo che parla di vino dolce appartiene a uno stato primitivo del nostro racconto. L'autore del testo attuale, ignaro di cosa fosse parlare in lingue, ha immaginato questa nuova interpretazione: il dono miracoloso di parlare lingue straniere senza averle apprese.

Favorita dall'equivoco del termine parlare in lingue, la trasposizione si è verificata mediante assimilazione con la Pentecoste ebraica, festa che commemorava la promulgazione della Legge sul Monte Sinai. Questa era: 

...il famoso giorno 

Dove sul monte sinai la Legge ci fu data.

La Bibbia descrive i fenomeni che hanno accompagnato questo evento fondamentale della religione ebraica, e Racine li ha ricordati:

O montagna di Sinai! Conserva la memoria 

Di quell'augusto e memorabil giorno...

Tu dinne perché mai cotanti fuochi e lampi, 

E vortici di fumo empiean gli aerei campi?

Forse ei venne

Su le penne

De' neri venti

Tutto a sconvolgere il sito e l'ordine

De gli elementi ?

O pure a scuotere la terra immobile 

Da i fondamenti ? 

Era per gli ebrei l'evento più glorioso e più sacro della loro storia. Non poteva dunque mancare di attirare i sarcasmi dei Mandei, che ne hanno fatto l'odiosa parodia tradotta al N° 6 dei nostri Testi mandei.

Per sottolineare la natura universale della Legge promulgata sul Sinai, la tradizione rabbinica aggiunge che la voce di Dio si divise in sette lingue, ciascuna delle quali a sua volta si divise in altre dieci lingue, cosicché la Legge fu promulgata in settanta lingue in tutto,  numero che rappresenta, secondo la tradizione ebraica, la totalità delle lingue parlate sulla terra. (Gli ebrei contavano settanta nazioni sulla terra in tutto, per questo, in Luca 10, Gesù fa annunciare il Vangelo da settanta apostoli).

Da allora, si comprende facilmente cosa sia successo: l'editore cattolico del Libro degli Atti, ben versato nella letteratura ebraica del suo tempo, ma inconsapevole di cosa significasse parlare in lingue, ha associato alla Pentecoste ebraica l'effusione dello Spirito Santo sui discepoli di Gesù. È da là che ha attinto sia le fiamme che le lingue straniere. Queste attestano la natura universale del Vangelo, che dovrà da ora in avanti sostituire la Legge: Per mezzo di un'interpolazione con ripresa, [2] artificio letterario che gli è familiare, egli introduce l'enumerazione degli stranieri sorpresi di sentire le loro stesse lingue a Gerusalemme. Se si eliminano gli elementi così aggiunti dall'autore cattolico, si ottiene lo stato primitivo del racconto che è strettamente conforme a quello dell'effusione dello Spirito Santo sui discepoli di Giovanni al momento della loro conversione e del loro battesimo (Atti 19).

Ecco dunque un esempio caratteristico di un racconto che si riferiva originariamente ai discepoli di Giovanni il Battista, e che l'autore cattolico ha associato ai discepoli di Gesù. È anche un documento che mostra l'evoluzione del «parlare in lingue». Nel cristianesimo primitivo, era uno stato estatico in cui, mediante farfugliamenti inarticolati interpretati dai profeti, lo Spirito Santo rivelava le verità divine; il cristianesimo giovanneo rigetta questo modo di rivelazione per sostituirlo con un Rivelatore disceso dal cielo; infine il cristianesimo cattolico riprende il «parlare in lingue», ma ne fa la facoltà miracolosa che conferisce lo Spirito Santo, mediante una distribuzione di lingue di fuoco, di parlare in lingue straniere senza averle apprese. Da un modo di rivelazione la glossolalia è diventata uno strumento di propagazione del Vangelo. 

NOTE

[1] Die Schriften des Neuen Testaments, herausgegeben von JOH. WEISS, Gottinga (Vandenhoeck e Ruprecht) 1908. 

[2] La ripresa si fa sulle parole: «Tutti furono presi da timore» (existanto dé pantes) ripetute nei versi 7 e 12. — Si veda appendice 1. 

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