martedì 14 settembre 2021

La triplice leggenda di Giovanni

 (segue da qui)

V. — LA TRIPLICE LEGGENDA DI GIOVANNI

Prima di affrontare il suo tema, che è la storia della vita di Gesù, il Terzo Vangelo comincia dando, a mo' di preludio, un resoconto molto circonstanziato della nascita di Giovanni il Battista. In un articolo di rivista pubblicato nel 1896, [1] DANIEL VOELTER, professore di teologia ad Amsterdam, ha cercato di dimostrare che gli elementi cristiani di questo racconto sono sovrapposti ad un documento più antico, «derivante senza alcun dubbio dai discepoli del Battista».

In un libro pubblicato nel 1911, [2] Voelter ha completato l'esposizione della sua tesi, e nel 1924 è stato seguito da NORDEN che, nel suo Geburt des Kindes, dichiara a proposito di questo racconto: «Nessuno dubita che provenga dai gruppi dei discepoli del Battista».

Tuttavia ALFRED LOISY, nel suo Évangile selon Luc pubblicato lo stesso anno 1924, è molto più riservato. Anche lui ammette «che ciò che riguarda il Cristo è stato sovrapposto alla leggenda del Battista, come se la tradizione cristiana si fosse appropriata di una leggenda di Giovanni, concepita dapprima per la sua gloria e indipendentemente da quella del Cristo», ma si astiene dall'attribuire formalmente ai settari del Battista la paternità di questo scritto. Avrebbe intuito che il problema è più complicato di quanto lo abbiano visto Voelter e Norden ? 

Voelter ha tentato di liberare il documento primitivo dalle aggiunte e interpolazioni dovute allo scrittore del Vangelo. Ma grazie ai nuovi metodi che il Dr. COUCHOUD ed io abbiamo recentemente applicato al Libro degli Atti, siamo forse attualmente abbastanza attrezzati per riprendere questo lavoro di dissezione, per spingerlo più lontano, per condurlo con più rigore e per stabilirlo su delle basi più solide. Possiamo sperare che quando avremo così adeguatamente delineato il documento primitivo, esso non mancherà di fornirci alcune precisioni sui rapporti del cristianesimo con la comunità dei discepoli del Battista.


1. IL TESTO

Le parti comuni al documento primitivo e a Luca sono in caratteri ordinari (romani). 

Le parti specifiche al documento primitivo sono in corsivo.

Le parti specifiche a Luca sono in caratteri ordinari (romani), contraddistinti da una linea zigzagata nel margine.

Le parti trasposte da Luca sono riprodotte due volte, in corsivo nel punto originale e in caratteri romani con la linea zigzagata nel punto attuale. 

Per avere la sequenza del documento primitivo, si leggeranno dunque le parti in caratteri romani e in corsivo. 

Per avere il testo tradizionale di Luca, si leggeranno tutte le parti in caratteri romani, siano esse contrassegnate o meno da una linea zigzagata, a margine. 

Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della Parola, così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità della catechesi che hai ricevuto.

 

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1-4

E avvenne che, al tempo di Erode, re della Giudea,

c'era

un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa,

e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta.

 

5

Erano giusti davanti a Dio,

osservavano irreprensibili tutte le leggi

e le prescrizioni del Signore.

Ma non avevano figli,

 

6

perché Elisabetta era sterile

e tutti e due erano avanti negli anni.

 

7

Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore

nel turno della sua classe,

 

8

secondo l'usanza del servizio sacerdotale,

gli toccò in sorte

di entrare nel tempio

per fare l'offerta dell'incenso.

 

9

Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori

nell'ora dell'incenso.

 

10

Allora gli apparve un angelo del Signore,

ritto alla destra dell'altare dell'incenso.

 

11

Quando lo vide, Zaccaria si turbò

e fu preso da timore.

 

12

Ma l'angelo gli disse:

«Non temere, Zaccaria,

la tua preghiera è stata esaudita

e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio,

che chiamerai Giovanni.

 

13

Avrai gioia ed esultanza

e molti si rallegreranno della sua nascita,

 

14

poiché egli sarà nazireo davanti al Signore;

non berrà vino né bevande inebrianti,

sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre

 

15

e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio.

 

16

Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia,

per ricondurre i cuori dei padri verso i figli

e i ribelli alla saggezza dei giusti

e preparare al Signore un popolo ben disposto».

 

17

Zaccaria disse all'angelo:

«Come posso conoscere questo?

Io sono vecchio

e mia moglie è avanzata negli anni».

 

18

L'angelo gli rispose: «Io sono Gabriele

che sto al cospetto di Dio

e sono stato mandato

a portarti questo lieto annunzio.

 

19

Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare

fino al giorno in cui queste cose avverranno,

perché non hai creduto alle mie parole,

le quali si adempiranno a loro tempo».

 

20

Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria,

e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio.

 

21

Quando poi uscì e non poteva parlare loro,

capirono

che nel tempio aveva avuto una visione.

Faceva loro dei cenni

e restava muto.

 

22

Compiuti i giorni del suo servizio,

tornò a casa.

 

23

Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì

e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva:

 

24

«Ecco che cosa ha fatto per me il Signore,

nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna

tra gli uomini».

 

25

Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio

 

 

26

in una città della Galilea, chiamata Nazaret,

a una vergine, promessa sposa di un uomo

della casa di Davide, chiamato Giuseppe.

La vergine si chiamava Maria.

L'angelo entrò da lei.

 

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27

 

 

28a

 Entrando nella casa di Zaccaria

Egli salutò Elisabetta

 

(40)

E disse:

 

28b

«Ti saluto, o piena di grazia,

 

 

il Signore è con te!

 

 

Benedetta tu fra le donne

e benedetto il frutto del tuo grembo!»

 

(42b)

A queste parole ella rimase turbata

e si domandava che senso avesse un tale saluto.

 

29

Appena Elisabetta ebbe udito il saluto [dell'angelo],

il bambino le sussultò nel grembo,

[e lei disse]:

«A che debbo che [l'angelo] del Signore venga a me?

Ecco,

appena la voce del tuo saluto

è giunta ai miei orecchi,

il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo».

 

(41a)

 

 

(43)

(44)

L'angelo le disse:

«Non temere,

[Elisabetta],

 

30

Maria,

 

 

perché hai trovato grazia presso Dio. 

 

 

Ecco:

 

31

tu concepirai,

 

 

partorirai un figlio

e lo chiamerai [Giovanni].

 

 

Gesù

 

 

Sarà nazireo e chiamato [profeta] dell'Altissimo;

 

32

Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo;

il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre

e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe

e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all'angelo:

«Come avverrà ciò, 

poiché io non conosco uomo?».

Le rispose l'angelo: 

 

 

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34

«Lo Spirito Santo scenderà su di te,

ti adombrerà la potenza dell'Altissimo.

 

35

Pertanto colui che nascerà sarà chiamato:

Consacrato a Dio».

 

 

Pertanto il santo che nascerà da te sarà chiamato:

Figlio di Dio.

Ecco Elisabetta, tua parente,

ha anch'ella concepito un figlio nella sua vecchiaia;

e questo è il sesto mese per lei,

che era chiamata sterile,

poiché nulla è impossibile con Dio».

Maria

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38a

[Elisabetta] disse:

 

 

«Eccomi, sono la serva del Signore,

avvenga di me quello che hai detto».

[L'angelo disse:]

«Beata colei che ha creduto

nell'adempimento delle parole del Signore!»

E l'angelo partì da lei.

 

 

 

 

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38b

In quei giorni Maria si mise in viaggio

verso la montagna e raggiunse in fretta

una città di Giuda.

Entrata nella casa di Zaccaria,

salutò Elisabetta.

Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria,

il bambino le sussultò nel grembo.

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40

 

41

Elisabetta fu piena di Spirito Santo

ed esclamò a gran voce:

 

 

Benedetta tu fra le donne

e benedetto il frutto del tuo grembo!

A che debbo

che la madre del mio Signore venga a me?

Ecco,

appena la voce del tuo saluto

è giunta ai miei orecchi,

il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo.

Beata colei che ha creduto

nell'adempimento

delle parole del Signore!».

E lei disse:

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«L'anima mia magnifica il Signore

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l'umiltà della sua serva.

D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente

e Santo è il suo nome:

di generazione in generazione la sua misericordia si stende

su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio,

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni,

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati,

ha rimandato a mani vuote i ricchi.

Ha soccorso Israele, suo servo,

come aveva promesso ai nostri padri,

ricordandosi della sua misericordia,

ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».

 

 

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Maria rimase con lei circa tre mesi,

poi tornò a casa sua.

 

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Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto

e diede alla luce un figlio.

I vicini e i parenti udirono

che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia,

e si rallegravano con lei.

All'ottavo giorno vennero

per circoncidere il bambino

e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria.

Ma sua madre intervenne:

«No! Si chiamerà Giovanni!».

Le dissero:

«Non c'è nessuno della tua parentela

che si chiami con questo nome».

Allora domandavano con cenni a suo padre

come voleva che si chiamasse.

Egli chiese una tavoletta, e scrisse:

«Giovanni è il suo nome».

Tutti furono meravigliati.

In quel medesimo istante gli si aprì la bocca

e gli si sciolse la lingua,

 

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e parlava benedicendo Dio.

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Egli fu ripieno di Spirito Santo

e profetizzò, dicendo:

«Benedetto sia il Signore Dio d'Israele,

perché ha gettato gli occhi sul suo popolo

egli ha preparato una liberazione:  [3]

di salvarci dai nostri nemici,

e dalle mani di quanti ci odiano.

Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri

e si è ricordato della sua santa alleanza,

del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,

di concederci di servirlo senza timore,

liberati dalle mani dei nemici,

in santità e giustizia al suo cospetto,

per tutti i nostri giorni.

E tu, bambino,

sarai chiamato profeta dell'Altissimo

perché andrai innanzi al Signore

a preparargli le strade,

per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza

nella remissione dei suoi peccati,

grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio,

 

per cui verrà a visitarci un sole che sorge dall'alto

per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre

e nell'ombra della morte

e dirigere i nostri passi

sulla via della pace».

 

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(79)

Tutti i loro vicini furono presi da timore,

e per tutta la regione montuosa della Giudea

si discorreva di tutte queste cose.

Coloro che le udivano,

le serbavano in cuor loro:

«Che sarà mai questo bambino?»

si dicevano.

Davvero la grazia del Signore stava con lui.

 

65

 

 

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Davvero la mano del Signore stava con lui.

Zaccaria, suo padre, fu ripieno di Spirito Santo

e profetizzò, dicendo:

«Benedetto sia il Signore, ecc. [si veda sopra, versi 68-79).

Il fanciullo

cresceva e si fortificava nello spirito.

Visse in regioni deserte

fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

[In quei giorni un decreto di Cesare Augusto, ecc. Nascita di Gesù. — I pastori.]

 

 

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68-79

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2:1-20

Quando furon passati

 

21

gli otto giorni prescritti per la circoncisione,

gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.

Quando furono passati

 

 

 

 

22

i giorni [del suo ritiro?]

 

 

della loro purificazione

secondo la legge di Mosè,

 

 

portarono il bambino

 

23

(a Gerusalemme) [4]

 

 

per offrirlo al Signore,

come è scritto nella legge del Signore:

«ogni maschio primogenito

sarà chiamato: consacrato al Signore;

 

 

e per offrire in sacrificio

una coppia di tortore o di giovani colombi,

come prescrive la Legge del Signore».

 

 

24

Ora

a Gerusalemme c'era un uomo

di nome Simeone,

uomo giusto e timorato di Dio,

che aspettava il conforto d'Israele;

lo Spirito Santo che era sopra di lui,

gli aveva preannunciato

che non avrebbe visto la morte

 

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26

senza prima aver visto il [profeta?] del Signore.

 

 

senza prima aver visto il Messia del Signore.

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Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio;

e mentre i genitori vi portavano il bambino

 

27

Gesù

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per adempiere la Legge,

lo prese tra le braccia

e benedisse Dio:

«Ora lascia, o Signore,

che il tuo servo vada in pace

secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti

e gloria del tuo popolo Israele».

Il padre e la madre si stupivano

delle cose che si dicevano di lui.

Simeone li benedisse

e parlò a

 

 

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Maria

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sua madre:

«Egli è qui

per la rovina e la resurrezione

di molti in Israele,

e per essere un segno

che provocherà la contraddizione.

E anche a te una spada trafiggerà l'anima,

perché siano svelati i pensieri di molti cuori».

 

C'era anche una profetessa, Anna,

figlia di Fanuèle, della tribù di Aser.

Era molto avanzata in età,

aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza,

era poi rimasta vedova

e ora aveva ottantaquattro anni.

Non si allontanava mai dal tempio,

servendo Dio notte e giorno

con digiuni e preghiere.

Sopraggiunta in quel momento,

si mise anche lei a lodare Dio

e parlava del bambino

a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

 

 

Quando ebbero tutto compiuto

secondo la legge del Signore,

tornarono

 

 

 

 

 

 

 

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39

in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui. I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre tornarono,

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il fanciullo rimase a Gerusalemme,

senza che i genitori se ne accorgessero.

Credendolo nella carovana,

fecero una giornata di viaggio,

e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti;

non avendolo trovato,

tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.

Dopo tre giorni

lo trovarono nel tempio,

seduto in mezzo ai dottori,

mentre li ascoltava e li interrogava.

E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore

per la sua intelligenza e le sue risposte.

Al vederlo restarono stupiti

e sua madre gli disse:

«Figlio, perché ci hai fatto così?

Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».

Ed egli rispose:

«Perché mi cercavate?

Non sapevate

che io devo occuparmi delle cose del padre mio?».

 

 

 

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Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù

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[Egli] cresceva

 

 

in sapienza, età

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in spirito e in grazia

davanti a Dio e agli uomini.

 

 

E visse in regioni deserte

fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

 

 

 

Nell'anno quindicesimo del regno di Tiberio Cesare,

 

3:1

quando Ponzio Pilato era governatore della Giudea, ed Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, sotto il sommo sacerdote Anna (e Caifa),

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2

la parola di Dio fu diretta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.

 

 

Ed egli andò per tutta la regione intorno al Giordano, predicando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati, come sta scritto nel libro delle parole del profeta Isaia:

«Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri.

Ogni valle sarà colmata

e ogni monte e ogni colle sarà spianato;

le vie tortuose saranno fatte diritte

e quelle accidentate saranno appianate;

e ogni creatura vedrà la salvezza di Dio».

Giovanni dunque diceva alle folle che andavano per essere battezzate da lui:

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[in questi termini: Disse loro:]

 

 

«Razza di vipere, chi vi ha insegnato

a sfuggire l'ira futura? Ecc.

 

 


2. COMMENTARIO

1:1-4. Il prologo di Luca. Lo stile di questo prologo contrasta violentemente con quello del primo documento: qui, un periodo greco di un'ampia e complessa costruzione; là, uno di quei pastiche dell'Antico Testamento che sono frequenti nel Nuovo, e di cui una delle caratteristiche principali è proprio l'assenza di periodi.

In questo prologo, l'autore del vangelo ci tiene ad avvertire lui stesso i suoi lettori che compilerà dei documenti. Nulla è quindi più legittimo che cercare di delineare e di identificare una di queste fonti.

Egli dedica il suo libro a Teofilo, e non si può che sorridere al pensiero di tutta l'erudizione che è stata dispensata per identificare questo personaggio enigmatico. Eppure il significato di questo nome sembra ovvio: Nella Chiesa antica, i catecumeni erano chiamati «amici di Dio», philotheoï (DONINI, Ippolito di Roma, pag. 58). Marcia, la concubina dell'imperatore Commodo citata nei Philosophumena (9:12), era una di quei philotheoï. Nella stessa frase, il nostro autore cita espressamente la parola «catechesi». Ha così formato il nome Teofilo invertendo semplicemente i due elementi della parola filotheos: l'eccellente Teofilo è il modello del catecumeno, e abbiamo davanti a noi un manuale destinato all'insegnamento dei catecumeni. 

1:5. E avvenne che.... Ancora ai nostri giorni, quando si vuole pasticciare lo stile della Bibbia, ci si accontenta a volte di costruire le sue frasi con: «Avvenne che...». [5] L'autore del nostro documento non ha disdegnato questo mezzo troppo facile, e il contrasto con il complicato periodo del prologo è ancora più evidente. 

1:15. Sarà nazireo. I manoscritti greci danno «Egli sarà grande» (megas), come in 1.32, ma in entrambi i casi la fonte doveva portare: «Egli sarà nazireo», ossia consacrato a Dio. La frase seguente precisa che egli si asterrà dal vino e dalle bevande forti, condizione essenziale del nazireato, e la parola nazireo figura espressamente menzionata nella storia di Sansone (Giudici 13), che ha servito da modello al presente episodio. La parola ebraica nazir può avere anche il significato di «principe», ed è questo secondo significato che l'adattatore ha voluto rendere traducendolo come «grande», per riguardo dei suoi lettori di origine pagana che non avrebbero compreso il termine nazireo. Accade lo stesso in 1:32, che nella nostra ipotesi si applicava dapprima a Giovanni e che nella nostra ricostruzione si presenta nello stesso contesto. 

In 1:35 e 2:23, che secondo noi si applicavano originariamente a loro volta a Giovanni e che sono legati tra loro dalla formula «sarà chiamato» (klêthêsetai), il testo attuale ha sostituito la parola nazireo con la sua traduzione letterale «santo, consacrato». La prova che in 2:23 vi era originariamente nazireo è fornita dal parallelo Matteo 2:23 che ha conservato la parola nazireo, modificandola leggermente per permettere un'allusione a Nazaret:

Luca 2:23

Matteo 2:23

Come è scritto

nella legge del Signore:

«ogni maschio primogenito

sarà chiamato:

consacrato al Signore».

Affinché si adempisse

ciò che era stato detto

dai profeti:

 

«Sarà chiamato: Nazareno».

Per il nazireo Giovanni, il rito di consacrazione del primogenito («Consacrami ogni primogenito tra i figli di Israele», Esodo 13:2) si fa sotto la forma di un nazireato a vita («Per tutto il tempo del suo nazireato egli sarà consacrato al Signore», Numeri 6:8). I due riti si confondono in uno solo.

Matteo, che cerca nella vita di Gesù il compimento delle profezie dell'Antico Testamento, ha preso il futuro «sarà chiamato» per una profezia, ecco perché crede di dover citare le profezie al posto della legge. Nella parola «nazireo» egli vede un'allusione a Nazaret, e il passo diventa così una profezia che indica il nome del villaggio dove Gesù doveva passare la sua infanzia. La piccola confusione tra la legge e i profeti commessa da Matteo ha fuorviato così bene gli esegeti che hanno speso in pura perdita i tesori di erudizione per ritrovare la traccia della supposta profezia perduta che avrebbe citato Matteo. 

1:26. Nel sesto mese. Questo è il tempo dei primi movimenti del bambino, il momento in cui si realizzerà ciò che l'angelo aveva annunciato a Zaccaria: «Sarà pieno di spirito santo fin dal seno di sua madre».

Questa menzione del sesto mese, che segnava originariamente una tappa importante della gravidanza di Elisabetta, si trova priva di ogni significato nel testo attuale in cui è riferita a Maria. Non è allora niente più che uno di quei sincronismi di una precisione illusoria che piace all'autore (2:2; 3:1).

1:26 ss. L'annuncio a Elisabetta. 

L'annuncio a Zaccaria è seguito dall'annuncio a Elisabetta, ambedue fatti per mezzo dell'arcangelo Gabriele. Questa specie di parallelismo della composizione è la regola nel documento primitivo: così l'inno di Elisabetta fa da parallelo a quello di Zaccaria, il vecchio Simeone alla profetessa Anna. Si può dire del nostro documento ciò che PAUL BERTIE [6] dice della Storia di Giobbe: «Si dovrà sempre lodare la perfetta simmetria con la quale l'abile narratore ha disposto la serie di episodi, che si corrispondono a due a due». L'editore, mettendo una parte degli episodi nel nome di Gesù, ha completamente distrutto quella simmetria. L'annuncio a Elisabetta è indispensabile al buon ordinamento del racconto, poiché prepara 1:60, dove Elisabetta sa al pari di Zaccaria, che il  bambino deve chiamarsi Giovanni, mentre Zaccaria colpito da mutismo non aveva potuto comunicargli l'ordine che aveva ricevuto. L'autore si ispira alla storia di Sansone, Giudici 13, dove la nascita del bambino è pure annunciata dall'angelo successivamente ad entrambi i genitori.

1:26. In una città della Galilea, ecc. Per mezzo dell'interpolazione di alcune righe, l'editore fa deviare il racconto. L'angelo, partito per visitare Elisabetta, arriva da Maria. I genitori di Gesù sono introdotti come casualmente, il che contrasta singolarmente con la pompa che l'autore primitivo aveva impiegato per introdurre i genitori del Battista. Il racconto primitivo era perfettamente equilibrato, il testo attuale è completamente disallineato.

L'editore non ha soltanto fatto deviare il racconto, ma ha anche diviso l'annuncio a Elisabetta in due episodi successivi: l'annuncio a Maria, e la visita di Maria a Elisabetta. Egli è stato così obbligato a duplicare il motivo del saluto che figurava solo una volta nel documento primitivo, e questo doppione apporta nel testo attuale un nuovo elemento di confusione. Originariamente, i movimenti del bambino rispondevano al saluto dell'angelo; erano il segno che lo Spirito si stava davvero impadronendo del bambino «fin dal senso di sua madre», come l'angelo aveva annunciato a Zaccaria, e come stava per confermare a Elisabetta. Di questi movimenti del bambino, l'editore fa un omaggio del Battista a Gesù. Egli segna così una prima volta l'inferiorità del Battista nei confronti di Gesù.

1:28. Ti saluto, o piena di grazia... Due volte la parola «grazia», in greco anche tre volte, poiché la parola «salvezza» (chaïré) è della stessa radice della parola «grazia» (charis). Con questo triplice gioco di parole, l'autore, secondo il costume dell'Antico Testamento, e come aveva già fatto in 1:14, [7] dà l'etimologia del nome che dovrà portare il bambino: Giovanni significa «Jahvé fa grazia». Nel testo attuale dove il nome di Gesù è sostituito a quello di Giovanni, questo triplice gioco di parole è naturalmente perduto. Si vedano le note a 1:66 e a 2:52.

1:32, 35. Nazireo. Si veda la nota a 1:15. 

1:32. Sarà chiamato profeta dell'Altissimo. La parola «profeta» è stata restituita in base al parallelo nel cantico di Zaccaria: «Sarai chiamato profeta dell'Altissimo» (1:76).

1:34. Poiché io non conosco uomo. Parole trasferite sulle labbra di una promessa sposa, che doveva naturalmente pensare che il figlio annunciato sarebbe stato il frutto del suo prossimo matrimonio. L'editore non è riuscito a mettersi nella situazione dei suoi personaggi. 


1:35. Adombrare (episkiazein). NORDEN cita tre passi di Filone che permettono di precisare il senso di questo verbo (Quis rer. div. her. 53 1:511 M.; De somn. 1:19, 1:638 M.; Quod deus immutabilis 1, 1:273 M. — NORDEN, Geb. d. K., pag. 92). Perché lo Spirito Santo possa impadronirsi di un mortale e parlare per suo mezzo, è necessario che il mortale deliri, che la sua ragione sia «adombrata». LEISEGANG, in Pneuma hagion, ha fatto uno studio dettagliato di questo fenomeno di oscuramento da parte dello Spirito di profezia. È proprio in questo senso che il verbo è impiegato nel documento primitivo. Siccome il movimento del bambino che risponde al saluto dell'angelo è il segno che lo spirito si è impadronito di lui, ora lo spirito passerà dal bambino alla madre i cui sensi saranno oscurati, e così lo spirito potrà dettarle la profezia conosciuta sotto il nome di Magnificat. Tuttavia in uno dei tre passi di Filone, il verbo «adombrare» è usato in un senso diverso: è applicato agli spiriti maligni che «adombrano» i sensi delle donne per renderle incinte. Si sa che il mondo antico credeva fermamente alla realtà di molti di questi casi che hanno avuto una grande risonanza. È questo secondo senso che l'editore darà al fenomeno dell'oscuramento da parte dello spirito, trasponendolo da una donna incinta ad una donna vergine. 

Ricordiamo a questo proposito la classificazione delle religioni proposta da THIELE: egli distingue le religioni teocratiche, secondo le quali il divino è separato dall'umano da un abisso invalicabile, le religioni teantropiche, che ammettono un tratto d'unione tra le due nature sotto forma di un dio-uomo oppure di un uomo-dio.

Per il giudaismo, dice Zielinski, [8] la cosa è sufficientemente chiara. Se Dio si rivolge a volte ad un essere di natura umana, chiamandolo suo figlio, sia che si tratti dell'intero popolo d'Israele oppure dell'eletto tra tutti, il Messia, è semplicemente una metafora analoga alla espressione «figlia di Sion», e sarebbe molto avventato dedurne che un israelita ortodosso abbia mai creduto per esempio il Messia veramente generato dal signore formidabile dell'Oreb. Qui dunque abbiamo il teocratismo, di cui parla THIELE, in tutta la sua rigorosa purezza.

Il cristianesimo, al contrario, che conosce un Uomo-Dio generato dallo Spirito Santo, è una religione teantropica, e da questo punto di vista è erede della religione greca. Ciò non era completamente sfuggito ai Padri della Chiesa. Origene per esempio apostrofa i suoi compatrioti: «E non c'è nulla di strano che noi, rivolgendoci ai Greci, ci serviamo di tradizioni greche, per non sembrare che siamo i soli a narrare questa storia incredibile (si tratta della nascita del Cristo). In realtà alcuni autori hanno ritenuto opportuno... scrivere che Platone era figlio di Anfizione, ma che ad Aristone era stato proibito di avvicinarsi alla sua sposa fino a quando lei non avrebbe messo al mondo colui che aveva generato da Apollo» (Contro Celso 1:27). 

Per un ebreo, il solo pensiero che Dio o il suo Spirito possano mettere incinta una donna, sarebbe il colmo della bestemmia. ROBERTSON SMITH [9] dice a questo proposito: «L'uomo era stato creato a immagine di Dio, ma non generato da lui; la figliolanza divina non è uno stato naturale, ma un dono della grazia. Nell'Antico Testamento, Israele è figlio di Jahvè e Jahvè è suo padre, che lo ha creato. Ma questa creazione non è un fatto della vita fisica, si è realizzata nelle successive manifestazioni della grazia divina che hanno fatto di Israele una nazione. È vero che è detto di Israele nella sua totalità: «Voi siete figli di Jahvè, vostro Dio», ma questa figliolanza appartiene alla nazione, non all'individuo; in quanto individuo l'israelita non è autorizzato a dirsi figlio di Jahvè».

Molto significativa in questo senso è anche la polemica del Talmud contro i vangeli. Il Talmud vuole ad ogni costo fare della madre di Gesù una donna adultera, al fine di spiegare per via naturale la nascita di Gesù. Ancora oggi, di tutto il Vangelo, è forse la nascita miracolosa di Gesù che più scandalizza gli ebrei, che più eccita la loro verve satirica, spesso perfino oscena. Sarebbe però ingiusto vedervi solamente un odio cieco verso il cristianesimo; è soprattutto la reazione indignata del loro sentimento religioso e dell'idea tutta spirituale e trascendente che si fanno di Dio, contro un racconto che sembra loro recare un attacco grottesco alla maestà divina. 

Il primo autore del nostro racconto è ebreo, e nulla è più lontano dal suo pensiero che l'idea della fecondazione di una donna da parte dello Spirito di Dio. Giovanni è generato da suo padre legittimo, e lo Spirito Santo interviene soltanto al sesto mese, per conferire alla madre e al bambino il dono di profezia. L'editore, al contrario, si ispira alla mitologia classica dove gli eroi sono generalmente il frutto dell'unione di una mortale con un Dio. Un mondo separa i due autori, un abisso separa le idee che si fanno della natura di Dio. La doppia accezione del termine «adombrare» permette all'editore di introdurre la sua concezione pagana della nascita degli eroi, al posto delle idee tradizionali ebraiche del primo autore, in un racconto in cui il termine Spirito ha unicamente il senso: dono di profezia. 

Così si trova risolto il problema che LEISEGANG [10] formula con un'ammirevole precisione: «Come è possibile che lo Spirito, concepito in quanto dono di ispirazione, in quanto spirito di profezia, possa essere simultaneamente l'autore della fecondazione di Maria?»

1:35. Pertanto colui che nascerà sarà chiamato: Santo di Dio. Questa forma primitiva della frase è attestata dal parallelo 2:23: «Sarà chiamato: santo (nazireo) di Jahvé (consacrato a Jahvé)». Con l'interpolazione della sola parola figlio, l'editore fa di questa frase: «Pertanto colui che nascerà sarà chiamato: Santo di Dio», e sostituisce così la sua concezione pagana dell'origine del eroe bambino alla concezione ebraica del primo autore. 

1:45. Beata colei che ha creduto. Questo elogio è perfettamente al suo posto nel testo primitivo, dove Elisabetta accetta con fiducia la promessa dell'angelo, senza opporgli, come aveva fatto Zaccaria, una domanda che lasciava intuire una mancanza di fede. Nel testo attuale, l'elogio non si comprende più, poiché Maria pone all'angelo una domanda analoga a quella di Zaccaria. Il povero Zaccaria è severamente punito per la sua incredulità, mentre Maria, che si comporta alla stessa stessa maniera, è lodata per la sua fede, e l'angelo si affretta a dargli soddisfazione indicandogli un segno: la gravidanza di Elisabetta.

1:46. Cantico di Elisabetta. La tradizione ortodossa attribuisce questo inno a Maria. La questione è stata discussa, tra gli altri, nei lavori citati di VOELTER, di NORDEN e di LOISY. Riassumo la dimostrazione di quest'ultimo:

Tutti i manoscritti greci e tutti quelli della vulgata geronimiana attribuiscono il Magnificat a Maria, ma i manoscritti più antichi della vulgata antica (manoscritti a, b, l) lo attribuiscono a Elisabetta. I più antichi testimoni orientali sembrano essere equamente divisi. È quantomeno probabile che nel testo primitivo il soggetto del verbo «disse» non fosse indicato, e che la diversità delle lezioni provenga dal fatto che si è sostituito in alcuni manoscritti il nome di Elisabetta, in altri quello di Maria. Se ci fosse stato il nome di Maria, non ci si sarebbe mai sognato di sostituirlo con quello di Elisabetta; ma una volta introdotto nel testo il nome di Maria, il suo successo è facile da spiegare: si è trovato naturale che Maria lodasse Dio, poiché aveva apparentemente più ragione di farlo rispetto ad Elisabetta.

È nondimeno vero che l'aggiunta del nome di Elisabetta era conforme al pensiero del narratore. Dopo la formula: «E Maria disse», ci si stupisce del tutto di trovare, invece di una risposta alle parole di Elisabetta, un inno ispirato che nulla ha fatto prevedere. Quando si tratta di introdurre il Benedictus, l'ispirazione di Zaccaria è messa in rilievo da un'espressione solenne (1:67). Ora, se il Magnificat è pronunciato da Elisabetta, vi è un esatto parallelismo tra le due situazioni; l'autore dicendo che Elisabetta «fu piena di Spirito Santo» (1:41), avrà avuto in mente non soltanto le parole di saluto rivolte a Maria, ma soprattutto l'inno che viene in seguito. I due vecchi profetizzano uno dopo l'altro, come faranno, nel capitolo successivo, Simeone e Anna. Solo Elisabetta ha potuto dire, facendo allusione alla sua sterilità, che Jahvé aveva «guardato l'umiltà della sua serva». Quelle parole che assimilano alla madre di Samuele, diventata madre dopo una lunga sterilità, colei che le pronuncia, non convengono che ad Elisabetta. Per trovarle ben collocate nella bocca di Maria, bisogna allontanarle dal loro significato naturale. Nel complesso il Magnificat è solo una copia di quello della madre di Samuele, ed è la situazione di Elisabetta, non quella di Maria, che risponde a questo prototipo dell'Antico Testamento. 

1:57. Nascita del Battista. Ci si può domandare se non sia a questo punto che si collocava originariamente l'episodio dei pastori, che avrebbero reso allora omaggio a Giovanni. Il racconto della nascita sembra un po' scarno dopo la pompa che precede, e quello che segue all'occasione della circoncisione. I pastori non adorano il bambino come fanno i magi in Matteo, quel bambino potrebbe non essere stato un bambino divino, ma un eroe bambino e un profeta bambino simile a quelli dell'Antico Testamento. Ci si può anche domandare se la stella che guida i magi in Matteo non stesse originariamente guidando i pastori che venivano a rendere omaggio a Giovanni. Il segno che l'angelo dà ai pastori: «Troverete il bambino avvolto in fasce» sembra innaturale. La stella che si arresta al di sopra del bambino sarebbe un segno che sembrava meglio convenire al contesto. Nel racconto mandeo della nascita del Battista, la stella si è conservata. Nel Benedictus, si fa allusione ad un «sole dall'alto». Nondimeno questi indizi non mi sono sembrati abbastanza conclusivi per permettermi di tenerne conto nel testo, né per tentare la ricostruzione dello stato primitivo dell'episodio.

1:66. Davvero la grazia del Signore stava con lui. Il testo attuale ha «la mano (cheir) di Jahwè», ma il doppione 2:40 sembra attestare che il testo primitivo aveva «la grazia (charis) di Jahvé», il che era una nuova allusione al nome di Giovanni. Si vedano le note a 1:28 e a 2:52. 

1:69 s. Questi due versi sono dell'editore. Essi tagliano la frase: «Egli... ha preparato una liberazione: di salvarci dai nostri nemici». I due membri del parallelismo «liberazione-salvare» non devono essere separati, fanno da parallelo tra loro, come nel passo dell'Antico Testamento che ha servito da modello: «Egli li ha salvati dalle mani di coloro che li odiano e ci ha liberati dalla mano del nemico» (Salmo 105:10). L'interpolazione ha senso solo se riferita a Gesù figlio di Davide, e suppone i termini dell'annuncio a Maria.

1:77. La conoscenza della salvezza, letteralmente: la gnosi di salvezza, sinonimo della gnosi di Vita, della Manda d'Haijé dei Mandei. Sull'equivalenza dei termini «Gnosi di salvezza» e «Gnosi di vita», si veda LIDZBARSKI, Joh. Buch, pag. 17, nota 2.

2:21 s. Quando furon passati gli otto giorni — quando furono passati i giorni del.... Interpolazione con ripresa. [11]

2:22. Purificazione. Al rito di consacrazione del primogenito sotto forma del nazireato a vita (si veda nota a 1:15), l'editore aggiunge quello della purificazione delle donne gravide in Levitico 12:8. Il sacrificio della coppia di tortore o dei due piccioni si riferisce a quest'ultimo rito. 

2:25. Il vecchio Simeone. Alla fine del Quarto Vangelo, Gesù vuole che uno dei suoi discepoli resti fino alla sua venuta, e il narratore aggiunge che è a torto che si è interpretata quella frase come se significasse che quel discepolo non sarebbe morto; sottolinea così che quel discepolo non era Simon Pietro, ma il discepolo prediletto. Sembra così combattere una tradizione secondo la quale Simon Pietro non doveva morire prima della gloriosa venuta del Messia.

Nella sua seconda epistola, Simon Pietro scrive lui stesso il suo nome Simeone.

Abbiamo quindi da una parte il vecchio Simeone che non deve morire prima della venuta dell'era messianica; e dall'altra parte Simon Pietro, chiamato anche Simeone, che non deve morire prima della venuta di Gesù.

La tradizione ha confuso i due Simeone, o al contrario, il vecchio Simeone e Simon Pietro non sono che due aspetti dello stesso personaggio duplicato dalla tradizione? 

2:35. Una spada ti trafiggerà l'anima. Questa frase è forse interpolata, poiché sembra interrompere il contesto. Il suo significato è piuttosto oscuro. Se è esatto, come si suppone generalmente, che essa comporta un'allusione alla morte del bambino, si applica meglio a Giovanni che a Gesù, dato che Giovanni era stato, secondo i vangeli, effettivamente ucciso con la spada.

2:39-43. Quando ebbero tutto compiuto... ritornarono — trascorsi i giorni della festa, mentre tornarono. Nuova interpolazione con ripresa. [12]

2:43. Il fanciullo. Il testo tradizionale dà «il fanciullo Gesù», ma il nome di Gesù non figurava originariamente nel Sinaiticus, dove è stato aggiunto da un correttore.

2:52. Cresceva in grazia. Questo passo, che fa doppione con 2:40, è una nuova allusione al nome di Giovanni. Si vedano le note a 1:28 e a 1:66.

E visse in regioni deserte. Questo è senza dubbio il punto primitivo di quella frase, che l'editore ha già anticipato in 1.80. La ripete qui riferendola a Gesù.

3:7. Razze di vipere, ecc. Il contesto di questo discorso sembra artificiale e dovuto allo scrittore, poiché coloro che vengono a chiedere da Giovanni il battesimo di conversione erano proprio coloro che meno meritavano l'invettiva: «Chi vi ha insegnato a sfuggire l'ira futura?»

Il discorso stesso si presenta come una breve antologia di alcuni esempi di logia del Battista, e quei logia hanno innegabili paralleli nei logia di Gesù. I logia che i vangeli mettono in bocca a Gesù sarebbero in parte ricavati da una fonte che li attribuiva a Giovanni il Battista? Esiste un altro esempio di una frase attribuita sia a Gesù che al Battista: Nella scena di Cesarea di Filippi, Gesù domanda ai suoi discepoli: «Chi dite che io sia?» Da quella discussione sul «tema delle ipotesi», il Quarto Vangelo ha conservato una versione dove non si tratta di sapere chi sia Gesù, ma chi sia Giovanni il Battista (1:19-27). La trasposizione dal Battista a Gesù si spiega meglio della trasposizione nel senso inverso.

Questo genere di trasposizione ha potuto prodursi in casi più frequenti di quelli in cui la sorte ci ha conservato, nei vangeli, le due versioni successive, e sembra prudente fare i conti d'ora in poi con la possibilità che una gran parte dei logia di Gesù fossero primitivamente, nella fonte, attribuiti a Giovanni il Battista.

È in effetti improbabile che il documento ebraico che abbiamo appena individuato si sia arrestato dopo aver riportato la nascita e l'infanzia del Battista; esso doveva contenere tutta la sua vita, con i suoi discorsi, i suoi miracoli e la sua fine. Forse attribuiva a Giovanni tanti discorsi quanti gli attribuisce, presso i Mandei, il Libro di Giovanni. Sarebbe allora sorprendente se l'editore del Terzo Vangelo, dopo aver ispirato a questo documento gli episodi della nascita e dell'infanzia di Giovanni per metterli in parte nel nome di Gesù, avesse poi, all'inizio del ministero di Giovanni, cessato bruscamente di attingere da esso. Il miracolo della moltiplicazione dei pani è per eccellenza il miracolo di Elia. Meglio che a Gesù, la ripetizione del miracolo di Elia si addiceva al secondo Elia, a Giovanni il Battista. 

Quando la Chiesa dà al Battista il titolo di Precursore di Gesù, essa enuncia una verità più profonda e di una portata più generale di quanto essa stessa ha mai potuto immaginare. Precursore non basta; occorre dire: prototipo.


3. CONCLUSIONI 

Negli Atti degli Apostoli, abbiamo incontrato a Efeso dodici discepoli di Giovanni che dichiarano di ignorare se esiste uno Spirito Santo, e i Mandei, che si proclamano egualmente discepoli di Giovanni, fanno dello Spirito Santo un potere delle tenebre. Tutt'al contrario, nel racconto della nascita di Giovanni, il ruolo dello Spirito Santo in quanto Spirito di Dio è fondamentale. Lo Spirito Santo si impadronisce del bambino «fin dal seno di sua madre»; tre mesi prima della sua nascita, quando l'angelo Gabriele viene a visitare sua madre, il bambino lo saluta con dei movimenti che sono una prima manifestazione della presenza dello Spirito. I cantici e i ringraziamenti di Elisabetta, di Zaccaria, di Simeone e della profetessa Anna sono ispirati dallo Spirito Santo. Quando il bambino cresce e prospera, egli si fortifica «in spirito». Giovanni è un profeta della linea di quelli dell'Antico Testamento, ispirato dallo Spirito Santo.

L'opposizione è vistosa: se i dodici discepoli di Efeso e i Mandei sono discepoli autentici di Giovanni, gli autori del nostro racconto non lo sono affatto. VOELTER e NORDEN si sbagliano quando attribuiscono la paternità di questo testo ai discepoli di Giovanni.

I Mandei sono violentemente ostili agli ebrei. Il nostro testo, al contrario, nel suo stato primitivo, si ispira ad una tendenza nettamente ed esclusivamente ebraica. Il suo ideale messianico è di essere liberati «dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano». Questo passo e parecchi altri non hanno potuto essere assimilati dal cristianesimo se non per mezzo di artifici interpretativi che li hanno allontanati dal loro significato primitivo. 

Il nostro testo è dunque l'opera di un ebreo che, per combattere l'eresia dei discepoli di Giovanni, si è impadronito del loro rivelatore, lo ha giudaizzato, e ne ha fatto un eroe ebreo conforme ai modelli dell'Antico Testamento: un Sansone, un Samuele, un nazireo, un profeta ispirato dallo Spirito Santo.

Per l'ebraismo, come per il cristianesimo, la dottrina dei discepoli di Giovanni comportava elementi inassimilabili ed elementi assimilabili. Se era necessario fare ai primi una spietata guerra di sterminio, si poteva, al contrario, tentare di adattare e di annettersi gli altri. Tale è il duplice atteggiamento del giudaismo e del cristianesimo nei confronti dei discepoli di Giovanni, duplice chiave che fornisce la soluzione di parecchi problemi posti dalla storia delle origini cristiane e dagli scritti del Nuovo Testamento.

Nell'evoluzione della leggenda di Giovanni il Battista si vedono così distinguersi tre fasi successive:

Il Giovanni dei Mandei, rivelatore di verità divine non in virtù dello Spirito Santo, ma perché è lui stesso di origine celeste. È lui che veneravano i dodici discepoli di Efeso.

Il Giovanni degli ebrei, nazireo e profeta in virtù dello Spirito Santo. Egli annuncia l'imminenza del Regno di Dio così come lo concepivano gli ebrei, ovvero l'egemonia politica e spirituale degli ebrei sul mondo pagano. Questa figura rappresenta l'adattamento, la giudaizzazione, l'accaparramento da parte degli ebrei, del Giovanni dei Mandei.

Tra gli elementi inassimilabili dagli ebrei, vi è il battesimo. Il Giovanni degli ebrei non è Giovanni Battista, è Giovanni il profeta.

Il Giovanni Battista dei cristiani, che conserva gli elementi assimilabili dei due stati precedenti. Egli resta quello che era tra gli ebrei: profeta in virtù dello Spirito Santo. Ma come era stato precedentemente il rivelatore dei battezzatori, diventa ora anche il Battista. Infine i vangeli gli attribuiscono anche il ruolo di precursore, che è un modo di assimilarlo, subordinandolo a Gesù.

Il Giovanni Battista del Nuovo Testamento è quindi una figura tarda, la risultante di una serie di processi di adattamento e di eliminazione imposti dai bisogni delle controversie religiose. Giudicare secondo quella figura il valore del Giovanni dei Mandei, [13] equivale a mettere il carro davanti ai buoi. Attribuirgli una natura storica è illusorio. Ma la storia della sua genesi e della sua evoluzione, la storia degli sforzi che si sono accumulati per accaparrarla, assimilarla e infine subordinarla a Gesù, è una fonte abbondante di informazioni di prim'ordine che possono potentemente aiutarci a sbrogliare il complesso problema delle origini cristiane.

NOTE

[1Theol. Tydschrift 30, pag. 244-269.

[2] Die evangelische Erzählung von der Geburt und Kindheit Jesu (Strasburgo).

[3] I versi 68 e 70 sono aggiunti (si veda il commentario):

Egli ha suscitato per noi una salvezza potente

nella casa di Davide, suo servo,

come aveva promesso

per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo.

[4] Glossa.

[5] Il libro di Mormon, per imitare lo stile biblico, ripete fino a due volte nello stesso verso l'espressione: «And it came to pass».

[6] Le poème de Job (Rieder 1929).

[7] «Gioia» e «rallegrarsi» sono in greco della stessa radice di «grazia».

[8] La Sibylle («Christianisme» n° 4), Parigi, Rieder 1924.

[9] Lectures on the Religion of the Semites (citato da LEISEGANG, Pneuma hagion, pag. 18).

[10] Pneuma hagion, pag. 31.

[11] Si veda appendice 1.

[12] Si veda appendice 1.

[13] Come fa MAURICE GOGUEL, Au seuil de l'Evangile: Jean-Baptiste, Parigi, Payot, 1929.

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