sabato 6 febbraio 2021

IL PUZZLE DEI VANGELIMatteo

 (segue da qui)

3° Matteo

Il Vangelo di Matteo si presenta all'analisi come un'opera molto più complessa della precedente. Influenze contraddittorie vi coesistono, e l'opera, nella sua redazione attuale, appare formata da elementi molto diversi.

ATTRIBUZIONE — Il vangelo è attribuito a Matteo, che avrebbe figurato tra i primi dodici discepoli, ma di cui non si sa praticamente nulla, nemmeno se è esistito o se differisce dal Mattia degli Atti, il successore di Giuda.

È nel suo proprio vangelo soltanto che Matteo si nomina così. In Marco (2:14) e in Luca (5:37), vi è menzione, nei passi corrispondenti, di un pubblicano di nome Levi. Tenuto conto di questa contraddizione, non si possono citare le liste armonizzate degli apostoli dove Levi scompare per far posto a Matteo. [36] La Chiesa assicura, beninteso, che si tratta della stessa persona, ma questo è difficile da ammettere perché non si vede come lo stesso uomo avrebbe potuto portare due nomi ebraici.

Un Matteo è citato da Papia come autore di un'opera, che figura certamente tra le fonti del nostro vangelo (ma essa era scritta in ebraico). Vari autori attribuiscono egualmente ad un Matteo (che non è necessariamente lo stesso) un vangelo apocrifo, di cui non conosciamo che 12 citazioni, chiamato «Vangelo degli Ebrei». Epifanio parla ancora di un vangelo, utilizzato dalla setta degli Ebioniti, chiamato anche «Vangelo dei Nazareni», che è forse un'abbreviazione del precedente, forse un'opera diversa, e che si riassume per noi in due brevi estratti citati da Epifanio. 

Tutto ciò permette di pensare che sarebbe esistito, alle origini cristiane, un certo Matteo, autore di qualche scritto, al quale si sarebbe in seguito attribuito il nostro vangelo. 

Si noterà che gli Atti ignorano Matteo, e parlano solo di Mattia, eletto per sostituzione di Giuda (1:26); ma non siamo meglio informati su questo Mattia, che le Omelie Clementine confondono con Barnaba, promosso discepolo e che riportava «le parole della promessa» (1:9), e che Clemente di Alessandria identifica arbitrariamente con Zaccheo. Tutto ciò è molto incoerente.

STESURA — Sebbene sia più vicino rispetto agli altri due all'ebraismo, non è per nulla stabilito che il nostro Matteo sia di origine ebraica. È quello che contiene più elementi ebraici, e anche esseni. Ma l'arrangiamento che ci è pervenuto può essere stato scritto non importa dove.

Il vangelo è scritto in greco, come gli altri. Sulla fede di Papia, la Chiesa assicura che si tratta di una traduzione in greco dell'originale aramaico, di cui non si è mai ritrovata la minima traccia. Papia dice che Matteo avrebbe scritto «in ebraico» i «logia» del Signore; è poco verosimile che Papia abbia potuto confondere l'ebraico con l'aramaico, o che si sia potuto scrivere una nuova opera in ebraico, lingua morta. Per contro, tutto si spiega se si ammette che le profezie in ebraico ricavate dall'Antico Testamento, e considerate relative al Messia, sarebbero state riunite da un certo Matteo: ho detto che una tale raccolta è necessariamente esistita e che figura tra le fonti certe dei nostri vangeli, — ma in greco, secondo la versione dei Settanta.

Dal punto di vista dello stile, bisogna proprio ammettere che il nostro autore non è uno scrittore di talento. Si è tentato di spiegarlo con la sua inesperienza della lingua greca, ma questa è una petizione di principio, si dovrebbe anzitutto stabilire che non era greco, o non si serviva correntemente della lingua greca, come avrebbe dovuto farlo, sembra, un agente del fisco in Oriente. 

Per quanto il nostro scrittore sia poco alfabetizzato, si esita ad attribuirgli i «doppioni», vale a dire le cose che egli racconta due volte: come ammettere che un unico autore racconti due volte la stessa cosa, in più occasioni? [37] È molto più probabile che i doppioni provengano dal fatto che il compilatore ha utilizzato due fonti diverse, senza osare unificarle (come farà Luca). 

Questa procedura, di per sé, basterebbe a dimostrare che l'autore del nostro Matteo non è l'autore di un testo personale, ma un semplice assemblatore di frammenti scelti.

DATA — Per le ragioni che ho già esposto, dobbiamo ritardare la stesura del Matteo attuale fino al 155-160 circa, specialmente a causa dei numerosi prestiti fatti dall'Evangelion e da Marco, e forse anche da Luca.

Ancora si devono riservare le interpolazioni successive, di cui due sono certe:

— quella che riguarda la missione di Pietro e la fondazione della Chiesa (16:17-19), sconosciuta a Marco e Luca nei corrispondenti passi, e che viene citata per la prima volta solo nel III° secolo;

— la comparsa di Gesù davanti al Sinedrio, anch'esso inserito in Marco e in Luca, ma sconosciuto al IV° Vangelo, e destinato a trasferire sugli ebrei la responsabilità della morte di Gesù, originariamente attribuita a Pilato.

Ma, se la composizione che ci è pervenuta risale alla seconda metà del II° secolo, contiene elementi anteriori: anche qui, è il problema delle fonti che importa più che l'arrangiamento finale.

MATTEO E IL GIUDAISMO — Si insegna comunemente che Matteo sarebbe scritto ad uso degli ebrei, o, secondo la formula di Origene, «dei credenti venuti dal Giudaismo», che ha per scopo principale di mostrare che Gesù era il Messia ebraico. Couchoud stesso vi vedeva un «autentico Pentateuco cristiano... (un) codice religioso di un cristianesimo a base ebraica». [38] Goguel vi vede «lo statuto di una società che si organizza per durare», ma si tratta di una società a base ebraica?

Questa impressione svanisce all'analisi.

A — Certo, non si può contestare che Matteo si riferisce, molto più spesso degli altri canonici, all'Antico Testamento. Laddove Marco e Luca le lasciano volentieri cadere, egli cita le sue fonti bibliche, e usa l'espressione: ciò è accaduto affinché fosse compiuta questa profezia. È in Matteo che si trova la maggior parte delle profezie bibliche applicate a Gesù, e ciò non avrebbe niente di sorprendente se il nostro compilatore avesse utilizzato la raccolta di profezie, conosciuta da Papia e attribuita ad un Matteo, con l'aiuto della quale fu costruita in gran parte la «vita» di Gesù. 

B — Più degli altri, Matteo usa un vocabolario ricavato dall'Antico Testamento: dal primo verso, Gesù è qualificato come «figlio di Davide, figlio di Abramo», e il vangelo si apre con una genealogia davidica di Giuseppe, che l'angelo chiamerà ancora «Giuseppe, figlio di Davide» (1:20). Egli precisa che il bambino sarà chiamato Gesù perché salverà «il suo popolo». (1:21), ovvero il popolo ebraico (cosa che, tra l'altro, non si è realizzato). Più volte ancora, Gesù è chiamato «figlio di Davide», [39] e Gerusalemme è la «città santa». (4:5).

C — Ribaltando la formula di Marcione, Matteo assicura che Gesù è venuto per adempiere la legge ebraica, e non per abrogarla: non un solo iota della legge deve passare (5:18). Anche se si sa che questa formula proviene dall'Evangelion ed è stata ribaltata contro Marcione, il solo fatto di questo ribaltamento tradisce una fedeltà alla legge ebraica.

D — Sfortunatamente, si può anche ben sostenere, in senso opposto: «Nessuno degli altri due sinottici ha messo il vangelo in una opposizione più trionfale con lo spirito ebraico». [40] Contrariamente alla legge ebraica, il Gesù di Matteo tocca un lebbroso per guarirlo (8:3), mangia con i pubblicani e i peccatori (9:10-11), non rispetta il digiuno (9:14). Egli assicura, come il Cristo di Marcione, che non si mette del vino nuovo nei vecchi otri (9:17). Egli afferma, cosa che non poteva che indignare gli ebrei, di essere venuto a salvare, non i giusti, ma i peccatori (9:13). Egli afferma che il Figlio dell'uomo è signore del sabato (12:8), che non vi sono alimenti impuri (15:17), e pronuncia le invettive più violente contro gli scribi e i Farisei (23 intero).

E — È in Matteo che si trovano le espressioni più chiare sull'apertura del regno ai Gentili, chiamati al posto degli ebrei: «Molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abraamo e Giacobbe... ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori» (8:11-12). È in un centurione romano che si trova una fede più viva che in Israele (8:10), e anche in una donna cananea (15:28), alla quale Gesù ha appena detto, però, contrariamente al verso sopra citato (9:13), che egli non è stato inviato che alle «pecore perdute della casa di Israele» (15:24). È infine solo in Matteo che Pilato viene scagionato e si lava le mani dal sangue del condannato e che il popolo ebreo avrebbe reclamato la punizione: «Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» (27,25).

F — Si riscontrerebbero ulteriori dettagli che implicano dei lettori non-ebrei. Così, quando Luca parla dell'«ultimo lepton» (12:59), moneta ebraica, Matteo traduce con la moneta romana, l'«ultimo quadrante» (5:26).

In vista di queste contraddizioni, è chiaro che il nostro Matteo riunisce due fonti opposte, una derivante dal giudaismo, l'altra ostile agli ebrei. Vedremo che egli ne contiene altre, ma era necessario sottolineare innanzitutto questa opposizione fondamentale.

FONTI — Ho già segnalato diverse fonti del nostro Matteo, sulle quali non ritornerò in dettaglio:

A — Matteo utilizza ampiamente una raccolta di testi ricavati dall'Antico Testamento, che formava una sorta di «vita» del Messia; egli cerca di dimostrare che tutte queste profezie sono state realizzate. Detto altrimenti, egli costruisce, con l'aiuto di questi testi, una vita di Gesù destinata ad illustrarle.

B — Numerosi passi di Matteo sono ripresi dall'Evangelion di Marcione, sia direttamente, sia per via di ribaltamento in senso anti-marcionita. Abbiamo là molto probabilmente una delle fonti anti-giudaiche del nostro Matteo.

Si può delineare la lista seguente dei principali prestiti fatti dall'Evangelion: 

Gesù appare a Cafarnao (4:13), insegna nella sinagoga (7:28-29), ma fallisce a Nazaret (13:57). Sulla riva del lago, chiama i suoi primi discepoli (4:18-20). Guarisce un lebbroso (8:1-4), poi un paralitico (9:2-8), mangia con i pubblicani (9:10-13), abroga il digiuno (9:14-15), si dichiara padrone del sabato (12:8). Insegna le «beatitudini» e una nuova morale (5:12 e seguenti), ma mette in guardia contro i falsi profeti e dichiara che l'albero deve essere giudicato dai suoi frutti (7:15-20).

Egli guarisce il figlio del centurione (8:5-13), simbolo della chiamata dei Gentili, e afferma che il più piccolo nel regno dei cieli sarà più grande del profeta ebreo Giovanni il Battista (11:11). A coloro che vogliono fargli confessare la sua nascita, egli risponde: «Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?» (12:48). Egli paragona la parola di Dio ad un seme che cade su diversi terreni (13:3-9).

Egli placa una tempesta (8:23-27), scaccia i demoni dal corpo di un posseduto (8:28-34), invia i suoi discepoli ad annunciare il regno (10:1-4), moltiplica i pani (14:14-21). Ma rimprovera Pietro, che lo aveva chiamato Cristo (16:13-16), perché egli non è il Messia ebraico, ma il Figlio di Dio che sarà messo a morte dagli ebrei (17:22-23). A titolo di prova, egli si trasfigura (17:1-8). Non è venuto a portare la divisione, ma la pace (ribaltato in 10:34-36). Ma per seguirlo ciascuno deve portare la sua croce (16:24), e il più piccolo diventerà il più grande (18:1-5). Egli insegna che nessuno può conoscere il Padre celeste se non attraverso il Figlio (11:25-27), e dà la formula del «Pater» (6:9-15). Gli ebrei lo accusano di scacciare i demoni per mezzo di Belzebù (9:34), ma lui rifiuta un segno a questa razza malvagia (12:38).

Egli insegna in parabole (13:3), ma i suoi discepoli ottusi non comprendono (13:12-17), perché rivela l'esistenza di un Dio supremo, il solo Buono (19:17), e il regno nuovo che comincerà, perché il regno della legge ebraica finisce con Giovanni il Battista (11:13). Per lui egli agisce di sua propria autorità (21:23-27), perché egli è il Signore e non il figlio di Davide (22:41-46).

Ma il regno del Dio buono sarà preceduto da catastrofi (24:15-22), Gerusalemme subirà tribolazioni. Tra i suoi stessi discepoli, Giuda lo tradirà (26:14-16) e Pietro lo rinnegherà (26:69-75). 

In un ultimo pasto con i suoi discepoli, egli paragona il pane al suo corpo (26:26-29). Arrestato, egli è oltraggiato, perché lo si prende per un profeta ebreo (26:27); quando gli si domanda se sia il Cristo, vale a dire il Messia ebreo, egli protesta: [41] «Siete voi che lo dite» (26:63). Nondimeno viene portato davanti a Pilato; costui, senza comprendere nulla, libera il «Figlio del Padre» (Barabba), e non fa crocifiggere che una sua apparenza sul monte del cranio (27:33). Il dio degli ebrei, comprendendo il suo errore, lacera il velo del Tempio (27:51), e l'oscurità invade la terra in pieno mezzogiorno (27:45). Si crede che sia stato messo nella tomba (27:57-61), ma la tomba sarà trovata vuota, perché non si doveva cercare il Vivente tra i morti (28:6).

C — Si è ritrovato, nell'analisi precedente, uno schema molto vicino a quello di Marco. È perché Matteo conosce e utilizza Marco, infatti ciò è dimostrato da numerose analogie di stile, dallo stesso raggruppamento di certi versi. Questo utilizzo di Marco è talmente ovvio che è ammesso dagli esegeti cattolici, [42] nonostante la tesi romana della priorità di Matteo.

È molto più difficile, come ho detto, sapere se Matteo abbia conosciuto e utilizzato Luca. Ho riportato un'impressione in questo senso. 

D — Come Luca, Matteo contiene un prologo sull'annunciazione e la natività, ma questi due prologhi sono così diversi tra loro che si deve ammettere la loro composizione separata e l'utilizzo di fonti diverse. 

Se è certo che Luca ha utilizzato, per il suo prologo, un testo riguardante Giovanni il Battista assimilato al Messia, noi ignoriamo la fonte diversa del prologo di Matteo. Ho detto come e perché il Cristo di Matteo nasceva a Betlemme, per realizzare una profezia, e come, per realizzare un'altra che non serve a nulla, il nostro autore abbia immaginato un grande massacro di bambini ebrei di cui nessun autore ha parlato, e manda la sacra famiglia a gironzolare in Egitto. Non sappiamo nemmeno da dove provenga la leggenda dei re magi, che vengono a offrire a Gesù i tre doni (oro, mirra, incenso) che si facevano al dio della luce, e probabilmente a Mitra (dio solare); vi è là un'influenza dei culti misterici, che probabilmente non ha altro scopo che di accaparrare un rito. 

E — Matteo, e solo lui, contiene alcuni episodi che figurano nel vangelo di Pietro (la guardia al sepolcro, la paura delle guardie all'apparizione dell'angelo). Si potrebbe vedere là l'utilizzo di una fonte comune difficile da identificare, se un dettaglio più preciso non ci permettesse di accertare che lo scrittore del nostro Matteo ha conosciuto e utilizzato il vangelo di Pietro (egualmente conosciuto da Giustino): si sa che solo Matteo presta a Pilato il gesto ridicolo di lavarsi le mani nel mezzo del pretorio, dicendo: «Io sono innocente di questo sangue, vedetevela voi» (27:24); ma il vangelo di Pietro ci rivela l'origine di questo dettaglio. Nell'apocrifo, sono gli ebrei che rifiutano di lavarsi ritualmente le mani: «Nessuno però degli Ebrei si lavò le mani, né Erode né alcuno dei suoi giudici. Siccome essi non volevano lavarsi, Pilato si alzò». È soltanto dopo l'apparizione dell'angelo alla tomba che Pilato dice alle guardie, venute ad informarlo: «Io sono puro del sangue di questo Figlio di Dio». Trasferendo da Erode a Pilato il processo di Gesù, Matteo ha trasferito anche il lavaggio delle mani, ma l'inversione di questo gesto simbolico gli priva ogni significato.

Matteo potrebbe ben avere attinto anche dal vangelo di Nicodemo (chiamato anche talvolta Atti di Pilato) l'intervento della moglie di Pilato spaventata da un sogno (Matteo 27:19), ma la data di questo apocrifo resta dubbia. 

MATTEO E L'ESSENISMO — Ho riservato fino ad ora un carattere essenziale e particolare del nostro Matteo: l'insegnamento morale raggruppato nel famoso sermone della montagna. Marco lo ignora, e Luca ne darà solo una versione ridotta.

Così come si presenta, il sermone è costituito da una serie di detti, raggruppati in maniera abbastanza arbitraria, senza un piano ben definito. Un buon numero di questi detti sono peraltro conosciuti, ma solo Matteo ne ha fatto un corpo dottrinale, un manuale di morale. La prima idea che viene a mente, è che egli avrebbe sistemato, in quella maniera spettacolare, una raccolta di «logia» o detti, dalla quale anche gli altri evangelisti avrebbero attinto, ma in modo diverso. L'esistenza di una raccolta di «parole del Signore» è in effetti necessaria e dimostrata; ho detto che potevano anche essere esistite più raccolte diverse, come quel «vangelo di Tommaso» che contiene detti gnostici.  

La questione resterebbe tuttavia nel vago se non sapessimo quale genere di raccolta Matteo ha utilizzato; ma possiamo stabilire almeno che si tratta di una raccolta essena.

Parlando delle fonti essene dei vangeli, ho segnalato che è in Matteo che si trova l'influenza più forte: è tempo ora di precisare questa affermazione.

Se si confronta il nostro Matteo, da una parte con il Manuale di disciplina di Qumran, dall'altra parte con la Didachè, [43] due studiosi, l'inglese Kilkpatrick [44] e lo svedese Stendhal [45] hanno stabilito che il nostro Vangelo potrebbe benissimo essere, almeno in parte, un manuale destinato all'educazione dei fedeli elaborato in un gruppo esseno che essi hanno chiamato «scuola di san Matteo». [46] Non si tratta certamente della comunità di Qumran, come ce l'hanno rivelata i suoi testi anteriori all'era cristiana, ma di una comunità probabilmente meno rigorista, più evoluta. Essi spiegano con questa ipotesi la suddivisione del vangelo in cinque parti, il suo carattere educativo, e anche l'abbondanza di citazioni dell'Antico Testamento. In questa interpretazione, i racconti del vangelo servirebbero solo come introduzione a cinque grandi discorsi morali, secondo il piano che preciserò più avanti.

Non ci si sorprenderà quindi di trovare nella Didachè (chiamata anche: Dottrina dei dodici apostoli), opera antecedente ai nostri vangeli, una sorta di sintesi di ciò che diventerà in Matteo il sermone della montagna. Non ne darò qui che uno scorcio. Nella prima Parte della Didachè figura un insegnamento generale sulle «due vie», la via della vita e quella della morte. Lo via della vita si basa su due grandi comandamenti: amare Dio, e amare il prossimo come sé stesso, [47] non fare agli altri ciò che non si vorrebbe che accadesse a noi. [48] Poi l'istruzione si sviluppa così:

«Benedite coloro che vi maledicono e pregate per i vostri nemici; digiunate per quelli che vi perseguitano; perché qual merito avete se amate quelli che vi amano? Forse che gli stessi gentili non fanno altrettanto? Voi invece amate quelli che vi odiano e non avrete nemici. [49] Astieniti dai desideri della carne. Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra e sarai perfetto. [50] Se uno ti costringe ad accompagnarlo per un miglio, tu prosegui con lui per due. [51] Se uno porta via il tuo mantello, dagli anche la tunica. [52] Se uno ti prende ciò che è tuo, non ridomandarlo, perché non ne hai la facoltà. A chiunque ti chiede, da’ senza pretendere la restituzione...». [53]

Si trova egualmente nella Didachè anche la formula del «Pater», con un'aggiunta finale che sarà conservata in varie sette e anche tra i Catari: «Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli» (Didachè 8:2). Questa formula è scomparsa dai nostri sinottici. Ma la preghiera della Didachè comincia, come quella di Matteo, con le parole: «Padre nostro che sei nei cieli» (Matteo 6:9), mentre quella di Luca inizia con la sola parola «Padre» (11:2); essa contiene la richiesta: «Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra», che è anche in Matteo e non in Luca, ed infine la formula: «Liberaci dal Maligno», egualmente assente in Luca. Matteo ha quindi ripreso testualmente una redazione conosciuta dall'autore esseno della Didachè. 

Bisogna senza dubbio andare molto più lontano. Uno studioso inglese, R.H. Charles, si è reso conto che il discorso della montagna «riflette in diversi passi lo spirito e si spinge fino a riprodurre le frasi stesse» di un'altra opera essena, conosciuta sotto il nome di Testamento dei Dodici Patriarchi, [54] utilizzata anche dall'apostolo Paolo. [55] L'analogia nella forma non è evidente, ma vi è una grande affinità di ispirazione.

Ho detto, per contro, quanto una connessione, e questa volta nella forma stessa, sia necessaria con il libro dei Segreti di Enoc, che enuncia le stesse beatitudini. 

Abbiamo quindi buone ragioni per pensare che una parte del nostro Matteo, e specialmente l'insegnamento morale dei suoi discorsi, provenga da una comunità essena.

LO SCHEMA — Così come risulta dagli studi di cui sopra, lo schema di Matteo è il seguente.

Un prologo sull'annunciazione e la natività, che proviene da una fonte diversa, e che ha potuto essere aggiunto  più tardi.

Cinque parti, formata ciascuno da racconti seguiti da un grande discorso, dopo il quale l'autore concatena ogni volta con la stessa formula: «Quando Gesù ebbe finito questi discorsi...». [56]

Parte: racconto del battesimo da parte di Giovanni, della tentazione nel deserto e dell'inizio del ministero in Galilea (da 3:1 a 4:25). Questo racconto introduce il lungo sermone della montagna (da 5:1 a 7:27).

Parte: racconti delle guarigioni, della tempesta placata, del pasto con i peccatori e della resurrezione della figlia del capo (da 8:1 a 9:35). Il tutto introduce il grande discorso missionario (da 9:36 a 10:42). 

Parte: racconti e discussioni su vari argomenti, nuove guarigioni, rapporti con Belzebù e richiesta di un segno (da 11:2 a 12.50), che introducono al grande discorso in parabole sul regno dei cieli (da 13:1 a 13:52).

Parte: vari racconti, missione dei dodici, moltiplicazione dei pani, camminare sull'acqua, confessione di Pietro e trasfigurazione (da 13:54 a 17:27), che introducono al cosiddetto «discorso ecclesiastico» (da 18:1 a 18:35). 

Parte: racconto del ministero in Giudea (da 19:1 a 22:46, il più lungo), che conduce al discorso escatologico (da 23:1 a 25:46).

In epilogo, il racconto della passione (da 26:1 a 27:66) e il racconto, piuttosto breve, delle apparizioni del risorto (da 28:1 a 28:20), il tutto che poteva provenire da una fonte diversa.

Questo piano complessivo sembra molto logico, ma si vede come differisce dalla semplice raccolta di «logia» menzionata da Papia. 

Va notato tuttavia che, mentre la composizione dei cinque discorsi è ben ordinata, la disposizione dei cinque racconti che li precedono è molto artificiale: gli episodi o i detti riportati non introducono logicamente ai discorsi, e non sono nemmeno coordinati tra loro, come se l'arrangiatore finale avesse in qualche modo stravolto l'ordine dei racconti, probabilmente per inserirvi le sue altre fonti.

Il nostro Matteo comprende quindi, — oltre ad un prologo di origine indeterminata:

— cinque discorsi che potevano provenire da una comunità essena: non è escluso che i «detti» raggruppati in questi discorsi siano stati originariamente attribuiti al Maestro di Giustizia, in quanto «parole del Signore»; la raccolta che raggruppa quei detti poteva essere precedente al cristianesimo.

— prima di ciascuno di questi discorsi, ci sono racconti o discussioni, di cui la maggior parte è ripresa dall'Evangelion e da Marco;

— A coronamento del tutto, un racconto della passione costituito esclusivamente secondo una raccolta di profezie ricavate dall'Antico Testamento: è forse la raccolta di «logia» conosciuta da Papia.

CONCORDANZE — Rispetto agli altri sinottici, Matteo contiene:

— degli elementi che gli sono comuni con Marco e Luca: io non insisterò su questo, perché questi elementi comuni costituiscono ovviamente la sostanza stessa del cristianesimo, sulla quale mi sono sufficientemente spiegato;

— degli elementi comuni con Marco, ma sconosciuti a Luca, e viceversa degli elementi in comune con Luca e sconosciuti a Marco;

— infine, dei frammenti che gli sono propri, anch'essi sconosciuti a Marco e a Luca.

In comune con Marco, si possono riscontrare due tipi di elementi comuni:

a) Quelli che figurano nell'Evangelion, e da cui provengono quasi certamente: insegnamento sul puro e l'impuro (Matteo 15:10-20, Marco 7:14-23), rimprovero di Pietro per aver detto: «Tu sei il Cristo» (Matteo 16:22-23, Marco 8:32-33), reincarnazione di Elia (Matteo 17:9-13, Marco 9:9-13), abrogazione del divorzio (Matteo 19:1-9, Marco 10:1-12), richiesta dei figli di Zebedeo (Matteo 20:20-23, Marco 10:35-40).

b) Quelli che provengono da altre fonti, e che sono in generale ripresi da Matteo in Marco: esecuzione del Battista (Matteo 14:2-12, Marco 6:17-29), guarigioni a Genesaret (Matteo 14:34-36, Marco 6:53-56), discussione sulle tradizioni (Matteo 15:1-9, Marco 7:1-13), viaggio a Tiro e a Sidone e guarigione di una Cananea (Matteo 15:21-28, Marco 7:24-30), seconda moltiplicazione dei pani, doppione della prima ripresa da Marco (Matteo 15:32-39, Marco 8:1-10), maledizione del fico (Matteo 21:18, Marco 11:12), e nel racconto della passione: oltraggi davanti al Sinedrio (Matteo 26:67-68, Marco 14:65) che possono risultare da una ulteriore armonizzazione, oltraggi dei soldati romani (Matteo 27:27-31, Marco 15:16-20) e il grido finale di Gesù sulla croce (Matteo 27:46, Marco 15:34).

In comune con Luca, ma sconosciuti a Marco:

a) Nei prologhi: l'annunciazione (1:18-25, Luca 1:26-38) le genealogie di Giuseppe, del resto inconciliabili (Matteo 1:1-17, Luca 3,:23-38);

b) Provenienti da Marcione: l'insegnamento sul Padre e sul Figlio (Matteo 11:25-27, Luca 10:21-22), le parabole del lievito (Matteo 13:33, Luca 13:20), della pecora perduta (Matteo 18:12-14, Luca 15:3-7) e dell'amministratore infedele (Matteo 24:45-51, Luca 12:41-46). 

c) Nei discorsi di origine essena: le beatitudini (Matteo 5:1 e seguenti, Luca 6:20 seguenti), il Pater con le varianti (Matteo 6:9-15, Luca 11:2-4), il disprezzo delle preoccupazioni temporali (Matteo 6:25-34, Luca 12:22-31), la pagliuzza e la trave (Matteo 7:3-5, Luca 6:41-42), la porta stretta (7:13-14, Luca 13:23-24), costruire sulla roccia (Matteo 7:24-27, Luca 6:47-49), voi valete più dei passeri (Matteo 10:28-33, Luca 12:4-9), il ritorno dello spirito impuro (Matteo 12:43-45, Luca 11:24-26), chiedete e vi sarà dato (Matteo 7:7-11, Luca 11:9-13).

d) I detti violenti sembrano di ispirazione zelota: lasciate i morti seppellire i morti (Matteo 8:18-22, Luca 9:39-40), io sono venuto a portare la spada e la divisione (Matteo 10:34-36, Luca 12:49-53), maledizione delle città del lago (Matteo 11:21-23, Luca 10:13-15), imprecazioni contro i farisei (Matteo 23 intero, Luca 11:37-54), discorso a Gerusalemme (Matteo 23:37-39, Luca 13:34-35).

e) Infine, ciò che non sembra provenire da nessuna di queste fonti: la predicazione del Battista (Matteo 3:7-10, Luca 3:7-14), le domande del Battista (Matteo 11:2-19, Luca 7:18-35), il segno di Giona e di Salomone (Matteo 12:40-42, Luca 11:30-32), la parabola degli invitati alle nozze (Matteo 22:1-14, Luca 14:15-24).

Peculiari a Matteo — Il confronto con Marco e Luca fa emergere in Matteo alcuni elementi personali che non figurano in nessuno degli altri due:

— nel prologo, oltre alla natura inconciliabile della genealogia di Giuseppe: l'adorazione dei magi (2:1-12), la fuga in Egitto e il massacro degli innocenti (2:13-18), di cui ho già spiegato l'origine;

— nel discorso della montagna: la condanna dei giuramenti (5:33-37), prescrizione ben conosciuta nell'Essenismo; fare l'elemosina in segreto (6:1-4), anch'essa una regola essena; pregare in segreto (6:5-8), stessa osservazione;

— la guarigione dei ciechi nati (9:27-31), ripetuta due volte (20:29-34);

— il discorso della missione ai dodici (10:1-16), di origine essena; la citazione di Isaia (12:17-21) sulla quale si basa la concezione essena del Messia;

— le parabole della tara (13:24-30), del tesoro e della perla (13:44-46), e della rete (13:47-50);

— la missione di Pietro e la fondazione della Chiesa (16:17-19), interpolazione del III° secolo;

— il pagamento del tributo al Tempio (17:24-27);

— le espressioni, probabilmente essene, sulla correzione fraterna (18:15-18), il perdono (18,21-22), la continenza volontaria (19:10-12);

— le parabole degli operai alla vigna (20:1-16) e dei due figli (21:28-32);

— la maledizione degli scribi e dei Farisei (23:13-36), espansione di un elemento comune con Luca;

— la parabola delle dieci vergini (25:1-13);

— nel racconto della passione: la morte di Giuda (27:3-10), la lavanda delle mani di Pilato (27:24), deformazione di un estratto del vangelo di Pietro; i prodigi che accompagnano la morte di Gesù (27:51-54), esagerazione propria di Matteo; la guardia della tomba (27:62-66), egualmente presa dal vangelo di Pietro;

— nelle apparizioni: quella alle donne (28:9-10) e quella del monte di Galilea (28.16-20) che contengono un'interpolazione tardiva sul battesimo con la formula trinitaria.

Ignoranza di Matteo. — Al contrario, Matteo ignora gli elementi specifici di Marco e soprattutto di Luca. Questi sono:

— nel prologo: la nascita del Battista, la visitazione, l'annuncio ai pastori, la circoncisione, l'episodio di Gesù bambino al Tempio;

— ciò che è peculiare di Marco, cioè molto poco: la parabola del seminatore, la guarigione del sordomuto e del cieco di Betsaida; 

 infine, tutti gli elementi peculiari a Luca, che io segnalerò a proposito di questo vangelo; dato che una buona parte di questi elementi provengono da Marcione, è difficile capire perché Matteo li abbia ignorati, soprattutto se si ammette che il nostro Matteo sarebbe stato scritto dopo Luca.

In conclusione, lo si vede, il vangelo di Matteo è il più complesso dei tre, quello in cui si amalgamano, peraltro piuttosto male il maggior numero di fonti diverse. È, nel suo stato attuale, una composizione artificiale, ulteriormente aggravata dalle interpolazioni che vi furono inserite nel III° secolo.

Ma si sarà osservata l'importanza in Matteo degli elementi esseni: è abbastanza possibile, in ciò che riguarda quella fonte, che la Chiesa abbia ragione ad attribuire la priorità nel tempo a Matteo, che poteva benissimo contenere gli elementi più antichi, forse anche precedenti al cristianesimo. Va da sé che questa osservazione non potrebbe valere per tutto il vangelo, che è certamente posteriore a Marco nella sua versione complessiva, forse anche a Luca. 

Matteo è ancora importante ai nostri occhi perché, grazie ai suoi riferimenti biblici, ci permette di capire come la vita di Gesù sia stata costruita sulla base dei testi dell'Antico Testamento. 

È lui che contiene il maggior numero di «logia», in entrambi i sensi del termine, cioè la maggior parte di detti (esseni) e la maggior parte di profezie messianiche.

A causa della sua attribuzione ad un discepolo diretto, la stesura del nostro Matteo ha probabilmente beneficiato di un'autorità particolare: questo si riflette ancora dalla priorità che gli accorda la Chiesa. Questa autorità spiega perché forse le interpolazioni del III° secolo (fondazione della Chiesa e la formula trinitaria del battesimo) erano state inserite solo in esso: ciò ha potuto sembrare sufficiente.

Eppure, come si è visto, Matteo è il meno degno di fede dei nostri sinottici, perché il suo editore non esita ad aggiungere molti dettagli di sua invenzione.

È infine colui che ha fatto più male, poiché la formula che consacra la maledizione degli ebrei in tutta la loro discendenza non si trova che solo in lui. 

NOTE

[36] Marco 3:18, Luca 6:15, Atti 1:13.

[37] Si veda 5:29 e 18:8, 10:38 e 16:24, 17:20 e 21:21 e, beninteso, la doppia moltiplicazione dei pani (14:14-21 e 15:32-39).

[38] Jésus, le dieu fait homme, pag. 253.

[39] Si veda 12:23, 21:9, 21:15.

[40] LAGRANGE, Saint Matthieu, introduzione.

[41] Nell'Evangelion, è una protesta; Matteo ha conservato la forma ambigua della risposta.

[42] L. DE GRANDMAISON, Jésus-Christ, 1:117; Lagrange, sopra citato.

[43] Il cui carattere esseno è innegabile.

[44] The origins of the Gospel according to St Matthew, 1946.

[45] The school of St Matthew (1954).

[46] Si veda St. LASSALLE, L'école de Qumrân et l'école de St Matthieu, Bull. Cercle E. Renan, aprile 1960.

[47] Si veda Matteo 22:37-39.

[48] Si veda Matteo 7:12.

[49] Si veda Matteo 5:44-57.

[50] Si veda Matteo 5:39 e 5:48.

[51] Si veda Matteo 5:41.

[52] Si veda Matteo 5:40.

[53] Si veda Matteo 5:42.

[54] Si tratta di un'opera scritta molto probabilmente in ebraico, ma cui non abbiamo per intero che la traduzione greca (pubblicata da R. Charles, The Greek Versions of the Testaments of the twelve Patriarchs, Oxford 1908), e che risale a cent'anni circa prima della nostra era. Si presenta sotto la forma di 12 testamenti morali attribuiti ai 12 figli di Giacobbe (è evidentemente una finzione). Ma l'opera ha subito interpolazioni cristiane. 

[55] Si veda DUPONT-SOMMER, Nouveaux aperçus sur les manuscrits de la mer Morte, pag. 211. 

[56] Matteo 7:28, 11:1, 13:53, 19:1 e 26:1.

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