giovedì 4 febbraio 2021

IL PUZZLE DEI VANGELIMarco

 (segue da qui)

2° Marco

Essendo il Vangelo secondo Marco il più corto, il più sintetico, ci si può domandare perché il suo autore abbia lasciato cadere così tanti episodi o insegnamenti importanti. È improbabile che li abbia ignorati; specialmente, perché ha attinto vari passi da Marcione, perché non gliene ha presi di più ? Noi saremmo senza dubbio in misura di rispondere a quella domanda, se conoscessimo l'intenzione dello scrittore, lo scopo che perseguiva; sfortunatamente questo scopo appare così vago che le opinioni più diverse sono state espresse su questo punto.

L'ipotesi più favorevole sarebbe che lo scrittore di Marco abbia voluto comporre una sorta di catechismo, un compendio del cristianesimo romano ad uso dei convertiti. Ma come spiegare allora che abbia omesso cose così importanti come il «Pater» o il discorso delle «beatitudini» ?

Tuttavia, l'intenzione di fabbricare un'arma anti-gnostica è molto meno apparente in Marco che in Luca: il Cristo di Marco resta ancora, su molti punti, simile al Cristo gnostico. Quindi è meglio ammettere che la destinazione esatta dell'opera ci sfugge. 

ATTRIBUZIONE — Per accreditare il vangelo, lo si è posto sotto la paternità di un certo Marco. Quella attribuzione è fantasiosa, e ciò risulta necessariamente dalla data tardiva della sua stesura. Ma inoltre non sembra che si sia stati ben precisi sul personaggio di Marco. Negli Atti degli Apostoli, lo si chiama «Giovanni soprannominato Marco», [26] o ancora «Giovanni» tout court; [27] è detto che sarebbe discepolo di Paolo, [28] il che è confermato da due epistole paoline. [29] Ma come mai un discepolo di Paolo avrebbe potuto riportare un racconto della vita di Gesù che Paolo stesso non ha conosciuto e al quale l'apostolo non si è mai interessato? Quando gli si attribuì il vangelo, sembrò necessario farne un discepolo di Pietro: è quel che è detto nella prima epistola attribuita a Pietro, [30] ma quella epistola è molto tardiva. Questo è anche ciò che Eusebio farà dire a Papia.  Ma, per quanto poco sappiamo dell'uomo chiamato o soprannominato Marco, sembra impossibile farne un discepolo di Pietro: non soltanto il suo vangelo è il più sfavorevole a Pietro, [31] ma egli ignora precisamente la missione del «principe degli apostoli».

L'esistenza di un Marco, o di un Giovanni soprannominato Marco, è possibile, ma non sappiamo nulla di lui. Il suo vago ricordo ha permesso di attribuirgli un vangelo; che non è certamente suo nella sua forma attuale, ma che potrebbe provenire in parte da uno scritto attribuito ad un certo Marco da Papia, secondo Eusebio. Questo è tutto ciò che si può dire.

STESURA A ROMA — Benché scritto in greco, il vangelo fu scritto a Roma: tutti sono d'accordo su questo punto, e la tradizione stessa è di quest'avviso; [32] questo è quanto ammettono anche gli autori cattolici. [33]

Louis Roussel, in uno studio sul «talento letterario» dell'autore di Marco [33*] assicura che «dappertutto Marco tenta di scrivere in buon greco, in greco ben puro. E ci riesce, addirittura così bene che, per esempio in ciò che concerne la sintassi delle proposizioni, ci mette in condizione di affermare che egli non era ebreo di lingua, né latino, ma esclusivamente greco». È possibilissimo, anche se mi impressiono meno di Louis Roussel sulla purezza dello stile di Marco. Ma la lingua greca era parlata a Roma da tutte le comunità orientali, e tutta la letteratura cristiana precedente al III° secolo, anche quando proviene da Roma, è scritta in greco.

È molto caratteristico, ad esempio, che si rilevano in Marco termini puramente latini, per i quali egli ha dovuto fabbricare o utilizzare degli equivalenti greci che costituiscono barbarismi: scrive kensos (census) per il censimento, kenturiôn (centurione), legeôn (legione), modios (modius, unità di misura), praitôriôn (da praetorium, pretorio), spekoulator, o ancora phragellioun (de «flagellare», fustigare.) Accade persino che l'autore dà la traduzione latina di un termine che non ha equivalente esatto in latino: i soldati conducono Gesù nel «cortile, cioè nel pretorio» (esô tês aulês, o estin praitôriôn).

A dire il vero, è possibile che questi neologismi abbiano fatto parte del linguaggio popolare, come diciamo comunemente: dollaro, pin-up, rugby, gangster. Si trova dênarion (denarius) in Plutarco e in Cicerone, e anche legeôn in Plutarco.

Oltre alla sua ignoranza della Palestina, della sua geografia e delle sue usanze, si osserverà che l'autore di Marco giudica necessario spiegare le usanze ebraiche: i Farisei, come tutti gli ebrei, non mangiano senza essersi prima lavate le mani fino al gomito (7:3); egli precisa che due spiccioli valgono un quarto di soldo (quadrante, 12:42), ciò che tutti  dovevano sapere nel paese. Detto altrimenti, egli scrive per i lettori che ignorano la vita quotidiana in Palestina; e quando trova nella sua fonte una espressione ebraica, la traduce (5:41).

Aggiungiamo questo dettaglio molto significativo: mentre Matteo, nella questione del divorzio, non si interessa che al ripudio della moglie da parte del marito, Marco solo aggiunge un verso per precisare: «E se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio» (10:12). Si deve vedervi una allusione chiarissima all'emancipazione femminile e agli abusi del divorzio a Roma, dove la separazione proveniva comunemente dalla donna. [34] Nessuna possibilità di ripudio era aperta alla donna dalla legge ebraica.

LO SCHEMA — Ho già segnalato che il nostro Marco è costruito secondo uno schema molto ordinato, basato sul numero 3 e sui suoi multipli. La divisione tripartita del vangelo, e di ciascuna delle sue parti, è mascherata dalla divisione artificiale realizzata nel XIII° secolo e in uso da allora: ma queste divisioni sono ancora molto evidenti.

Ancora più curioso appare il raggruppamento per tre dei fatti o detti riferiti. Dal primo capitolo, si trovano raggruppate tre guarigioni, quelle dell'indemoniato (1:23-28), della suocera di Simone (1:29-31) e le altre in blocco (1:32-34). Anche i miracoli successivi vanno in tre: la tempesta placata (4:35-41), il posseduto di Gerara (5:1-20) e la resurrezione della figlia di Giairo (5:21-43). Dopo un intermezzo che comprende a sua volta tre eventi — il fallimento a Nazaret (6:1-6), la missione dei dodici (6:7-13) e la messa a morte del Battista (6:14-29) — troviamo raggruppati altri tre miracoli: la moltiplicazione dei pani (6:30-44), la camminata sull'acqua (6:45-52) e le guarigioni a Genesaret (6:53-56). Allo stesso modo il discorso in parabole ne comporta tre, quella del seminatore (4:3-20), quella della lampada (4:21-25) e quella del seme (4:26-32). Al suo arrivo in Giudea, Gesù dà presto tre insegnamenti: sul divorzio (10,1-2), sui bambini piccoli (10:13-16) e sul pericolo delle ricchezze e sulla virtù della rinuncia (10:17-31). Nel corso dell'agonia nel Getsemani, Gesù ritorna tre volte ai suoi discepoli addormentati (14:37, 40 e 41). Nel racconto della crocifissione, l'autore crede di dover specificare che Gesù è crocifisso alla 3° ora (15:25), che le tenebre invadono la terra alla 6° ora (15:33) e che Gesù muore alla 9° ora (15:34).

Si potrebbero moltiplicare questi esempi, ma il loro interesse è piuttosto sottile, se non per caratterizzare l'artificio della composizione. Perché questa parzialità nell'uso del numero 3? Molto probabilmente, l'autore vi ha visto un simbolo, il cui significato ci sfugge: è certo che non si tratta ancora di un'allusione alla Trinità, e i commentatori successivi di Marco non hanno prestato grande attenzione a questo procedimento. Il valore mistico del numero 3 è ben conosciuto in tutte le religioni, ma questa non è una ragione sufficiente perché tutto vada per 3 o per gruppi di 3 in un'opera che si presenta come un racconto.

Sia come sia, questo artificio composizionale situa il vangelo all'opposto del racconto «senza ordine» conosciuto da Papia: tra la fonte primitiva e la composizione finale, un editore ha introdotto, con il suo sistema trinitario, un ordine arbitrario che toglie ogni spontaneità al nostro vangelo.

Ho già spiegato perché è impossibile far risalire la versione attuale del nostro Marco a prima del 150, in particolare a causa dei prestiti dall'Evangelion. Si noterà l'importantissimo fatto che il vangelo è sconosciuto a Giustino.

Ma la data di stesura dell'opera composita collocata sotto la paternità di Marco è piuttosto secondaria: ciò che importa di più è quella delle sue fonti.

FONTI — Se si elimina da Marco ciò che proviene dall'Evangelion, e le aggiunte tardive come la comparsa davanti al Sinedrio (ancora sconosciuta dal IV° Vangelo), rimane uno sfondo tanto più interessante in quanto è il primo in ordine di tempo dei sinottici, e che sarà largamente ripreso da Luca e da Matteo. Da dove viene questo sfondo primitivo?

Tutti gli esegeti non cattolici hanno ammesso l'esistenza necessaria di un «proto-Marco», o di una versione primitiva e abbreviata di Marco. Sfortunatamente questo scritto primitivo non ci è pervenuto. 

Il proto-Marco — Si può almeno tentare di ricostruirlo? In assenza di basi precise, un tale lavoro comporta una gran parte di ipotesi, e ci si può dedicare a questa ricerca solo con grandi riserve. 

La base di un tale lavoro, poiché si conosce abbastanza bene l'Evangelion di Marcione, consisterebbe nell'eliminare dal nostro Marco tutto ciò che proviene (o può provenire) da Marcione, e di vedere ciò che rimane. È certo che procedendo così, si finirebbe probabilmente per scartare le concordanze che potevano già esistere tra le due opere. 

Fatta quella eliminazione (piuttosto arbitraria), si può pensare che il residuo provenga interamente dal proto-Marco? Questo non è sicuro. Prima di tutto, si è lontani dal giungere così al racconto «senza ordine» secondo l'espressione di Papia, lo schema imposto al nostro Marco sussiste nelle sue grandi linee, e questo schema è molto diverso dal racconto disordinato che ci saremmo aspettati. 

Quanto alla sostanza, appare subito che siamo in presenza di problemi difficili:

a) Tutto ciò che riguarda il Battista figurava nel proto-Marco? Ignoriamo a quale data il Battista è stato annesso. Marco non dice, come il IV° Vangelo, che i primi discepoli attribuiti a Gesù erano quelli del Battista, e le relazioni tra le due sette rientrano nell'ipotesi. Molto probabilmente un racconto della vita del Battista è stato utilizzato nei canonici, ma la data di quell'utilizzo rimane sconosciuta. Si devono dunque considerare appartenenti al proto-Marco le predicazioni del Battista (1:4-8), il battesimo nel Giordano (1:9-11), il racconto della morte del Battista (6:17-19)? Conveniamo che non ne sappiamo nulla. 

b) Molti detti di Gesù, che non sembrano aver figurato nell'Evangelion, sono di una ispirazione chiaramente essena: è il caso delle istruzioni ai discepoli per la loro missione (6:7-13), delle lezioni sulla rinuncia (8:34-38), sulla purezza (7:14-23), sulla vendita dei beni (10:17-22), sul pericolo delle ricchezze (10:23-27) e la ricompensa promessa a coloro che avranno lasciato tutto (10:28-31). Questo è ben insufficiente perché possiamo immaginare di fare del proto-Marco un'opera essena, ma ci si deve domandare se l'influenza essena segni già quell'opera primitiva o se si tratti di aggiunte successive.

c) Tra le numerose guarigioni attribuite a Gesù e le varie parabole riportate, quali sono quelle che provengono dal testo originale? È impossibile saperlo.

d) Infine, siamo logicamente portati ad escludere le manifestazioni di anti-giudaismo, il processo davanti al Sinedrio. Ma si devono mantenere le polemiche con gli scribi e i Farisei?

Se si scartasse tutto ciò che è soltanto dubbio, non resterebbe granché. Si dirà che resterebbe almeno una bozza della vita di Gesù ? Ma sarebbe impossibile sapere di quale Gesù si tratterebbe. Sarebbe un uomo? Lo vediamo apparire già adulto, come in Marcione; cammina sulle acque (6:45-52), resuscita una morta (5:21-43). Come in Marcione, è condannato a morte e sembra morire sulla croce, ma non sappiamo nemmeno se resuscitava, perché il finale del nostro Marco è perduto.

Si deve quindi confessare che, con quel metodo, non ricaviamo il contenuto del proto-Marco. Sarebbe interessante poterlo confrontare ad altre opere perdute, come il vangelo di Simon Mago, quello di Basilide o quello di Cerinto. Ma nulla è sopravvissuto di quella letteratura primitiva, e i nostri vangeli sprofondano così nell'ignoto.

 Il finale — Si sa che il finale attuale, a partire da  16:9, non figura negli antichi manoscritti di Marco, e che è stato aggiunto dopo il IV° secolo. Ma sembra improbabile che il vangelo si sia arrestato all'episodio delle donne che trovano la tomba vuota, doveva logicamente esserci qualcos'altro. Se non ci è stato conservato, è senza dubbio perché questo racconto delle apparizioni del risorto differiva troppo da quelli che sono stati trattenuti al momento dell'armonizzazione.

Il finale attuale, composto dopo quelli degli altri canonici e che non aggiunge nulla di più, è quindi privo di interesse.

Marcione e Marco — Quali prestiti siano stati fatti dall'Evangelion per redigere il nostro Marco, l'ho dimostrato più sopra. Marco contiene ancora delle tracce gnostiche, e siccome quelle figurano in Marcione, è logico pensare che le si ha attinte per Marco, come lo si è fatto per gli altri due. 

Ma non vi sono solo le tracce gnostiche che provengono da Marcione: la ricostruzione dell'Evangelion permette di ritrovare molti passi, che figurano anche in Matteo e in Luca, che si deve logicamente riattribuire all'Evangelion: questo costituisce quindi una delle fonti del nostro Marco. Ho redatto (Capitolo IV $ 5) una tabella del parallelismo delle due opere. L'ipotesi secondo la quale l'Evangelion deriverebbe dal nostro Marco è esclusa dalle numerose tracce gnostiche e antigiudaiche che sussistono nel Marco attuale. 

Il problema dei rapporti tra l'Evangelion e il proto-Marco, per contro, è difficile, e persino insolubile. Ma tutto permette di pensare che si trattava di due opere distinte. Non solo l'Evangelion non porta alcun nome di autore, ma Papia non avrebbe confuso il Marco di cui parla con un'opera gnostica. Se il nostro Marco è la prima opera scritta contro Marcione, è lecito pensare che si è utilizzata per la sua stesura un'opera di ispirazione diversa, prima di pensare di ribaltare l'Evangelion nel nostro Luca. 

Da dove proviene quindi il proto-Marco utilizzato a Roma per la stesura del nostro vangelo? Probabilmente dall'Asia Minore, poiché Papia lo conosceva, — e probabilmente non da Antiochia, se si ammette che l'Evangelion proviene dalla comunità paolina di Antiochia. Questo è tutto ciò che si può dire, e vorremmo saperne di più. 

Marco doppio — All'analisi, il nostro Marco appare dunque formato almeno da due fonti mescolate, e aggiustate al meglio. Ma, se il nostro Marco è stato scritto per soppiantare l'Evangelion, bisogna ben convenire che l'arrangiamento resta ancora molto imperfetto: il Cristo di Marco è ancora troppo simile al Cristo di Marcione. 

Materialmente, il raccordo è stato fatto male. Vediamo, per esempio, che in due occasioni l'autore annuncia un insegnamento in «parabole» (al plurale) e non ne dà che uno solo (4:2-9 e 12:1-12), gli altri sono stati sparsi altrove. Marco è del resto l'evangelista che riporta il minimo di «logia», ne ignora un buon numero che sono conosciuti dagli altri due, e soprattutto non li raggruppa in discorsi o prediche: non dispone quindi della fonte già raggruppata che utilizzerà Matteo per il discorso della montagna. Al contrario, egli sparge quelli che riporta in tutta la sua opera: per esempio, dei detti che figurano nel discorso della montagna di Matteo, si trova in Marco la lampada sotto il moggio in 4:21, il sale in 9:50, la formula del perdono in 11:25, la realizzazione della legge in 13:30, l'occhio e la mano che scandalizzano in 9:43-47 (ordine inverso), l'abrogazione del divorzio in 10:4-12 (divisa in due), e l'espressione finale del discorso di Matteo in 1:22, prima che sia stato pronunciato.

Si vede quanto quella dispersione sia istruttiva per dimostrare l'artificio editoriale del discorso di Matteo e di quello di Luca: Marco conosce ancora solo detti sparsi. A queste espressioni di insegnamento, Marco non aggiunge alcun fatto che gli sia proprio (salvo due miracoli insignificanti). 

Le inadeguatezze di questo arrangiamento appariranno in maniera evidente nella lista di tutto ciò che Marco ignora in confronto agli altri due sinottici: illustrerò quella lista un po' più oltre. Si ha l'impressione di un primo tentativo di sintesi, ancora maldestro, che prefigura quello di Luca. 

Marco triplice? — Ho ammesso fino ad ora che il proto-Marco, fonte primaria del nostro Marco attuale, fosse un'opera omogenea. Ma ecco che una complicazione aggiuntiva viene ad essere sollevata: il proto-Marco sarebbe, in realtà, a sua volta doppio, e costituito da due opere distinte:

— La prima avrebbe soltanto formato la trama dei capitoli da 1 a 13 del Marco attuale, vale a dire i fatti e i detti di Gesù, ad esclusione del racconto della passione;

— la seconda sarebbe uno scritto, indipendente dal precedente, composto per servire alla celebrazione della settimana santa.

L'autore di quella tesi [35] ha rilevato, tra queste due fonti, le incompatibilità. Ma queste sono davvero nelle fonti, e non risultano dall'arrangiamento finale, o dall'armonizzazione dei tre racconti della passione nei sinottici? È molto difficile pronunciarsi, ma l'ipotesi è interessante, anche se non semplifica il problema di una ricostruzione del proto-Marco.

Va da sé che ho fatto ogni riserva sulla datazione proposta per queste due fonti, e sull'attribuzione della prima a Filippo. L'idea più interessante è quella che farebbe del racconto della passione, più o meno riprodotto da Matteo e Luca, una sorta di rituale della settimana santa: ciò ci allontanerebbe ancora da un racconto storico.

Quanto alla prima opera, che riportava i fatti e i detti del Signore (ad esclusione della passione), potrebbe essere quella che ha conosciuto Papia. L'autore pensa che sarebbe stata scritta per reazione alle deviazioni attribuite all'apostolo Giacomo. Non ne so nulla, ma ecco una bella illustrazione dell'unità delle tradizioni apostoliche! L'autorità di Giacomo, come capo della prima comunità, non era ancora discussa quando fu scritta la lettera di Pietro a Giacomo, che figura all'inizio delle Omelie clementine: tutti concordano nel riconoscere a quella epistola una grande antichità, ma se fu realmente scritta da Clemente, essa non può essere che del II° secolo, e sembra proprio che sia soltanto nel II° secolo che ci si sforzò di cancellare dai testi tutto ciò che si riferiva ad una preminenza di Giacomo. Se la prima fonte di Marco si collega a questo movimento, ciò non ci spinge a datarne troppo indietro la stesura, e il problema della sua priorità rispetto all'Evangelion resta sollevato. 

Marco e Paolo — Alle fonti segnalate, è necessario, come pensava Loisy, aggiungere un'influenza delle epistole paoline, e riconoscere in Marco «un'interpretazione paolina della tradizione primitiva»?

Quella affermazione è stata molto contestata, e mi sembra, in effetti, molto discutibile. Al di fuori di un'allusione molto incerta al «pane dei figli» (7:27), e dell'espressione sul «mistero del regno di Dio», che possono anche ben provenire da fonti gnostiche, non trovo in Marco né le idee fondamentali né il vocabolario di Paolo. 

Marco ed Essenismo — La frequenza delle designazioni di Gesù come il «Figlio dell'uomo» potrebbe indirizzarci verso un'origine o un'influenza essena, e ci si potrebbe domandare se il primo racconto dei fatti e detti del Signore non deriverebbe da uno scritto analogo concernente il Maestro di Giustizia.

Ma gli elementi esseni, così caratteristici in Matteo, mancano in Marco (tranne le poche lezioni segnalate più sopra).

Quanto all'impiego dell'appellativo «Figlio dell'uomo», può provenire del tutto semplicemente dal libro di Enoc. Certo, si tratta di un'opera essena, ma non è dimostrato che le Parabole di Enoc siano stare considerate canoniche dell'Antico Testamento o soltanto profetiche nell'Essenismo: l'opera sembra essere stata ampiamente diffusa e utilizzata. Tutt'al più quella influenza ci indirizzerebbe verso l'ambiente della Diaspora. Ignoriamo per di più se quell'appellativo figurasse nel proto-Marco, o se sia stato introdotto al momento dell'arrangiamento finale, per esempio per reazione contro il Cristo troppo etereo di Marcione.

L'IGNORANZA DI MARCO — Per tracciare un quadro delle cose che il nostro Marco ignora, in relazione agli altri due sinottici, si possono raggrupparle in tre categorie, a seconda che il silenzio di Marco si opponga ai testi comuni a Matteo e a Luca (trascurando le differenze tra loro), ad un testo che figura solo in Matteo, o infine ad un testo del solo Luca. Quella classificazione non è razionale, poiché porta ad accostare episodi provenienti da fonti diverse, ma è la più pratica per un'enumerazione e per la verifica.

Ignoranza in relazione a Matteo e a Luca

A) Si deve prima di tutto segnalare, beninteso, tutto ciò che tocca all'annunciazione, alla natività, all'infanzia, poiché, in Marco come nell'Evangelion, Gesù appare già adulto, senza che nessuno ci dica da dove viene.

B) Marco è molto più riservato di Matteo e Luca sul Battista, ignora in particolare la predicazione del precursore. Ignora anche le genealogie di Gesù e la tentazione nel deserto.

C) Sebbene Marco contenga, qua e là, alcune affermazioni che possono alludervi, egli ignora totalmente l'esistenza di un grande discorso morale, sia in montagna o in pianura, e contenente le beatitudini. Ignora anche gli insegnamenti essenziali sul rifiuto delle preoccupazioni temporali, sulla pagliuzza e la trave, sulla necessità di passare per la porta stretta e di costruire sulla roccia. 

D) Marco non conosce la preghiera del «Pater».

E) Marco non conosce la guarigione del figlio del centurione, che prepara l'apostolato tra i Gentili: si vede quanto sarebbe difficile collegarlo al paolinismo!

F) Non si trovano in Marco insegnamenti come: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» o ancora «Voi valete più di molti passeri».

G) Il Gesù di Marco non pronuncia le parole violente che si trovano negli altri due evangelisti, non maledice le città sulla riva del lago. 

H) Marco ignora l'insegnamento sul Padre e il Figlio. Agli ebrei che domandano un segno, risponde negativamente senza invocare il segno di Giona e di Salomone. Ignora le domande che il Battista fa porre a Gesù dalla sua prigione e la risposta ricavata dalle profezie che caratterizzavano il Messia.

I) Ho detto che ci sono parabole in Marco, ma vi mancano quelle del lievito, della pecora smarrita, dell'amministratore vigilante, del fico sterile, degli invitati alle nozze. Non sa che Gesù avrebbe detto: «Chiedete e vi sarà dato».

J) Il Gesù di Marco non pronuncia le imprecazioni contro i Farisei, né l'invettiva preliminare contro Gerusalemme.

Ignoranza in relazione a Matteo. — Farò, studiando Matteo, un bilancio di tutto ciò che gli è proprio. Menzionerò soltanto qui che, in relazione a Matteo, Marco ignora: 

— i discorsi di missione ai 12;

— le parabole della zizzania, del tesoro e della perla, della rete, degli operai della vigna, dei due figli, delle dieci vergini;

— beninteso, la missione di Pietro e la fondazione della Chiesa, che sono un'interpolazione romana del III° secolo, e che un discepolo di Pietro avrebbe dovuto essere il primo a menzionare;

— il pagamento del tributo al Tempio, la correzione fraterna, l'obbligo di perdonare 70 volte sette, il proposito sulla continenza volontaria, l'insegnamento sul giudizio finale;

— nei racconti della passione, la morte di Giuda e la guardia del sepolcro.

È inoltre interessante segnalare che Marco, di cui si voleva fare un discepolo di Pietro, ignora alcuni episodi peculiari a Matteo che questi ha preso dal vangelo (apocrifo) di Pietro: il lavaggio delle mani di Pilato, il terremoto alla morte di Gesù, la paura delle guardie all'apparizione dell'angelo che viene a rotolare via la pietra.

Ignoranza in relazione a Luca. — È ancora più grande, e ne farò il bilancio a proposito di Luca, segnalando tutto ciò che gli è proprio. 

Questi confronti fanno risaltare la povertà del vangelo di Marco, e si è sorpresi di trovare in esso così tanto «vuoto», così tante omissioni. È che inconsciamente noi leggiamo Marco completandolo con tutto ciò che gli hanno aggiunto gli altri sinottici. Ridotto a sé stesso, il cristianesimo di Marco è ancora minimo, e si comprende perché si è rivelato necessario scrivere altri vangeli.

NOTE

[26] Atti 12:12 e 12:25.

[27] Atti 13:5 e 13:13.

[28] Atti 13:5 e 13:13.

[29] 1 Timoteo 4:11, e Colossesi 4:10, dove è detto anche cugino di Barnaba.

[30] 1 Pietro 5:13.

[31] Si veda 8:33, 9:5, 14:30, 14:37, 14:68-71.

[32] Eusebio; H.E. 6:14.

[33] LAGRANGE, Saint Marc, introduzione.

[34] Louis ROUSSEL, Le talent littéraire dans l'évangile dit de Marc, Ed. Rationalistes.

[35] SENECA, De benef. 3:16:2; Giovenale 6:255-228; Marziale 6:7.

[36] Et. TROCMÉ, La formation de l'Evangile selon Marc, P.U.F. 1963.

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