mercoledì 29 aprile 2020

Il Messia



IL MESSIA

Gesù è stato considerato il Messia? Ha preteso di esserlo?

La parola MASCHIAH (Unto) suppone un'unzione. Ma, secondo il Nuovo Testamento, Gesù Cristo non ha ricevuto alcuna unzione materiale durante la sua esistenza terrena, né come re, né come sommo sacerdote, né come profeta. Si tentò di inventarne una per lui.

È così che si può leggere in Luca (4:17-18): «Nella sinagoga di Nazaret... gli fu dato il rotolo del profeta Isaia... dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me per questo mi ha consacrato con l'unzione...  Allora (Gesù) cominciò a dire loro: Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita».

Sfortunatamente, quei versi sono interpolati. Essi sono assenti dagli altri due sinottici nel passo corrispondente e possono essere estratti dal testo senza che questo ne soffra. Si osserverà anche che lo Spirito santo non ha mai versato una goccia d'olio sul capo del Cristo, anche quando ne ebbe l'occasione al momento del battesimo. L'unzione ha potuto essere celeste, ma nessun testimone è venuto a descrivercela.

L'autore dell'Epistola agli Ebrei (1:6-9) vi fa tuttavia allusione. Dio avrebbe detto a suo Figlio: «Il tuo Dio ti unse con olio di esultanza più dei tuoi compagni». Il che stabilirebbe che a quel tempo Dio non disdegnava di servirsi dell'olio in cielo e che, se egli unse Gesù, è perché questi non era stato unto o non doveva esserlo durante la sua carriera terrena. [75]

Questa grande novella è stata ispirata al Salmo 45 (il che conferma la sua natura mistica), ma questo salmo non riguarda assolutamente Gesù poiché, due versi più avanti, fa allusione alle «figlie di re che sono fra le sue dame d'onore», ovvero ad un harem.

In che modo, in queste condizioni, il nome di MESSIA ha potuto penetrare nel Nuovo Testamento? Cercando bene, non lo si trova che due volte e unicamente nel vangelo di Giovanni (1:41 e 4:25). Abbiamo già mostrato che, in entrambi i casi, questa parola ebraica doveva essere tradotta perché non sarebbe stata compresa. È là che, per la prima volta, l'equazione CRISTO = MESSIA è introdotta; i versi 25 e 26 sono stati in tutta evidenza interpolati nel testo poiché, malgrado l'affermazione di Gesù che (contrariamente alla sua propensione alla segretezza) le avrebbe confidato che lui era il Messia, la Samaritana si affretta ad andare a domandare alla gente se Gesù non sia il Cristo e dimentica la parola Messia.

Gesù non si è mai dato come il Messia [76] o come il Cristo. Questo è quanto conferma Guignebert: «Parola di vangelo e parola di Gesù continuano a fare due per l'esegeta ed è una conclusione di esegesi sicurissima che Gesù non ha affatto proclamato la sua messianicità». [77]

Gesù contestava che il Figlio di Davide fosse il Cristo (Matteo 22:41-46). Egli proibiva che si dicesse che lo fosse (Marco 1:25, 34; 3:12; 8:30; 9:9). Imponeva silenzio sui suoi miracoli (Marco 1:44, 5:43, 7:36, 8:26; Matteo 9:30). Egli annunciava il Regno di Dio, non il regno messianico (Matteo 4:23); respingeva tutti i regni del mondo (Matteo 4:8-9). Non lo si vede rivoltarsi contro le autorità stabilite; non dà battaglia che al demonio (Luca 4:34, Giovanni 12:31). La sua nuova Gerusalemme non sarà la rinnovata città terrena, ma la città celeste (Apocalisse 3:12, 21:2). Egli si identifica con il suo divino Padre, è Figlio di Dio, inviato dal Signore, Signore lui stesso, il che è incompatibile con la pretesa di essere un messia nazionale ebraico.

Abbiamo visto (pag. 88 e 92) che il Messia atteso non doveva avere né luogo di nascita, né domicilio. A questo riguardo, Marco mantiene il silenzio; egli non ci ha tramesso un racconto della Natività.

Riassumendo il ritratto che gli apocrifi ebraici tracciano del Messia, il Dictionnaire de la Bible (art. JÉSUS-CHRIST) ci dice: «Tutte queste idee rappresentano il credo degli ebrei in relazione al Messia o al suo regno. Esse si ispirano agli scritti dei profeti ma trasportano spesso nel dominio temporale ciò che gli scrittori sacri hanno annunciato in un senso puramente spirituale». Questo è esattamente ciò che pensiamo dei vangeli.

Nel vocabolario giudeo-cristiano, MESSIA è un'espressione tecnica la cui risonanza ha largamente superato storicamente l'importanza che aveva potuto avere nel 1° o nel 2° secolo. Questa nozione, introdotta surrettiziamente in un solo vangelo e sconosciuta alle epistole paoline, non ha certamente avuto alcuna influenza sulla nascita del cristianesimo. 

Il Messia doveva essere vittorioso, liberatore, salvatore. Ma si sa ciò che capitò a Gesù Cristo. È forse per questo che fu avanzata l'ipotesi di un «Messia sofferente», ma questa nozione non apparve che dopo la predicazione evangelica e non fu conosciuta e accettata dagli autori ebrei che molto eccezionalmente. [78] La si trova conosciuta dall'ebreo Trifone (e, ancora una volta, è Giustino che lo fa parlare) intorno al 155. Quando fu introdotta nei vangeli e persino prestata a Gesù, fu respinta dai suoi ascoltatori. Pietro esclamò: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti accadrà mai» (Matteo 16:22). Quando Gesù fa allusione alla sua morte imminente, la folla gli risponde: «Noi abbiamo udito dalla Legge che il Cristo dimora in eterno» (Giovanni 12:34), cioè che egli è immortale. E se il Cristo risorto fa di tutto per spiegare ai suoi apostoli che bisognava che morisse (Luca 24:25-27), è perché non li aveva convinti di questo durante la sua vita.

Perché d'altronde soffrire e morire? Per espiare i peccati degli uomini? La spiegazione non è certamente primitiva. Gesù non ha attribuito alcun valore espiatorio alla sua morte e il giudaismo del suo tempo ignorava l'idea secondo la quale Dio poteva caricarsi dei peccati degli uomini.

Anche là, vi si è avuta una confluenza di diverse concezioni religiose. Se, secondo Giovanni (1:29), Gesù è «l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo», è perché, da una parte il Servo di Isaia (53) porta i peccati degli uomini (Atti 8:32-35) e si offre da «agnello espiatorio» (Levitico 14), perché, dall'altra parte, il rito dell'agnello pasquale (Esodo 12:3) era il simbolo della redenzione di Israele.

In definitiva, il personaggio del messia sofferente è tardivo e simbolico; il simbolo stesso non costituiva che una similitudine letteraria che, malgrado la sua insufficienza, fu presa per la realtà.

Per giunta, la nozione di Messia non ci appare molto chiara; essa subì una lunga evoluzione. Si deve considerarlo come un individuo, come la personificazione di una collettività, come un personaggio celeste? Pensiamo che M. O. Cullmann abbia forse avuto ragione a mostrare (nel suo libro Christ et le temps) che la storia della salvezza si svolge dall'inizio alla fine secondo il principio della sostituzione, sotto la forma di una progressiva riduzione: dalla Creazione totale si passa all'umanità, dall'umanità al popolo d'Israele, dal popolo d'Israele «al resto», e dal «resto» ad un solo uomo: Gesù.

Se l'attesa messianica non accettava l'idea del Messia sofferente, il Figlio di Dio ha potuto personificare Israele, il popolo eletto. Non è inconcepibile che Gesù sia stato inizialmente l'immagine o il simbolo del popolo ebraico, le sue sofferenze che rappresentano le tribolazioni di Israele. Non si può negare che il Cristo sia stato considerato come un essere collettivo. «Voi siete tutti assieme il corpo di Cristo» si legge in 1 Corinzi (12:30). 

Questo non è più sorprendente della sua identificazione con il Verbo o la Sapienza.

D'altra parte, erano unti solo il re, il sommo sacerdote o il profeta. L'immaginazione popolare, aiutata da quella degli scribi, non ebbe difficoltà a trovarne parecchi. Non li conosciamo tutti, ma sappiamo che Ciro era un Messia (Unto) agli occhi di Isaia (45:1), mentre, per Flavio Giuseppe, il Messia doveva essere Vespasiano. Lo stesso re Erode era un Messia; Tertulliano evoca (De praescript. adv. haeret. 45) «coloro che dicevano che Erode era Cristo» mentre Girolamo (Dial. cum. Lucifer. 23) riporta che «gli Erodiani accettavano il re Erode come il Cristo».

NOTE

[75] Nel secondo Enoc esiste una unzione celeste. Michele, il grande arcangelo, conduce Enoc davanti a Dio che gli ordina di spogliare Enoc delle sue vesti terrene e di ungerlo con «l'olio buono». Per analogia, è dunque il Cristo divino che è stato unto, non l'uomo Gesù.

[76] In realtà «Messia» è una falsa traduzione di «unto» applicata a qualcuno che non era unto.

[77] Le Christianisme antique, pag. 51.

[78] Alcuni autori pensano che la nozione del Messia sofferente si sia sviluppata attorno al Maestro di Giustizia in una setta ebraica essena a partire dalla metà del primo secolo prima dell'era cristiana. Noi esamineremo più oltre questo problema.

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