giovedì 30 gennaio 2020

La Favola di Gesù Cristo — «Il ruolo di Antiochia»

(segue da qui)

2°) IL RUOLO DI ANTIOCHIA

L'idea che il cristianesimo sia nato ad Antiochia è comune ad autori che ignoravano ancora il ruolo degli Esseni. Fu il caso di Renan: «Il punto di partenza della Chiesa dei Gentili, il focolaio primordiale delle missioni cristiane, fu veramente Antiochia. È là che, per la prima volta, si costituì una Chiesa cristiana sbarazzatasi dai legami con l'ebraismo; è là che si stabilì la grande propaganda dell'età apostolica; è là che si formò definitivamente Paolo». [3]

Il fatto non è sconosciuto nei testi cristiani, quantunque rimaneggiati. Lo pseudo-Matteo ci dice che la fama di Gesù «si sparse per tutta la Siria». (4:24). Gli «Atti degli Apostoli» ignorano così poco il ruolo di Antiochia che si sforzano di ridurlo. Sfortunatamente, questa composizione tardiva (della fine del II° secolo, nel suo stato attuale, e sconosciuta a Marcione, ci dice Tertulliano) ci fornisce pochi fatti storici sulle origini delle comunità cristiane: «L'esposizione pseudo-storica degli Atti, in tutta evidenza, è interrotta dal lacune… (l'autore) sembra un uomo collocato troppo lontano dai fatti per comprenderli». [4

Vi vediamo nondimeno:

— l'affermazione che la diffusione del cristianesimo è partita da Antiochia, soprattutto con le missioni di Paolo;

— un tentativo maldestro per far venire ad Antiochia degli «ellenisti» da Gerusalemme, al fine di assicurare, come dice Guignebert, una «necessaria ma illusoria tradizione».

Ho detto quanto fosse improbabile l'esistenza di questi «ellenisti» a Gerusalemme, mentre sappiamo da Giuseppe che essi erano molto numerosi nella comunità ebraica di Antiochia. Il legame così assicurato tra Gerusalemme e Antiochia è estremamente fragile: non ci dice nemmeno che uno dei discepoli di Gesù sia venuto ad Antiochia a predicare la buona novella; sono degli anonimi che assicurano questo legame (Atti 11:19-20). 

Gli Atti non parlano nemmeno di questa visita di Cefa ad Antiochia, riportata dall'epistola ai Galati (2:11), e dove vediamo che, lontano dall'essere d'accordo con lui, Paolo dovette contraddirlo veementemente davanti a tutti. Ma l'autenticità del passo è molto dubbia, e nessun altro fa menzione di un viaggio di Cefa ad Antiochia.

C'è di più: con uno sfacciato voltafaccia, l'autore degli «Atti» si è servito di Barnaba, che fu, come Paolo, missionario di Antiochia e lo accompagnò nel suo viaggio a Gerusalemme (Galati 2:9-13), per inviarlo, al contrario... da Gerusalemme ad Antiochia! (Atti 11:22). Tutto ciò è incoerente e contraddittorio.

Loisy ha ben intuito la frode, [5] ma siccome egli crede agli «ellenisti», suppone che Barnaba fosse uno di loro. Ma Barnaba, originario di Cipro, è (perfino prima di Paolo, sembra) missionario di Antiochia, non ha alcun legame con Gerusalemme. Per collegarlo, gli Atti procedono ad una fantasiosa assimilazione con un certo Giuseppe che avrebbe fatto dono del ricavato della vendita del suo campo (4:37). Di un campo situato a Cipro, allora? Loisy segnala le altre invenzioni dell'autore degli Atti: «Sfortunatamente, questa favola non sarà l'ultima che inventerà sul loro conto. Siccome non ha voluto lasciar vedere che la fondazione (della Chiesa) di Antiochia si è fatta indipendentemente da Gerusalemme, senza dubbio ha voluto nascondere il fatto che Paolo e Barnaba avevano lavorato per più di dieci anni ad Antiochia e nella regione senza preoccuparsi degli antichi apostoli e della comunità gerosolimitana». [6]

Questo è, infatti, l'evento capitale: i missionari di Antiochia hanno cominciato le loro predicazioni senza preoccuparsi di Gerusalemme. Paolo stesso confessa di aver predicato quattordici anni prima di recarsi a Gerusalemme (Galati 2:1). Nulla stabilisce un legame tra Gerusalemme e Antiochia all'origine, tutto concorre al contrario a respingere questa idea al rango delle favole. È Antiochia di Siria, e non Gerusalemme, che è la culla del  cristianesimo primitivo.

Ciò che è ben assicurato, è che Paolo soggiornò nella comunità di Antiochia prima di intraprendere le sue missioni, e che Paolo ha diffuso, per conto di questa comunità, un mito elaborato in Siria, indipendentemente da Gerusalemme (la quale peraltro non tarderà a scomparire). 

Il ruolo di Antiochia nell'elaborazione del mito di Gesù non potrebbe essere troppo sottolineato: «In questo ambiente di Antiochia, dove molti fedeli non hanno conosciuto Gesù (possiamo spingerci più lontano, e dire: dove nessuno ha conosciuto un Gesù che non è mai esistito, ma dove a nessuno gliene importa)... si accentua e si accellera la sua divinizzazione». È soprattutto ad Antiochia che si tende «a spogliare la sua natura ebraica di Messia a favore di una concezione più generale, più ampia e più elevata, quella che si lega al titolo di Signore (Kyrios)». [7]

È solamente in questo ambiente ellenistico che ha potuto nascere l'assimilazione fatta dall'epistola ai Filippesi: «Gesù è Kyrios» (2:11). Il Cristo di Paolo non è il torturato di Gerusalemme, ma il Salvatore Gesù il cui culto ha ispirato tanti elementi a quelli di Attis, di Adone, di Mitra, culti praticati ad Antiochia. 

Gli stessi storici cristiani riconoscono che tutto è partito da Antiochia. Tutt'al più, si sforzano di salvaguardare un ipotetico legame con Gerusalemme: «Antiochia, città greca, universalista per natura, doveva necessariamente, esprimendo Gerusalemme come capitale della nuova fede, coinvolgerla nel senso in cui era essa stessa portata. Il fatto era di un'estrema importanza storica». [8

Da Gerusalemme non sarebbe potuto uscire che un Messia ebreo. Da Antiochia, al contrario, è nata una religione universale.


Antiochia

Terza città dell'impero romano (dopo Roma e Alessandria), crocevia di influenze, Antiochia era il luogo ideale per servire da cornice alle relazioni tra sette, ai confronti tra dotti e filosofi così come tra i culti.

Per comprendere l'importanza di questa città, occorre tornare alle conquiste di Alessandro e far rivivere un periodo molto poco conosciuto della storia antica. Alessandro aveva edificato un immenso impero, che non gli sopravvisse sul piano politico, ma le cui conseguenze furono immense per la civiltà. Campione della cultura greca, si lasciò comunque tentare dal prestigio della Persia. Al seguito dei suoi eserciti marciarono dei sapienti, dei filosofi, che entrarono in contatto con quelli della Persia e dell'India. Questi rapporti intellettuali, così come quelli commerciali, persistettero ben dopo la morte di Alessandro, e questo riavvicinamento delle grandi civiltà antiche (alle quali va aggiunto l'Egitto) portò ad una certa unificazione del pensiero. L'impero universale, sognato da Alessandro, si rivelò irrealizzabile; ma, sul piano intellettuale e religioso, portò ad una fusione delle grandi concezioni dell'antichità.

Due imperi principali si stabilirono sulle rovine dell'impero di Alessandro. Il più solido fu quello dell'Egitto sotto i Tolomei; il centro intellettuale, il più brillante dell'antichità, fu Alessandria. L'altro, quella dei Seleucidi (soprattutto sotto gli Antiochi, dal 223 al 140) incluse in particolare l'Asia Minore e la Siria; la sua capitale era Antiochia, e questo impero, che comprendeva la Persia, restò in contatto con l'India. Antiochia fu dunque, come Alessandria, un centro dove confluivano i rappresentanti del pensiero greco, della Persia e dell'India. Dal punto di vista religioso, va aggiunto l'incontro dei culti della Frigia e della Siria, la penetrazione dei culti egizi e, beninteso, il contributo ebraico. 

Da questi scambi, di cui abbiamo solo una vaga idea, nacque una nuova civiltà, prevalentemente greca (soprattutto quanto alla lingua) ma fortemente penetrata da influenze orientali, soprattutto iraniane. [9

I sapienti e i sacerdoti non tarderanno a rendersi conto che i vari culti avevano dei punti in comune, e Alessandro aveva dato il gusto per l'universale. I vari culti tendevano allora a fondersi in una religione generale, le cui forme apparenti variavano, ma la cui sostanza era comune. La novità principale di questa religione consisteva proprio nella sua natura universale: i culti persero la loro natura nazionale, e si diffuse l'idea di una religione aperta a tutti gli uomini. 

Certo, l'idea non era del tutto nuova, aveva ispirato la riforma di Amenofi IV (che fallì), era ammessa in numerosi «misteri». Ma ciò che fu nuovo, è la pubblicità data a questa idea di universalità. Solo gli ebrei di Gerusalemme, ferocemente nazionalisti e persuasi di essere il popolo dell'alleanza, vi si opposero risolutamente; ma scomparvero nel 70. L'unificazione romana accentuò il movimento, e tutti i culti nati in Medio Oriente tesero, verso quel periodo, alla generalizzazione, all'universalità; tutti si diffusero nello stesso tempo e penetrarono a Roma, nello stesso momento in cui si instaurava un nuovo culto: quello dell'imperatore, anch'esso di origine orientale.

NOTE

[3] RENAN: «Les apôtres», pag. 226.

[4] GUIGNEBERT: «Le Christ», pag. 48.

[5] LOISY: «Les Actes des apôtres», pag. 467.

[6] LOISY, op. cit., pag. 468.

[7] GUIGNEBERT: «Le christianisme antique», pag. 113-114.

[8] Daniel ROPS: «L'église des apôtres et des martyrs», cap. 1.

[9] Si veda P. JOUGUET: «L'impérialisme macédonien et l'hellénisation de l'Orient» (Albin Michel); Paul PETIT: «La civilisation hellénistique» (Collection Que sais-je — n° 1028).

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